La storia è racconto attraverso i libri I testi che accompagnano la presentazione sono in genere quelli diffusi dall'editore, dalla libreria o da critici che vengono indicati 49 |
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Pietro Ramella LA RETIRADA
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.1939 – ULTIMI MESI DI GUERRA
DI SPAGNA 4 gennaio - Avanzata repubblicana
in Estremadura. Solo nella prima settimana di febbraio i nazionalisti
riusciranno a bloccarla. |
11 febbraio - I nazionalisti
completano l'occupazione della Catalogna. 13 febbraio - Il governo
nazionalista promulga la "legge sulle responsabilità politiche" che
istituisce i tribunali speciali per giudicare "tutti gli atti di
sovversione compiuti dal 1 ottobre 1934 (rivolta delle Asturie) e i
delitti di ribellione contro il Movimento del 18 luglio 1936". |
l'odissea di 500.000 repubblicani spagnoli esuli dopo la guerra civile (1939/1945), Editrice Lampi di Stampa, Milano, 2003 |
Pietro Ramella
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Ha curato: In
nome della Libertà, diario della guerra di Spagna di Aldo Morandi
(1936-1939),
Mursia, 2002, scritto in prima
persona da Aldo Morandi, figura di spicco dell’antifascismo.
Dall’arruolamento a Parigi all’esodo dei volontari che ripararono in
Francia: scorre la storia vista attraverso gli occhi di chi ha assistito
agli atti di coraggio e ha conosciuto le contraddizioni politiche,
militari e sociali di quel periodo che, complice l’indifferenza delle
grandi democrazie, portarono alla sconfitta della Repubblica spagnola. |
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I libri di storia concludono la Guerra di Spagna il 1 aprile 1939, ma, se le armi tacquero, la tragedia del popolo spagnolo continuò. Francisco Franco mise in atto una repressione tanto feroce da essere ricordato come il più sanguinoso dittatore in tempo di pace che l'Europa occidentale abbia conosciuto: oltre 150.000 esecuzioni e 110.000 forzati nei battaglioni di lavoro. Non meno drammatico fu il destino di quanti tentarono con la fuga di sottrarsi alla vendetta dei vincitori: internati come bestie sulle spiagge del Mediterraneo, obbligati a scegliere tra la Legione Straniera e il rientro in patria, arruolati a forza nelle compagnie di lavoro, gettati nella battaglia quando la Francia agonizzava, catturati dai tedeschi e deportati in Germania, si riscattarono combattendo nell'esercito e nella Resistenza francese. Traditi alla fine della guerra dagli Alleati che scelsero Franco a baluardo contro il comunismo e li dimenticarono. Questo libro vuole raccontare le tragiche vicende di questi |
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I Lincolns
Estratto. - Il ritiro dei volontari delle brigate
internazionali, deciso unilateralmente nell'ottobre 1938 dal governo
repubblicano spagnolo, comportò, ove possibile, il loro ritorno ai
rispettivi paesi di provenienza. Eccettuato che in pochi, negli altri
stati i veterani furono soggetti a dure forme di repressione da parte
delle autorità, che li accusarono di aver combattuto in un esercito
straniero e, come in Svizzera e Finlandia, li condannarono a pene
carcerarie. Anche la libera e democratica America non fu da meno: i reduci
della brigata "Lincoln"1, i cosiddetti Lincolns, al loro arrivo al porto
di New York trovarono ad attenderli "more cops than people". I doganieri
ritirarono loro i passaporti per violazione della legge sulla neutralità
del 31 agosto 1935, mentre gli agenti dell'Fbi, presenti in massa, li
sottoposero a stringenti interrogatori, ma non contestarono loro, al
momento, la violazione di una legge del 1818 che proibiva l'arruolamento
di cittadini americani in eserciti stranieri. La prima dimostrazione del
trattamento loro in seguito riservato fu il divieto da parte della polizia
di deporre una corona, "per ricordare quanti morirono per la democrazia",
presso la lampada eterna nel parco di Madison Square. La Friends of Abraham Lincoln Brigade, che per tutta la durata della guerra aveva sostenuto i compatrioti impegnati nel conflitto, si prese cura di loro, fornendo vestiario e denaro, e raccolse fondi per ricoverare gli oltre duecento feriti, rientrati dagli ospedali spagnoli grazie ad una consistente donazione di un finanziere, dopo il rifiuto del governo di provvedere alle spese di viaggio. Il ritorno alla vita civile non fu meno traumatico, poiché intorno a loro si era creato un clima di diffidenza, alimentato dalla chiesa cattolica, principale sostenitrice di Franco, per cui molti non riuscirono a trovare che lavori di manovalanza, precari e mal pagati. Già durante la guerra di Spagna le associazioni che avevano sostenuto negli Stati Uniti la causa della Repubblica, e principalmente la Veterans of Abraham Lincoln Brigade (Valb), erano viste con diffidenza dalle autorità, che cercarono in ogni modo di limitarne le attività, soprattutto intervenendo con violenza in occasione delle manifestazioni di protesta a Washington contro le ambasciate tedesca ed italiana, per l'intervento di queste nazioni nella guerra di Spagna, o contro quella francese per l'inumano trattamento riservato agli internati spagnoli. I Lincolns dovettero anche affrontare violente polemiche interne per gli sviluppi della situazione internazionale, specie in occasione della firma, il 23 agosto 1939, del Patto di non aggressione tra l'Unione Sovietica e la Germania nazista, contrasti che si riaccesero al momento dello scoppio della seconda guerra mondiale. "Questa non è la nostra guerra, la guerra europea non è una guerra antifascista ma una guerra imperialista"; per suffragare questa tesi i comunisti ricordavano l'ignavia verso la Repubblica spagnola della Società delle nazioni e del Comitato di non intervento, controllati appunto dagli stati coinvolti nel conflitto. Erano contrari a queste tesi gli ebrei, in maggioranza comunisti, che denunciavano la persecuzione dei loro correligionari in Europa da parte dei nazisti, mentre i trotzkisti lo erano per avversione a Stalin, responsabile delle atrocità compiute in Spagna nei confronti dei loro compagni e di quanti non erano allineati alle tesi del Partito comunista. Diversi veterani uscirono o furono espulsi dalla Valb; tra questi un italoamericano, Humberto Galliani, che per breve tempo aveva comandato il battaglione "Garibaldi" in formazione, per poi passare allo Stato maggiore della 15a brigata. La principale preoccupazione dopo lo scoppio delle ostilità fu di far rientrare in patria i commilitoni ancora detenuti nei campi d'internamento francesi o prigionieri del regime franchista. Ma l'attivismo dei Lincolns acuì l'interesse del Dipartimento della Giustizia, che già aveva investigato sul reclutamento di volontari per la Spagna, ed anche la Valb rientrò nell'inchiesta avviata dal presidente Roosevelt sulle attività sovversive di fascisti, nazisti e comunisti negli Stati Uniti. A più riprese l'Fbi investigò ed arrestò diversi veterani e medici che avevano servito nell'American Bureau to Aid Spanish Democracy, con l'accusa di aver militato in un esercito straniero. Quando gli agenti dell'Fbi si presentarono alla sede di New York per conoscere il recapito di un veterano, il responsabile, Milton Wolff, ultimo comandante della 15a brigata, bruciò tutti gli indirizzi degli affiliati. Malgrado fossero sottoposti a tale pressione poliziesca, quando il governo francese, nell'inverno del 1940, decise di rimpatriare tutti i profughi spagnoli ancora presenti in Francia, la Valb si fece promotrice di una dura campagna di protesta con manifestazioni davanti a tutte le sedi consolari francesi e blocchi stradali. Ciò determinò il brutale intervento della polizia e l'arresto dei capi, Milton Wolff, Fred Keller e Gerald Cook, con conseguente condanna al carcere per quindici giorni. Scontata la pena fu ordinato ai tre di presentarsi davanti al House Committe on Un-American Activities (HUAC), per rispondere anche delle accuse formulate da diversi disertori che, al rientro in patria, avevano denunciato l'esecuzione degli americani che disertavano. Peter N. Carrol, nel suo "The Odyssey of the Abraham Lincoln Brigade", presume che il numero totale dei disertori americani possa attestarsi sul centinaio, pari circa al 4% di tutti i volontari americani accorsi in Spagna.
http://www.flickr.com/photos/etecemedios/165832856/
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L'esodo Con il termine retirada gli storici indicano l'esodo di circa 500.000 spagnoli, uomini, donne e bambini, dalla Spagna alla Francia tra la fine di gennaio e i primi giorni di febbraio 1939 per sfuggire alle incalzanti truppe franchiste, che il 23 dicembre 1938 avevano iniziato l'offensiva contro la Catalogna, penultimo atto della tragedia che, iniziatasi con l'alzamiento del 18 luglio 1936, avrebbe chiuso, con la caduta di Madrid e Valencia alla fine di marzo, l'esperienza della Repubblica spagnola. La fuga iniziò quando apparve chiaro che le truppe della Repubblica, ormai senza armamento pesante, non avrebbero resistito ai franchisti ed agli italiani che attaccavano la Catalogna da sud e da ovest. Era la conseguenza della strategia di Franco, che aveva anteposto alla rapidità delle operazioni militari il principio di infliggere il "castigo" a quanti si erano schierati con la Repubblica, la cosiddetta limpieza, che tanta indignazione suscitò nell'opinione pubblica mondiale, ma che ottenne lo scopo prefissato di terrorizzare non solo le disorganizzate milizie repubblicane, ma anche i civili, per le violenze e vessazioni a cui venivano sottoposti. Una testimonianza agghiacciante del clima di terrore imperante nelle carceri franchiste ci è fornita da Arthur Koestler nel suo libro "Dialogo con la morte", dedicato ad un oscuro giovane miliziano andaluso, fucilato il 14 luglio 1937, nel sesto anniversario della Repubblica. Egli descrive con crudo realismo la superficialità dei processi, la rapidità delle condanne, il prelevare durante la notte i predestinati al plotone di esecuzione, le preghiere del prete accompagnate dal campanello del Sanctus, le invocazioni di aiuto e le maledizioni accompagnate da bestemmie. Ma se Koestler era uomo di parte, così non si può dire di scrittori di cultura cattolica, quali Jacques Maritain e Georges Bernanos. Il primo prese una posizione netta di distacco dalla cruzada e la condannò come anticristiana senza mezzi termini, il secondo descrisse, ne "I grandi cimiteri sotto la luna", le stragi commesse dai franchisti a Maiorca sotto la regia del generale della milizia Bonaccorsi e la benedizione del vescovo di Palma, Miralles Sbert. Molte furono, in particolare nei giorni successivi all'alzamiento, le uccisioni perpetrate nella Spagna repubblicana, di massima ad opera degli anarchici contro religiosi e borghesi, ma molto più pesante fu la risposta dei franchisti, i cui eccidi furono sistematici e terribili in tutte le città e villaggi via via conquistati. Le notizie delle migliaia di assassinati di Maiorca, Bajadoz, Granada e Malaga spinsero le genti di Catalogna ed i profughi delle altre province spagnole già in mano ai nazionalisti ad abbandonare Barcellona e gli altri centri. Circa duecentomila tra donne, bambini ed anziani, insieme a feriti e militari sbandati, si avviarono verso il Nord, in un fiume eterogeneo di animali e mezzi di trasporto, sotto la costante minaccia dell'aviazione fascista italiana che si accaniva contro questa massa inerme. La loro meta era la Francia, che rappresentava l'estrema possibilità di salvezza, da raggiungere attraverso i Pirenei. In una confusione estrema i fuggiaschi si riversarono verso tutti i posti di confine, in gran parte utilizzando le strade che collegavano la Spagna alla Francia, ma molti percorsero sentieri di montagna, superando colli alti anche oltre duemilacinquecento metri. Dopo i civili fu la volta di quanto restava dell'armata della Catalogna (circa duecentocinquantamila uomini) e delle personalità della Repubblica tra cui i quattro presidenti. Gli ultimi reparti organizzati a ritirarsi furono gli anarchici della 26a divisione "Durruti", che il 10 febbraio transitarono sul ponte di Llivia; altri sarebbero ancora giunti alla spicciolata, filtrando attraverso le maglie dei franchisti, che il 12, occupando il colle d'Ares, avevano completato la conquista della Catalogna. L'accoglienza Fu tragedia nella tragedia; al dolore di dover lasciare il proprio Paese, al terrore di essere catturati dai franchisti, all'angoscia per i congiunti sotto le armi, alla delusione per la fine di un sogno di maggior giustizia, appena passato il confine dopo infinite difficoltà, si aggiunsero le vessazioni delle guardie di frontiera, l'abbandono senza riparo nelle notti gelide, il disprezzo dei sorveglianti, l'insensibilità delle autorità, preoccupate, specie quelle militari, esclusivamente della loro sorveglianza, come se fossero delinquenti comuni. Sorveglianza affidata di massima alle truppe coloniali francesi, che riportavano alla memoria i tristemente famosi "mori di Franco", innervosite dai contrastanti ordini che arrivavano da Parigi. Infatti nulla era definito, le disposizioni si sovrapponevano e si contraddicevano, inducendo i militari dislocati al confine a comportamenti disumani e sprezzanti specie nei confronti dei miliziani. Perquisiti, depredati delle poche cose di valore, disarmati e vaccinati, continuamente umiliati, strappando loro i fazzoletti che contraddistinguevano i reparti, forzati ad aprire il pugno in cui tenevano un po' di terra di Spagna, questo era il primo trattamento che ricevevano dalla Francia, culla dei diritti dell'uomo. Hugh Thomas in "Storia della guerra civile spagnola" riporta che entrarono in Francia circa duecentocinquantamila militari, di cui diecimila feriti gravi, centosettantamila donne e bambini e settantamila civili, fra cui molti anziani, cifre che si avvicinano sia a quelle ufficiali che a quelle fornite da altre fonti. Bloccati dal gelo dell'inverno, i profughi vennero trattati come bestie. Prima donne, bambini, anziani e feriti vennero raccolti in camps de collectage creati a ridosso dei Pirenei, lande fredde ed umide, battute dal vento, senza riparo dalle intemperie e scarso cibo. Mont Louis, Prats de Mollo, Arles sur Tech, Boulou, La Tour de Carol, furono le prime tappe del calvario dei profughi. Man mano che altri disgraziati sopraggiungevano, i primi venivano smistati nei cosiddetti centri di accoglienza (caserme o conventi abbandonati) dislocati in quasi tutti i dipartimenti della Francia. L'autorità che li dirigeva proveniva dall'amministrazione civile e il loro atteggiamento nei confronti degli spagnoli ne condizionava il trattamento e la disciplina. Camps du Mepris Ultimi ad essere autorizzati ad entrare furono i militari, che vennero trasferiti a piedi direttamente ai campi di concentramento in preparazione nei comuni prescelti e cioè: Argelès-sur-Mer, Saint Cyprien, Les Barcarès, Agde e Vernet les Bains (Pyréenes orientales), Mazières, Montaillou (Ariège), Gurs (Pyrénées Atlantiques), Bram (Aude), Septfonds (Tarn et Garonne). Costretti in recinti delimitati dal filo spinato in appezzamenti di terreno fuori mano o sulle spiagge del Roussillon, essi scavarono delle buche nella terra e nella sabbia e le coprirono con teli, ramaglia e lamiere, bevvero l'acqua dei pozzi, fecero i loro bisogni nei boschi o sulla riva del mare, "la primiera linea de mierda". I primi giorni furono i più difficili: il freddo, la fame, la mancanza di cure mediche determinarono circa quindicimila decessi, che colpirono in particolare i più deboli: vecchi, bambini e feriti. Neppure i morti ebbero la pietà di una sepoltura dignitosa, vennero infatti inumati nei pressi dei campi. Negli stessi giorni in una modesta pensione di Collioure morì Antonio Machado, il massimo poeta contemporaneo spagnolo, che venne tumulato nel cimitero della cittadina francese, dove nel 1958, grazie alla colletta di intellettuali europei, ebbe il decoro di una tomba. Oltre alla sorveglianza fu costante preoccupazione delle autorità francesi spingere al rimpatrio quanti più possibile o arruolare nella Legione straniera i combattenti repubblicani; questa alternativa era presentata quasi come un ricatto: "O la Legione o la Spagna". Si stima che del mezzo milione circa di persone entrate in Francia ne rientrarono in Spagna in un primo tempo poco più di cinquantamila, a cui si aggiunsero più tardi altre decine di migliaia. La cifra totale dei rimpatri oscilla, a seconda delle fonti, da settantacinquemila a duecentottantamila. Mentre avveniva tutto questo, a Les Perthus il generale francese Falcade accoglieva con il saluto militare ed una calorosa stretta di mano il generale franchista Solchaga, comandante dell'armata di Navarra. Al saluto degli ufficiali francesi gli spagnoli risposero con il saluto fascista e al canto di "Cara al sol" e "Per Dio, per la Patria e per il Re", inni falangisti e dei requetés. Questo succedersi di avvenimenti, unitamente al vedere lunghi convogli ferroviari di materiale bellico bloccati nelle stazioni francesi, mentre essi avevano dovuto abbandonare quasi senza combattere la Catalogna per carenza di armamenti, creò nei rifugiati un senso di disgusto verso la Francia. La solidarietà che li confortò venne da privati ed organizzazioni volontarie, non da istituzioni statali, condizionate dalle forze reazionarie che esercitavano pressioni volte a respingere i "rossi di Spagna". Infatti era facile, in un periodo di crisi, rinvigorire la xenofobia latente e condizionare l'opinione pubblica facendo leva sul grave peso dei rifugiati per l'erario. Giornalisti come Leon Daudet, de "L'Action Française", e Henri Béraud, del "Gringoire", orientarono e diedero tono al dibattito domandandosi se la Francia doveva diventare "l'immondezzaio del mondo". Il governo Daladier, che nell'aprile 1938 aveva sostituito il governo delle sinistre presieduto da Leon Blum, emanò una serie di circolari limitanti prima l'entrata dei profughi (in un primo tempo solo donne e bambini e feriti gravi) e poi il soggiorno in Francia degli esuli, che via via proibirono "la residenza definitiva" o "la possibilità di esercitare qualsiasi mestiere". Contro queste posizioni insorsero per fratellanza ideologica le forze progressiste, che promossero raccolte di fondi, e molte personalità culturali, religiose e politiche, che non potevano essere etichettate di sinistra, quali l'arcivescovo di Parigi, il presidente della Croce rossa francese, premi Nobel e scrittori famosi. La vita nei campi Lentamente la burocrazia si mise in moto - occorre ricordare che non esisteva all'epoca un'organizzazione logistica di soccorso capace di far fronte ad un esodo di dimensioni bibliche, comprendente migliaia di malati e feriti, di donne e bambini -, venne intensificata la costruzione degli indispensabili servizi igienici e di baracche di legno, che offrivano protezione dalle intemperie ma non dal freddo, dato che non erano dotati di stufe e il giaciglio era costituito da poca paglia. La vita riprese. I malati ed i feriti furono separati dagli uomini validi e finalmente ricevettero le cure dovute. Per donne e bambini, di massima familiari dei miliziani, furono predisposti dei settori a parte denominati campo civil. Nacque una parvenza di organizzazione: centoventi-centocinquanta uomini costituivano una "compagnia" agli ordini di un ufficiale, sette od otto compagnie costituivano un ilot (raggruppamento), che aveva un servizio di intendenza con cucina, infermeria e magazzino. Le corvée vennero assegnate a rotazione, perché non tutte erano gradite, come la pulizia delle latrine. Furono aperti degli uffici postali, che curavano la spedizione e la consegna delle lettere sia per la Francia che per la Spagna. Diversi internati venivano reclutati da agricoltori della zona per i lavori agricoli, per cui potevano giornalmente uscire dai campi e ricevere un modesto salario; dovevano però subire l'umiliazione di venire "scelti" come animali da fatica, con l'ispezione di mani e muscoli. Via via le comunità si diedero un'impronta di vita civile, le strade furono distinte con nomi che nostalgicamente ricordavano la patria lontana, ad Argelès-sur-Mer sorse un mercatino, il Barrio chino, in cui era possibile trovare merce di prima necessità (lamette da barba, magliette, scarpe, sigarette), un'osteria, dove si poteva bere un bicchiere di vino e mangiare un'insalata, e con discrezione funzionava un bordello, "la casa de la Sevillana", dove cinque prostitute avevano ripreso la vecchia professione. Ciò era favorito dal fatto che i rifugiati ricevevano dalle organizzazioni di aiuto repubblicane una piccola somma in denaro, che molti integravano lavorando presso i francesi o vendendo oggetti di loro produzione, fatti con i materiali più disparati. Il vitto era discreto e abbastanza nutriente, degli altoparlanti diffondevano programmi musicali intervallati da notiziari sulla situazione in Spagna e nel mondo. Ma ciò che li aiutò ad uscire dallo stato di inerzia, che il lungo tempo a disposizione concedeva loro dopo aver espletato le corvée giornaliere, fu l' "Università della sabbia". Prendendo spunto da una circolare del Ministero dell'Interno, che dava istruzioni ai prefetti di istituire dei corsi di lingua francese, numerosi insegnanti ed intellettuali internati si dichiararono disposti ad iniziare dei corsi di istruzione di varie materie. Malgrado la precarietà dei mezzi a disposizione, l'iniziativa, ottenuta l'approvazione delle autorità francesi, vide la partecipazione di circa l'ottanta per cento dei rifugiati. Organizzazioni umanitarie, in primis i quaccheri, fornirono materiale didattico e fecero pressione sui comandanti dei campi affinché destinassero alcune baracche ad aule e biblioteche. Oltre ad insegnare le lingue, la storia, la letteratura, il disegno e la matematica, una particolare attenzione fu prestata per le materie pratiche volte a far apprendere un mestiere a manovali e braccianti. Appositi bollettini mensili riportavano le attività svolte ed il numero dei partecipanti, furono anche favorite le manifestazioni sportive e culturali e in particolare quelle artistiche. A proposito di queste, fu un fiorire di mostre di pittura nelle città dove erano situati i campi e diversi artisti spagnoli ebbero modo di farsi conoscere e vendere le loro opere. Questi vernissages suscitarono l'indignazione della stampa borghese, che condusse una campagna in difesa degli artisti nazionali: "Il pane di Francia per i lavoratori francesi!". Con i miglioramenti anche la politica riprese vitalità e riaffiorarono, mai sopite, le divergenze che tanto danno avevavo arrecato alla causa della Repubblica spagnola. Tutto cominciò con il tentativo da parte delle diverse fazioni di porre loro uomini alla direzione interna degli ilot, il che permetteva tra l'altro di controllare la posta e la distribuzione dei giornali nonché di assegnare le corvée. Per ottenere ciò si giunse a formulare false accuse nei confronti degli avversari politici, così da indurre le autorità francesi a trasferirli. Tali fatti crearono delle tensioni che sfociarono in scontri, da cui l'intervento dei sorveglianti, che non andarono tanto per il sottile ed imprigionarono al forte di Collioure, carcere di massima sicurezza, "le teste calde". Attraverso i giornali, pubblicati dagli internati con mezzi di fortuna, talvolta manoscritti, come la "Voz de los Españoles" (comunista) e il "Buletin de los antifascistas descontentos de los campo internacionales" (anarchico), si rinnovarono le vecchie diatribe ideologiche, che li avevano divisi in Spagna, quando la parola d'ordine dei primi era "vincere la guerra per fare la rivoluzione", mentre per i secondi si doveva "fare la rivoluzione per vincere la guerra". Anche le due anime dell'anarchismo, i puri, negatori di ogni forma di Stato, ed i cosiddetti trientistas, favorevoli alla collaborazione con il governo, rivisitarono criticamente gli avvenimenti: il sostegno elettorale al Fronte popolare nelle votazioni del 16 febbraio 1936; la partecipazione al governo della Repubblica (spagnola e catalana); l'accorpamento delle milizie della Federación anárquica ibérica (Fai) e Confederación nacional de trabajo (Cnt) nell'esercito repubblicano; le tragiche giornate di maggio 1937 a Barcellona e dell'estate in Aragona e Castiglia. All'ingresso in Francia i rifugiati politicamente più impegnati erano stati divisi dagli altri e, in base all'ideologia, inviati in luoghi più facilmente controllabili e soggetti ad una disciplina più dura. In un primo tempo, ad esempio, gli anarchici furono mandati a Vernet d'Ariège, i membri delle brigate internazionali a Gurs, i comunisti e le donne a Rieucros; in seguito queste distinzioni vennero meno e les hommes d'action dangereux si ritrovarono dietro gli stessi reticolati o furono spediti nei più terribili campi dell'Africa del Nord. I campi disciplinari furono un'altra pagina amara dell'esilio spagnolo: il forte di Collioure, vecchio castello dei templari, adibito a carcere di quanti avevano tentato la fuga dai campi di internamento o si erano macchiati di qualche colpa grave (furto, rissa, resistenza alle guardie, ecc.); il campo di Vernet d'Ariège, ex campo di prigionia della prima guerra mondiale, in cui furono rinchiusi prima gli elementi di spicco anarchici, poi, con la firma del patto russo-tedesco, i comunisti prelevati dai campi o arrestati in Francia tra i fuoriusciti italiani, tedeschi ed austriaci; i campi dell'Africa del Nord, dove vennero internati parte dei profughi provenienti dalle ultime province cadute in mano ai franchisti e in seguito, specie sotto il governo di Vichy, gli elementi più turbolenti, che avevano sobillato ribellioni o anche semplici proteste per il trattamento loro riservato. Tristemente famoso fu il campo di Dijelfa. Le immagini sono d'archivio |
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E' un Lincoln's il personaggio del libro "Per chi suona la campana" di Ernest Hemingway, scrittore che era stato molto vicino ai volontari americani e li aveva visitati più volte nel corso dei suoi tre viaggi in Spagna durante la guerra. Il romanzo fu criticato perché non faceva riferimento alla brigata, ma ad un singolo americano. Il libro non piacque ai Lincolns. "Ciò che emerge dal vostro libro - scrissero in una lettera aperta al romanziere - è un quadro così drasticamente distorto e mutilato da denigrare la causa per la quale noi abbiamo combattuto, che la maggioranza dei popoli democratici sostennero, e che voi stesso avete onorevolmente sostenuto sia con i vostri scritti che con il vostro personale impegno". |