LA GUERRA  

E IL CINEMA

 

L'ultimo giorno di scuola prima delle vacanze di Natale di Gian Vittorio Baldi


Spiacenti - no Java!!!! Get some here Spiacenti - no Java!!!! Get some here

e le corriere mattatoi

 

Soggetto e sceneggiatura: G. V. Baldi;

direttore fotografia: Emilio Bestetti; montaggio: Cleofe Convers scenografia: G. V. Baldi; arredatore: Andrea Montuschi

direttore produzione: Franco Casati; aiuto regia: Mario Garriba

assistente regia: Thomas Cadieux; operatore: Giorgio Aureli

assistente operatore: Adolfo Bartoli, Franco Sterpa

truccatore: Maurizio, Massimo Giustini
Produzione: Gian Vittorio Baldi per Scale Film, Cibele Cinematografica (1974)
Distribuzione: Cooperativa Nuova Comunicazione; durata 90’ 
Interpreti: Macha Meril (Egle, l’ausiliaria), John Steiner (il tenente), Lino Capolicchio (Erasmo, brigatista nero muto), Luca Bonicalzi (Athos), Delia Boccardo (Germana), Riccardo Cucciolla (Ambro, autista corriera), Lidia Biondi (prostituta), Laura Betti (passeggera corriera), Giovannella Grifeo (ragazza del ricordo), Lou Castel (partigiano).

   

  TRAMA:
Inverno 1944 Appennino toscoemiliano (Senio, Lamone). Due brigatisti della G.N. Repubblicana (Capolicchio, Steiner) e un'ausiliaria (Méril), in fuga, prendono possesso di una corriera che arranca lungo la montagna col suo carico umano sfinito dalla guerra e ne uccidono ad uno ad uno tutti i passeggeri (alcune donne, due uomini oltre l'autista e uno studente di povera famiglia, Athos), compreso lo studente al suo ultimo giorno di scuola prima delle feste di Natale. È un viaggio allucinante, nel gelo dell’anima e del rancore che questi perdenti nutrono nei confronti ormai di chiunque nel disperato tentativo di guadagnare le alpi e trovare rifugio in una virtuale accogliente Svizzera. Per liberarsi dei testimoni dei loro delitti, o soltanto per cupa voluttà distruttiva, i tre infatti procedono all’eliminazione dei passeggeri: li fanno spogliare, ne saccheggiano le poche gioie che hanno, li falciano col fuoco. Quando viene il turno di Athos, sembrano in dubbio: uno dei brigatisti, il muto, mostra di simpatizzare con lui, l’ausiliaria cerca di convincerlo a passare dalla parte dei fascisti. Lo spaventato, l'impressionato Athos tenta invece di fuggire fra i campi. Il muto lo insegue, lo ammazza, e dopo averlo denudato lo spinge in un torrente. La corriera riprende la corsa e scompare nella nebbia: finirà in bocca ai partigiani.
As the movie rolls on and the Swiss's border approaches, the three kidnappers decide to kill their hostages anyway: one by one they're picked up and executed and, at the end of the movie, the three villains arrive at the border...but all the area has been already taken under control by the partisans.... "The last day of school before the Christmas' holidays" is a small, rare and raw documentary about cruelty of the war, especially civil ones (expecially Italy's civil war, very often ignored by researchers and film makers).
     

Dalla voce stessa dell'autore

“L’ultimo giorno di scuola prima di delle vacanze Natale” non si propone alcuna tesi, né esplicita né nascosta. È come la rosa, un film chiuso in sé e conoscibile solo attraverso se stesso. Quanto e dove promuova e affermi tesi non è giudicabile in base a quelle, che restano in sostanza estranee alla (eventuale) natura poetica dell’opera e che, semmai, testimoniano la propensione dell’autore a una determinata ideologia o, riduttivamente, a una determinata politica. L’antifascismo non è una ideologia e nemmeno una politica. E' stato, e torna oggi a essere, un sentimento (risentimento), un moto dell’animo comune a più classi sociali ma più vivo e più spontaneo presso i ceti più poveri: contadini, operai, popolo insomma. Di questo ho parlato (se si vuole, ho tentato di parlare). Dunque apologo o cronaca? Non quest’ultima, poiché la storia è frutto di fantasia; non il primo, del quale manca al mio discorso il necessario carattere indiretto. I personaggi del film sono dilatati come da una lente di ingrandimento che venga posata sul particolare di un ricordo. Lo ingrandisce ma lo riporta più vero davanti ai nostri occhi, e più presente. Il film è soprattutto questo: il volto angosciato di un ragazzo in attesa dell’esecuzione sotto i mitra dei nazifascisti (ognuno di noi ha visto una foto come questa). Un ragazzo di cui non sappiamo nulla e di cui non sapremo mai nulla. La storia del film vuole essere la storia della Resistenza italiana vista attraverso gli occhi di un ragazzo alle soglie dell’adolescenza, ma con la rassegnazione e la maturità di un adulto.

L’azione si svolge nel periodo che va dal ‘43 al ‘44, tra l’avanzata delle truppe alleate da una parte, e la repubblica di Salò dall’altra. Gli anni del ginnasio e del liceo sono abitualmente gli anni della presa di coscienza, gli anni delle scelte; i ricordi sono quelli che non si cancellano più e che incidono profondamente sulla struttura del bambino che si sta trasformando in uomo. Perciò noi troviamo che l’altalena della morte e della vita lievita (o almeno crediamo) nella mente di un fanciullo insieme ai suoi libri di scuola e alle lezioni che apprende dalla natura e dalla famiglia, con elementi sufficienti a giustificare uno studio originale e approfondito. La campagna ricca, quella emiliana, abitata da gente abituata alla fatica, al lavoro, alla lotta, ma attaccata alla famiglia, e nello sfondo l’ombra di un esercito tedesco ancora duro, ancora combattivo, ma già sconfitto: e ancora le brigate nere, temibile espressione di un’Italia divisa; e ancora la presenza sempre più viva, sempre più efficace, e più temibile, dei partigiani. E tutto questo filo della speranza, nell’ansia della sopravvivenza, con nel cuore la fiducia di un domani di pace. Il ragazzo protagonista del film è già umanamente disinvolto, accetta con rassegnazione intelligente quello che gli offre il dipanarsi dei giorni. Nonostante le atrocità che ha visto e vissuto, non ha odio né rancore per nessuno; è proiettato in avanti, attraverso l’immagine che i suoi libri di scuola gli suggeriscono. Vede già un’Italia libera e unita, sente che la pace è vicina, che il suo sacrificio fa parte di una grande ruota che gira senza potersi fermare. Questo suo atteggiamento il ragazzo lo manterrà fino alla fine, pur guardando in faccia la realtà, e alla fine nei suoi occhi, oltre al sorriso leggeremo il perdono. Il racconto è idealmente diviso in quattro parti: la collocazione storica, gli occhi del bambino e la realtà, la guerra, la morte. (Gian Vittorio Baldi dal sito http://digilander.libero.it/godot61/ultimogiornodiscuola.htm

I predetti vennero pertanto prosciolti dal reato di omicidio pluriaggravato continuato loro ascritto sub 1) essendo estinto per amnistia, e vanno prosciolti per prescrizione dal reato sub 2) che era già intervenuta al momento dell’amnistia suddetta.“
Le risultanze della sentenza vennero salutate in città come un risarcimento della sentenza del 1951 e sui muri comparvero manifesti del Partito Comunista “una infame speculazione““Ora basta!” e “Le conquiste gloriose della Resistenza sono state e restano tuttora il baluardo più sicuro della lotta per la difesa e lo sviluppo della democrazia“.

 Il caso era chiuso

 

Gianna Preda scriveva su "Il Borghese" nel maggio 1968: "Uno mi racconta:" Se avessero continuato a scavare avrebbero trovato altri morti. Hanno smesso, con la scusa che la ruspa costava troppo!…Si conoscono anche altre fosse, ma ormai non ci mette le mani più nessuno. Anche quelli che hanno avuto il coraggio, che da queste parti è puro eroismo, di cominciare gli scavi a San Possidonio. " E davvero di eroismo si trattava, se perfino il parroco del paese, tanto amico del sindaco comunista, si rifiutò di benedire i poveri resti trovati nel fossato. Quei resti, oltre 600 frammenti ossei, raccolti in tre loculi anonimi, sono stati tumulati nel cimitero di San Cataldo a Modena, il 10 febbraio 1971. Girando per questi operosi e ridenti paesi della Bassa, dove quasi nulla è cambiato nella geografia e nell'ubicazione degli edifici, ritroviamo oggi quasi identica la Villa Medici di Concordia, ribattezzata all'epoca Villa del Pianto, sede della polizia partigiana, la ex-casa del popolo di San Possidonio, oggi circolo ARCI, l'ingresso al podere Tallia, attraverso il quale fu vista passare la "Corriera fantasma". I luoghi ricordano e conservano le memorie più degli abitanti, con i quali la comunicazione sull'argomento è impossibile, costellata di mutismi e di oblio. Non una croce ricorda i morti scomparsi in questa zona: "da queste parti – scrisse ancora Gianna Preda – si dovrebbe camminare come in un grande cimitero, anche se non ci sono lapidi a rendere testimonianza dei delitti e degli orrori". Marilina Veca

 

Il film, nonostante le affermazioni di Baldi sulle tesi e sulle fantasie, si ispira a fatti realmente accaduti ma rovesciati storicamente (e a lui ben noti cruelty of the war... ignored by researchers and film  makers). Mi riferisco ai vari casi delle corriere fantasma e  in particolare a quella conosciuta come "la corriera fantasma di San Possidonio"  (piccolo paese del Modenese) di cui riepilogo in breve i fatti incontrovertibili perche discendenti da indagini giudiziarie e da relative sentenze e condanne penali anche se non scontate o non sempre comminate in onore della Amnistia Totgliatti del 1946. La storia come invenzione non funziona: crea solo diffidenza, sconcerto e ulteriori falsità e distorsioni della verità.

LA "CORRIERA FANTASMA" : IL VIAGGIO DELLA MORTE DA BRESCIA A SAN POSSIDONIO MAGGIO 1945 di Marilina Veca
"I Carabinieri di Concordia sul Secchia, in collaborazione con la Compagnia di Carpi, dopo lunghe indagini, hanno trovato nelle vicinanze del paese di San Possidonio, nella Bassa Modenese, una foiba che sembra contenere numerosi cadaveri. Finora sono stati ritrovati i resti di tre persone, ma sembra ve ne siano parecchi altri. I cadaveri sarebbero quelli di alcuni passeggeri della "corriera della morte" che partì da Brescia – con (43 persone fra cui) 25 militi della R.S.I. (ma si scoprì poi anche e di altri passeggeri semplicemente ex-prigionieri o lavoratori reduci dalla Germania tutti muniti di lasciapassare del CLN) – una sera del maggio 1945 e della quale si perse ogni notizia." Con questo lancio di agenzia si aprivano, negli ultimi giorni di gennaio 1968, molti quotidiani. Una vicenda morta e sepolta – come i suoi protagonisti !- si pensava ma che per uno strano gioco del destino, tornava alle luci di una ribalta politica molto cambiata rispetto a 23 anni prima. "Il Corriere della Sera": "MOLTI UDIRONO LE URLA DEI PASSEGGERI TRUCIDATI" . Qualche giorno dopo , sempre su "Il Tempo", si parla di "CORTINA DEL TERRORE PER OSTACOLARE LE INDAGINI- MINACCIOSA MOBILITAZIONE COMUNISTA" e si riferisce anche di un manifesto intimidatorio affisso in zona nel quale si diffida ad occuparsi della faccenda. La “faccenda” ha inizio a metà del mese di maggio 1945, nella Piazza del Vescovado di Brescia: da qui partivano in quei giorni decine di autocarri telonati (chiamati corriere perché attrezzati con panche nel cassone e una scaletta posteriore per salire), alcuni dei quali provvisti di rimorchio, con a bordo centinaia di persone, le cui generalità non venivano registrate. Da quella piazza partì anche una corriera della P.O.A. (Pontificia Opera di Assistenza) stipata di passeggeri diretti a destinazioni molto diverse, condannati invece – non sappiamo perché- ad una stessa meta finale, una delle tante fosse comuni disseminate nella Bassa Modenese, in quella zona che ha meritato l'appellativo di "triangolo della morte". Le indagini, rischiose per quel tempo, sollecitate dai parenti portarono a un nulla di fatto fino a quando l'anno dopo furono scoperti prima 6 cadaveri (1946) poi 13, malamente sepolti, in un fondo agricolo. Il numero totale degli scomparsi in questa ultima fermata si faceva risalire a 25 ma degli altri oltre i 19 non v'era traccia.

da ricordi di un avvocato http://ricordare.wordpress.com/perche-ricordare/021-ricordi-di-un-avvocato/  Si diceva che tutti erano stati interrogati sulla loro identità, sul loro passato e che almeno venticinque passeggeri erano stati trasportati a Villa Medici, di Concordia, sede della polizia partigiana, ribattezzata poi “Villa del pianto“. Tutti erano stati rapinati e massacrati. La Sezione istruttoria presso la Corte di Appello di Bologna rinviò a giudizio il comandante e vicecomandante della polizia partigiana di Concordia chiamati a rispondere degli omicidi di cui erano testimonianza i diciannove cadaveri sino a quel momento ritrovati. I due dovevano rispondere inoltre di malversazione per essersi impossessati di tutto ciò che avevano trovato sui corpi delle vittime, orologi e anelli compresi. Il processo fu rimesso, per legittima suspicione, alla Corte di Assise di Viterbo. Quest’ultima, con sentenza in data 15 gennaio 1951, dichiarò il comandante e il vicecomandante della polizia partigiana di Concordia colpevoli di omicidio volontario e li condannò a venticinque anni di reclusione — dei quali sedici anni e sette mesi subito condonati — nonché al risarcimento del danno che, quale patrono di parte civile, chiesi e ottenni che mi fosse liquidato in lire una per dimostrare che il nostro intervento era sorretto esclusivamente dall’ansia di ottenere giustizia. La corte precisò inoltre “È pienamente accertato che i partigiani di Concordia, nel procedere ai fermi, violavano le istruzioni e gli ordini ricevuti, che facevano obbligo agli stessi di consegnare tutte le persone fermate alle competenti autorità giudiziarie e di polizia aventi sede in Modena, ed in luogo di servire agli scopi della pubblica autorità, agivano, non solo per assoggettare i fermati ad un crudele ed inumano trattamento, come è deposto da tutti i testimoni relativamente alle particolarità della custodia nella soffitta di Villa Medici ed ai maltrattamenti che ciascuno dei fermati subiva negli interrogatori notturni, ma principalmente per infliggere, di propria aberrante ed odiosa iniziativa, una sanzione ai fermati, fino a disporre, oltre che della libertà, anche della vita di costoro; non può esservi alcun dubbio sulla illegittimità nel suo duplice aspetto obiettivo e subbiettivo e sulla esattezza della contestazione del reato di sequestro di persona aggravato e continuato.

Successivi accertamenti dei Carabinieri nel 1968 (21/6) “Le indagini dei Carabinieri avrebbero stabilito che le persone soppresse e sepolte in modo clandestino in quel periodo, nel Comune di San Possidonio, soltanto dentro fosse comuni delle quali potè essere accertata l’esistenza, sarebbero state, nel complesso, più di ottanta. Dal novero restano escluse le persone soppresse e sepolte isolatamente qua e là sempre in modo clandestino. Circa il movente dei fatti addebitati, è da escludere che gli indiziati siano stati mossi da ragioni sorrette da ideali politici, stante il fatto che le esecuzioni, perpetrate con fredda determinazione e inaudita ferocia, riguardavano persone non compromesse politicamente, civili o ex militari non più in uniforme ed inermi, giovani comunque muniti di salvacondotto rilasciati dagli stessi Comitati di Liberazione Nazionale, che ritornavano protesi verso un futuro migliore, alle loro case, alle loro famiglie. E molto più probabile, invece, che il movente sia da ricercarsi nella natura sanguinaria e malvagia degli indiziati, nella loro spiccata e vasta capacità a delinquere, per la quale, forse, la prospettiva della depredazione ha costituito la componente essenziale del loro disegno criminoso. A sostegno della tesi enunciata, stanno gli anonimi provenienti dagli stessi partigiani che parlano di “rapina delle persone trucidate” e le dichiarazioni del partigiano Bassoli Luigi, custode della casa del popolo di Moglia, sede di quel comando di polizia partigiana, il quale affermò di essere a conoscenza “che le persone fermate venivano sensibilmente alleggerite dei loro oggetti e delle loro somme“ [...]. L’asserto del Bassoli conferma peraltro, quanto dichiarò pure Don Guglielmo Freddi, parroco di Moglia all’epoca dei fatti, il quale, già appartenente a quel Cln, ne uscì poco dopo “disgustato” dai sistemi depredatori della polizia partigiana ed affermò testualmente: “Io stesso con i miei occhi ho visto la polizia partigiana spogliare reduci e viaggiatori di tutto ciò che avevano”, aggiungendo che “la roba sequestrata dalla polizia partigiana non fu data ai poveri”. (pp. 22-23)” da ricordi di un avvocato (Odoardo Ascari) http://ricordare.wordpress.com/perche-ricordare/021-ricordi-di-un-avvocato/

l'anno dopo uscì un altro teste che dichiarò: “Due sere dopo il fatto da me raccontato, si presentò sempre all’albergo Milano di Modena (mese di maggio 1945) una donna in stato avanzato di gravidanza. Chiese alloggio per quella notte, ma le venne rifiutato perché mancante di qualsiasi documento di identificazione. La donna poteva avere un 26-27 anni ed era, credo, al sesto mese di gravidanza. Essendo quasi stremata insisteva per una camera da dormire, ma il portiere si rifiutò, anche perché molte notti i “partigiani” andavano a svegliare gli ospiti per controllare le loro identificazioni. Venne deciso fra me e il portiere di condurre la signora all’Ostello della gioventù, o riparo della giovane, che, a quei tempi, esisteva nella contrada dietro la Questura. Mi incaricai di accompagnarla. Strada facendo mi narrò che era stata violentata da nove uomini in un casolare di campagna e che, dopo averla depredata di tutto: fede dell’anulare, portafoglio, catena al collo, un bracciale d’oro e tutti i documenti, l’avevano abbandonata davanti alla porta dell’albergo. Temeva per la perdita del figlio in quanto oltre ad essere stata violentata aveva ricevuto molti pugni sull’addome. Non sapeva alcunché del marito che era insieme a lei in Corriera. La donna era di corporatura molto accentuata, di altezza sul metro e 80, capelli mori, portamento disinvolto. Dimostrava una certa cultura. Io la lasciai alla soglia della Casa della Giovane che, ripeto, era ubicata dietro la Questura. Tornai in albergo senza fermarmi in piazza dove scorazzavano giovinastri. Dai registri, se esistono ancora, potrebbe trovarsi il bandolo. Me lo auguro per il trionfo della verità. Ossequi distinti.”

 

Si apriva quindi un nuovo procedimento penale non giudicato con la precedente sentenza del 1951. E il Giudice Istruttore di Modena, nella sua sentenza del 31 ottobre 1970, scrisse:
“Le risultanze peritali, collegate al luogo in cui furono localizzate e riesumate le ossa umane, hanno reso chiara ed incontrovertibile la generica dei reati [...] e in particolare per quanto attiene l’omicidio continuato con la presenza delle circostanze aggravanti [...] ossia la premeditazione, palesatasi dalla meditata preordinazione ed organizzazione delle modalità e dei mezzi adatti a tradurre in atto il proposito delittuoso, nonché le sevizie, manifestatesi attraverso le lesioni da corpo contundente accertate in sede peritale ed in particolare la frattura di una mandibola appartenente ad un cranio ed una frattura della porzione sinistra del frontale di un altro cranio [...] prodotte in limine vitae. La presenza delle suddette circostanze aggravanti importa [...] la sanzione dell’ergastolo. (pp. 3-4)“  - ma aggiunse
Il reato di fattispecie non rientra nei delitti obiettivamente politici, è un reato comune che, tuttavia, può essere determinato (ed i casi nella storia non sono pochi) da motivi politici. Quindi, può assumere la qualifica di delitto politico se mosso da impulsi psichici tendenti a favorire, a realizzare, a combattere idee o imprese di partiti, nell’opinato interesse dello Stato o della società in generale....Le circostanze storiche in cui venne compiuto l’eccidio di cui è causa sono ben note. Erano i giorni della liberazione, nei quali la risposta dei partigiani alle dure repressioni del movimento da parte degli avversari politici, durante il periodo precedente conclusosi con la “debellatio” del governo della Rsi esplodeva sovente in modo esagerato. Si era conclusa una guerra civile e i vincitori portavano i segni dei tormenti sofferti e i ricordi dei compagni caduti. Di qui il desiderio di giustizia che aveva una manifestazione istintiva di vendetta. Dall’altra parte si cercava di sottrarsi in tutti i modi a una prigionia che poteva essere infausta. Di qui la fuga dei compromessi dal Nord verso Sud e la reazione, mediante posti di blocco attuati dai partigiani per intercettare i fuggiaschi,.....L’eccidio fu, dunque, animato negli autori da un movente politico, tendente a combattere, attraverso la distruzione fisica di quelle persone, le idee che essi, per convinzione degli autori, avevano incarnato e che venivano ritenute contrastanti con l’interesse della Società o dello Stato. Quindi fu un plurimo omicidio con movente politico. Tale qualifica rende il reato passibile dell’operare dell’amnistia concessa con Dpr 4/6/66 n. 332 art. 2 lett. a). (p. 8).... Concorrono dunque interamente i requisiti oggettivi o soggettivi per l’operare di tale causa estintiva, né sussistono condizioni ostative per nessuno degli imputati Borsari Armando, Pollastri Remo, Borghi Onorio e Campagnoli Angiolino.

 

In parole strette o ristrette si trattava di amnistia per rappresaglia termine che si voleva evitare perche tale pratica in guerra è ammessa in pace no. Ora non restava che stabilire se si era in pace o in guerra, se c'era la legge marziale e/o il coprifuoco.

 

   

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