La storia è racconto attraverso i libri

I testi che accompagnano la presentazione sono in genere quelli diffusi dall'editore, dalla libreria o da critici che vengono indicati
 

 

Robin Edizioni 2004 http://www.liberliber.it/biblioteca/m/mongai/  

Cronache, non ufficiali, di due spie italiane

Massimo Mongai

Dante Nicoloso è un giovane capitano dei Carabinieri che si trova suo malgrado coinvolto in una spy-story internazionale quando salva la vita del generale Barbieri (alto ufficiale dei Servizi Segreti). Da allora gli eventi si susseguono con incredibile velocità. Qualcuno ha rubato una vecchia arma batteriologica russa da uno degli arsenali dell'ex-URSS e l'arma è finita (o sta per finire) nelle mani di un terrorista mediorientale che vuole usarla per un massacro in Israele. Poco prima di partire per questa avventura, la madre di Dante gli consegna il diario del bisnonno Felice (bersagliere), che gli svelerà un affascinante parallelismo fra una vecchia storia di spionaggio Risorgimentale e la sua vicenda personale. 

Ci sarà da combattere nell’ombra anche qui. E sto scoprendo come le battaglie combattute e vinte nell’ombra siano spesso la premessa per la vittoria in quelle combattute sotto il sole

…. Ed ho visto di tutto e il contrario di tutto. E continuo a non sapere da che parte stiamo noi italiani.
Ma stiamo davvero dalla nostra parte? Esiste su questo pianeta un popolo più contraddittorio di noi? Siamo sentimentali, buoni, comprensivi, brava gente. E appena ci danno un brandello di potere siamo feroci oppressori dei nostri stessi connazionali figuriamoci degli altri: ben lo sanno in Libia e in Eritrea. Però mandiamo missionari, per cure ipocrite che servono più a far male che a curare. A parte quelli fra i missionari che imparano la lingua del posto, le usanze e i riti e la storia, e diventano i principali nemici se non della gerarchia ecclesiastica di quella coloniale degli oppressori, e che occorre prima o poi allontanare.
Siamo militaristi a parole, interventisti e alleati neutralisti voltagabbana per tutti, ma se occorre combattere, combattiamo, feroci come fossimo tanti vichinghi “baerserker”, pazzi di droga e lanciati con le asce bilama da combattimento, contro un nemico soverchiante, pronti a morire uccidendo: gli austriaci e i tedeschi ancora non si capacitano di averci avuto di fronte sulle trincee del Carso, come furie.
Eppure quanti sono stati i soldati che hanno sparato alle spalle dei loro ufficiali durante l’assalto? E quante sono le vittime delle decimazioni? Si saprà mai?
Cosa devono pensare degli italiani in Libia o in Eritrea? Chi sono gli italiani? Gli amici di Rubattino che facevano affari con tutti, difendevano i locali dai soprusi dei pascià turchi, e si facevano invidiabili harem di donne felici, come Bacigalupo? O gli assassini come quel tenente del regio esercito, come si chiamava?, ma sì, che non lo voglio nemmeno ricordare, che ammazzava i mercanti con la scusa che fossero spie del Negus e solo per derubarli?
E di nuovo, queste camicie nere, questi giovanotti e questi assassini patentati dalla guerra in trincea, che hanno scoperto quanto è facile uccidere un essere umano, ragazzotti che prima della guerra non avrebbero ammazzato una mosca o un pollo e che son tornati dai monti con 20 o 200 cadaveri sulla coscienza?
Dove stiamo andando?
Non mi spaventa Mussolini, quali danni vuoi che faccia un simile voltagabbana, un tale ipocrita? Si sta già rimangiando tutte le sparate repubblicane e antiborghesi che tuoneggiava solo un anno fa. Ma mi spaventano gli italiani, che non hanno ancora capito che il mondo ha imparato la dolcezza del vivere dalle corti rinascimentali italiane, e che questo noi sappiamo fare in sommo grado e difendere al meglio: vivere bene.
E che altro dovrebbe contare nella vita? Vivere, e vivere bene. E noi lo sappiamo fare di natura. Perché abitiamo in un paese che è bellissimo, che è benedetto da Dio, che è da sempre il “bel paese “; e il giardino d ‘Europa, che ha i panorami più pettinati e più belli del modo da più di 2000 anni. Ché sono gli etruschi che hanno per primi “pettinato” i loro panorami secoli prima che Roma nascesse, piantando pini e cipressi in cima alle colline lontane, sullo sfondo del panorama che si vedeva dalle loro ville, solo perché ci stavano bene.
Però, di tanto in tanto, noi vogliamo “dominare”; ci facciamo prendere periodicamente da quel delirio di onnipotenza da quella “ubris” del potere che altri, crucchi e slavi, chiamano volontà di potenza e se ne fanno ossessionare. Potenza. E a che diretta, poi?  Non esiste peggior schiavo di un italiano, non esiste ribelle più efficiente di un italiano, non è possibile obbligare un italiano a fare ciò che non vuole, se non per un breve periodo e ingannandolo; siamo, e lo abbiamo dimostrato, il popolo più scomodo da dominare, e ottimo da aver per amico. Se c’è un modo di aver piacere sul pianeta che non abbiamo esplorato noi per primi, ce lo dicano e lo miglioreremo. E questo lo sa fare non un poeta laureato, un mago della finanza, un professore d’università, ma un qualunque contadino calabrese o sardo o lombardo.
Amiamo il bello, perché siamo abituati al bello.
Ma siamo cosj sciocchi da litigare alla prima occasione, da scatenare una qualche guerra civile appena ne abbiamo una scusa, che, per altro, cerchiamo a ogni pié sospinto. Perché mandare al potere politici o generali inetti? Ma perché è il modo migliore per lasciare morti sul campo, morti fratelli e non nemici.
Poi ce ne pentiamo, veniamo disturbati nel nostro piacevole nulla fare, diventiamo belve feroci e veniamo lasciati in pace. Che non amiamo la guerra è ovvio. Che sappiamo vincerla anche. Che siamo fra coloro che di più sanno godere e apprezzare la vita, “nulla quaestio “. Ma ora dove sta andando l‘Italia ? Io credo verso una grande punizione. Stiamo andando verso lo scatenarsi della volontà di potenza di pochi imbecilli e presuntuosi che son convinti che comandare sia meglio che far 1 ‘amore, e questo solo perché loro, non son capaci di far l’amore. Purtroppo già lo vedo, trascineranno molti con sé.
Io credo che per un qualche malvagio scherzo della natura, in mezzo a un popolo di gaudenti cicale come siamo tutti, e che dell’esser cicala ha fatto un mestiere buono per tutte le stagioni, si siano infiltrate cattivissime e ciniche formiche che riescono da un lato a far finta di essere delle cicale e dal ‘altro a trascinarci tutti a far lavori che non son per noi.
Questa è una contraddizione insanabile degli italiani. Cattivi generali, cattivi governanti cattivi direttori di banca, colonizzatori feroci e crudeli, da dove vengono? Da quale orribile fantasma o colpa rimossa della nostra stirpe? Perché gli imperatori crucchi hanno sempre trovato italiani traditori che li accoglievano?
Mancan poche righe alla fine di questo diario. Mi rendo conto solo ora che sono 64 anni che io scrivo, e di quando e come e perché l’ho comprato, a 19 anni, davanti alla mia paura degli ussari austriaci, a Solferino.
Ho scritto con una calligrafia molto minuta, e il quaderno era grosso, ed ho saltato anni interi. Ma ben vedo di essere all’ultimo foglio. Non posso non vederci un segno del destino.  pag 403 e segg
   

Massimo Mongai, romano di Garbatella, è nato nel 1950 e vive a Roma. Laureato in Giurisprudenza, ha fatto l’insegnante di Inglese, il bibliotecario,  il capo dell'Ufficio Archivio e Protocollo dell' Università "La Sapienza" e il copywriter. La sua  esperienza di cuoco di bordo su barche a vela l’ha portato al primo romanzo di fantascienza "Memorie di un cuoco di astronave" (1997), pubblicato su Urania, rivista dal 1952 dei patiti del genere. Ha lavorato anche come sceneggiatore, regista
teatrale e autore radiofonico. Nel 1999 "Il Gioco
degli Immortali". Con "Memorie di un cuoco di un  bordello spaziale" (Robin Edizioni, 2003) riprende il personaggio del cuoco di bordo Rudy Turturro. Altre sue opere sono il giallo "Tette e Pistole" (Malatempora, 2003) e "Cronache non ufficiali di  due spie italiane" (Robin Edizioni, 2004), una spy-story ed insieme romanzo storico sui servizi segreti italiani fra la metà del XIX secolo e l'avvento del Fascismo. 

(immagine copertina a specchio)

Anche se lo stratagemma del diario ritrovato e dei segreti che esso contiene è sempre lo stesso, ogni tanto funziona ancora. Massimo Mongai mette insieme due spy-story separate da un arco di tempo di 150 anni. La prima è quella di un giovane ed eccellente capitano dei carabinieri (oggi) coinvolto per caso in un'operazione dei servizi segreti alle prese con un traffico pericoloso con criminali della ex Jugoslavia. La seconda è quella raccontata nel diario del bisnonno bersagliere impegnato nella guerra con gli austriaci e che si trova anch'egli coinvolto in intrighi ancor più complessi del grande gioco che portò all'unità d'Italia. Due registri diversi, due linguaggi diversi e qualche piccola licenza poetica (si cita De André quando il cantautore non era che un'idea nella mente di Dio), ma anche un po' di autoironia sullo spirito italico curiosamente immutato nell'arco dei secoli. (Repubblica 22/7/2004)

ndr: De Rossi, Colonnello del 12° Bersaglieri nella grande guerra, aveva un passato da Agente Segreto 

Brani di questo libro sono al capitolo OO7 MISSIONE CREMISI http://digilander.libero.it/fiammecremisi/schede/007missione.htm e CARNEADE De Rossi http://digilander.libero.it/fiammecremisi/carneade/derossi.htm 

Una puntualizzazione (L'autore)
Sebbene sia obbligatorio, alla fine di un romanzo come questo, dire che ogni riferimento a fatti e persone reali è puramente casuale, è anche vero che occorre operare un distinguo.
I fatti che accadono a Dante Nicoloso sono frutto di invenzione letteraria: ogni riferimento, eccetera…; però sia chiaro che le sigle dei servizi segreti, i dati relativi a malattie e armi batteriologiche o altre specificità sono quasi tutti reali e a disposizione di tutti sulla stampa o sulla Rete; I ‘UAS, purtroppo e per quel che ne so non esiste; la descrizione dei servizi segreti italiani che il generale Barbieri fa a un certo punto nel capitolo 12 è tratta dipeso da un articolo di Giorgio Bocca, ho cambiato solo minuzie relative al contesto, la “Lepanto” non esiste ancora, ma esisterà: la stanno costruendo e non si chiamerà cosi, ma secondo me dovrebbe; il 48° Reggimento Ferrara della Fanteria dell‘Esercito Italiano era quello del mio CAR, e a me, l’idea che la bandiera del reggimento fosse in mano agli inglesi mi ha fatto sempre un po’ rodere; io personalmente durante il mio servizio militare (1974-75) ho lavorato per tre mesi come telescriventista alla sezione cifra del Ministero della Difesa, spedendo messaggi fino alla qualifica di “segreto “e nel 1975 avevo il NOS Nato, io; e avevo un procedimento penale in corso per adunata sediziosa, blocco stradale e aggressione a pubblico ufficiale: ero stato fermato a una manifestazione contro Nixon (anche se non ci ero andato: ero davvero innocente e sono stato assolto), ed ero, ovviamente come quasi tutti all‘epoca, un “comunista ‘ qualunque cosa questo significasse allora o significhi oggi; tutto questo per dire come funzionavano allora gli “Uffici I” dell‘esercito italiano: io non dovevo essere in quell‘ufficio, ero scandalizzato per esserci.  Si è capito che vorrei che funzionassero meglio? Detto da italiano e da ex-comunista.
Le vicende accadute al bisnonno Felice sono invece quasi tutte storia del nostro paese: a parte quelle più strettamente personali (Lidia, Assunta, Sassi) il resto è quasi tutto vero, nomi compresi: il generale Govone è realmente esistito, come è realmente esistito Stieber; gli episodi “spionistici” raccontati come riferiti a Felice da altri ufficiali sono tutti reali, come anche il ruolo di Cesare Battisti e soprattutto Luisa Zeni. Per lo meno come tali vengono riferiti dalla letteratura in materia. Mi sono documentato su molti testi ma soprattutto su due ottimi libri di Luigi Boatti: “Le Spie Imperfette” e “L’enciclopedia delle spie” e anche su altri testi dallo stesso Boatti citati, quali “28 anni nel servizio informazioni militari” di T. Marchetti.
   

Romanzo insolito come struttura: diario di un soldato spia (seconda metà dell'800) e storia di un suo discendente, "agente segreto " (termine ormai obsoleto) dei giorni nostri. Le argomentazioni del diario, tranne i nomi, sono riconducibili ad una precisa realtà  storica: imprese di Garibaldi, guerra franco prussiana, presa di Roma (col puntiglio sicuro e certo del topo d'archivio). L'altra vicenda è una invenzione, sebbene le coordinate sulle quali si intrecciano le vicissitudini del protagonista sono purtroppo reali e rappresentano una minaccia del nostro tempo: lotta contro la malavita, la minaccia batteriologica e il terrorismo. Apparentemente sembrerebbero solo storie d'amore e di spionaggio, ma sono anche descrizioni di ambiente sociale e politico, di burocrazia e uomini-ombra che non finiscono nelle testate giornalistiche e, a volte, sono i veri burattinai del nostro tempo. Se quello dell'800 conosceva i termini della lotta, poteva immaginare gli esiti ed i risvolti delle sue azioni ed attendersi una riconoscenza o gloria ufficiale, quello attuale  a volte non conosce né la meta, né i particolari del progetto e può solo essere convinto della pericolosità dell'azione. Pochissimi, o forse uno solo, verrà a conoscenza dei rischi sostenuti e delle terribili difficoltà affrontate e mai il suo nome sarà associato alla vicenda conosciuta. Due scenari diversi e due epoche lontane ma sono presenti due qualità identiche: coraggio e audacia, scoperte quasi per caso, che sottendono l'ansia dell'uomo di voler agire contro il nemico e soffocarne l'intraprendenza, di voler seguire un'ideale a volte chiaro, a volte affidato alla ricerca del lettore. L'approccio all'opera può essere condotto in due modi distinti: affrontare la lettura del diario, poi la vicenda moderna perché, sebbene l'autore abbia voluto proporre un confronto parallelo, con una lettura separata è più facile cogliere le analogie e le diversità tra le due storie.  (Cristina P.)

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