IL CINEMA POSTBELLICO
I RECUPERANTI di Ermanno Olmi |
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L'or dans la montagne, Els Recuperadors,
The Scavengers Soggetto e sceneggiatura: Tullio Kezich, Ermanno Olmi, Mario Rigoni Stern CAST Antonio Lunardi Andreino Carli Alessandra Micheletto Pietro Tolin Marilena Rossi Ivano Frigo Oreste Costa Mario Covolo Italia 1970 Fotografia e montaggio: Ermanno Olmi Musiche: Gianni Ferrio |
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Trama
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Gianni, finita la guerra, torna al suo paese, dopo aver partecipato alla campagna di Russia. L’altopiano non è più lo stesso i giovani emigrano e lo stesso suo fratello è in partenza per l’Australia. Gianni fatica a trovar lavoro e dopo una prima occupazione in una segheria abusiva incontra una sera il vecchio Du, che in evidente stato di ubriachezza si mette a straparlare, dicendogli anche come si guadagna da vivere, ovvero recuperando i residuati bellici metallici della Grande Guerra e rivendendoli. Gianni conosceva da piccolo queste persone che considerava pazzi ma se si vuole sposare con Elsa, che lo ha atteso per 3 anni, o l’emigrazione o questo. Du, vive solitario e felice fra le montagne e gli prospetta la possibilità di un buon guadagno: la vendita del materiale ai grossisti che vengono dalla città porta un discreto guadagno. Dapprima scettico ed esitante, Gianni segue le operazioni del vecchio più per fare qualcosa che per convinzione. Uscita dopo uscita si rende conto che il vecchio ha le sue ragioni e il suo ritorno. Gianni allora impegna la sua indennità di buonuscita comprando un metal detector, che riesce a fargli scoprire maggiori quantità di materiale. L’unica ora ad opporsi è Elsa e al primo incidente, non suo, lo spinge a lavorare in un cantiere edile mentre tutti continueranno a prendere in giro il vecchio Du. | |
... Un pomeriggio di quella
estate, sul tardi fu udita un’esplosione dalle parti del Monte
Forno. Solo i recuperanti esperti capirono che non era stata
preparata con arte, come quelle che tanti facevano nelle
gallerie rompendo con il tritolo le bombe inesplose, causando n
rumore quasi mai deflagrante ma attutito, morbido, non come
questo, secco e violento seguito da uno strano silenzio su tutte
le montagne. Subito la notizia che due amici di un paese vicino
erano stati dilaniati da una grossa bombarda che volevano
disinnescare, passando di bocca in bocca raggiunse i
recuperanti, i pastori, i mandriani e ogni contrada e finché
nelle case ognuno non vide tornare i propri congiunti non ci fu
fine all’ angoscia. Quando poi si seppe chi erano quei due, le
donne si riunirono davanti alle cappellette delle contrade per
dire il rosario e le litanie ora pro eis e non ora pro nobis.
Tutti i recuperanti andarono ai funerali dei due amici e i più
vicini di casa portarono le due casse sulle spalle dalla chiesa
al cimitero. Ma erano leggere Quelle casse perché i due corpi si
erano sparpagliati tra i mughi, i rododendri e le rocce, e ben
poco si poté raccogliere. Non tutti lo sapevano, ma quelli che
ne erano a conoscenza durante la cerimonia pensavano anche a
quante migliaia di soldati avevano fatto la stessa fine e la
dicitura "disperso" aveva chiuso la partita della vita tra il
Distretto militare e la famiglia. E quanti recuperanti, quanti ,
ancora, sarebbero finiti così.(Mario
Rigoni Stern, Le stagioni di Giacomo, Torino 1995)
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La prima grossa disgrazia a Canove avvenne nel 1920…Da
allora non si contarono più le disgrazie che provocarono
mutilazioni e morti. Da questi tristi fatti il recuperare
residuati andò scemando fino al 1930 quando, forse per la grande
crisi del 1929, c'era necessità di reperire materie prime. Il
rialzo dei prezzi e la difficoltà di trovare occupazione,
riproposero il mestiere del recuperante che, attraverso le
disgrazie, si andava affinando e divenne un lavoro. Il
recuperante partiva da casa armato di piccone e vagava per prati
e pascoli, per boschi e valli;ogni tanto sostava, guardava il
terreno e, scelto il luogo, incominciava a scavare, osservava il
terriccio, annusava la punta del piccone e decideva se
continuare a scavare oppure no. Ma se continuava il lavoro di
scavo, certamente uscivano dal terreno bombe intere o in
frammenti… I recuperanti lavoravano quasi sempre isolati,
raramente in coppia: solo se rinvenivano qualche zona molto
ricca di materiale si associavano. Erano gelosi del proprio
bottino giornaliero. Parlavano con rara competenza di granate
italiane, tedesche , francesi ed inglesi con tutti i loro
calibri e funzioni: schrappnel a sferette di piombo (mml.10) o
di ghisa, dirompenti, perforanti, incendiarie , a gas e le
maledette a Yprite. Un buon guadagno era frutto delle corone di
rame di forzamento delle bombe da cui, venivano divelte a
scalpello e martello. Un grosso problema era dato dalle bombe
inesplose che non si potevano vendere. Allora escogitando una
tecnica particolare per cui, con una carica di esplosivo
sistemata sulla bomba in quantità e posizione adeguate,
riuscivano a spaccare la bomba senza farla esplodere (in gergo
“brillare”. Necessariamente questo lavoro lo facevano in grotte
, caverne e ruderi, perchè c'era sempre il pericolo che qualche
bomba brillasse provocando il danno di un colpo di cannone di
quel calibro ed anche più perchè è notorio che l'esplosivo
invecchiando diventa “irrequieto”e scoppia con facilità e con
maggior potenza. Nel 1935-1936 a causa delle sanzioni per la
guerra di Etiopia, la ricerca di residuati di guerra si
intensificò ulteriormente, i recuperanti demolirono dei
fortilizi per recuperare anche le putrelle ed il ferro da
cemento armato. In quegli anni a Canove successe un fatto
significativo:un squadra di recuperanti del paese volle
recuperare le monumentali corazze del Forte Verena, divelte dai
bombardamenti austriaci e precipitate nei sottostanti roccioni,
non per venderle, ma per sistemarle nella piazza del paese a
lato del monumento ai caduti . Quando le bellissime corazze
erano giunte in piazza a Canove, per la faccenda “Oro alla
Patria “, vennero degli specialistiche con la fiamma ossidrica,
le ridussero in pani maneggevoli e se le portarono via. Dopo la
guerra (40-45) dai campi ARAR saltarono fuori i ricercatori
magnetici o cercamine americani ed i recuperanti muniti di
questa novità ripresero il lavoro con più lena. Con questi
rilevatori, impropriamente battezzati RADAR, si perlustrava il
terreno e quando l'apparecchio passava sopra a metallo sepolto
emetteva un suono in cuffia, ma faceva scavare anche per una
scatoletta vuota. Allora i recuperanti impararono a riconoscere
la qualità del fischio per individuare la presenza dei vari
metalli e la loro consistenza. Non tutte le bombe potevano
essere rotte con l'esplosivo ed allora qualche sconsiderato,
pazzo o coraggioso, tentava il disinnesco tecnico che consisteva
nello svitare la spoletta od il culatte contenente il
detonatore, operazione resa difficile dalla ruggine. A volte
andava bene e si recuperava la bomba intera con l'esplosivo
interno, ma a volte l'uomo volava in cielo con la nuvola dello
scoppio. Ultimo atto del recupero: fino al 1950 -1960 e oltre,
tutti boscaioli, i cavatori di marmo, i contadini e tutta la
popolazione ha goduto di attrezzi di lavoro come segoni a mano,
badili, picconi, accette, mazzuoli,stampi da mina, carriaggi e
filo spinato per delimitare le proprietà, elementi componibili
di baracche canadesi, paletti di ogni genere a T a L a coda di
porco, provenienti dal recupero. Impensabile la quantità di
paletti, di canne di fucile e di mitragliatrice finita per
armare il calcestruzzo per architravi di porte e finestre. E
quanti fucili furono “trapanati” cioè maggiorati di calibro, per
renderli fucili da caccia cal. 32 e cal. 28, specialmente il
“Manlicher” austriaco. http://www.anacanove.it/museoguerra/UserFiles/File/alpini2_0.pdf?PHPSESSID=147746754528dff8bc695eb48cfd118d
Estratto
da Museo della Guerra di Canove Associazione
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