LA GUERRA E IL CINEMA Le rose del deserto di Mario Monicelli |
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Regia Mario Monicelli
Scenografia Lorenzo Baraldi
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Interpreti
Alessandro Haber
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TRAMA Una sezione sanitaria dell'esercito italiano si accampa nell'estate del 1940 a Sorman, una sperduta oasi nel deserto della Libia. La guerra lì appare assai lontana e il maggiore comandante passa il tempo a scrivere appassionate lettere d'amore alla sua giovane moglie Lucia. Nel campo c'è un'aria rilassata finché un frate italiano che vive sul posto non coinvolge i militari nel soccorso della popolazione locale che ha molto bisogno di cure mediche. Si sparge ben presto la voce della loro capacità e disponibilità per cui la spedizione militare sembra trasformarsi in una missione umanitaria. La situazione della guerra nell'Africa settentrionale però a un certo punto cambia bruscamente. La corsa vittoriosa verso l'Egitto delle truppe comandate dal generale Graziani viene arrestata dagli inglesi e si trasforma in una fuga precipitosa. Il campo di Sorman viene invaso prima dai soldati in fuga poi dai feriti. Quando le sorti degli italiani stanno per precipitare arrivano in soccorso i tedeschi ma poi tutto precipita di nuovo e il campo deve essere abbandonato. L'avanti e indietro nel deserto caratterizza infatti la parte finale del Film. Nell'ultime scene, proprio in una di queste ritirate strategiche, il maggiore si accorge di aver dimenticato nella tenda le lettere della moglie e torna indietro per recuperarle ma viene ucciso da un predone. http://it.movies.yahoo.com/5/0/46750.html |
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locandine e immagini se presenti sono tratte da |
http://film.spettacolo.virgilio.it/cinema/scheda.php?film=14318 |
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QUESTO FILM HA OTTENUTO DALLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI - DIPARTIMENTO DELLO SPETTACOLO - IL RICONOSCIMENTO DI FILM DI "INTERESSE CULTURALE NAZIONALE". Nove sono stati i film approvati e finanziati, dalla Sottocommissione Cinema del Ministero per i Beni e le Attività culturali, nella seduta del 28 febbraio, dopo l’approvazione della legge sul cinema del 22 gennaio 2004 n. 28, fra questi "le Rose del Deserto" |
PRIMA DEL FILM «Le rose del deserto» sono la seconda trasposizione, si spera più
felice della prima del «Scemo di guerra” di Dino Risi, tratto dal romanzo di
Mario Tobino «Il deserto della Libia» «Compatibilmente con la mia età mi
sento pronto a girare subito, ma le riprese inizieranno verso la fine
del 2005 per ragioni climatiche e organizzative»
spiega Monicelli alla
vigilia dei sopralluoghi africani per il nuovo film da lui sceneggiato
con Alessandro Bencivenni e Domenico Saverni.
«Sceglierò gli ambienti in Marocco, in Tunisia e in Libia, un paese che
conosco bene perché nel 1938 avevo girato lì come assistente alla regia
di Augusto Genina "Squadrone bianco". "Il deserto
della Libia" è una mia fissazione personale. In questo romanzo-diario Tobino rievocava la sua esperienza di guerra nel deserto fino all’arrivo
di Rommel. Il libro mi affascinava per il suo paesaggio misterioso, i
rapporti infidi con gli arabi, ma soprattutto per le sue qualità
letterarie.... Al centro della storia c’è un’unità
sanitaria italiana lasciata all'avventura, "sballottata" qua e là con
la sensazione di abbandono, ozio ed inutilità» |
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Mario Tobino - Il Deserto della Libia “La natura aveva invincibile dominio. Ogni soldato, dentro e fuori l’assedio, nella sua tenda, nella sua buca. Uscivano poi con gli occhi cerchiati. La fantasia in quel deserto, sotto quell’immobile fuoco, dentro l’umido fumo della tenda, sradicava tutti gli ormeggi; l’uomo era vivo per quella, non aveva affetti, parvenze di ricordi, non futuro, né vittoria o sconfitta; viveva la fantasia; si muovevano dentro le tende immagini delittuose e sensuali, cosce lucide e sudate, teste tagliate, quasi immobili danze, cavalli che alzavano la pancia bestiale, seni strappati, un momento prima candidi; giovanette” Gli eventi differenti narrati sembrano essere stati scelti a caso, appaiono privi di significato e senza una direzione definita: le frasi di Tobino sono come pensieri di parole o poesia in prosa. In Tobino il discorso sembra spezzettato e ciò lo aiuta ad enfatizzare, in brevi frasi, la tensione lirica come fosse una rapsodia, dandogli il tempo per concentrarsi sulla realtà: “Mancò la libertà. Fu impossibile amare. E nonostante tutto la vita era bella. Siamo soldati senza bandiera”. Il tenente Marcello, in questo, recita la parte del cantastorie. Egli si eleva rispetto agli altri nella posizione di chi sembra conoscere la verità; è il solo che possa raccontare e testimoniare che alla fine quei miserabili soldati sono stati degli eroi: “Eppure ci furono anche in Libia gli eroi, candidi, soldati, umani. Chi non abbandonò l’amico, chi morì per nulla, sapendolo. Puro gesto senza ideale, se non quello umano, gentile, nello specchio del destino che lo guardava. Senza fiamma alcuni furono eroi. Si vide anche cosa poteva dare un uomo senza patria, vilipeso, afflitto per venti anni da una bestiale tirannia, eppure rimanere ancora gentile. Quando essere davanti alla morte, sfumare l’odio, ed essere uomini che hanno un destino, e solo quello. Un nobile soldato senza bandiera; non c’è di più triste; e che una bandiera non si può fare. Eppure ci furono” ( IDL, p. 207 ). http://www.unisa.ac.za/default.asp?Cmd=ViewContent&ContentID=7282 |
CRITICA 'Le rose del deserto' è un film sbrigativo e piacevole nonché corroborato da qualche interpretazione eccellente. Conta poco, in questa sede, mettersi a disquisire sull'eredità della commedia all'italiana e sulla sua continuità attraverso i tempi: estraneo come pochi al cerimoniale critico e alle regole del cinema di nicchia, il giovane 91enne punta dritto al pubblico con lo spirito del valente artigiano sprovvisto d'ingombrante e magari indesiderato budget. (la trama) …una piccola comunità di "italiani brava gente" che, sempre malistruiti, malequipaggiati e malcomandati, cercano di sopravvivere alle follie guerresche aggrappandosi a un pragmatismo per 1/3 comico, 1/3 eroico e 1/3 imbelle. 'Le rose del deserto' funziona sino a quando il piglio monicelliano resta, appunto, stravagante, grottesco, vitalistico, bruscamente anacronistico e paradossalmente nostalgico; cala, invece, di brutto quando prevale lo script, firmato da Bencivenni & Saverni, infarcito di tiratine moralistico-attualistiche: gli sberleffi sulla democrazia da imporre con le baionette, sui tabù erotici islamici, sulla vocazione alla Gino Strada di padre Simeone o sul buffonesco cammeo del generale ultrafascista assegnato allo studioso Tatti Sanguineti." (Valerio Caprara, 'Il Mattino', 2 dicembre 2006) Gli italiani in Libia nel 1940-41 come
gli americani in Iraq nel 2003? Suvvia, non scherziamo. Invece Mario
Monicelli, scopertosi comunista in tarda età, sguazza nell'affondo
satirico/progressista. Tanto da far dire al maggiore medico Alessandro
Haber, più preso dalle lettere d'amore alla moglie che dalla guerra
contro gli inglesi: «Non siamo venuti qui per opprimere, ma per portare
un po' di democrazia e di benessere». Nessun ufficiale del Regio
esercito avrebbe pronunciato una simile bestialità; ma Monicelli non si
discute, infatti giornali e tv si sono prostrati come tappetini davanti
al "venerato maestro" che firma il suo 65esimo e poco memorabile film.
In realtà, l'uomo, spiritoso e cinico come pochi, ha smarrito lo sguardo
del cinema. I soldi a disposizione saranno stati pochi (ma non
pochissimi, visto che lo Stato vi ha messo due milioni di euro), e però
il difetto sta nel manico: Le rose del deserto suona antiquato
nell'impianto, nell'incedere del racconto, nel ricorso farsesco alle velocizzazioni da cartoon, nella dotazione delle comparse, nel
doppiaggio dei tedeschi, nelle strizzatine d'occhio musicali a L'armata
Brancaleone (ma era il 1966!). Dovevano essere rose, ma non sono
fiorite. Da Ciak gennaio 2007 È un film «le rose del deserto» che a saperlo leggere bene è un vero tesoro. Da Il Manifesto, 1 dicembre 2006 (il film non ha praticamente circolato nelle sale cinematografiche uscendo in videoteca dopo poco più di un mese) |
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Passi da una intervista a Mario Monicelli
Che cosa c'è del libro di Mario Tobino nel film? |