Le idee dei ragazzi della scuola media e

il racconto della scelta di vita di un medico di guerra

 

PORTARE A TERMINE UN PROGETTO

 

A COSA PENSI QUANDO SENTI LA PAROLA "MISSIONE"?

(INCHIESTA - Rispondono i ragazzi della II media, sez. A,

dell'Istituto Comprensivo "Via G. Silla")

 

Secondo me, la parola missione può voler dire tante cose tipo: dei ragazzi che giocano e dicono “facciamo una missione!” e sono sereni pensando alla missione, anche se in sé e per sé stupida, e ci mettono tutta la buona volontà; o i missionari religiosi che decidono di partire avendo il coraggio di lasciare tutti gli agi della propria città per andare nella povertà più assoluta a dar da mangiare ai bambini giocando con loro e a curare i malati. Ma la parola missione mi fa pensare anche alla guerra che c’è stata tra America ed Iraq, a tutti i soldati che sono stati mandati a fare la loro missione mettendo in pericolo la loro vita (la cosa più preziosa) per la propria patria. Hanno dovuto lasciare i parenti e le persone a loro care. Con la speranza di ritornare e di riabbracciare i parenti.

Giulia Cesaroni

 

Per me significa portare a termine un progetto o fare in modo che qualche fatto spiacevole non accada. Ha anche il significato di inviare. I missionari vengono “inviati” per aiutare il prossimo. L’emittente è colui che invia qualcosa.

Elisa Mangia

 

La parola missione secondo me vuol dire che qualcuno ha un incarico da portare a termine; ci sono tantissime persone che tutti i giorni devono svolgere delle missioni.

Lorenzo Miccoli

 

Quando sento la parola missione penso a tanti significati. Uno può essere quando devi portare a termine una missione, come consegnare un telegramma.

Cristina Martorello

 

La prima cosa che mi viene in mente è una missione da compiere, un progetto da portare avanti, per esempio al commissariato una missione potrebbe voler dire mandare un agente a scoprire qualcosa. Una missione potrebbe essere fatta dai preti in una terra straniera per aiutare i bambini o gli uomini poveri.

Sasha Casini

 

Quando sento la parola missione penso subito a qualcosa da fare, come studiare una materia o aiutare una persona. E’ come se tu avessi un compito preciso da svolgere nel modo giusto. La missione può essere cattiva o buona: tutto dipende dal compito assegnato. Ma se, per esempio, una persona ti dice di andare a rubare la borsetta da spesa a una signora, allora quella missione è cattiva. Per questo a volte la missione può essere cambiata da te in persona compiendo un gesto buono, degno di te stesso.

Alina Mihalcea

 

Per me missione significa fare una cosa in breve tempo; infatti a volte devi fare una cosa secondo il tempo che ti viene dato.

Valerio Mantova

 

Missione vuol dire tante cose. Una missione può essere di pace, di polizia o di indagine. Una missione di pace è la cosa più giusta, per esempio fare una missione in Africa è una cosa molto bella, aiutare la gente che ha più bisogno di te. Una missione di polizia può essere molto complicata e difficile. Può morire tanta gente anche innocente. Una missione di indagine è legata a quelle di polizia perché per trovare un colpevole, un luogo o un’abitazione serve indagare molto bene. Io la missione che sceglierei sarebbe quella di volontariato per aiutare le persone (i bambini) che hanno più bisogno di me.

Carlotta Ballarin

 

Mi ricorda i missionari che portano da mangiare ai bambini senza cibo né soldi. Per i bambini la missione è un gioco, cioè c’è un capo che comanda a qualcuno di fare qualche difficile compito.

Andrea Maisto

 

Per me la missione è qualcosa che devi fare. Ad esempio, anche venire a scuola è una missione. Si dice che anche Dio quando ci manda sulla terra ci da una missione tipo creare una famiglia. La missione viene prima di qualsiasi cosa.

Cristian Ciobanu

 

Missione per me vuol dire compiere qualcosa tipo quando ti dicono di fare una missione di pace. E’ quella dei preti e delle suore ma anche di Giobbe Covatta, Lino Banfi, l’UNICEF che fanno del bene e portano le medicine dove non esistono.

Paolo Melchionna

 

 

Gino Strada:

"PAPPAGALLI VERDI"

 

“Cosa vorresti fare da grande? Quando ero un ragazzino, rispondevo - Il musicista - o - Lo scrittore - Ho finito col fare il chirurgo, il chirurgo di guerra per precisione”. Sono queste le parole che aprono questo incredibile libro di Gino Strada: una raccolta di memorie, di sensazioni, uno splendido e coinvolgente racconto di esperienze vissute in prima persona. Scrive Moni Ovaia nella sua prefazione: “Gino Strada arriva quando tutti scappano, e mette in piedi ospedali di fortuna, spesso senza l’attrezzatura e le medicine necessarie, quando la guerra esplode nella sua lucida follia”. Guerre che lasciano dietro di sé un lungo strascico di sangue anche a conflitto concluso, quando donne, bambini e semplici pastori vengono dilaniati dalle tante mine antiuomo disseminate un po’ ovunque o quando raccolgono curiosi oggetti lanciati dagli elicotteri sui loro villaggi. I vecchi afgani li chiamano pappagalli verdi. E’ proprio da quei pappagalli che nasce l’amarezza più devastante  dell’esperienza del medico di guerra, da quegli strumenti di morte costruiti appositamente per distruggere la vita di qualche innocente. Il pozzo più profondo dell’umanità, il baratro della ragione. Ma è un libro che vive nella speranza di un uomo che si batte con la propria vita per contrastare tutto questo, un libro che ha il coraggio di dire, in grado di regalare toccanti immagini dai vari punti caldi del mondo, senza risparmiarci neppure le immagini più strazianti, inondandoci di tutte quelle piccole speranze che, in una vita salvata, riescono a darci la forza di continuare. Un libro che nel 1999 ha vinto il premio internazionale “Viareggio” e che, a mio avviso, dopo le mille testimonianze che lo arricchiscono si chiude con una dedica speciale alla moglie Teresa.

D.T.

 

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