Un "cercatore incallito", un uomo dotato di "un centuplicato senso del creato"

DAVID MARIA TUROLDO

Pagina a cura di Davide Toffoli

 

Cenni Biografici

 

“Mistico”, “combattente”, “prete scomodo”, “vulcano in eruzione”, “disturbatore delle coscienze”, “infaticabile rompiscatole”, “amico di tutti gli uomini”… Molti sono stati gli aggettivi usati, parlando di padre David Maria Turoldo, molte le definizioni tentate da chi ha accettato di seguirlo nei terreni più svariati, passando con incredibile fluidità dalla fede alla poesia, dalla protesta politica alla teologia, dalla saggistica, dal teatro e dalla narrativa al più umile atto di carità. Più semplicemente: si è trattato di un uomo dotato di un centuplicato senso del creato, di un cercatore incallito pronto a riconoscere Dio proprio laddove il senso comune finisce solitamente per perderlo.

Giuseppe Turoldo (è questo il suo vero nome) nasce il 22 novembre 1916 “da una casa di fango” (come il suo Giobbe!) e sassi, a Coderno, frazione di Sedegliano in provincia di Udine, da Giambattista e Anna Di Lenarda, una coppia di friulani di vecchio stampo abituata a fare i conti con i sacrifici imposti  dalla povertà e da una terra scabra ed essenziale. Poi, nel 1929, l’incontro con i Servi di Maria e con i compagni dello studentato vicentino di S.Maria di Monte Berico, tra i quali alcuni di quelli che nel corso della sua vita resteranno i suoi amici più cari (uno su tutti, l’onnipresente Camillo De Piaz, compagno di tante battaglie). Con la vestizione, qualche anno dopo, esattamente il 27 luglio del 1934, muta il nome in quello di David Maria (David, come il salmista, pastore destinato a divenire re; Maria, come la Madre di Cristo e di tutti gli uomini). Già negli anni del seminario dimostra la propria originalissima vocazione di frate (“come per altri era vocazione di operaio, artigiano, insegnante, senza assurde graduatorie di merito”; perché, per Turoldo, vocazione è semplicemente l’uomo che sceglie chi essere). La consacrazione sacerdotale ha luogo il 18 agosto 1940 e, prima della fine dello stesso anno, viene inviato assieme a padre De Piaz  presso il convento di S.Maria dei Servi in San Carlo, nel pieno centro della turbinosa Milano di quegli anni, furioso vortice di una profonda contestazione sia civile che morale. L’idea portante, sul piano pastorale, è prima di tutto: abbattere tutti i muri della separazione, cominciando dalla liturgia. I due giovani Serviti portano avanti i primi tentativi di messa in italiano, con stile e misura, cominciando con i Salmi e con la ferma intenzione di passare presto al Vangelo. E’ Parola pronunciata quasi venti anni prima che il Concilio Vaticano II indetto da papa Giovanni XXIII si spinga, almeno in linea di proposito, in quella direzione; è, in primissimo luogo, il tentativo di cancellare la figura del sacerdote come unico attore protagonista della liturgia, per rendere protagonista il popolo (e quando si parla di popolo, si intende ogni uomo a prescindere dalla classe sociale: si pensi alla “sua” Messa della Carità che costringeva la Milano-bene a sedersi accanto a maleodoranti barboni) facendo in modo che l’assemblea tutta comprenda simboli e piccoli gesti delle funzioni religiose. Nel 1942, padre David è tra i primi Serviti iscritti alla giovane Università Cattolica. Il cardinal Schuster gli affida la predicazione nel Duomo dove padre David ha modo di colpire tutti con la sua voce tonante e con la sua parola sempre tagliente ed inaudita. Nel luglio del 1943, comincia con padre De Piaz ad organizzare la Resistenza col gruppo dei giovani di S.Carlo; nasce così L’Uomo, organo clandestino del Movimento spirituale per l’unità d’Italia con orientamenti spiccatamente cristiano-sociali, sorto con il preciso intento di opporsi all’avvilimento e alla distruzione dell’uomo (e pensare che non si sapeva ancora nulla dei campi di concentramento, dei forni crematori!…). Nel primissimo dopoguerra, una delle più devastanti esperienze di padre David: la missione nei lager (ormai si sapeva!), organizzata per ricondurre in patria i prigionieri superstiti, che alcuni infiltrati, purtroppo con il benestare di alti prelati (Mons. Bicchierai e alcuni Cavalieri del Santo Sepolcro), trasformano in un’occasione per fare soldi e per contrabbandare di tutto, riducendo l’esperienza ad un fallimento. Turoldo, con i suoi camion, tira oltre, cercando di salvare il salvabile: arriva a casa distrutto (qualche prigioniero morì lungo il viaggio) e con il cuore a pezzi. Denuncia tutto, ma tutto viene messo a tacere. La reazione è immediata: sempre a S.Carlo, Turoldo propone la Corsia dei Servi: una libreria dalle mille iniziative (tra le quali il Cinema-studio, un modo allora inedito di prendere coscienza con incontri simili agli odierni cineforum) e soprattutto un centro editoriale che mira alla rinascita democratica dopo gli anni bui del fascismo e che ospita autori di frontiera come Maritain, Suard, White e don Milani. Poi l’indimenticabile esperienza di Nomadelfia, città dello scandalo della fratellanza dove il Vangelo si poteva realmente toccare con mano (“Nomadelfia è il Vangelo, tutto il resto è cornice!”, tuonava il card. Schuster da Milano, ponendosi come baluardo prezioso e fidato per gli attacchi del potere romano preoccupato dalla portata innovativa di uomini come padre David e don Zeno che avvertivano ormai un diffuso bisogno di cambiare interno alla chiesa stessa e non esitavano a farsene promotori). Ma erano i giorni dei punti fermi del Sant’Uffizio, con la condanna del cosiddetto gruppo di comunisti cattolici contrario alla formazione, sul fronte cristiano, del partito unico; non mancava l’opposizione di alcuni membri del governo (Scelba su tutti) e nel 1952, con tutti i ragazzi dispersi, con don Zeno strappato ai suoi figli e ridotto allo stato laicale seppur con decreto pro gratia, e con padre David allontanato da Milano, in giro per il mondo, all’estero, con la proibizione di rimettere piede in Italia. Per due interminabili anni, è costretto a vagare (Innsbruck, Parigi, Ginevra, Monaco di Baviera e, spesso, a Chiasso per incontrarsi con gli amici alla frontiera) fino a quando, nel 1954 viene invitato a Firenze dal sindaco La Pira per fare la con-fusione evangelica in una città piena di fermenti. Padre David si stabilisce alla SS.Annunziata e, con coraggio, ripropone tutte le iniziative milanesi; incontra don Milani e si batte assieme a lui per la pubblicazione delle Esperienze pastorali. Nel 1957, il card. Montini gli affida gli universitari nell’ambito della Missione milanese sul tema del Padre Nostro. Sul finire del 1959, riprende il suo peregrinare: Florit stava facendo piazza pulita a Firenze (nel giro di 2 anni aveva allontanato tutti i religiosi legati a La Pira). Dopo esperienze nel Canada e in Sud Africa, rientra in Italia all’inizio del pontificato di Giovanni XXIII e si stabilisce per un breve periodo a Verona, interrotto ancora una volta dal timore di un vescovo contrario alle prediche scomode nella propria giurisdizione. Attorno al 1960, Turoldo torna nel suo Friuli e si stabilisce nel convento delle Grazie a Udine, dove realizza un suo vecchio progetto: il film Gli Ultimi, incentrato sul mondo contadino che stava per scomparire (protagonista, un sensibilissimo Adelfo Galli, uno dei tanti orfanelli di Nomadelfia). Il 3 giugno 1963 muore papa Giovanni XXIII e padre Turoldo matura la decisione di andare a vivere a Sotto il Monte, paese natale del pontefice appena scomparso. Ottiene da mons. Gaddi l’abbazia di S.Egidio a Fontanella e, nel 1964, inaugura la Casa di Emmaus e il connesso Centro di sudi ecumenici Giovanni XXIII. Ormai l’esilio è finito e dal 1967, la ricerca culturale di S.Egidio si arricchisce di due nuovi poli: la rivista Servitium e i libri, dapprima stampati in proprio, e poi passati alle ediz.CENS di Liscate, preparati da uno specialista di ecclesiologia conciliare, fra’ Francesco Geremia. La chiave dell’ecumenismo di padre David era l’incontro: del resto chi veniva a S.Egidio in quegli anni era, per lo più, spinto dal desiderio di farsi realmente protagonista, di fare del vangelo un fine ed uno strumento del vivere nella società. In chiesa, leggeva Pasolini, leggeva articoli che potessero provocare, ponendo, e ponendosi, sempre in discussione, invitando di continuo a riflettere e a non accettare passivamente ciò che accadeva intorno. In questi anni, si fa più intensa la sua collaborazione con vari quotidiani e riviste che, globalmente, delinea una precisa denuncia del tradimento prima dei valori della Resistenza, poi di quelli del Concilio. Addirittura si predica dai pulpiti di non frequentare S.Egidio, denunciato come posto di carbonari, e si chiede una nuova cacciata; il vescovo Gaddi, avendolo tenuto d’occhio personalmente ed essendo stato conquistato dalla sua energia e vitalità religiosa, riconosce quelle accuse politiche e lo difende esortandolo a continuare. Sul finire del 1989, Turoldo inizia ad accusare lancinanti dolori addominali e gli viene scoperto un cancro al pancreas in stato avanzato: la sua vita si trasforma in un peregrinare per camere d’ospedale. Questo grande profeta si spegne il 6 febbraio 1992 a Milano. Oggi, che non c’è più, tutti cercano di appropriarsene; noi preferiamo ricordarlo, a Fontanella, sotto una rustica croce confezionata per lui dal suo fratello ateo, a contatto stretto con la sua terra. Dietro di sé, di certo, le ultime parole di conforto rivolte a tutti i cercatori (“Oh, quanti cercate, siate sereni / Egli per noi non verrà mai meno / e lui stesso varcherà l’abisso”) e a tutti gli ultimi della terra (“Allora rinverdirà ogni carne umiliata / e gli andremo incontro con rami nuovi: / una selva sola, la terra, di mani”). La vita che Dio gli donò, ce la rende, oggi, nel canto e nella sua incredibile testimonianza di fede.

 

 

 

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