La storia è racconto attraverso i libri
I testi che accompagnano la presentazione sono in
genere quelli diffusi dall'editore, dalla libreria o da critici che
vengono indicati |
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Mario Rigoni Stern
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Il Sergente nella Neve "Il sergente nella neve" è uscito per la prima volta nel 1953, nei «Gettoni» diretti da Elio Vittorini. Inizialmente apprezzato soprattutto per il valore della testimonianza, il romanzo ha mostrato le sue grandi qualità espressive con la progressiva distanza temporale dai drammatici avvenimenti raccontati. Per la lingua intensa e sempre concretissima, per l'alta moralità di fronte a esperienze estreme, per la totale mancanza di qualsiasi enfasi retorica è ormai giustamente considerato un classico del Novecento. Oggi, a quasi 50 anni dalla pubblicazione, questo celebre resoconto di un semplice sottufficiale alpino che si trova a combattere nel settore centrale del fronte russo, proprio quando l'esercito dell'Unione Sovietica sferra il suo potente attacco demolitore, acquista rilievo speciale. Man mano che i fatti narrati si allontanano nel tempo, il diario del sergente diventa piú intenso e assume i caratteri dell'esperienza perenne. La testimonianza scritta, rispetto agli eventi storico-geografici da cui è scaturita, intrattiene lo stesso rapporto che potremmo supporre fra la moneta e il suo conio. Proprio questo realismo integrale, non cronachistico, né stemperato in una cosmesi elegiaca, ci autorizza a inserire Il sergente nella neve nei ruoli della grande e nobile tradizione del romanzo novecentesco, le cui opere volano alte, come classiche coppie di colombi, sulle macerie della seconda guerra mondiale, alimentando la speranza di chi non rinuncia a credere nelle ragioni dell'uomo.... Dalla postfazione di Eraldo Affinati 2001 Supercoralli EINAUDI pp. 146 |
"Nemico": una parola assente | |
Intervista di Elisabetta Menetti a MARIO RIGONI
STERN da Griseldaonline il 9 giugno 2005 Università degli Studi di Bologna |
Il nemico è una parola che non uso. Ne Il Sergente nella neve la parola “nemico” non c'è: parlo di “russi”, dico “loro” ma “nemico” mai. Per me quelli non erano nemici: quando ero in Grecia o sul fronte francese o in Russia non li consideravo nemici. Il nemico bisogna conoscerlo, bisogna sapere cosa ti ha fatto. Il nemico è uno che ti ha offeso o uno che ti ha fatto del male. Ma loro non mi avevano fatto niente, non mi avevano offeso e allora la parola nemico nei miei libri non c'è."….Ai nemici si può chiedere permesso: durante la ritirata di Russia (Il sergente nella neve) il sergente maggiore Rigoni chiede di entrare in un'isba, si siede a tavola e condivide con i russi una zuppa. “E' stata una cosa naturale in quanto non erano nemici: erano persone che stavano mangiando perché avevano fame e io sono entrato a chiedere del cibo e me lo hanno dato. Una cosa molto semplice da spiegare. Me lo ha fatto notare un mio amico che era insegnante in un liceo e che leggeva ogni anno (alla fine del quarto anno) il Sergente e che si è accorto di una cosa molto semplice. Si è accorto che ho scritto: “Busso ed entro”. Il fatto sta in quel “busso”, perché io ho chiesto di entrare come si fa in una casa di un vicino o di una persona comune: si bussa e si chiede il permesso. E dal momento che si chiede il permesso uno non entra per far del male o per far violenza. Se entra chiedendo permesso entra per essere ospite. Loro lo hanno capito. Sono entrato solo per chiedere qualcosa: ho chiesto da mangiare. E la signora, una giovane sposa russa, ha preso un mestolo di minestra dalla stessa pignatta dove mangiavano i russi e me lo ha dato. Ho ringraziato, ho salutato e sono uscito”… C'erano alcuni, qualche raro italiano, ma spesso molti tedeschi che quando entravano in un' isba tiravano un calcio alla porta e buttavano una bomba a mano. E i nostri compagni se non buttavano la bomba a mano entravano e cercavano da mangiare in maniera violenta: non uccidevano ma aprivano con dispetto i cassetti di qualche tavolo, guardavano se c'era qualche cosa da mangiare in maniera sgarbata. Ma per me è stato diverso: quando ero bambino mia madre mi ha insegnato che davanti ad una porta chiusa si chiede il permesso.” |