La storia è racconto attraverso i libri

I testi che accompagnano la presentazione sono in genere quelli diffusi dall'editore, dalla libreria o da critici che vengono indicati

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Guerra in camicia nera

Giuseppe Berto

In un'intervista, durante un soggiorno italiano, Ernest Hemingway dichiarò di apprezzare moltissimo il lavoro di Berto. La cosa mandò su tutte le furie scrittori e critici d'Italia e rese la vita difficile allo scrittore veneto. Berto era sicuramente un antiletterato poco incline a compromessi, affermazioni di comodo, adesioni a questo o quel gruppo. Nella Roma intellettuale della dolce vita che vive nei caffè di Via Veneto, Berto preferisce frequentare Piazza del Popolo, il salottone borghese della Capitale. Sembra una sciocchezza, ma in quel momento chiamarsi fuori dal coro era un crimine.

Enfidaville 13 maggio 1943: Stamane il comandante ci ha mandato i distintivi M (battaglioni M l’elite delle Camicie Nere) e l’ordine di metterci la camicia nera. Bisogna presentarsi al nemico con proprietà e fierezza. E’ arrivato anche l’ordine di distruggere le armi, il carteggio e tutto ciò che possa essere di giovamento al nemico. …Cerco di immaginarmi come avverrà la resa. Ecco intanto sono giunto allo sbocco del canalone e alzo gli occhi: mi trovo davanti un gruppo di negri senegalesi, mi lasciano la rivoltella e mi sfilano l’orologio. Prima di sera ci troviamo rinchiusi: non ci danno da mangiare ma hanno promesso che ci daranno da bere. Senza data: C’era una strada che dalla riva del mare portava all’asfaltata. Era una strada piena di buche e di sabbia, che aveva ai lati siepi di fichidindia e poi orti con olivi e qualche casa araba. Sulla strada andavano gli autocarri, carichi di prigionieri che venivano trasferiti ……Sopra gli autocarri c’eravamo noi prigionieri, pressati gli uni agli altri, e guardavamo il mondo attraverso la polvere. Il mondo entrava in noi e faceva un po’ bene, e anche un po’ male, ora che non potevamo possederlo, se non per quel tanto che entrava attraverso gli occhi….eravamo ansiosi di andare avanti. Un prigioniero nuovo è sempre ansioso di andare avanti, se non altro, per vedere cosa succederà dopo. Avevamo fretta di arrivare all’asfaltata per capire dove ci avrebbero portati. .. si poteva girare a destra o a sinistra. A destra c’erano Tunisi e Algeri e Casablanca e poi l’oceano e il Canada, forse gli Stati Uniti. A sinistra poteva portare all’altra parte della terra….. India o Australia. Voltarono a sinistra e cominciarono a correre veloci sulla strada senza più buche nè sabbia. ... un crocevia .... le prime case della città, gente venne sulla strada, non arabi, cominciarono a raccogliersi e a dirci qualche cosa nella loro lingua e a fare verso di noi gesti per insultarci. C’era una ragazza, un po’ più avanti sulla strada, in disparte che non faceva ne diceva niente. L’autocarro d testa non rimase fermo a lungo. Passato qualche minuto, l’autista ingranò la marcia e partì. Allora la ragazza vestita di celeste salì sul gradino della fontana, s’irrigidì sull’attenti e alzò il braccio nel saluto romano….. la sera ci misero dentro certi baraccamenti e là dopo aver mangiato ci sdraiammo sul pavimento di cemento. Molti in attesa del sonno, parlarono della ragazza. Ne parlarono con quel senso di vergogna che lei ci aveva fatto provare, per aver perduto dopo che le avevamo insegnato ad aver fede in quel gesto che lei continuava a fare anche dopo che noi avevamo perduto. Poi col tempo dimenticammo il senso di vergogna. Dovemmo fare un lungo cammino, prima di poter tornare a casa. E mentre il tempo passava, noi perdemmo la vergogna di aver perduto. Ci parve anzi di aver fatto abbastanza per non perdere. E nei confronti della ragazza vestita di celeste ci sentimmo meno responsabili di tanti altri. Il suo gesto rimase nella nostra memoria, ma spoglio di qualsiasi carattere di lotta e di resistenza, come un atto di bontà pura. E così lo ricordiamo con riconoscenza, perché poi non ci accadde di trovare molti altri atti di bontà nel nostro lungo cammino

VI BTG CC.NN.
Giuseppe Berto, dedica il libro a questo battaglione a cui apparteneva e al X M Voghera poi fusosi. Così la testimonianza del saccheggio del 19 gennaio 1943 ai magazzini di Tripoli.

Abbiamo passato la notte in piedi,... quelli della Spezia (divisione) se ne sono andati. Il magazzino di Miani (generale della riconquista libica) è costituito da una ventina di capannoni. Quando vi arrivai il saccheggio era ormai giunto ad uno stadio avanzato: parecchi capannoni già bruciavano, una folla di civili, arabi e militari correva ad arraffare caricando autocarri, cammelli e carretti di farina, zucchero e altro. Io mi preoccupai della mia ulcera che aveva bisogno di latte. Al capannone dei medicinali non ne trovai, ma nel cortile un camion senza benzina aveva il cassone pieno di latte in polvere condensato. Barattai 29 litri di benzina con 24 scatole. In un altro capannone evitammo gli spari dell'ultimo soldato che rispettava la consegna e caricammo sullo Spa 38 zucchero, pasta, riso, conserva e marmellata.....


*Dante Troisi, magistrato, nel 1955, in un libro (Diario di un giudice) sfoga la sua crisi di coscienza di fronte a una missione che il sistema ha ridotto a mestiere, routine, macchina burocratica che non dà giustizia, ma ingiustizia. Moro, allora guardasigilli, lo trascina davanti alla Corte disciplinare presso la Cassazione (il Csm, non c'era ancora) per aver "leso l'onore e il prestigio della magistratura" con le sue aperte dichiarazioni. Alessandro Galante Garrone (ex partigiano) recensisce il suo libro sulla Stampa, poi si offre coraggiosamente di difenderlo ma mon gli schiva l'ammonimento, poi la censura.

Giuseppe Berto nacque a Mogliano Veneto, in provincia di Treviso, il 27 dicembre 1914, secondo di cinque figli. Il padre, un carabiniere in pensione, e la madre, che gestiva un negozio di abbigliamento e cappelli, lo avviarono agli studi classici prima nel Collegio dei Salesiani e poi al Liceo statale di Treviso. Dopo la maturità si arruolò nell'esercito, contemporaneamente si iscrisse alla Facoltà di Lettere all'Università di Padova, dove, in verità, non trasse grandi profitti dagli studi universitari, nonostante i suoi Maestri fossero personaggi come Concetto Marchese e Manara Valgimigli. Partecipò alla guerra di Abissinia, nel 1935, e combattendo come sottotenente in un battaglione di truppe di colore si guadagnò un paio di medaglie al Valore Militare e qualche ferita ("con tutte quelle guerre che c'erano in giro sognavo solo di morire per la patria sui campi di battaglia. Non è colpa mia, è un dato anagrafico"). Tornato in patria, nel 1939, riprese gli studi e si laureò abbastanza in fretta, anche per la benevolenza di certi esaminatori che gradivano il fatto che si presentava agli esami in divisa, ostentando le decorazioni al Valore Militare. Dopo la laurea  insegnò, prima Latino e Storia in un Istituto Magistrale, poi Italiano e Storia in un Istituto Tecnico per Geometri, ma ben presto lasciò l'insegnamento e si arruolò  nel VI Battaglione Camicie Nere della Milizia volontaria per la Sicurezza Nazionale, inviato a combattere in Africa Settentrionale. In Africa nel ‘43, viene fatto prigioniero dalle forze alleate e rinchiuso in un "fascist camp", nel Texas. Ebbe compagni di prigionia Dante Troisi*, Gaetano Tumiati e Alberto Burri, che lo incoraggiarono a scrivere, nella rivista "Argomenti", "un bel pezzo di prosa ritmica, dannunziana da cima a fondo, dove esaltava la vicenda delle stagioni  al suo paese". Qui redige le pagine di alcuni testi, tra le quali quelle del racconto lungo edito nel ‘48 "Le opere di Dio", che preludono al vero e proprio romanzo d’esordio "Il cielo è rosso" (1947) vicende di guerra narrate senza abiurare il passato fascista, seguito quattro anni dopo da "Il brigante". Lascia quindi l’insegnamento per dedicarsi interamente alla scrittura. L’emarginazione del diverso da parte di intellettuali di provata fede alla lunga lo porta in depressione. Ma Berto gridava: "Sono stato fascista come tanti altri. Non sono stato abbastanza perspicace per afferrare, da giovane, tutto il grottesco del fascismo: mi ci è voluta la guerra per aprire gli occhi. Sono un isolato. Non sono fascista, ma non sono nemmeno antifascista. Sono venuto qui per difendere il mio diritto di non essere perseguitato come fascista soltanto perché non voglio dichiararmi antifascista". Prima però riesce a collaborare alla sceneggiatura di "Anna" portata sul grande schermo da Vittorio Gassman, Silvana Mangano e Raf Vallone e diretta da Alberto Lattuada nel 1952. Testimonianza di questo periodo furono i volumi “Guerra in camicia nera” (1955) e “Un po' di successo” (1963) ma il lavoro che meglio espresse questo periodo fu senza dubbio il capolavoro Il male oscuro (1964). Il romanzo non è altro che la storia della sua crisi interiore e psicologica narrata in prima persona dallo scrittore e acuita dalla morte del padre. Il romanzo è un lungo monologo quasi del tutto privo di punteggiatura dove sono evidenti i modelli narrativi di Svevo (Senilità) e Gadda (La cognizione del dolore, da cui è tratto il titolo) ma soprattutto di Joyce e del suo "flusso di coscienza". Con "Il male oscuro" (1964) vince i premi Viareggio e Campiello; successivamente, firma il romanzo per ragazzi "La fantarca" (1965), l’amaro "La cosa buffa" (1966), il celeberrimo "Anonimo veneziano" (1971), l’ironico "Oh, Serafina!" (1973) e la raccolta - uscita postuma - "Dialoghi col cane" (1986). Da segnalare, pure, il pamphlet provocatoriamente conservatore "Modesta proposta per prevenire" (1971). Muore a Roma nel 1978 ed è sepolto a Ricadi in Calabria.
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