LA GUERRA E IL CINEMA
L'ultimo giorno di scuola prima delle vacanze di Natale di Gian Vittorio Baldi |
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e le corriere mattatoi
Soggetto e sceneggiatura: G. V. Baldi; direttore fotografia: Emilio Bestetti; montaggio: Cleofe Convers scenografia: G. V. Baldi; arredatore: Andrea Montuschi direttore produzione: Franco Casati; aiuto regia: Mario Garriba assistente regia: Thomas Cadieux; operatore: Giorgio Aureli assistente operatore: Adolfo Bartoli, Franco Sterpa
truccatore: Maurizio, Massimo Giustini |
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TRAMA: Inverno 1944 Appennino toscoemiliano (Senio, Lamone). Due brigatisti della G.N. Repubblicana (Capolicchio, Steiner) e un'ausiliaria (Méril), in fuga, prendono possesso di una corriera che arranca lungo la montagna col suo carico umano sfinito dalla guerra e ne uccidono ad uno ad uno tutti i passeggeri (alcune donne, due uomini oltre l'autista e uno studente di povera famiglia, Athos), compreso lo studente al suo ultimo giorno di scuola prima delle feste di Natale. È un viaggio allucinante, nel gelo dell’anima e del rancore che questi perdenti nutrono nei confronti ormai di chiunque nel disperato tentativo di guadagnare le alpi e trovare rifugio in una virtuale accogliente Svizzera. Per liberarsi dei testimoni dei loro delitti, o soltanto per cupa voluttà distruttiva, i tre infatti procedono all’eliminazione dei passeggeri: li fanno spogliare, ne saccheggiano le poche gioie che hanno, li falciano col fuoco. Quando viene il turno di Athos, sembrano in dubbio: uno dei brigatisti, il muto, mostra di simpatizzare con lui, l’ausiliaria cerca di convincerlo a passare dalla parte dei fascisti. Lo spaventato, l'impressionato Athos tenta invece di fuggire fra i campi. Il muto lo insegue, lo ammazza, e dopo averlo denudato lo spinge in un torrente. La corriera riprende la corsa e scompare nella nebbia: finirà in bocca ai partigiani. As the movie rolls on and the Swiss's border approaches, the three kidnappers decide to kill their hostages anyway: one by one they're picked up and executed and, at the end of the movie, the three villains arrive at the border...but all the area has been already taken under control by the partisans.... "The last day of school before the Christmas' holidays" is a small, rare and raw documentary about cruelty of the war, especially civil ones (expecially Italy's civil war, very often ignored by researchers and film makers). |
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Dalla voce stessa dell'autore “L’ultimo giorno di scuola prima di delle vacanze Natale” non si propone alcuna tesi, né esplicita né nascosta. È come la rosa, un film chiuso in sé e conoscibile solo attraverso se stesso. Quanto e dove promuova e affermi tesi non è giudicabile in base a quelle, che restano in sostanza estranee alla (eventuale) natura poetica dell’opera e che, semmai, testimoniano la propensione dell’autore a una determinata ideologia o, riduttivamente, a una determinata politica. L’antifascismo non è una ideologia e nemmeno una politica. E' stato, e torna oggi a essere, un sentimento (risentimento), un moto dell’animo comune a più classi sociali ma più vivo e più spontaneo presso i ceti più poveri: contadini, operai, popolo insomma. Di questo ho parlato (se si vuole, ho tentato di parlare). Dunque apologo o cronaca? Non quest’ultima, poiché la storia è frutto di fantasia; non il primo, del quale manca al mio discorso il necessario carattere indiretto. I personaggi del film sono dilatati come da una lente di ingrandimento che venga posata sul particolare di un ricordo. Lo ingrandisce ma lo riporta più vero davanti ai nostri occhi, e più presente. Il film è soprattutto questo: il volto angosciato di un ragazzo in attesa dell’esecuzione sotto i mitra dei nazifascisti (ognuno di noi ha visto una foto come questa). Un ragazzo di cui non sappiamo nulla e di cui non sapremo mai nulla. La storia del film vuole essere la storia della Resistenza italiana vista attraverso gli occhi di un ragazzo alle soglie dell’adolescenza, ma con la rassegnazione e la maturità di un adulto.
L’azione si svolge nel periodo che va dal ‘43 al ‘44, tra l’avanzata delle truppe alleate da una parte, e la repubblica di Salò dall’altra. Gli anni del ginnasio e del liceo sono abitualmente gli anni della presa di coscienza, gli anni delle scelte; i ricordi sono quelli che non si cancellano più e che incidono profondamente sulla struttura del bambino che si sta trasformando in uomo. Perciò noi troviamo che l’altalena della morte e della vita lievita (o almeno crediamo) nella mente di un fanciullo insieme ai suoi libri di scuola e alle lezioni che apprende dalla natura e dalla famiglia, con elementi sufficienti a giustificare uno studio originale e approfondito. La campagna ricca, quella emiliana, abitata da gente abituata alla fatica, al lavoro, alla lotta, ma attaccata alla famiglia, e nello sfondo l’ombra di un esercito tedesco ancora duro, ancora combattivo, ma già sconfitto: e ancora le brigate nere, temibile espressione di un’Italia divisa; e ancora la presenza sempre più viva, sempre più efficace, e più temibile, dei partigiani. E tutto questo filo della speranza, nell’ansia della sopravvivenza, con nel cuore la fiducia di un domani di pace. Il ragazzo protagonista del film è già umanamente disinvolto, accetta con rassegnazione intelligente quello che gli offre il dipanarsi dei giorni. Nonostante le atrocità che ha visto e vissuto, non ha odio né rancore per nessuno; è proiettato in avanti, attraverso l’immagine che i suoi libri di scuola gli suggeriscono. Vede già un’Italia libera e unita, sente che la pace è vicina, che il suo sacrificio fa parte di una grande ruota che gira senza potersi fermare. Questo suo atteggiamento il ragazzo lo manterrà fino alla fine, pur guardando in faccia la realtà, e alla fine nei suoi occhi, oltre al sorriso leggeremo il perdono. Il racconto è idealmente diviso in quattro parti: la collocazione storica, gli occhi del bambino e la realtà, la guerra, la morte. (Gian Vittorio Baldi dal sito http://digilander.libero.it/godot61/ultimogiornodiscuola.htm
I predetti vennero pertanto
prosciolti dal reato di omicidio pluriaggravato continuato loro ascritto
sub 1) essendo estinto per amnistia, e vanno prosciolti per prescrizione
dal reato sub 2) che era già intervenuta al momento dell’amnistia
suddetta.“ Il caso era chiuso
Gianna Preda scriveva su "Il Borghese" nel maggio 1968: "Uno mi racconta:" Se avessero continuato a scavare avrebbero trovato altri morti. Hanno smesso, con la scusa che la ruspa costava troppo!…Si conoscono anche altre fosse, ma ormai non ci mette le mani più nessuno. Anche quelli che hanno avuto il coraggio, che da queste parti è puro eroismo, di cominciare gli scavi a San Possidonio. " E davvero di eroismo si trattava, se perfino il parroco del paese, tanto amico del sindaco comunista, si rifiutò di benedire i poveri resti trovati nel fossato. Quei resti, oltre 600 frammenti ossei, raccolti in tre loculi anonimi, sono stati tumulati nel cimitero di San Cataldo a Modena, il 10 febbraio 1971. Girando per questi operosi e ridenti paesi della Bassa, dove quasi nulla è cambiato nella geografia e nell'ubicazione degli edifici, ritroviamo oggi quasi identica la Villa Medici di Concordia, ribattezzata all'epoca Villa del Pianto, sede della polizia partigiana, la ex-casa del popolo di San Possidonio, oggi circolo ARCI, l'ingresso al podere Tallia, attraverso il quale fu vista passare la "Corriera fantasma". I luoghi ricordano e conservano le memorie più degli abitanti, con i quali la comunicazione sull'argomento è impossibile, costellata di mutismi e di oblio. Non una croce ricorda i morti scomparsi in questa zona: "da queste parti – scrisse ancora Gianna Preda – si dovrebbe camminare come in un grande cimitero, anche se non ci sono lapidi a rendere testimonianza dei delitti e degli orrori". Marilina Veca |
Il film, nonostante le affermazioni di Baldi sulle tesi e sulle fantasie, si ispira a fatti realmente accaduti ma rovesciati storicamente (e a lui ben noti cruelty of the war... ignored by researchers and film makers). Mi riferisco ai vari casi delle corriere fantasma e in particolare a quella conosciuta come "la corriera fantasma di San Possidonio" (piccolo paese del Modenese) di cui riepilogo in breve i fatti incontrovertibili perche discendenti da indagini giudiziarie e da relative sentenze e condanne penali anche se non scontate o non sempre comminate in onore della Amnistia Totgliatti del 1946. La storia come invenzione non funziona: crea solo diffidenza, sconcerto e ulteriori falsità e distorsioni della verità. LA "CORRIERA FANTASMA" : IL
VIAGGIO DELLA MORTE DA BRESCIA A SAN POSSIDONIO MAGGIO 1945 di Marilina
Veca
da
ricordi di un avvocato
http://ricordare.wordpress.com/perche-ricordare/021-ricordi-di-un-avvocato/
Si diceva che tutti erano stati interrogati sulla loro identità,
sul loro passato e che almeno venticinque passeggeri erano stati
trasportati a Villa Medici, di Concordia, sede della polizia partigiana,
ribattezzata poi “Villa del pianto“. Tutti erano stati rapinati e
massacrati. La Sezione istruttoria presso la Corte di Appello di Bologna
rinviò a giudizio il comandante e vicecomandante della polizia
partigiana di Concordia chiamati a rispondere degli omicidi di cui erano
testimonianza i diciannove cadaveri sino a quel momento ritrovati. I due
dovevano rispondere inoltre di malversazione per essersi impossessati di
tutto ciò che avevano trovato sui corpi delle vittime, orologi e anelli
compresi. Il processo fu rimesso, per legittima suspicione, alla Corte
di Assise di Viterbo. Quest’ultima, con sentenza in data 15 gennaio
1951, dichiarò il comandante e il vicecomandante della polizia
partigiana di Concordia colpevoli di omicidio volontario e li condannò a
venticinque anni di reclusione — dei quali sedici anni e sette mesi
subito condonati — nonché al risarcimento del danno che, quale patrono
di parte civile, chiesi e ottenni che mi fosse liquidato in lire una per
dimostrare che il nostro intervento era sorretto esclusivamente
dall’ansia di ottenere giustizia.
La corte precisò inoltre “È pienamente accertato che i partigiani di
Concordia, nel procedere ai fermi, violavano le istruzioni e gli ordini
ricevuti, che facevano obbligo agli stessi di consegnare tutte le
persone fermate alle competenti autorità giudiziarie e di polizia aventi
sede in Modena, ed in luogo di servire agli scopi della pubblica
autorità, agivano, non solo per assoggettare i fermati ad un crudele ed
inumano trattamento, come è deposto da tutti i testimoni relativamente
alle particolarità della custodia nella soffitta di Villa Medici ed ai
maltrattamenti che ciascuno dei fermati subiva negli interrogatori
notturni, ma principalmente per infliggere, di propria aberrante ed
odiosa iniziativa, una sanzione ai fermati, fino a disporre, oltre che
della libertà, anche della vita di costoro; non può esservi alcun dubbio
sulla illegittimità nel suo duplice aspetto obiettivo e subbiettivo e
sulla esattezza della contestazione del reato di sequestro di persona
aggravato e continuato. l'anno dopo uscì un altro teste che dichiarò: “Due sere dopo il fatto da me raccontato, si presentò sempre all’albergo Milano di Modena (mese di maggio 1945) una donna in stato avanzato di gravidanza. Chiese alloggio per quella notte, ma le venne rifiutato perché mancante di qualsiasi documento di identificazione. La donna poteva avere un 26-27 anni ed era, credo, al sesto mese di gravidanza. Essendo quasi stremata insisteva per una camera da dormire, ma il portiere si rifiutò, anche perché molte notti i “partigiani” andavano a svegliare gli ospiti per controllare le loro identificazioni. Venne deciso fra me e il portiere di condurre la signora all’Ostello della gioventù, o riparo della giovane, che, a quei tempi, esisteva nella contrada dietro la Questura. Mi incaricai di accompagnarla. Strada facendo mi narrò che era stata violentata da nove uomini in un casolare di campagna e che, dopo averla depredata di tutto: fede dell’anulare, portafoglio, catena al collo, un bracciale d’oro e tutti i documenti, l’avevano abbandonata davanti alla porta dell’albergo. Temeva per la perdita del figlio in quanto oltre ad essere stata violentata aveva ricevuto molti pugni sull’addome. Non sapeva alcunché del marito che era insieme a lei in Corriera. La donna era di corporatura molto accentuata, di altezza sul metro e 80, capelli mori, portamento disinvolto. Dimostrava una certa cultura. Io la lasciai alla soglia della Casa della Giovane che, ripeto, era ubicata dietro la Questura. Tornai in albergo senza fermarmi in piazza dove scorazzavano giovinastri. Dai registri, se esistono ancora, potrebbe trovarsi il bandolo. Me lo auguro per il trionfo della verità. Ossequi distinti.”
Si apriva quindi un nuovo procedimento penale
non giudicato con la precedente sentenza del 1951. E il Giudice
Istruttore di Modena, nella sua sentenza del 31 ottobre 1970, scrisse:
In parole strette o ristrette si trattava di amnistia per rappresaglia termine che si voleva evitare perche tale pratica in guerra è ammessa in pace no. Ora non restava che stabilire se si era in pace o in guerra, se c'era la legge marziale e/o il coprifuoco. |
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