DA COMANDO SUPREMO
27 ottobre 1917, ore 5,45
5015 G.M. In vista situazione creatasi ala sinistra 2a armata ho deciso
graduale ripiegamento del XII corpo (Carnia) sulla linea delle prealpi
Carniche, colla sinistra a Casera Razzo (ndr Piave IV armata), e delle
armate 2^ e 3^ sulla destra del Tagliamento. Movimento si inizia oggi
stesso. In conseguenza codesta armata (IV a cui era anche indirizzato il
messaggio) inizi oggi stesso ripiegamento dall'attuale fronte alla linea
gialla, collegandosi a sinistra con la 1^ armata a Cima della Caldiera.
Per quanto riguarda tratto di fronte Cima della Caldiera - M. Civetta
lascio a V.E. di determinare linea di arretramento più conveniente. V.E.
si terrà in misura di proseguire non appena ne darò ordine ulteriore
ripiegamento su pianura veneta. In vista di ciò V.E. prenda in consegna
da 1a armata lavori del Grappa, cui occupazione affidata a 4a armata.
Organizzi perciò immediatamente difesa Grappa per caso ritirata sul
medesimo e vi collochi artiglierie da sgombrarsi secondo prescrizioni
mio 4998 di ieri. Completi lavori M. Asolone - Presolana - cima
dell'Orso per assicurare profondità sistema difensivo. Per sgombro
materiali e stabilimenti prenda accordi con Intendenza Generale. Esiga
nel ripiegamento calma, fermezza, lentezza e misure immediate del più
estremo rigore contro tutte debolezze e contro chiunque. Interrompa e
sbarri strade e ponti, incendi magazzini e baraccamenti. Generale
Cadorna |
La parola guerra, sia pure solo scolpita nella
roccia a Forcella Clautana nel 1912, costituì forse il primo
avvertimento per le pacifiche e laboriose popolazioni delle nostre
vallate; i montanari combattevano ogni giorno la loro dura battaglia per
la sopravvivenza, fatta di sacrificio, di lavoro, di emigrazione. Ma era
una battaglia per vivere, non per morire! La guerra armata ormai anche i
vecchi l’avevano dimenticata ....
e presto cupe grida di guerra echeggiarono sinistre lungo i confini
degli stati d’Europa, morte e distruzione sconvolsero l’intero
continente, il lutto di molti Caduti venne a segnare tante famiglie. Poi
ci fu Caporetto che segnò una svolta, e non solo militare, nella nostra
storia. Dopo la rottura del fronte sull’Isonzo la linea di difesa fu
retrocessa sul Tagliamento; successivamente l’ultima linea di resistenza
fu portata sul Piave. E la guerra arrivò anche nelle nostre zone, prima
lontane dal fronte e considerate al sicuro dagli orrori della battaglie;
grida di guerra risuonarono anche nei nostri paesi, nelle nostre
vallate, fra le nostre case, con scontri sanguinosi, devastazioni, esodo
di popolazioni civili, con l’occupazione nemica che durerà un anno.
Nella zona delle Prealpi Carniche si trovarono a operare le tre
divisioni (26°, 36° e 63°) del XII Corpo d’Armata, che nel corso del
ripiegamento verso il Piave restarono isolate in una impervia regione
montuosa, lontane dalle grandi vie di comunicazione, tagliate fuori
dalle direttrici di ritirata delle grandi unità; prive di collegamenti e
direttive, dovettero gestire in proprio la loro guerra, decidere di
volta in volta le loro scelte tattiche e la via da seguire per una
possibile ma improbabile salvezza. Il passaggio della guerra fu rapido,
pochi giorni soltanto: non linee di difesa attrezzate, non trincee,
scarsissimo appoggio di artiglieria, ma solo una successione di
combattimenti per contenere l’avanzata di un avversario determinato e
imbaldanzito e di disperati tentativi di reparti in ritirata per
sottrarsi alla prigionia. Molto è stato scritto sulla Grande Guerra e in
particolare su Caporetto: relazioni ufficiali dell’Esercito e degli
Stati Maggiori, memoriali di generali comandanti, diari e testimonianze
dirette di molti combattenti, che furono i veri protagonisti della
guerra vissuta e sofferta nelle trincee e negli assalti. Tuttavia, pur
nella vastissima produzione editoriale, non esiste una narrazione o
documentazione che ricostruisca in modo unitario e definito le vicende
di guerra dei reparti che operarono nelle valli dell’Arzino, del Meduna
e del Cellina nelle tragiche giornate della ritirata. |
TULLIO TREVISAN
Gaspari Editore
LA GRANDE GUERRA NELLE PREALPI CARNICHE
Dalla prefazione introduzione:
"Ove in queste valli grido di guerra
risuoni"
Brani tratti da pag 64 e segg. Dopo aver ricevuto
gli ordini in calce indicati (non ricevuti nello stesso ordine) i resti
di vari reparti (Bt. alpini M. Canin, Mercantour, Val Ellero, Pinerolo,
Gemona, Val Fella, Brig. Benevento, Pistoia, Parma, Lombardia, 2 Sq.
Cav. Alessandria, 15° Bersaglieri, più batterie artiglierie montagna e
servizi) prevalentemente provenienti dalle divisioni 36-63, che la notte
del 4 novembre vennero messe sotto il comando del Gen. Rocca
divisionario più anziano, andarono a formare varie colonne con obiettivi
diversi..….
Fogli d’ordine inviati dal Comando del XII Corpo
d’Armata alle 26a, 36 e 63 divisione.
Foglio d’ord. n. 3 (Maniago-ore 13 del 2-XI): direttive
per il ripiegamento in direzione sud verso la pianura friulana.
Foglio d’ord. n. 4 (Maniago-ore 12 del 3-XI): ordine esecutivo di
ripiegamento in direzione ovest verso la V. Meduna, V. Cellina,
V. Piave.
Foglio d’ord. n. 4 bis (Maniago-ore 16 del 3-XI): annullamento
dell’ordine del foglio n. 4 ed esecuzione delle direttive del foglio 3.
Foglio d’ord. n. 5 (Barcis-ore I del 4-XI): conferma del precedente.
Foglio d’ord. n. 6 (Barcis-ore 12 del 4-XI); continuazione secondo gli
ordini dei fogli 4 bis e 5. Il n. 6 fu l’ultimo contatto.
|
Un lavoro di ricerca paziente e sistematico nella storiografia e nella
letteratura di guerra mi ha fornito i dati e le notizie necessari per la
stesura di queste pagine; la mia pluridecennale frequentazione e
conoscenza del territorio mi ha permesso di poter constatare in loco la
configurazione e certe caratteristiche del terreno, che spesso hanno
avuto un ruolo determinante nello svolgersi di alcuni degli avvenimenti
trattati. Questo libro non ha certo la pretesa di aver trattato in modo
esauriente e compiuto un capitolo tanto complesso e difficile di quel
particolare momento storico-militare, tuttavia spero possa servire a
mettere in luce e chiarire una pagina poco conosciuta della nostra
storia recente e recuperare alla memoria e alla nostra cultura
avvenimenti che il trascorrere del tempo tende inesorabilmente a
cancellare.
….Da parte nemica
intanto la sera del giorno 4 e nelle prime ore del 5 novembre reparti
della divisione Jàeger avevano occupato Anduins, Vito d’Asio e alle ore 10
erano entrati a Clauzetto. Posto il loro comando presso l’albergo Zannier,
avevano inviato immediatamente alcune compagnie verso Pradis, spingendosi
fino a Pielungo. In pianura la 55 divisione aveva occupato fin dalla sera
del 4 Travesio, Meduno, Sequals e Colle; nel pomeriggio del 5 Maniago e
Montereale Cellina. Il nemico aveva completato l’occupazione della fascia
pedemontana fino a chiudere lo sbocco in pianura delle valli delle Prealpi
Carniche, dove ancora combattevano le divisioni italiane; ormai per i
reparti del generale Rocca il congiungimento con il Corpo d’Armata
Speciale Di Giorgio non sarebbe più stato in alcun modo possibile.
Dopo poche ore di riposo, trascorse in condizioni di grande disagio a S.
Francesco, alle prime ore del mattino del 5 quanto rimaneva delle due
divisioni mosse verso quella che sarebbe stata la loro ultima battaglia.
Le colonne dovevano procedere tutte per una unica strada da S. Francesco
fino a Pielungo, una modesta borgata situata sul versante di destra, un
centinaio di metri più in alto del fondovalle. Appena sotto il paese,
presso la località Cerdevol, i reparti più avanzati furono accolti da un
violento fuoco di fucileria da parte dei reparti della Jaeger appena
arrivati da Clauzetto. Il battaglione Gemona, che marciava in avanguardia,
ebbe i suoi primi caduti, fra i quali il tenente Marco (o Marcello?)
Bernardi, un irredento trentino volontario nell’esercito italiano.
La 69a compagnia del capitano Garrone e la 70a compagnia del tenente G.
Monti del Gemona e i cavalleggeri dell’Alessandria furono inviati a
occupare il paese, mentre la 97a del capitano C. Ricci e la 154a del
tenente G. De Vecchi del Monte Canin appoggiavano l’azione attaccando da
Castello Ceconi. Pielungo era un punto chiave per l’intera colonna
italiana, che da lì doveva proseguire poi nel suo attacco verso Pradis. Il
combattimento si svolse sotto il paese, presso il cimitero, fra le case, e
solo alle ore 14 il nemico fu costretto a ritirarsi. Liberata la strada
per Pradis, le truppe proseguirono verso i loro obiettivi. La colonna
Alliney si avviò per Cedolins verso Fruinz e La Forchia.
Dopo il combattimento di Pielungo la 69 e la 70 compagnia del Gemona
avevano perso il collegamento con il comando del loro battaglione; il
maggiore Sansoni ricevette l’ordine di proseguire ugualmente verso il
Monte Pala con la sola 71a e con la compagnia di marcia (era formata dalle
reclute appena arrivate, che poi sarebbero state assegnate alle varie
compagnie. Fra queste Ardito Desio che verrà poi fatto prigioniero). La
colonna centrale, risalita da Pielungo verso Cuel d’Orton, alle ore 15,30
si scontrò in località Forno con l’intero Garde Reserve Jaeger Bataillon;
erano in linea il II (capitano Borghi) ed il III battaglione (maggiore L.
Bondi) del 36° fanteria e la 56 batteria da montagna; poco dopo fu
chiamato ad intervenire anche il I battaglione del 36°. Ingenti le perdite
da entrambe le parti; nello scontro restò ucciso anche lo stesso maggiore
von Stulpnagel, comandante del reparto germanico.
A sera i tedeschi vennero respinti oltre il torrente Foce e la notte
sembrò portare qualche ora di tregua: i soldati erano molti stanchi,
l’oscurità rendeva difficile l’orientamento e gli spostamenti, il freddo
era molto intenso. Ma il generale Rocca, salito a Forno, giudicò
necessario proseguire subito per non dar tempo al nemico di consolidarsi
nelle sue posizioni; il 36°, duramente provato, fu sostituito in
avanguardia dal 49° fanteria del colonnello Zampieri, dal battaglione Val
Felia e da una compagnia di mitragliatrici con l’appoggio della 2a
batteria da montagna. Nella notte il 49° fanteria prese posizione per
l’attacco: il II battaglione, comandato dal maggiore Francesco Morelli,
sulla destra, verso Val da Ros; al centro il III battaglione del maggiore
Sisto Frairia e la 269° compagnia (capitano Umberto Telò) del Val Fella
con obiettivo Tascans; a sinistra una compagnia del 49°, la 270 del
capitano Pietro Aliata e l8a del tenente Leone Periz del Val Fella,
puntano verso Cuel d’ Orton.
Ma nel frattempo il nemico aveva ricevuto notevoli rinforzi: il reggimento
Bettendorff si era schierato dal M. Pala a Cuel d’Orton, il reggimento
Bibra da Tascans a Gerchia, il reggimento Pappritz era inviato verso
Campone per chiudere l’importante via di comunicazione con la Val Meduna.
Ora erano in linea i tedeschi dell’intera Jàgerdivision, più contingenti
della 22a divisione Schùtzen austro-ungarica. La battaglia riprese verso
le 2 del giorno 6, in piena notte: gli italiani continuarono ad attaccare
con insistenza, spesso alla baionetta, ma i tedeschi erano ben appostati e
sostenuti dal fuoco di molte mitragliatrici; nella lotta cadde colpito a
morte il maggiore Sisto Frairia, comandante del III battaglione,
sostituito dal capitano Vincenzo Pollio, a sua volta ferito gravemente.
Nel combattimento intervenne anche il battaglione alpino Pinerolo,
retroguardia della colonna Alliney diretta a La Forchia, che attaccò
efficacemente il Garde Schutzen a Zattes e Mineres, ma ben presto giunsero
in aiuto del Garde Schutzen gli Jaeger del 20° battaglione e i nostri
alpini furono respinti; il Pinerolo, perso il contatto con la sua colonna,
restò privo di ogni collegamento. Si combatté duramente per tutta la notte
e la mattinata, con la battaglia frammentata in mille episodi, dove era
impossibile, sia per la natura del terreno, sia per le difficoltà di
collegamenti, tenere i contatti con i vari reparti e dar loro un indirizzo
unitario per lo svolgimento delle operazioni. Entrarono nel vivo della
lotta anche i bersaglieri del 15° comandati dal colonnello Paolo Dompè e
gli alpini del gruppo Rombon del colonnello Oscar Cantoni, fu richiamato
in linea il 36°, ma la situazione non riuscì a sbloccarsi e il nemico
tenne ben salde le sue posizioni.
Nella tarda mattinata i fanti del 49° e del 36°, gli alpini del Vai Felia
e del gruppo Rombon, i bersaglieri del 15° combattevano ancora tenacemente
nella zona della “colletta” (forcelletta) di Val Da Ros, a Tascans e
presso il bivio d’Orton, ma il nemico, rafforzato nelle sue posizioni
aveva già chiusa ogni via di scampo. Anche la via di Paludon, Blancs,
Gerchia per Campone e la Vai Meduna era bloccata da reparti tedeschi, che
ormai avevano occupato gran parte delle alture circostanti e stringevano
da ogni parte i resti delle due divisioni, chiuse ora in un breve tratto
sotto le pendici meridionali del M. Rossa. Si aggiunse infine il pericolo
costituito dal XXI Jàeger Bataillon, che aveva aggirato il Monte Dagn e,
raggiunte le Stalle Palamaior, minacciava da posizioni sopraelevate i
nostri reparti che ancora disperatamente resistevano nella zona di Forno.
Anche negli altri settori dell’attacco le sorti dei nostri reparti
impegnati nella battaglia si erano fatte sempre più difficili. La colonna
Alliney, perso il battaglione Pinerolo coinvolto nel combattimento di Col
d’Orton, riuscì a giungere fin nei pressi di La Forchia, ma fu respinta e
dovette rinunciare al suo tentativo verso Vito d’Asio.
Ormai non era più una battaglia per avanzare ed aprirsi una via di
salvezza verso la pianura o la Val Meduna, ma una battaglia di disperata
resistenza per sfuggire all’annientamento. L’unico itinerario ancora
percorribile per raggiungere la valle di Tramonti, che in quel momento
restava ormai l’unica possibile via di salvezza, era costituito da un
lungo e complesso percorso che da Pielungo sale alle Casere Albareit,
Battistin e M. Rossa, percorre tutto il lungo crinale della montagna e,
attraversata la VaI Chiarzò, scende in Val Meduna presso Tramonti di
Sotto. Il generale Rocca, che aveva il suo comando presso una piccola
cappella sulla strada poco oltre Forno, alle 15,25 inviò al colonnello
brigadiere Petracchi l’ordine di schierarsi a retroguardia a protezione
degli altri reparti, che a scaglioni successivi dovevano ritirarsi
seguendo quest’ultimo possibile itinerario. Ma l’ordine non giunse mai a
destinazione; il breve messaggio fu ritrovato per terra il giorno
successivo da un montanaro di Forno, all’ufficiale portaordini non era
stato concesso ancora quel breve momento di vita per portare a termine il
suo incarico. Arrestati nel loro slancio offensivo e disperato per
superare l’accerchiamento, stremati dalle lunghe marce e dai
combattimenti, esauriti munizioni e viveri, i reparti italiani furono
costretti alla resa (i combattimenti isolati continueranno ancora per
qualche giorno a sud e a Nord per i reparti che non s’erano sganciati a
tempo, oltre alle vicende della 26° div. citate a parte).
Alle ore 16,30 del 6 novembre la battaglia di Pradis si era conclusa e
l’intera Val d’Arzino era caduta nelle mani dell’invasore. La battaglia di
Pradis e l’eroico comportamento delle due divisioni italiane furono citati
nel bollettino di guerra austriaco del giorno 8 novembre: “Presso Tolmezzo,
dietro al nostro fronte, un valoroso gruppo di soldati resistette parecchi
giorni contro gli attacchi avvolgenti dei nostri Schutzen e degli Jàeger
germanici”.
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