PRIGIONIERI

U.S.A LE DUE FACCE DELLA PRIGIONIA

Dicevano i prigionieri: noi ci siamo arresi agli inglesi, qualcuno ai francesi, ma non abbiamo perso la guerra contro gli americani

(il testo sottostante, chiaramente sgrammaticato, non è frutto della mia fantasia, ma è stato tratto dalla rivista A.N.R.P. associazione nazionale reduci prigionia. Non dubitiamo della sua veridicità, ma dubitiamo a questo punto del suo valore letterario e legale)

  Dopo il 13 maggio 43, dai grandi campi di prigionia improvvisati del Nord Africa, gli italiani cominciarono a defluire* chi verso Alessandria d’Egitto, (poi verso i possedimenti inglesi, colonie) chi verso l’Algeria dove vennero impiegati prima dai francesi nel lavoro stagionale estivo per essere poi, la maggior parte, reinstradati verso gli Usa. 
“Era verso la fine del '43 (inizi '44), che gli americani ci dissero -”Fascisti kaput” anche se continuano a combattere coi tedeschi è solo questione di tempo, vinceremo- Vuoi diventare, secondo gli atti del governo antifascista italiano, soldato americano ? Firma qui”. -Lenci Tullio http://home.earthlink.net/~wlenci/index.html After signing on we were given American uniforms and paid like U.S. soldiers. We went before a joint review of U.S. and Italian officers. We were part of the American army. After the Units were formed, they sent us to Camp Knight, in Oakland, California. This was February of '44. Our function was to free-up U.S. troops. We worked a regular schedule, and were slated for passes just like GIs
     
TESTO DELLA SCHEDA DI COLLABORAZIONE


“A causa dell’armistizio firmato dalle Nazioni Unite ed il governo dell’Italia, ed anche a causa dello stato di guerra che esiste adesso fra l’Italia e la Germania, ricerco io come volontario, impiego in una delle Unità Italiane di Servizio. Se mi sia accordata questa ricerca d’impiego: lo PROMETTO che lavorare in favore degli Stati Uniti d’America a non importa quale luogo, in qualsisia lavoro militare assegnatomi e che aiuterò gli Stati Uniti come meglio potrò nel proseguimento della loro lite contro il nemico comune, la Germania. Lo PROMETTO di non abusare la fede e la fiducia accordatemi via trasgredimento di qualunque delle condizioni che regolano i privilegi speziali datimi, risultanti dalla mia promessa. Lo PROMETTO d’ubbidire tutti gli ordini o regolamenti promulgati dalle autorità militari americane e capisco che, si io non faccia così, si ritiraranno i miei privilegi e sarò soggetto all’azione disciplinare seconda gli articoli di Guerra degli Stati Uniti d’America, predetti articoli gia lettimi. 

Sottoscritto . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Grado . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Numero di serie del prigioniero di guerra . . . . . . .

  Fino a quel momento (8/9) la convezione di Ginevra aveva tutelato gli italiani presi in Nord Africa. La potenza vincitrice non poteva interferire, con le opinioni politiche dei detenuti, men che me meno fare pressioni. La disciplina all’interno del campo era assegnata ai detenuti e rispettava la catena di comando dei reparti di provenienza. In pratica vigeva ancora il codice militare di guerra. I campi distribuiti su tutto il territorio degli Stati Uniti, ma preferibilmente nelle pianure agricole del centro, e sulle montagne per il legname da costruzione, si popolarono di oltre 50.000 soldati. Il totale dei prigionieri normalmente indicati dalle statistiche è di quasi 120.000, ma comprende quei 65.000 fatti prigionieri in Sicilia e non trasferiti. Anzi se erano siciliani vennero rilasciati sulla parola, o reinseriti nelle truppe ausiliarie del Regio Esercito. Per molti la destinazione restava comunque una divisa americana, nei lavori di retrovia, sbarco e movimentazione materiali. Gli italiani che firmavano negli Usa entravano a far parte delle Italian Service Units (I.S.U.). Per "arruolare"Squadre I.S.U al lavoro nei trasporti e movimentazione materiali più gente possibile negli Usa ci si spingeva a promettere un rapido rimpatrio, maggiori vantaggi materiali e eventualmente permessi di immigrazione. Inquadrati militarmente, sottoposti alla legge militare, i cooperatori vestivano la divisa dei GI, salvo un riconoscimento sul braccio (un ovale verde al braccio sinistro come dalle immagini a  sinistra, con la scritta ITALY, in caratteri bianchi. La paga per gli ufficiali ammontava a 40/50 dollari al mese), ma non sarebbero mai stati inviati al fronte, anche se fra gli internati i dubbi e le incertezze non mancavano. Chi si era professato fascista e non firmava, o non firmava per fatti suoi veniva inviato al “Campo Dux” di Hereford in Texas o in altri «campi neri». Chi non poteva stare nell’uno o nell’altro schieramento per motivi fisici, finiva in speciali campi-deposito. Le I.S.U giunsero ad impegnare, soprattutto in agricoltura e nei servizi, oltre 35mila dei 50 mila prigionieri italiani presenti negli Usa. Per tutti questi la vita continuò “tranquilla” divisa sempre fra il lavoro in laboratorio e il campo aperto. I militari italiani godevano di una serie di iniziative, sportive, culturali e d’evasione che aiutavano a passare il tempo lontano dai pensieri delle famiglie rimaste a casa. Gli americani non volendo gravare sul lavoro, non obbligatorio per un prigioniero e a maggior ragione ora per un dipendente, disposero oltre ai pocket money una cifra che regolarono al Governo italiano nel dopoguerra e che molti non videro (forse si era persa al ministero). Descrizione di un campo standard nell’Indiana, Usa, nel 43. 
     

Fu nei primi mesi del 44 che in tutti i campi cominciarono a circolare le schede di collaborazione o impegno non corroborate dal beneplacito del governo monarchico del Sud e ancora non rese note ufficialmente. Degli oltre 50.000 prigionieri di Guerra italiani ristretti nei campi americani accettarono la collaborazione firmando la scheda loro presentata in 35.780 dei quali 33.000 soldati e 2.780 ufficiali, oltre il 75% del totale dei Pow Italiani.

  Hereford prima della fine del 43 era un campo “normale”. Prima del declassamento, fra gli internati di questo o quel colore ci furono accese discussioni, con un tribunale fascista interno che arrivò a comminare fantomatiche condanne ai lavori forzati. Tutti quelli di differenti opinioni politiche si erano separati di baracca; giovani e vecchi incominciarono a costruire decine di manganelli irti di chiodi o avvolti di filo spinato, per «regolare i conti» non appena se ne fosse presentata l’occasione. I comandi americani dei campi, messi al corrente della situazione, risposero più volte di non poter prendere alcun provvedimento, trincerandosi dietro gli articoli della famosa Convenzione di Ginevra del 29. Secondo tale convenzione i prigionieri di guerra devono infatti essere lasciati liberi di mantenere, nel campo d’internamento, le proprie opinioni politiche e le proprie leggi. Fra i restii,  gente che poi, nell'Italia repubblicana, sarebbe diventata famosa. Giuseppe Berto, lo scrittore del “Male oscuro”* , lui camicia nera era stato un non-cooperatore, lo scrittore Dante Troisi, Alberto Burri pittore, che dipinse lì i suoi primi quadri e altri come.   
     

Cartolina Pow che passa la censura

 

CONCESSE DALLA SIGNORA Kathy Kirkpatrick

  * Giuseppe Berto “Guerra in camicia nera” Garzanti 1955

LA CATTURA
Enfidaville 13 maggio 1943: Stamane il comandante ci ha mandato i distintivi M (battaglioni M l’elite delle Camicie Nere) e l’ordine di metterci la camicia nera. Bisogna presentarsi al nemico con proprietà e fierezza. E’ arrivato anche l’ordine di distruggere le armi, il carteggio e tutto ciò che possa essere di giovamento al nemico. … Cerco di immaginarmi come avverrà la resa. Ecco intanto sono giunto allo sbocco del canalone e alzo gli occhi: mi trovo davanti un gruppo di negri senegalesi, mi lasciano la rivoltella e mi sfilano l’orologio. Prima di sera ci troviamo rinchiusi: non ci danno da mangiare ma hanno promesso che ci daranno da bere. 
Senza data: C’era una strada che dalla riva del mare portava all’asfaltata. Era una strada piena di buche e di sabbia, che aveva ai lati siepi di fichidindia e poi orti con olivi e qualche casa araba. Sulla strada andavano gli autocarri, carichi di prigionieri che venivano trasferiti ……Sopra gli autocarri c’eravamo noi prigionieri, pressati gli uni agli altri, e guardavamo il mondo attraverso la polvere. Il mondo entrava in noi e faceva un po’ bene, e anche un po’ male, ora che non potevamo possederlo, se non per quel tanto che entrava attraverso gli occhi….eravamo ansiosi di andare avanti. Un prigioniero nuovo è sempre ansioso di andare avanti, se non altro, per vedere cosa succederà dopo. Avevamo fretta di arrivare all’asfaltata per capire dove ci avrebbero portati. ..si poteva girare a destra o a sinistra. A
destra c’erano Tunisi e Algeri e Casablanca e poi l’oceano e il Canada, forse gli Stati Uniti. A sinistra poteva portare all’altra parte della terra…..India o Australia. Voltarono a sinistra e cominciarono a correre veloci sulla strada senza più buche nè sabbia. ... un crocevia .... le prime case della città, gente venne sulla strada, non arabi, cominciarono a raccogliersi e a dirci qualche cosa nella loro lingua e a fare verso di noi gesti per insultarci. C’era una ragazza, un po’ più avanti sulla strada, in disparte che non faceva ne diceva niente. L’autocarro d testa non rimase fermo a lungo. Passato qualche minuto, l’autista ingranò la marcia e partì. Allora la ragazza vestita di celeste salì sul gradino della fontana, s’irrigidì sull’attenti e alzò il braccio nel saluto romano…..la sera ci misero dentro certi baraccamenti e là dopo aver mangiato ci sdraiammo sul pavimento di cemento. Molti in attesa del sonno, parlarono della ragazza. Ne parlarono con quel senso di vergogna che lei ci aveva fatto provare, per aver perduto dopo che le avevamo insegnato ad aver fede in quel gesto che lei continuava a fare anche dopo che noi avevamo perduto. Poi col tempo dimenticammo il senso di vergogna. Dovemmo fare un lungo cammino, prima di poter tornare a casa. E mentre il tempo passava, noi perdemmo la vergogna di aver perduto. Ci parve anzi di aver fatto abbastanza per non perdere. E nei confronti della ragazza vestita di celeste ci sentimmo meno responsabili di tanti altri. Il suo gesto rimase nella nostra memoria, ma spoglio di qualsiasi carattere di lotta e di resistenza, come un atto di bontà pura. E così lo ricordiamo con riconoscenza, perché poi non ci accadde di trovare molti altri atti di bontà nel nostro lungo cammino. 

     

http://www.uboat.net/men/pow/pow_in_america_stats.htm  campi prigionia usa

 

http://www.studistorici.com/wp-content/uploads/2010/04/DEPROSPO_Dossier_2.pdf I prigionieri di guerra italiani negli Stati Uniti e il dilemma della cooperazione

     

 Le immagini che seguono sono state concesse dalla signora Kirkpatrick e mantengono copyright. Kathy Kirkpatrick:Professional Researchers Tracing your Genealogy - Italian Prisoners of War in Utah Photos >>>>> DAI SITI  http://www.gentracer.org/IPowRosterA.html

 

…. Nei dati in possesso del Ministero italiano per l'Assistenza Postbellica si riferisce di 4.727 non cooperatori dichiarati. Altri diecimila prigionieri, pur non firmando il modulo di adesione alle Italian Seruice Units, prestarono la propria manodopera in vari lavori, senza opporre quindi un no ideologico alla collaborazione con gli americani. La stanchezza per la guerra era probabilmente il sentimento più diffuso tra i prigionieri secondo il generale Claudio Trezzani, il quale ha riportato che solo una cifra quantificabile tra il 15 e i1 25% dei prigionieri di guerra italiani negli Stati Uniti avrebbe operato una scelta netta tra due opposte opzioni: antifascismo e collaborazione con gli alleati da una parte e una scelta filotedesca o anticollaborazionista dall'altra (tra coloro i quali optarono per questa non tutti sarebbero stati fascisti). I restanti, che costituivano la maggioranza dei prigionieri, riporta Trezzani, avevano un solo preciso obiettivo da perseguire: non combattere più (ndr: la firma faceva temere a molti di essere mandati a combattere di nuovo su un fronte europeo per una guerra che non era più la loro ma un interesse "multinazionale" economico di supremazia, la sostituzione degli americani agli inglesi nella influenza mondiale del commercio)  Fu semmai il tema della fedeltà al Re ad assumere rilevanza e, paradossalmente, fu un fattore che unificò in molti casi le scelte dei prigionieri, anche se era adottato per motivare scelte opposte. Si trattò di una caratteristica comune a tutti i militari italiani dopo 1'8/9, in particolare tra gli ufficiali.

Da Diacronie Dossier Mario de Prospo I Prigionieri di Guerra negli Stati Uniti e il dilemma della cooperazione (1944/1946)

     

 Banchetto degli I.S.U. CONCESSE DALLA SIGNORA Kathy Kirkpatrick

Kathy Kirkpatrick:Professional Researchers Tracing your Genealogy Italian Prisoners of War in Utah Photos

  MA COSA ERA SUCCESSO QUALCHE ANNO PRIMA NEGLI U.S.A

Franklin Delano Roosevelt, il presidente, chiese all'FBI, già dal 40, di preparare un elenco di ''elementi pericolosi per il paese in caso di guerra''. Arresti e internamenti cominciarono però solo dopo Pearl Harbour, prima sarebbero stati equivoci e equivalenti a dichiarazione di guerra. Nel Montana, che già dal nome identifica uno stato di Monti, finirono i marinai della marina mercantile italiana in quei giorno alla fonda nei porti Usa. Gli equipaggi sbarcati dalle varie unità requisite, vennero provvisoriamente rinchiusi nelle stazioni di immigrazione di New York, Philadelphia e Portland, oppure rinchiusi nelle carceri locali. In seguito, la maggior parte venne internata nel campo di Fort Missoula (Montana) o a Petersburg (Virginia). I colpevoli di sabotaggio (300) per aver guastato gli apparati motore o gli strumenti di navigazione, vennero processati dalla Corte Federale. La pena andava da uno a tre anni. Il costante interessamento della delegazione pontificia a Washington, nella persona di monsignor Egidio Vagnozzi, fece sì che anche gli italiani condannati potessero poi raggiungere Missoula nel Montana. Altri 600.000 italiani o americani di origine italiana furono costretti a fornire le impronte digitali, a sottostare al coprifuoco dalle 8 di sera alle 6 del mattino, a vedersi confiscati radio, binocoli, armi da caccia. 

Panificatori CONCESSE DALLA SIGNORA Kathy Kirkpatrick

  Tutto cambiò l’8 settembre 1943, in particolare dopo la nostra dichiarazione di Guerra alla Germania dell’ottobre. Lo status di alleato aveva cancellato quello di nemico, come in Germania quello di nemico aveva cancellato quello di alleato ?. Le pressioni, i ricatti per i prigionieri si fecero pesanti, e alla fine si aprivano le porte del campo speciale di Hereford in Texas a mille metri d’altezza per i non cooperanti. "Military Reservation and Reception Center" era il nome ufficiale. Qui non potevi ricevere posta, ma inviarla si (cartoline prestampate). Le punizioni erano frequenti e severe, i pestaggi anche.

Hereford "Fascist Kriminal Camp”

 

Soldati italiani in divisa statunitense CONCESSE DALLA SIGNORA Kathy Kirkpatrick

  Hereford, per quelli che ci hanno vissuto, resta un ricordo indelebile. E’ un nome preciso per 5.000 italiani che, dopo l'8 settembre 1943 ci furono internati. 5.000 che hanno vissuto come in un lager vessati, se non dalla propaganda, dal sadismo delle guardie. "Fascist Kriminal Camp” non era il solo negli States, a livelli più bassi altri campi avevano la stessa struttura. Altro è rispettare la convenzione e altro invocarla a fine conflitto. Di questi campi nessuno parla, ignorati sia dai media che dai libri di storia, sembra che nessuno voglia farsi mancare lo scheletrino nell’armadio. Chi non firmava non sempre era fascista, poteva avere le sue, sbagliate o esatte che fossero, motivazioni nei riguardi della Corona, del Duce, dell’orgoglio e dell’onore (Patria): c'erano anche comunisti. A molti, diciamo anche a tutti, non poteva essere imputato alcunché (nessuno fu sottoposto a processo per crimini di guerra ma quando ridussero il cibo la giustificazione fu che le immagini dei campi di sterminio tedeschi !!! avevano impressionato l'opinione pubblica americana). A molti verrebbe da dire, fatti i paragoni odierni (Guantanamo), che la musica poi non cambia mai !?.

l'altra campana http://aurhelio.blogspot.com/2009_01_01_archive.html

     

QUANDO SI ARRIVA ALL'ESTREMO

Filippo Giannini - P.o.W. da il Corriere d'Italia (Fondato, Edito e Diretto in Santo Domingo da Giovanni GARIBALDI - 1997 )

Nervesa (Treviso) lì, 29 luglio 1947 –
all'On. Console d'Italia, Washington –
e p.c. al Comando Militare americano di Washington

.

Caso increscioso, ancorché vero, che cadeva sotto la sfera della criminalità comune. Come spesso succede in frangenti simili, che nulla hanno a che vedere coi trattati di pace (e nemmeno sul fatto che uno sia prigioniero), si sorvola o si insabbia preferendo non esacerbare gli animi dei propri militari, di cui peraltro non si è potuto, visto i tempi, compiere che un sommario addestramento e una ancor più sommaria selezione. E' successo e sempre succederà. La regola d'altronde è che chi vince ha sempre ragione. I casi così rimarranno comunque isolati e non si vede perché vincitore o vinto non abbiano concesso un indennizzo.

  Io sottoscritta, Solvera Maria in Olivotto, in data 16/11/1945, ho ricevuto comunicazione n. 404107/M dal Ministero della Guerra italiano del decesso avvenuto in America "in seguito ad un attentato criminoso" di mio figlio Olivotto Guglielmo di Antonio e di Solvera Maria, classe 1911, soldato. Voglio precisare che da testimonianze oculari, offertemi dal Serg. Todde Augusto, Sold. Focesi Guido, sold. Del Gobbo Guido, Sold. Venato Attilio, tutti da Udine e provincia e tutti facenti parte della 28^ Compagnia di Italian Service Unit - Fort Lawton in Seattle (Washington) USA, testè rientrati dalla prigionia, mi risulta che: la notte del 14/8/1944 una compagnia di negri ubriachi e inferociti, senza alcuna provocazione, assaltavano il campo dell'ISU in Fort Lawton, colpendo e ferendo diversi soldati dell'Italian Service Unit.
Il soldato Olivotto Guglielmo della 28^ Compagnia per sfuggire all'attentato criminoso si gettava a terra dalla finestra della baracca, cadendo in mano ai negri che lo presero e lo malmenarono. La Military Police del Forte non fece in tempo ad intervenire per evitare l'incidente e il soldato Olivotto Guglielmo veniva rinvenuto impiccato ad un albero nelle vicinanze delle baracche.
Prego caldamente la S.V. di voler inoltrare al competente Comando Americano l'unita copia per conoscenza e di interessarsi personalmente presso il Governo degli Stati Uniti affinché sia liquidato l'indennizzo spettante ai genitori per la morte del figlio avvenuta per mano di assassini criminali, mentre faceva parte di una organizzazione che collaborava attivamente per la causa alleata. Certa del Suo interessamento invio cordiali ossequi e ringraziamenti.
Rispettosamente Soldera Maria in Olivotto

risposta

Ministero degli Affari Esteri - Roma e p.c. Croce Rossa Italiana, Ufficio Prigionieri di guerra, Roma

Washington 13 settembre 1947,
Si trasmette in allegato copia dell'istanza avanzata dalla signora Soldera Maria in Olivotto, residente in Nervesa della Battaglia, provincia di Treviso, con la quale si richiede l'interessamento di questa Ambasciata affinché venga liquidato, da parte del Governo americano, un indennizzo per il decesso avvenuto in prigionia del figlio Olivotto Guglielmo di Antonio, classe 1911, prigioniero di guerra negli Stati Uniti.
Questa Ambasciata non ha creduto opportuno inoltrare la domanda alle competenti Autorità americane, giacchè in altri casi analoghi il Dipartimento di Stato ha risposto negativamente comunicando che il Governo degli Stati Uniti non si riconosce obbligato ad alcun compenso, giusti i termini della Convenzione di Ginevra e richiama l'attenzione del Governo italiano sul paragrafo 5 dell'Art. 76 del Trattato di Pace che si riferisce alla rinunzia dei reclami risultanti dalle Convenzioni sui prigionieri di guerra attualmente in vigore. Si sarà pertanto grati alla Croce Rossa Italiana se vorrà cortesemente comunicare quanto sopra alla signora Maria Soldera.

.

   

CONCESSE DALLA SIGNORA Kathy Kirkpatrick

  Chi su questo ha scritto qualcosa nel dopoguerra prese una strada ben precisa, concorrendo a fare della memoria, una memoria di parte. Prigionieri nel Texas di Tumiati (Mursia), Fascist Kriminal Camp di Pegolotti (Mondadori), Fascist Camps di Baghino (C. E. N.), e Fascist's Criminal Camp di Roberto Mieville, uno dei fondatori del Msi. Chi scrive così cova è ha covato un rancore personale, sopito da tempo, per un trattamento e per le parole che non avrebbe voluto sentire e per le scene che non avrebbe voluto vedere, specialmente parlando di quella che allora a buon titolo si considerava una democrazia, almeno la maggiore. La memorialistica dei reduci di Hereford era assai eterogenea e prese vita un'intensa attività ricreativa e culturale. Fra gli ospiti vi erano il filologo Augusto Marinoni, il matematico Mario Baldessarri, il musicista Mario Medici, il giornalista Gaetano Tumiati, gli scrittori Dante Troisi e Giuseppe Berto, i pittori Dino Gambetti, Edvardo Fioravanti e Alberto Burri e anche futuri protagonisti della vita politica del paese come il dirigente comunista Giovanni Dello Jacovo, il futuro deputato missino Roberto Mieville e Gianni Roberti, che avrebbe ricoperto la carica di segretario del sindacato Cisnalez. Testimonianza dell'intensa attività culturale sono i trentotto "giornali di prigionia" che furono realizzati nel campo texano. L'attività giornalistica spinse diversi prigionieri verso la scrittura di narrativa. È ciò che accadde a Giuseppe Berto che, scosso dalla notizia del bombardamento di Treviso (lui era originario della vicina Mogliano Veneto) e stimolato dalla scoperta dei romanzi di John Steinbeck, trasse ispirazione per scrivere un romanzo che chiamò inizialmente "La perduta gente". Dopo la prigionia Berto riuscì a recuperare il manoscritto, che in Italia sarebbe diventato “Il cielo è rosso”. (finalista Premio Strega 1947).
     

Mi raccontò un bersagliere (ndr.), che amava intagliare il legno, e che col fascismo non c’entrava, come la maggioranza silenziosa degli italiani (e che non firmo l'adesione), “feci una settimana ai ferri (galera, cella di rigore) per aver preso un pezzo di legno dalla falegnameria, uno di quei pezzi che poi si buttano o bruciano” poi “..ci davano un pocket money, per i lavori che facevamo, da spendere allo spaccio in generi di conforto. Io li spesi per comprare una catenina d’oro che mi fu sequestrata alla prima ispezione”. 

  Perché se la presero così tanto coi non collaborativi ? IN QUEST'ULTIMO CASO "UN COLLABORATIVO" dalla relazione sanitaria del maggiore medico Luigi Cabitto, del 17 agosto 1945, a guerra finita !!. 
  Nella mia qualità di sanitario di questo Compound è mio dovere riferire alla S. V. la scarsa alimentazione dei prigionieri e sui pericoli che ne possono derivare, affinché nella sua qualità di Fiduciario la S.V. rivolga adeguato reclamo alle Autorità. In linea generale, tutti indistintamente i prigionieri del Compound 4 sono diminuiti notevolmente di peso, diminuzione che varia da 15 a 5 chili per persona. La scarsità e quasi assenza totale dei grassi (un grammo di olio ed una decina di grammi al giorno di strutto per persona) rende difficoltosa la funzione intestinale. Né è possibile tentare con opportuni medicamenti di migliorare le situazioni organiche, poiché all'infermeria del Compound non vengono assegnate medicine adatte. II Comandante del Campo avrebbe dichiarato che, secondo gli ordini ricevuti da Washington, dovrebbero venire assegnati ai prigionieri non lavoratori viveri di almeno 2.500 caIorie quotidiane. (In Italia era da molto che non si avevano quelle calorie NDR ). Ora, questa cifra di 2.500 calorie è stata in due mesi e mezzo solo rare volte raggiunta, mentre spesso si scese anche a 1.500 - 1.600 calorie. Per maggiore precisione, allego una tabella dei viveri assegnati nella prima quindicina di agosto 1945, la cui media è di calorie 2.107,2 giornaliere. E' pertanto mio preciso dovere insistere presso la S.V. perché nella Sua qualità di "fiduciario", faccia conoscere la situazione di questi italiani alla Croce Rossa Internazionale, al Nunzio Apostolico. ….
     

CONCESSE DALLA SIGNORA Kathy Kirkpatrick

  Tumiati...«Dagli ultimi di maggio del '45, gli americani hanno cominciato gradualmente a diminuire le razioni. Prima hanno chiuso lo spaccio, poi hanno abolito il burro, ogni tipo di carne, fresca, congelata o in scatola. Un'altra nuovissima forma di pressione sono le adunate senza scopo. (...) Hanno cominciato in giugno e hanno proseguito per tutta l'estate, di tanto in tanto, senza preavviso e senza senso. Ci radunano tutti là di primo mattino, chiudono il cancello di filo spinato, ci lasciano due sentinelle di guardia e se ne vanno senza dir niente. Di solito ci lasciano quattro o cinque ore, dalle dieci alle tre dei pomeriggio, sotto un sole «africano» che picchia inesorabile sulla pianura. Una volta siamo rimasti tutta la giornata”
     

Racconta il dottor De Maio che imparò l’inglese in prigionia a Hereford e a San Pedro. Non ho praticato a Hereford perché nessun ufficiale si è ammalato in quel periodo (non era ancora cominciata la repressione). Spedito dagli Usa a Napoli viene sbarcato col “pocket money” col quale dovrebbe sopravvivere in attesa di un lavoro. Tenta di praticare medicina in Italia dopo la guerra, ma non è sufficiente per vivere. Dopo un anno, cambiato il vento politico, le porte degli Usa si aprono anche ai fascisti. Lavora dapprima alla Bank of America in California in attesa che gli rilascino la “Licenza di Medico”, poi si trasferisce in New Messico dove c’è carenza di dottori. Ha esercitato lí fino alla pensione nel 1988. De Maio si fa anche la campagna Coreana, poiché il servizio nelle Isu valeva per l’anzianità nei ranghi dell’US Army. 

CONCESSE DALLA SIGNORA Kathy Kirkpatrick

  Per la riduzione delle calorie e per l'inasprimento delle condizioni di vita c'è qualcuno che ipotizza uno scenario ben più ampio: Qualcuno ravvisò che già da aprile del ’45, quando in Germania si scoprivano i lager, sia gli americani che gli inglesi tesero ad applicare - to the POWs in their hand the same starvation and no assitance treatment used by the Nazies against the Jews and the other political prisoniers – ai prigionieri italiani e tedeschi lo stesso trattamento dei lager. Reazione più o meno istintiva, ma non era una cosa decisa dal comandante del campo locale che poteva passare per abuso, si dice che le calorie scesero a 800 per gente che lavorava e solo l’intervento della nuova ambasciata italiana fu in grado entro l’estate di modificare i termini della vendetta.

The Italian pows in USA had to suffer during Spring 1945 the same 800 calories diet, with obvious consequences. The activity of the Italian Embassy at Washington DC was able, after some months, to restore the legal conditions (Ambassador Egidio Ortona, Anni d'America, ed. Il Mulino, Bologna, 1981, Dr. Ortona, then secretary at the Italian Washington Embassy since Dec. 1944, was later the Italian Ambassador at the NATO, the UN and, at least, in USA during the Seventies).

Dal diario di Luigi Majno. http://www.diario.it/index.php?page=spe.impero.02.22
Antefatto africano: Per noi del Raggruppamento Batterie Volanti la ritirata era cominciata nell’ottobre 1942 da Giarabub, attraverso il deserto di Gialo, Sirte e la via Balbia costiera verso Tripoli e poi Tunisi. Il 7 aprile 1943 muore accanto a me il sergente Benati di Milano: il suo pezzo era stato colpito da un carro armato inglese. Il 20 aprile muore il comandante di batteria, tenente Tamanti di Roma, per le ferite riportate. Lo seppelliamo vicino a Sfax. Delle quattro batterie restava poco. Il morale era a zero, non avevamo benzina ed eravamo senza munizioni contro munitissimi carri armati e gli stormi da bombardamento britannici. Le loro bombe si disintegravano sulle palme, schegge bollenti dappertutto. Ricordo con orrore di aver finito con la pistola d’ordinanza un povero soldato tedesco, appoggiato a un albero; aveva appena perso gambe e braccia. Dormivo nei crateri scavati dalle granate nemiche. A me è andata bene: non ho portato a casa la medaglia d’argento, cui mi aveva proposto il colonnello comandante, ma almeno la pelle.
Il 12 ottobre 1945 ci sbarcano a Napoli e ci avviamo a Capodimonte che svuotato dalle opere d’arte, era pieno di fetenti giacigli per i cosiddetti reduci. Prima accoglienza da parte dei connazionali: una buona metà dei bauletti (I prigionieri erano stati invitati a stivare le loro cose nei bauletti) era stata rubata durante il tragitto. Ci pagano per il lavoro prestato, gli arretrati. La quota di 26.382.241 dollari totale d’allora, venne trasferita dal Tesoro americano al nostro governo. Risulta che una parte fu corrisposta “alla generalità degli aventi diritto negli anni compresi tra il 1948 e il 1966”. Della differenza non si sa nulla. Ora, che i reduci sono quasi tutti morti, hanno deciso di consegnargliela?. Io l’aspetto ancora, dopo 57 anni, sempre che non tocchi ai miei fortunati eredi.

TORNA