Scena XII

Il faro illumina un soldato disteso in una trincea

 

Quanti amici ho perduto. Quanti se ne sono andati in sordina, senza salutarmi, senza salutarli. Hanno lasciato qui persino i loro ricordi. Ogni strada ha un ricordo di loro. Il mio compagno d'infanzia con gli occhi azzurri con cui dividevo il banco; il professore di Storia occhi neri; il cuoco del ristorante qui vicino, paffuto, sempre sorridente e sempre vestito di bianco con i suoi occhi castani e i baffi rossi che spuntavano a manubrio sul suo viso rubicondo, quasi ebbro di vita.
"Buona sera, Arkam!"
Mi saluta con la mano alzata, gioiosa il buon Zari.
"Buona sera, come stai, perché non mi parli?".
Perché questa notte nessuno mi parla, perché mi sfiorano, mi salutano, mi sorridono e nessuno risponde? Percepisco quasi la loro presenza. Eppure non sono qui, chissà dove sono andati, chissà se respirano anche loro da qualche parte quest'aria fredda della notte.
Due anni fa, ora è passato un secolo, due anni fa mi piaceva guardare nel mio giardino le formiche. Mio figlio si divertiva ad ucciderle, casualmente. Giocava, diceva lui. Gettava un secchio d'acqua sul formicaio. Io lo sgridavo, aveva cinque anni e occhi grigi. Ora neppure lui risponde più al mio saluto. Io le ammiravo quelle formiche. Dopo ogni attacco, formavano una nuova schiera più compatta di prima, sempre sulla stessa scia, pronte ad ubbidire a qualche impulso naturale che le conduceva verso briciole di pane, gettate tra l'erba verdeggiante per qualche passero. Lo sgridavo. "Non bisogna uccidere". Ora lui la notte mi chiede che cosa ha fatto per essere ucciso.
Non ordinatemi di uccidere. Mi avete dato in mano questo fucile. Mi avete ordinato di sparare dalle montagne sugli occhi neri, mi avete abituato a non ascoltare il dolore. Non ho bisogno di vendetta io, non fatemi uccidere! Permettetemi di dimenticare.
Questo maledetto fucile. E' meraviglioso, è infallibile. Un colpo, un solo colpo basta per togliere la vita ad un bambino che ignaro sta giocando nella città del Martirio. Non ordinatemi di uccidere. Non voglio essere un alfiere della morte. Non voglio essere un cecchino. Non voglio guardare con vergogna e rimorso.
Perché non rispondete al mio saluto? Perché mio buon Zari mi saluti in silenzio e poi scompari nella nebbia della notte?
Io muoio ogni giorno un poco nella solitudine di queste montagne.