Il Sud di Franco Ventura non sembra fuori dal tempo, un asteroide che naviga per
l'universo per conto suo con un'orbita irregolare. Non sono atemporali gli sguardi mesti e sofferti delle
vecchie contadine, gli angoli di novanta gradi delle raccoglitrici di olive, le tradizioni violate, tutte schegge
del tempo che volano impazzite ormai e si scontrano con una dura realtą che sta cambiando.
E' un Salento
ancora solare, nonostante l'onda di mestizia che pervade le immagini create dalle parole e dal cuore che
spingono versi in salita.
Gli atteggiamenti, le fisionomie scolpite nel bronzo della pelle dal sole si possono ancora osservare
nelle piazze dei paesi del Sud, sulle porte delle case, nei caffč-osterie, che si spalancano tra i tuguri dei centri storici, nelle campagne sotto la calura estiva tra gli ulivi, gli ulivi del Sud, alti, maestosi, spettatori silenziosi della storia
millenaria del "profondo Sud", i suoi giudici pił accreditati.
Ora spostiamoci dalle campagne, aggiriamoci per le strade dei centri storici: come non vedere i bodiniani
gerani, i fiori dei cornuti, o le balaustrate ungarettiane in ferro arrugginito, e le pareti dei vecchi edifici
abbandonati, e i pergolati di rampicanti che a cascate scendono dai tetti: tutti simboli del silenzio e del
dolore che ci circonda, simboli di quel fatalismo insito in ogni meridionale che si abbandona alla volontą
di Dio e al ricordo delle Emozioni a fil d'inchiostro.