La storia è racconto attraverso i libri

I testi che accompagnano la presentazione sono in genere quelli diffusi dall'editore, dalla libreria o da critici che vengono indicati

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Lorenzo Del Boca

Grande guerra, piccoli generali

 

UTET Torino, 2007

Alla vigilia dello scoppio della Prima guerra mondiale, i più immorali pensavano soltanto di ricavare dei guadagni per potersi adeguatamente arricchire. Gli idealisti, invece, credevano di offrire all'Italia l'opportunità di conquistare peso e prestigio internazionale, in modo da restituirle quel ruolo che vagheggiavano ma che, dopo i fasti della Roma dei Cesari, era rimasto incartato nei libri della storia classica. Negli ultimi dieci anni, prima di quel 1914, i soldati erano cresciuti alle direttive del generale Paolo Spingardi, ottimo oratore parlamentare e del generale Alberto Pollio, ottimo scrittore. L'uno e l'altro - con tutto lo stato maggiore coltivavano il mito di Napoleone del quale leggevano con avidità biografie, recensioni, commenti strategici e valutazioni tattiche. Al momento dell'entrata in guerra, l'esercito italiano venne affidato a Luigi Cadorna che, se avesse ottenuto risultati proporzionali alla sua presunzione, avrebbe conquistato il globo terracqueo. I guai maggiori di chi combatteva per l'Italia vennero dagli stessi italiani che dimostrarono di non aver maturato alcuna idea e che, tuttavia, a quel nulla, si aggrapparono con convinzioni incrollabili. Si armarono di ordini assurdi. Pretesero di mandare le truppe all'assalto anche quando ogni logica l'avrebbe sconsigliato. Instaurarono un regime di oppressione che sarebbe risultato odioso per una qualunque dittatura. E provocarono la morte di un numero imprecisato di loro uomini. http://www.bol.it/home/hp 

  ...... Badoglio fu personaggio di rilievo per quasi tutto il secolo XX che attraversò, accumulando onori e stipendi. Ogni volta che lo si incontra, verrebbe voglia di impiccarlo all'albero della storia. Le sue piccinerie e, non di rado, le sue meschinità lo rendono caratterialmente disgustoso. La presunzione e, qualche volta, l'insolenza, con cui si presentava, obbligano gli studiosi a porsi una questione che resta senza risposta: come mai ottenne tante protezioni e tanta fortuna?
Era un mediocre che si alzava alle 7 del mattino, all'una si sedeva a tavola e alle 9 e 30 (di sera), cascasse il mondo, andava a letto. Stava un quarto d'ora a leggere, poi spegneva la luce e, come se avesse testato anche l'interruttore del suo cervello, si addormentava di scatto. Come a comando. Pranzava in 22 minuti poi, non importa chi avesse come ospite, si alzava e andava a passeggiare. I giornali, li guardava, distrattamente. Del resto, quanto capitava nel mondo lo lasciava del tutto indifferente. Badoglio si impegnò in un solo programma: la sua carriera. ... Le sue colpe era capace di farle ricadere sugli altri e dei meriti degli altri riusciva ad appropriarsene. Comandò i reparti che conquistarono il Sabotino ma il merito non era suo. Il progetto della battaglia era dovuto ai generali Montuori e Venturi e l'esito favorevole dello scontro dipese dal maggiore Pecorini, al comando dei «Lupi di Toscana». Strano battibecco, dopo la vittoria. Venturi voleva sottoporre Badoglio al giudizio della corte marziale perché, dopo lo scontro, se ne era andato, abbandonando il suo posto e perdendo l'occasione di sfruttare il successo. Capello lo promosse sul campo e, in seguito, quell'episodio gli valse il titolo di «marchese del Sabotino».
... Dopo ogni sconfitta, all'esito della quale Badoglio non poteva considerarsi estraneo, riusciva a scambiare il posto dell'imputato con quello del giudice. Decideva le sentenze, anziché subirle e si ritrovava a essere riconfermato negli incarichi che aveva malamente svolto. Anzi, promosso, decorato, ricompensato, caricato d'onori e considerazione. Che, in proporzione, aumentasse anche il disprezzo che lo circondava, gli interessava relativamente. Di difensori, infatti, ne aveva pochi e, come tutti i difensori delle cause perse, per aiutarlo, si trovarono costretti a giocare con le parole, arrampicarsi sui vetri, ingrandire il dettaglio, a costo di trascurare l'insieme della vicenda. Ai Savoia andava bene. Loro si tenevano sempre a disposizione un generale da poter utilizzare per gli affari sporchi. Badoglio occorreva salvarlo perché poteva servire per il «dopo». Untuoso e servile con il Mussolini presidente del consiglio al quale si rivolgeva con umida e ipocrita cortesia; codardamente ostile con quello che era stato disarcionato dal potere, dopo il 25 luglio (1943).
.... Ugualmente, la vigilia di Caporetto. L'attacco doveva avvenire sul fronte di Badoglio e lui ostentò una sicurezza criminale. «E chiel, l'on cà  fa chiel?» gli aveva chiesto Cadorna e lui, rispondendo in piemontese, lingua nobile nell'esercito sabaudo, dichiarò che si sentiva assolutamente a posto. Forse, si era dimenticato una cosa: preparare i campi di concentramento per gli austriaci che avrebbe catturato. Chissà se questa sicurezza gli veniva dall'imprudenza o dall'incoscienza. Lo spaccone assicurò: «ho tante artiglierie da sterminarli appena escono dalle trincee». In effetti, disponeva di 800 bocche da fuoco che potevano radere al suolo gli altopiani ma ordinò che nessuno sparasse perché, quell'ordine, voleva impartirlo lui personalmente. Però, non rimase in linea, a Ostri Kras, come sarebbe stato logico se voleva condurre personalmente le operazioni della battaglia. Si ritirò a Cosi dove aveva disposto il suo Q.G. Erano solo tre chilometri ma quando scoppiò la tempesta, anche quella distanza relativamente breve diventò insormontabile.
Cenò alla solita ora e, subito dopo, rispettando la routine alla quale si era abituato, andò a dormire. «Vadano pure a riposare, tranne chi è di turno di guardia». All'ufficiale di servizio le ultime disposizioni: «lei, vigili attento e, per qualunque cosa, sa dov'è la mia camera». Non c'era minaccia che potesse fargli rimandare il sonno. Anche l'8 settembre dormiva. «Non ci saranno problemi, sentenziò, la notte di Caporetto,  più collegati di come siamo noi...». Aveva il telefono ma non si era preoccupato di fare interrare i fili perciò le prime granate mandarono in frantumi gli impianti. Disponeva di «strumenti ottici» ma la nebbia che era calata impediva di vedere il proprio vicino. E se pensava di utilizzare i «mezzi acustici», prodotti dalle trombette bi e tri-tonali, il frastuono della battaglia impedì che quel flebile richiamo potesse essere percepito. Mandò dei messaggeri per portare ordini e ricevere informazioni ma vennero ammazzati dallo sbarramento degli austriaci. Restò muto, come un conferenziere che aveva perduto la voce.
.... Tracotante prima della battaglia, il generale si ritrovò annichilito. Qualcuno disse che, correndo per scappare, perse il cappello. Altri riferirono che i comandi austriaci avevano individuato la frequenza da dove partivano le sue chiamate, per cui erano in grado di bombardare in prossimità della sua auto, quando si spostava. Altri ancora assicurarono che si sedette su un masso, mormorando che non restava che aspettare i carabinieri che, certamente, sarebbero arrivati per portarlo in prigione.
Alcuni ufficiali lo videro mentre tentava di rimontare la fiumana dei soldati che si ritiravano. Cercava di fermarli per chiedere loro di tornare indietro. Estrasse la pistola perché i suoi ordini risultassero più efficaci. Un militare lo guardò di traverso, fece un gesto schifato, con il dorso della mano e gli sibilò un «ma va muri ammazzato...».
... La «19° divisione», comandata dal generale Giovanni Villani sopportò il primo urto, poderoso, degli austriaci e venne fatta a pezzi. Il comandante conosceva la debolezza del suo fronte ma aveva assicurato che i suoi uomini si sarebbero battuti fino alla morte. A cominciare da lui. «State certi – aveva assicurato al comando supremo – passeranno solo sul mio corpo». Villani fu uno dei pochi che mantenne la parola.
Tentò in ogni modo di venire a capo di una situazione che lo stava travolgendo. Corse, facendo la spola fra i reparti, come un ufficiale inferiore, e si rese personalmente conto che la sconfitta stava diventando una disfatta. Accanto a un posto di guardia che riteneva suo, sentì che i soldati armavano i moschetti. «Fermi, non sparate, siamo italiani..!». Spararono perché erano austriaci: erano già arrivati lì. Villani si ritirò nella casupola che utilizzava come ufficio e si sparò una rivoltellata. Poche righe per giustificarsi: «Non ce la faccio più... lascio ad altri l'incombenza di continuare...».
Si suicidò anche il generale Gustavo Rubin de Cervin. Non accettò che venisse messo in dubbio il suo onore di soldato. Badoglio l'accusò di avere ceduto sull'Isonzo «intempestivamente» e lo denunciò al generale Carlo Petitti di Roero. I due confabularono. C'erano gli estremi per la fucilazione immediata? Convennero che no ma fecero avviare le procedure per un processo che si sarebbe celebrato davanti ai giudici del tribunale militare. Un uomo onesto, trascinato a giudizio da un lestofante? Rubin de Cervin non accettò le decisioni che lo riguardavano. Fece chiamare il suo attendente e lo mandò da sua madre per comunicarle che il figlio era morto. Appoggiò la canna della rivoltella alla tempia e si fece saltare le cervella.

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