L'inquietudine di Cesare Piscopo

due figure; acquarello su carta, 1997Molteplici sentimenti si accumulano per dare vita e, quindi, forma all'inespresso e all'inesprimibile. Quelle figure sembrano contenere una vitalità prorompente limitata da un corpo-prigione che impedisce ai veri sentimenti di emergere. Così le sue creature si rinchiudono in se stesse, rifiutandosi di comunicare, di emanare il primitivo fluido che esiste in ogni essere vivente. E' come se Piscopo riuscisse a fotografare l'aura dell'anima con la tecnica kirlian, mettendo a nudo non la fisicità, la corporeità, il , ma l'immateriale, il non visibile, la . Le ombre in fuga della poesia non sono altro che le donne raffigurate nei suoi dipinti, "volti di pietra" e fiori disfatti, prive di sensualità e dalle fattezze vaghe e incerte, come viste attraverso un vetro smerigliato che le sforma e le deforma. Sono le donne di un Sud ancorato alle tradizioni, che relegano la figura femminile nel limbo dell'anonimato e dell'indifferenza. Sono donne che "urlano" e chiedono una possibilità di vivere un'esistenza visibile e perfetta. Inquietudine esistenziale e protesta sociale si fondono insieme nei quadri di Piscopo che colloca l'immagine femminile dai colori forti in un'atmosfera cupa e oppressiva che accentua le distorsioni formali e utilizza il germogliare della donna-fiore-lemure pietrificato.
Persino nei paesaggi c'è una forte esigenza di sfuggire da una dimensione spaziale e temporale ben precisa, un ricercare il dolore per sentirsi vivi, un identificarsi con gli alberi, anzi un prendere vita dagli alberi stessi. Si avverte la suggestione di una metamorfosi di anime in procinto di pregare con le loro mani rivolte al cielo, che si intravede tra gli spazi lasciati liberi dalle fronde rosso carminio e verde oliva e dai tronchi contorti degli alberi, per implorare un gesto di indulgenza nella disperazione esistenziale, un "momento aurorale" di rinascita, anzi di nascita per divincolarsi dal groviglio avviluppante del vago.