La storia è racconto attraverso i libri

I testi che accompagnano la presentazione sono in genere quelli diffusi dall'editore, dalla libreria o da critici che vengono indicati

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Gli scienziati del Duce

Il ruolo dei ricercatori e del CNR nella politica autarchica del fascismo
di Roberto Maiocchi, Carocci editore Collana “Studi storici” 2005,

 

Recensione a cura di Fausto D’Aprile

…. Tra le richieste che pervennero al CNR, di grande rilievo fu la lettera del Duce inviata il 6 marzo 1935 a Guglielmo Marconi. In essa Mussolini indicava quelli che in quel momento erano ritenuti i problemi autarchici più urgenti: problema del carburante nazionale (alcool, rocce e scisti, gassogeni, etc.); problema del tessuto nazionale; problema della cellulosa; il problema dell’utilizzazione dei combustibili solidi (carboni, ligniti, etc.,). Come è evidente, si trattava di una richiesta assai impegnativa alla quale il CNR diede subito una risposta con la massima mobilitazione scientifica. Ma, effettivamente, quali tipi di ricerche furono svolte su vasta scala dal CNR in quel periodo programmaticamente tutto orientato alla realizzazione del progetto autarchico? Pochissimo è stato scritto sul ruolo svolto dalla comunità scientifica nazionale nella definizione e attuazione del programma autarchico degli anni trenta. Dell’autarchia spesso si ricordano alcuni aspetti, legati anche a parte della nostra storia irrazionale, indici senz’altro di un regresso scientifico-tecnologico che allontanò l’Italia dalle nazioni più avanzate.
Il volume “Gli scienziati del Duce”, di Roberto Maiocchi – professore ordinario di Storia della Scienza all’Università Cattolica di Milano – affronta questo interessante tema ponendosi prima di tutto la domanda se l’autarchia fu sostanzialmente una creatura soltanto del regime fascista, indipendente o addirittura in palese contrasto con le idee professate dai ricercatori e dagli scienziati italiani, oppure le scelte del governo di allora furono in sintonia, almeno parziale, con quanto veniva scritto e pubblicato sulle nostre riviste e i programmi autarchici trovarono nella scelta italiana adesione e confronto? La mobilitazione della comunità scientifica per l’autarchia fu un evento improvviso, che determinò discontinuità nelle linee di ricerca scientifica consolidate, o nella scienza italiana dell’epoca è riscontrabile una corrente di pensiero che, di fatto, anticipò le scelte politiche del fascismo degli anni trenta? … Seppur parziale – considerata la vastità e la complessità della materia trattata – la ricerca di Maiocchi risulta preziosa in quanto concorre a ricostruire, tra l’altro, percorsi scientifici e professionali di quella parte di comunità scientifica coinvolta attivamente nella politica autarchica del regime.
 http://www.iss.it/binary/publ/publi/403rece.1107862269.pdf

     

 Fonte: R. Simili G. Paoloni - Per una storia del Consiglio Nazionale delle Ricerche - Editori Laterza dal sito http://www.cnr.it/sitocnr/IlCNR/Chisiamo/Storia/Storia.html 

  Subito dopo lo scoppio della grande guerra in molti paesi europei gli scienziati cercarono di dar vita ad organismi in grado di aggregare tutte le attività relative alle invenzioni e alla ricerca. Questo fenomeno riguardò in minima parte l'Italia (dove già la ricerca privata, se si esclude le Università, latitava). Solo nel 1916 venne costituito il Comitato nazionale scientifico tecnico per lo sviluppo e l'incremento dell'industria italiana (CNST con il compito di "stringere maggiormente i legami fra la Scienza e le sue applicazioni") e nel 1917 autorizzata una spesa straordinaria di 3 milioni di lire per "gli impianti e gli arredamenti degli Istituti Superiori di fisica, chimica e le loro applicazioni tecniche (D.L. del 25/11).
Attraverso queste iniziative cominciava a farsi avanti una maggiore sensibilità verso il tema della scienza, confermata dalla costituzione nel novembre del 1918 di un Consiglio Internazionale delle Ricerche (CIR), al quale l'Italia prese parte con Vito Volterra assieme a rappresentanti di Francia, Inghilterra, Stati Uniti e Belgio. Ma soprattutto da un decreto del 17 febbraio 1919, che istituiva una commissione "con l'incarico di preparare un progetto di costituzione del Consiglio Nazionale delle Ricerche", il quale in un articolo precisava che "il Consiglio Nazionale delle Ricerche deve avere per fine di organizzare e promuovere ricerche a scopo scientifico industriale e per la difesa nazionale, secondo il piano proposto dalle conferenze interalleate per la organizzazione scientifica tenute a Londra e a Parigi dal 26 al 29 novembre 1918. Con questo atto veniva sancito il punto d'inizio ufficiale del processo di costituzione del CNR, che si sarebbe concluso con l'emanazione del decreto del 18 novembre 1923. L'Italia dava vita con ben 16 anni di anticipo sulla Francia ad un ente di coordinamento e promozione della ricerca su scala nazionale.
    La ginestra (spartium junceum L.)

Secondo alcune stime dell'epoca, la produzione nazionale di ginestra si attestava intorno ai 7 milioni di quintali. I ginestrifici erano 61, di cui 9 in Toscana distribuiti tra le province di Firenze, Arezzo e Siena. In provincia di Firenze, per esempio, si ritrovano notizie su ginestrifici nel comune di Prato, Scandicci e Montelupo fiorentino. La fibra di ginestra era conosciuta e utilizzata non solo in Italia ma anche in Dalmazia, Albania, Grecia, Spagna e Francia. In Albania fino agli anni ’40 vi era la consuetudine di estrarre le fibre dallo Spartium Junceum nei villaggi di Gorishti, Kudhesi, Poci, Cemoktin, Varanishti, Kurveleshi, Golemi, Kallarati, Radhima. Tale lavorazione è di antica data in Albania, e questo è testimoniato da una tradizione storica secondo cui i soldati del grande skipetaro Castriota Scanderbeg (1414-1467), nella guerra contro i Turchi portavano i fucili assicurati a bandoliere intessute con fibre di ginestra e non in cuoio.

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  In altra parte del sito sulla seconda guerra mondiale abbiamo dato conto del procedimento di produzione del Lanital e degli sviluppi delle sperimentazioni sulle fibre di ginestra estraibili dai rametti detti vermene. La ginestra (spartium junceum L.) è nota fin dall`antichita` per il suo impiego come pianta da fibra. La stessa etimologia della parola greca “spartos” sta a confermare la tradizionale utilizzazione della fibra nella produzione di stuoie, corde, e manufatti vari. La ginestra è diffusa in tutto l’Appennino ed è identificabile nei dirupi per i suoi fiori gialli. Le piccole lavorazioni locali sono antichissime. A fine estate la gente si raccoglieva attorno ai fuochi per bollire e scorticare i gambi di ginestra. Non solo in Italia ma in tutta Europa la ricerca di fibre naturali ha incluso la ginestra fra i prodotti principe per la resistenza e flessibilità tanto da farla candidare alla sostituzione della antiecologica fibra di vetro (si fanno i pannelli delle autovetture). I sottoprodotti e altre caratteristiche cellulosiche la candidano per la produzione di pasta cellulosa. L’idea che poi la fibra possa essere usata solo per prodotti grossolani è sfatata sia dal passato, con prototipi di alta sartoria conservati nel museo di Castel Sant’Angelo a Roma che dalla disponibilità delle Sorelle Fontana alla creazione di nuovi articoli non appena sarà reso meno rigido e più fresco come il lino. Il momento di maggiore attenzione per questa pianta come fonte di fibra si verificò in corrispondenza del periodo autarchico e della successiva guerra mondiale. Discorso di Mussolini all’Assemblea Nazionale delle Corporazioni in Campidoglio: 23 marzo del 1936 (si tracciavano le linee della politica autarchica) “..La deficienza di talune materie prime tessili non è tuttavia preoccupante: è questo il campo dove la scienza, la tecnica e l’ingegno degli italiani possono più largamente operare e stanno, infatti, operando. La ginestra ad esempio, che cresce spontanea dovunque, era conosciuta da molti italiani soltanto perché Leopardi vi dedicò una delle più patetiche poesie: oggi è una fibra tessile che può essere industrialmente sfruttata…”. La scelta della ginestra fu condizionata dalla sua elevata disponibilità a livello spontaneo (si stima che ci fossero circa 300.000 ettari di ginestra) e dalle caratteristiche della sua fibra che ben si adattavano a sostituire la juta. Secondo alcune stime dell'epoca, la produzione nazionale di ginestra si attestava intorno ai 7 milioni di quintali. Le attuali ricerche svolte all’università della Calabria hanno messo in evidenza il problema della coltivazione a pieno campo e l’estrazione della fibra fatta col procedimento più breve e a minor impatto ambientale (maceratori a ciclo chiuso). Si tende quindi a escludere la macerazione coi sistemi tradizionali, possibile una volta solo per la frammentazione dei siti produttivi. Una nota marca italiana di automobili sulla scia dei grandi gruppi europei e americani sta sperimentando la grande produzione di ginestra e l’impiego industriale non solo in campo automobilistico. Le fibre potrebbero essere utilizzate nel settore tessile, cartario, della bioedilizia, della bioplastica, e in altri settori industriali. I fiori, inoltre, si possono utilizzare per i profumi, per la cosmetica e la medicina, mentre i residui della sfibratura possono costituire ottimi combustibili per le centrali a biomasse.
Per saperne di più:

http://www.lammatest.rete.toscana.it/lammatest/documenti/ginestra_manuale.pdf  manuale di coltivazione ….
http://pcm.dmti.unifi.it/aias/AIAS2006/CD AIAS 2006/lavori/Olivito_paper04 (1).pdf