Piscopo tralascia i soggetti-simbolo delle sue opere precedenti, tesi a scavare nell'animo nostro informe, per raffigurare gli oggetti parte del tutto. Ciò che egli prima riusciva a intravedere nelle figure umane con il suo occhio interiore, ora lo vede nei paesaggi. Egli, quindi, adesso contrappone ai corpi isolati dal resto del mondo, il mondo stesso rappresentato e visto con gli occhi di "un popolo di formiche" che sogna eventi al di là della rassegnazione, ma è cosciente della sua atavica e orfica rassegnazione al lancio dei dadi di una mano invisibile. E come casualmente e caoticamente quella mano invisibile ha gettato un po' di cielo, un po' di mare, un po' di terra creando un tutto armonico scompigliato dal vento, così Piscopo, nel suo fare poietico, cioè creativo, suscita emozioni reinterpretando quel cielo, quel mare, quella terra che prende il nome di Salento.