PRIGIONIERI

Il Kenya del Duca D'Aosta

 

Riportiamo integralmente la presentazione del libro di Felice Benuzzi, personaggio sopra le righe, di Enea Fiorentini e la pagina della Domenica che ne illustra le gesta. Casa editrice: Centro Documentazione Alpina di Torino Anno prima pubblicazione:    I° ediz. inglese 1946 - I° ediz. italiana 1948 2° edizione CDA: Collana Le Tracce - 2001 

  Felice Benuzzi nato a Vienna nel 1910 e cresciuto a Trieste, sin da giovanissimo si dedicò all’alpinismo nelle Alpi Giulie (con Emilio Comici), nelle Dolomiti e nelle Alpi Occidentali. Laureatosi in giurisprudenza a Roma nel 1934, entrò nel ministero dell’Africa. Destinato a Adis Abeba, fu fatto prigioniero dalle truppe inglesi nel 1941 e avviato ai campi di prigionia del Kenya, allora sotto il protettorato inglese. Nel 1943, quando era relegato nel campo di prigionia -354 - nei pressi del paesino di Nanyuki e dell’omonimo fiume, s'accorse di trovarsi di fronte al massiccio del Kenya (sul versante nord-ovest del massiccio) e incominciarono a nascere in lui idee di "fuga".

  Non verso il Mozambico portoghese, unico paese neutrale confinante ma lontano più di mille miglia, ma verso la montagna per compiere l’ascensione alla vetta più alta: la Punta Batian (m. 5195) per poi ritornare in prigionia, consapevole di rischiare, se non d’essere ucciso da qualche cecchino o dalle guardie della prigione, almeno 28 giorni di punizione "dura", relegato in un puzzolente loculo. Una pazzia! Ma anche un anelito di libertà e il desiderio di dimostrare d’essere ancora uomini che possiedono dignità e volontà. Nonostante le antipatie di molti prigionieri e la difficoltà di mantenere il segreto, Benuzzi trovò due compagni adeguati alla bisogna, e abbastanza pazzi come lui, e si dedicò alla preparazione delle attrezzature per l’arrampicata (ramponi, piccozze, asce), dell’abbigliamento ed equipaggiamento (giubbotti, ghette, tenda, ecc..) e delle razioni alimentari; il tutto di nascosto e con l’aiuto di pochi fidati compagni di prigionia. Otto mesi di febbrile preparazione, cercando informazioni utili sul loro monte dovunque, persino sull’involucro di scatole di fagioli e producendo schizzi del versante del M. Kenya visibile dal campo con innumerevoli sguardi alla montagna con un binocolo, nascosto in un angolo dell’ufficio del direttore del campo che offriva la miglior visuale. Sono stati 17 giorni di fuga con cibo per 10, raccontati con emozione e con passione da Benuzzi che non centra l’obiettivo "massimo" del Batian anche se ha affrontato una dura e rischiosa salita, compiuta con l’amico Giuàn, fino ad oltre i 4910 m. della Punta Dutton lungo la cresta nord-ovest. Benuzzi e il compagno conquistano però la loro "meta minore": la Punta Lenana (m. 4968) dove issano la bandiera italiana e lasciano un messaggio con i loro 3 nomi e le firme in una bottiglia. Bandiera e bottiglia trovate e raccolte da una spedizione inglese dopo appena una settimana di libero sventolìo della bandiera sulla cima.  Oggi questi reperti, consegnati dopo molte vicissitudini a Benuzzi, sono conservati al Museo della Montagna di Torino. Nel dopoguerra, nel 1948, entrò in Diplomazia ed ebbe incarichi in tutti i continenti, assumendo infine la carica d’ambasciatore a Montevideo in Uruguay. 
    DUCA D’AOSTA

Doppio sogno  all’equatore,  è il film realizzato da Carlo Alberto Pinelli per Raitre-Geo&Geo, che ricostruisce la fuga dal campo di internamento inglese e la salita al Kenya compiuta nel 1943 dal triestino Felice Benuzzi

  Fra i personaggi più noti detenuti in Kenya non possiamo dimenticare Amedeo d’Aosta che abbiamo visto il 17 maggio 1941 alla resa sull’Amba Alagi con quattromila uomini. Per l’eroico comportamento, al Duca e ai suoi uomini il nemico riserva l'onore delle armi. " Ecco perché non ho voluto assistere di persona alle trattative di resa. Gli inglesi son fatti così. Sono quelli che se fuori diluvia, dicono - mi pare che fuori piova -. Io che li conosco non mi meraviglio più". Così dirà degli inglesi quando fecero degli accordi carta straccia. Subito dopo la cerimonia dell'onore delle armi  che resta fermata da decine di scatti fotografici, i soldati italiani sono lasciati in balia della rabbia delle truppe di colore che li spogliano d'ogni indumento, portandosi via preferibilmente orologi. 

 

  Il numero dei detenuti nell'africa Orientale  e equatoriale non superò mai le 50.000 unità per problemi logistici e strutturali. La maggior parte era stata presa nel 1941, alla fine dell'offensiva O Connor in Libia  e alla caduta delle colonie dell'AOI. Agli ufficiali viene tolta la pistola e allo Stato Maggiore non viene concesso di seguire il Duca come stabilito. Allo stesso Duca non viene riservato nessun trattamento di riguardo. Dopo la cerimonia dell'ammaina bandiera viene condotto ad Addì Ugri, a circa trecento chilometri. Il 5 giugno dal campo avio di Gùra il Viceré accompagnato dal suo sèguito, cinque persone in tutto, viene trasportato a Kartoùm. Il 6 giugno il trasferimento prosegue con uno Junker 52 della S.A.A.F. per Jùba, sul Nilo Bianco, al confine tra Uganda e Congo Belga: mille chilometri di percorso. Dopo un ora di volo il comandante dell'aereo decide di affidargli il volantino che il Duca ringraziando, accetta di buon grado: l'ultima volta che avrebbe pilotato. A quindici minuti da Nairòbi, l'equipaggio inglese riprende il comando dell'aereo ed Amedeo ritorna ad essere passeggero. Ad attenderlo il colonnello Rodd, figlio dell'ambasciatore britannico a Roma e suo compagno di giochi. Viene registrato col numero di matricola n. 11590: fuori dell’aeroporto tre macchine attendono il prigioniero per Dònyo Sàbouk a 70 chilometri dalla capitale e a 3 chilometri dal Campo P.O.W. 357 . La località, situata a mille metri d’altezza, è una zona insalubre e malarica. Le condizioni della prigionia sono rigide. Il Comando Inglese non gli consente di ricevere nessuno, né di visitare i prigionieri italiani, né di spingersi oltre i 400 metri dall'ingresso dello chalet.

(in qualche occasione al Duca venne concesso di andare a Nairobi e in una occasione avrebbe incontrato la zia, Olga di Kent, parente del re d’Inghilterra Giorgio V, e il marito di costei, Paolo Karageorgevic, l’ex reggente di Jugoslavia. Per quanto riguarda il suo S.M il generale Trezzani, raggiunge gli USA ancora neutrali (ma forse ci andrà dopo). Varie fonti infatti danno Trezzani prigioniero negli Usa a Monticelli cosa che non era formalmente possibile per la neutralità (almeno fino dicembre '41) poi non lo avevano catturato loro. E' evidente a questo punto che fosse un "uomo" degli americani e lo si capisce dal passo successivo Il sito ufficiale della difesa salta completamente questo periodo.

  Trezzani, dopo la «liberazione», sarà il primo capo di stato maggiore generale. Come collega, in qualità di capo di SM della marina, avrà l’ammiraglio Maugeri, ex capo del SIS, poi classificato come spia degli Usa).  Durante la prigionia, il Duca fa attività fisica e coltiva un piccolo lembo di terra. Ogni domenica, dal vicino campo 357, un cappellano si reca a Dònyo Sàbouk per celebrare la Messa. Verso la fine di novembre del '41 incomincia ad accusare un generico senso di malessere e stanchezza con febbre. Il 26 gennaio 1942 viene nuovamente colpito dalla febbre: questa volta si tratta di malaria e occorre il ricovero in ospedale. Le condizioni di Amedeo peggiorano: viene diagnosticata la tubercolosi miliare, una forma incurabile. La sera del 2 marzo padre Boratto gli somministra l'estrema unzione. Alle 3,45 del 3 marzo 1942 si spegne. 
Da
http://www.asso4stormo.it/arc3/arc35/353.htm 
     

* . C'è chi ha voluto vedere in questo scherno, di cui gli italiani sarebbero stati solo il mezzo, il canto del cigno dell'impero britannico. Mentre facevano scudisciare gli italiani, ai sudditi neri di sua maestà venivano in mente le prossime che avrebbero preso gli Inglesi e questo era il fine. In Kenya i Mau Mau massacreranno migliaia di padroni inglesi. In Egitto Nasser li caccerà dal canale e verranno ai ferri corti nel 1956. In India  tutti sanno come andò a finire dopo i massacri contro i seguaci di Ghandi. L'unico che sopravvisse fu il Sud Africa che storicamente, da emigrati olandesi,  aveva già preso le distanze dall'impero. Sconteranno poi in un tempo più lungo il problema dei diritti civili ai neri, di cui Londra divenne, a conti chiusi, la paladina. C'è un detto famoso che dice "Più cattivo di un tedesco c'è solo un Inglese". Non miglior sorte toccherà ai Francesi, sia in Algeria che in Tunisia, dove la presenza Italiana era ed è da sempre qualificata. 

  Beretta "Prigionieri di Churchill" edizioni Europa 1953".. appena disarmati i soldati italiani venivano affidati ad un sottufficiale britannico, il quale si serviva dei suoi uomini di colore (negussini) per la perquisizione e la disciplina. Come primo provvedimento i prigionieri venivano denudati, senza distinzione di età o grado e alleggeriti di ciò che possedevano: indumenti, ricordi personali... Tutto veniva tolto a titolo di Souvenir.. Il prigioniero veniva lasciato senza scarpe, in mutande...(ora veniva il bello) Belli Da rivista Associazione Nazionale Reduci Prigionia. Fin dall'inizio si vide subito che piega prendeva la perquisizione. coperte, lenzuola, lamette da barba, sapone, carta per scrivere, penne, lapis,  ....tutto quanto poteva far comodo ai vincitori era silenziosamente confiscato. Chi osava protestare si sentiva esplodere sotto il naso il grido "Come On ..." ed era la più formidabile delle pedate nel culo. Gli inglesi presero l'abitudine, per dimostrare alle proprie colonie che erano i più forti del mondo, India compresa, di far passare in mezzo a due ali di folla "quegli straccioni di italiani"- come non ricordare il Cairo dove la popolazione coprì di sputi i prigionieri - scrive ancora Beretta - A Mombasa (Kenya) ad attendere c'era una colonna di autocarri, ma l'ufficiale ordino che i Pow raggiungessero il campo a piedi con il bagaglio in spalla e così sfilammo per le strade. Un sottufficiale a scudisciate faceva avanzare i più lenti, tra le risa e gli applausi degli scaricatori di porto, che si divertivano a  vedere un bianco preso a staffilate. Il colonnello Toscano con le sue (di staffilate) fece ridere tutti !!!.*

GRANATIERI D SAVOIA DELL'AFRICA ORIENTALE

  http://www.difesa.it/NR/exeres/618FCBC0-6699-4D52-961D-1FA107A582FD.htm?solotesto=true

stato maggiore difesa

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PRINCIPE, RITORNEREMO CON RINNOVATO FURORE

…. nel cuore di ogni italiano egli parve la pura espressione della razza, così come oggi egli resta in noi, che non lo piangiamo morto ma lo glorifichiamo nella storia, per sempre il Ferreo Duca. La canzone del Principe Eugenio, nata nelle compagnie di un guerriero italiano, spazia ora sull'Amba Etiopica e sulla pianura ove ha chiuso gli occhi questo altro guerriero italiano, che di fronte agli altri capi militari ha il vanto d'aver saputo mantenere un carattere profondamente umano a una guerra tanto vasta e multiforme, così scientifica  e specializzata. Non avevate carri armati, Principe, né grossi calibri, né aviazione, ma i Vostri uomini, e il senso della bandiera, e per questa Vi siete battuto fino al limite ultimo, oltre il quale sola è la morte che Voi avete cercato sull'Amba, e che Vi ha rapito lontano dai Vostri morti, per questo più sublime, perché coronata di cipresso e di quercia. Voi, Principe, siete il primo vincitore di questa guerra per il modo col quale difendeste l'Impero, a denti stretti ma senza disperazione, difesa calma sicura preordinata feroce e non ci sono espressioni per Voi che resistano alla realtà dei fatti che avete creato ora per ora sul suolo africano credendo solo nelle supreme virtù della Patria, scegliendo per ultimo rifugio l'Amba di Toselli, come l’aquila difende il suo nido di rostro e di artigli quando il volo gli manca per l’affanno e le ferite. Quando torneremo, Principe, perché torneremo su quelle terre bagnate di sacro sangue nostro, sarà con un furore che nessuno potrà arrestare, e ognuno vorrà con le sue dure mani di operaio e di contadino scavare nella roccia dell'Alagi la sepoltura ove vorrà che per sempre riposi la spoglia del caro Principe italico. Solo quel giorno le ossa dei difensori di Keren, dell' Amba sacra e di Gondar saranno placate, allora che riposeranno all'ombra del tricolore, vicino a Voi anche placato nella terra che, mai fu potuta conquistare dal barbaro britannico. Non Vi piangiamo, Principe, ché a Voi non si addice né pianto né disperazione. Più alta abbiamo la fronte, più duro lo sguardo, più deciso il cuore perché Voi ci avete indicato una via, e quella vorremo seguire con una ferocia che solo può fare il più grande dolore e il più fiero rimpianto. Ognuno di noi sarà al suo posto, di soldato o di comandante, senza distinzione, con una sola tremenda volontà, quando l’Italia vittoriosa ci chiamerà nel grido del Principe morto, per la riconquista di quelle terre che Videro il suo sacrificio; quello dei suoi soldati, e della terra che raccolse il suo ultimo sorriso e il suo ultimo sguardo, certo implorante la più grande vendetta. ALBERTO MONDADORI