Tre lettere emblematiche di chi in Iraq senza armi non ha mai smesso di aiutare la gente

MEDICI IN IRAQ:

SENZA FUCILI TRA CHI SPARA E CHI SOFFRE

 

 

 

 

Da: Ketty Agnesani (Emergency)               A: fuoridalmuro@inwind.it

Data: 12/04/2003                                         Oggetto: Medici di guerra inviati di pace: il sito

 

Sono sempre più frequenti le comunicazioni col nostro personale in missione, soprattutto dall'Iraq, ma anche dagli altri ospedali di Emergency. Da Lunedì quindi apriremo una nuova sezione sul sito internet www.emergency.it. Si chiamerà “Medici di guerra inviati di pace” e raccoglierà tutte le testimonianze e le fotografie che i nostri medici e i nostri infermieri ci inviano, i fatti, le storie dei pazienti e i loro volti. Vi invitiamo a visitare queste pagine, per esserci sempre più vicini e per essere aggiornati sulle attività di Emergency in favore delle vittime delle guerre.

 

Grazie!  Ketty

 

Il team di Emergency arriva a Bagdad

Il team di Emergency partito ieri l'altro da Amman (v. news sul sito) è arrivato oggi, venerdì 11 aprile, alle 13 (ora italiana) a Baghdad. Con il team anche un cargo con 30 tonnellate di medicinali e materiale di consumo per chirurgia di urgenza. La frontiera tra la Giordania e l'Iraq è stata attraversata la mattina del 10 aprile (alle cinque ora locale) e ha raggiunto in tarda serata Karbalà, a 100 km a sud di Baghdad. Ripartito questa mattina, il team ha raggiunto la capitale irakena dopo sette ore di viaggio. “Non ho mai visto niente del genere” queste le prime parole di Gino al telefono “La città è in preda alla anarchia totale. Le porte dei palazzi vengono sfondate dai tank e poi tutto viene abbandonato a sé stesso. La città é così preda di migliaia di sciacalli che compiono razzie, mentre la popolazione rimane rintanata in casa terrorizzata, senza acqua ne' luce. Le strade sono invase dal fumo che sale dai palazzi colpiti dalle bombe. E, per le strade, solo sciacalli. Sciacalli e cadaveri, tanti sciacalli e purtroppo tanti cadaveri”. “I militari entrati in città non pensano minimamente alla sicurezza o alla sopravvivenza della popolazione, ma solo alla loro. I carri armati che sfondano le porte lasciano la strada aperta alle migliaia di saccheggiatori che predano ogni cosa assolutamente indisturbati: ospedali, palazzi presidenziali ma anche case private, ambasciate, uffici, negozi”. Poi Gino ci racconta del viaggio verso Bagdad “Un viaggio difficile, massacrante, con frequentissimi posti di blocco militari. Strade chiuse da auto in fiamme o da filo spinato. Ogni volta, ci si doveva fermare a trecento metri. E mi toccava scendere e avvicinarmi a piedi con le mani bene alzate, in vista, in una atmosfera di tensione impressionante”.

 

 

Mario ci scrive che la guerra e' finita...

Sulaimaniya, mercoledì 9 aprile 2003. La notizia arriva in maniera insolita....mentre in terapia intensiva armeggiamo con due drenaggi toracici, una infermiera entra in lacrime e si siede alla scrivania con la testa tra le mani. Non capisco, e continuo a non capire quando vedo che gli altri infermieri scoppiano a ridere e si danno pacche sulle spalle. Continuo a districarmi tra i drenaggi e penso che non sono carini con la collega, io non me la sento di chiedere come mai piange ma spero che qualcuno mi riferisca il perché. Basta attendere pochi secondi: “Kaka Mario, Bagdad BUM!” Come BUM? Sta a vedere che c'e' stata qualche esplosione grossa...inizio a preoccuparmi, ho avuto modo di conoscere molti dei giornalisti che ora sono in città e le notizie da un po' di giorni non sono molto felici per loro. In televisione, tra la gente che soccorreva i giornalisti vittime di “fuoco amico”, ho riconosciuto qualcuno con cui abbiamo cenato insieme durante la nostra permanenza a Bagdad lo scorso mese. Come BUM?, chiedo ancora, mentre sto decidendo di cambiare il bottiglione del drenaggio troppo pieno di sangue...: “Kaka Mario, Bagdad finish, war finish”. Un po' lento ma inizio a capire..... L'infermiera ora ride, si asciuga le lacrime e si abbraccia con gli altri colleghi. Dispongo la sostituzione del bottiglione ed esco dalla terapia intensiva.

Ore 15.00 Oggi e' anche giorno di visita. Fuori l'ospedale si sentono macchine che strombazzano all'impazzata e le voci della gente, della tanta gente, che viene a trovare i feriti nell'ospedale di Emergency. Attendono il loro turno per essere perquisiti e poter entrare, come da regola, senza armi.

Ora si sente anche sparare....certo, sparano in aria per festeggiare, io inizio a preoccuparmi. Chiedo al nostro responsabile delle guardie di rafforzare la sicurezza....capisce al volo, non vorrei mai che in questo trambusto qualcuno si dimenticasse di posare le proprie armi al di fuori dell'ospedale.

Passo in pronto soccorso: finora niente feriti, solo un ferito da mina stamattina e due ustionati. Gli infermieri sono tesi, sanno bene per esperienza che le pallottole sparate per aria prima o poi cadono per terra, non si dissolvono come per magia, e prima o poi qualcuno beccano. Mi arrivano notizie da Erbil: quattro feriti, un bambino grave, tutti per “festeggiamenti”. E poi arriva la notizia che non volevamo....poco lontano dall'ospedale un bambino di 8 anni morto per un proiettile in testa. Lo hanno lasciato sulla strada, non hanno neanche tentato di portarlo da noi. Cerco di razionalizzare, mi distraggo guardando la gente che balla fuori dai cancelli, che piange, che ride, le macchine che passano con i soldati che sventolano bandiere e fucili.....la guerra é finita.

Sulaimaniya, giovedì 10 aprile 2003 ore 17.00. La guerra continua. E forte. Stanotte riceviamo 13 feriti, altri 6 stamattina, un'altra decina in arrivo dai nostri FAP,s. Tra loro una giovane donna arrivata già morta. Molti peshmerga, qualche civile, e anche tre combattenti irakeni. Mentre scrivo queste ultime righe approfitto per fumare avidamente una sigaretta. Gli infermieri mi informano che stanno combattendo a Kirkuk, molti feriti arriveranno nelle prossime ore. Sento Ake al telefono, la situazione a Erbil é la stessa. Guardo la mia divisa sporca e mi impongo di cambiarla prima di tornare in pronto soccorso. Cerco un the e accendo un'altra sigaretta, la guerra e' finita, forse, i feriti no.

 

Mario   (Emergency Surgical Centre – Sulaimaniya)

 

Mentre mettiamo on-line questa lettera di Mario, Ake da Erbil ci comunica che nella notte sono stati ricoverati 13 feriti da arma da fuoco, vittime degli scontri contro le forze governative a Kirkuk.

 

 

Esistono due guerre: quelle raccontate da chi di guerra ci vive, che coglie al volo l’occasione per fare sfoggio delle proprie qualità (???) di previsione bellica mostrando su lavagne appositamente allestite aerei e carri armati proiettati verso la conquista, assolutamente non curanti della scia di morte e distruzione che ogni singolo spostamento porta con sé; e le guerre raccontate da coloro che tentano di ricucire le voragini lasciate da questi assurdi conflitti, da persone che sono là perché vi erano già da tempo, molto prima che in un’impennata di (ritrovata?) lucidità il nostro mondo si ricordasse che in Iraq il regime di Saddam si era macchiato dei crimini più orribili. Ma se, dal nostro limitatissimo punto di vista, la guerra “santa e purificatrice” di coloro che fino al giorno precedente hanno fatto finta di niente continuando peraltro a fornire Mine Antiuomo al regime orribile di Saddam o finanziandolo ed innalzandolo come baluardo di civiltà contro il pericoloso ed infedele Iran, ha perso ogni credibilità possibile, la guerra osservata da persone che hanno scelto di dedicare la propria vita a curare le ferite della guerra stessa merita non solo di essere ascoltata, ma anche e soprattutto spazio per essere raccontata, per essere testimoniata… per arrivare finalmente a capire che in fondo la guerra è una soltanto: orribile, inumana, in ogni caso folle ed ingiusta. Non se ne scappa.

LA REDAZIONE

 

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