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Da un progetto all'altro,ammirando Madre Teresa di Calcutta
I miei primi anni di vita in comunita', furono di totale accettazione della regola della Congregazione in cui mi trovavo a vivere. Per alcuni anni servii presso "Casa Serena" dei Missionari della Carita' Contemplativi a Roma, come volontario e poi con i voti come Laico, cercando sempre di coinvolgere altre persone nei progetti di aiuto ai bisognosi, perche', alla fine, come in tutte le cose (e ancor di piu' in queste) servono soldi per andare avanti. Purtroppo in genere solo il 10% delle persone che si contattano, rispondono positivamente, per cui non tutti coloro che si conoscono o che si considerano amici, partecipano alle varie iniziative. Cosi', nel tempo, certi benefattori spariscono, alcuni rimangono e altri nuovi s'incontrano, ma bisogna sgambettare tutti i giorni per racimolare il denaro necessario e realizzare il progetto in corso. Con il tempo s’impara a presentarsi di persona agli ipotetici benefattori, evitando di telefonare, forniti del materiale concernente il progetto, affinche' si possa convincere l'interlocutore che e' una cosa buona cio' che si propone. Non bisogna scoraggiarsi al primo rifiuto ne' al secondo ne' al terzo. Dobbiamo tenere sempre presente quel famoso 10%, cosi' affronteremo serenamente il no per le prime nove volte, sapendo che la decima persona accettera'.
Finora ho parlato in termini razionali e di volonta', pero' c’e' anche un altro elemento essenziale in questo tipo di progetti: la Carita', cioe' l'Amore, il Dono, la Grazia, Dio. Questo aspetto e' il piu' importante, perche' senza la Grazia di Dio, i progetti caritatevoli sono asfittici, senza gioia, tristi, lamentosi. Un'attivita' filantropica che non esprima gioia, entusiasmo, Amore, Dono, e' grigia, senza vita.
Il dono deve brillare come una stella cadente. Il dono deve scendere da Dio al promotore e da esso al bisognoso. Il donatore infatti dona in quanto Dio l'ispira a farlo; e' Dio che gli fa la Grazia di avere il cuore caritatevole. Il promotore ha la Grazia del missionario: andare, vedere, organizzare, comunicare, raccogliere e donare. Intendere il senso del dono e' estremamente difficile, perche' comporta la dimenticanza. Dono e perdono, tutti e due i gesti comportano la dimenticanza. Se non s’intende questo significato, non si sapra' mai donare e mai perdonare, quindi non ci aspettera' altro che la sofferenza, sorta in noi causa la fantasia di padronanza e di possesso.
Donare e dimenticare. Perdonare e dimenticare. D’altronde, il regalo che si fa all’altro, dovrebbe o piacere o servire all’altro, non a noi. Un progetto umanitario deve servire ai bisognosi. Una mensa del povero deve nutrire i poveri. L’albergo dei poveri, deve ospitare i senza tetto. Un orfanotrofio, deve accogliere gli orfani. Ma attenzione: la Carita' senza la Pazienza e' violenza, imposizione, offesa. Il bisognoso gioisce del dono se gli viene dato con pazienza, con il sorriso, con gioia, scherzo, altrimenti e' quasi una sottolineatura della sua condizione di bisognoso. Pazientare con l’altro e per l’altro e' compatire, cioe' patire il disagio dell’altro, cosi' diventa nostro e lo capiamo meglio. Con il nostro disagio dobbiamo avere pazienza per affrontarlo nei migliore dei modi, e cosi' si deve fare anche con il bisogno degli altri.

incontro_con_MariaTeresa

Ero a Bombay, nello slum di Chirag Nagar, con gli altri tre giovani indiani di buone speranze di diventare missionari, quando Peter Paul, ex Missionario della Carita', subito dopo le Lodi, andò a comprare il Times of India. La prima pagina mi gettò in una prostrazione psicologica profonda.
Aveva una grande fotografia del rogo del Teatro la Fenice, era il 26 gennaio 1996. Pensavo alle tante serate passate in quel guscio variopinto, dorato, luminoso. Tanta storia, lusso, grandi voci liriche; l’architettura neoclassica dell'ingresso che era il mio stile preferito.
Arrivo' la primavera e ritornai a Venezia con il primo “mio” progetto. Mio nel senso che avendoci vissuto, avevo capito che in quella condizione miserabile in cui si viveva nello slum, in 12 mq, senza acqua e senza il bagno, nessuna missione avrebbe potuto svilupparsi e aiutare i bambini di strada.
Dissi ai ragazzi che sarei ritornato a Venezia per trovare i fondi e comperare una casa con almeno tre stanze, bagno e cucina. La cifra era alta, nonostante si trattasse dello slum.
Un giorno, a casa mia, suona il telefono, rispondo e con mio stupore dall'altra parte c'e' una cara amica di Trieste, monaca buddhista, Malvina, la quale doveva venire a Venezia per recarsi in un nuovo negozio di oggetti indiani, di cui io non sapevo nulla. In verita' io non conoscevo nessuno a Venezia, perché ci venivo di tanto in tanto, benché avessi avuto la casa da dieci anni.
Andammo a conoscere il titolare del negozio, Alberto, persona gentile, era agli inizi di quella attivita', per cui molto disponibile e non pressato dal lavoro. Alberto fu molto importante per me, perche' mi dette la possibilità di stare in negozio e conoscere molta gente. Organizzammo delle magnifiche serate per la raccolta di fondi, alle quali partecipo' con entusiasmo anche Ciano della Pizzeria Al Vecio Canton, sempre per la casa di Bombay, e poi per tutti gli altri progetti.
Stando nel suo negozio, mi venne l’idea di mettere alla lotteria il mio orologio d’oro, di ottima marca svizzera. Stabilimmo il prezzo di 50.000 Lire a biglietto. Nel frattempo avevo iniziato a fare del volontariato con i tossicodipendenti e malati di AIDS, all’Isola delle Grazie.
Un giorno notai un ragazzo appena ricoverato, che si era coricato completamente vestito, perche' veniva direttamente dalla strada, ma in realta' era fatto di droga. Parlai con lui, entrammo in confidenza e mi chiese se potevo telefonare a suo padre per avere un po’ di biancheria. Quel ragazzo e quel papa' furono i semi, dai quali poi raccolsi molti frutti. Il papa' del ragazzo infatti, convolse molte persone nel mio progetto e convinse un suo amico ad acquistare diversi biglietti della lotteria per il mio orologio. Usci' il primo numero per Venezia ed era uno di quelli che aveva l’amico del papa' del ragazzo ospedalizzato. Il vincitore, proprietario di una bella trattoria a Murano (la “Busa alla Torre”), in quel periodo ne stava inaugurando una nuova e mi disse: “Claudio, il tuo orologio mi piace e lo voglio tenere, pero' voglio organizzare una cena per 100 persone e offrire tutto l’incasso per la casa di Bombay”. Fisso' il prezzo del menu' di beneficenza a 50.000 Lire, e quella sera “AI VETRAI” ci fu il pienone! Organizzo' anche una piccola lotteria con dei vetri di Murano e qualche altro oggetto donato. Il ricavato fu addirittura di 5.500.000 di Lire piu' 4.500.000 di Lire della lotteria, che fanno dieci milioni. Il magnifico e generoso ospite era ed e' il caro amico e sempre pronto benefattore, Lele Masiol. Ma la mia gratitudine va anche a tutti gli altri benefattori, ed in particolare a Marino Valletta di Roma, che dono' la bella cifra di 20.000.000 di Lire. Nel 1997, a gennaio, partimmo io, Giorgio Gioconda dell’Associazione Naturopata LARNIA di Trieate, Renzo, figlio di Mia, Marino e Jaqueline. Comprammo la casa a Tagore Nagar (Vikhroli) e mentre i ragazzi con degli operai la rinfrescarono: dentro azzurra e bianca fuori, noi andammo a Benares. Marino ritorno' a Roma perche' non stava bene. Pochi giorni a Benares, ma decisamente sufficienti per loro, e ritornammo in tempo per inaugurare la casa, prendemmo l’aereo poco dopo la festa e ritornammo in Italia.

inaugurazione_TagoreNagar

Alcuni mesi dopo il mio rientro in Italia, durante i quali raccoglievo dei fondi e li spedivo a Peter Paul, feci ritorno a Bombay, dove rimasi per poco tempo. La casa era stata modificata. Avevano chiuso il cortile, ricavando una stanza in più e “rubato” parte della strada, per fare la classica veranda chiusa con una inferriata. Peter Paul voleva portare a casa i ragazzi di strada, lo fece, ma riempiendo la casa di bambini, divento' piccola per la comunita'. C’era bisogno di un'altra casa dove accogliere solo i ragazzi di strada. Successivamente, sempre con il sostegno degli amici benefattori italiani, allestimmo una scuola di taglio e cucito. Il nuovo progetto era ormai più che in nuce, era evidente il bisogno. Cominciai a parlare con tutte le persone che conoscevo. Tra tutte c’erano, e ci sono ancora, grazie a Dio, i Signori Fasolo, Elisa e Jacopo, veneziani. Li avevo conosciuti casualmente all’aeroporto di Zurigo, andando a Bombay, in quanto il nostro aereo da Venezia aveva fatto ritardo e così avevamo perso la coincidenza per l’India. Come avviene camminando per Venezia, al nostro ritorno dall’India, ci siamo incontrati in una calle e ci siamo accordati per un incontro al fine di raccontarci le nostre esperienze indiane. Mi invitarono a casa loro. Parlai del nuovo impegno che mi ero preso per Bombay. Mi dissero di lasciarli pensare un po’ per vedere se avessero potuto fare qualcosa anche loro. Passo' qualche giorno, mi telefonarono e invitarono di nuovo a casa loro. Fu per me una grande emozione quando mi dissero che avevano deciso di donare la casa per i bambini in ricordo di una persona defunta, che era stata una loro carissima amica. Io e l’ingegnere partimmo a fine primavera del 1999. Il clima era pesante, umidissimo a Bombay. Arrivammo al mattino verso l’alba a Tagore Nagar. Nella prima stanza, a terra, c’erano diversi bambini avvolti nei loro classici teli e protetti dalle zanzariere.

Good_Samaritan_Mission

Altre persone che dormivano, sempre a terra in giro per la casa, e intanto si faceva giorno. L’ingegnere aveva su di sé 25.000 Dollari. Dovevamo accordarci sul prezzo della casa vicina, che in un primo momento, secondo Peter Paul, sembrava fosse in vendita e tutto pronto per l’acquisto, ma in realtà fu esattamente il contrario: dopo diversi giorni di trattative, scoprimmo che la famiglia che ci abitava non era proprietaria dell’immobile. Tempo perso, arrabbiature, dubbi, ricerche estenuanti per trovare un’altra casa. Vivevamo una grande tensione perché avevamo già cambiato i Dollari in Rupie e la data del ritorno si avvicinava velocemente. Solo quando Jacopo disse che avrebbe riconvertito le Rupie in Dollari e che li avrebbe riportati a Venezia, tanto eravamo arrabbiati, venne fuori un’altra casa, una bellissima casa vicina alla comunità, dipinta di rosa e abitata da una bella famiglia, che la vendeva per trasferirsi in una zona migliore fuori dallo slum. Prima del tugurio di Chirag Nagar e delle due case di Vikhroli, c’è il periodo di Gurgaon, città che si trova vicino all’aeroporto di Delhi. Lì ci andai con padre Sebastian, Superiore Generale dei Missionari della Carità Contemplativi, e con Marino Valletta, architetto, per iniziare i lavori di costruzione della casa, per la quale contribuii con una certa cifra, mia personale. A Gurgaon rimasi circa sei mesi. Vidi erigere i muri di cinta, costruire la prima casetta, fare le fondamenta della casa degli ospiti e trivellare il pozzo, dal quale fui uno dei primi a bere l’acqua che sgorgava dal tubo di ferro. A Gurgaon andavamo a visitare e portare un minimo di cibo, rasare la barba, tagliare i capelli e le unghie ai malati dell’Ospedale Civile (magari lo fosse), i quali vivevano in totale abbandono, praticamente senza cibo e senza farmaci. Ma prima ancora di Gurgaon ci fu il grande periodo di Shanti Daan a Bombay. Shanti Daan è una bellissima e grandissima casa per moribondi, dei Missionari della Carità, del ramo attivo della Beata Teresa di Calcutta, donata da una ricchissima famiglia di Bombay. Di quell’esperienza e anche dell’avventura con Peter Paul, ne parlo nel mio libro Shanti Daan, pubblicato nel 2000, dalla casa editrice “Il Ramo d’Oro”, con la firma Primo Ronda. Ricordo con molto piacere coloro che mi hanno aiutato nella distribuzione di “Shanti Daan”, in particolare l’avvocato Roberta Pierobon, il Gruppo Cattolico di Udine, LARNIA di Trieste, la Libreria Francese di Venezia e mi scuso con coloro che per dimenticanza non ho citato. Più avanti spiegherò il perché sono passato da un primo “amore” di collaborazione, ad altri quasi “amori”, cioè ad altri progetti e poi sempre più a doni totali e tanti saluti e benedizioni. In Shanti Daan feci un bagno di esperienza di vita caritatevole e di pazienza, cosa che mi serve ancora oggi. Ma in principio ci fu “Casa Serena”, dei Missionari della Carità Contemplativi a Roma. Anche quel periodo lo serbo nel mio cuore con grande affetto. Era il 1993. La casa fu inaugurata il 4 settembre dal Cardinale Ruini, altri prelati e tanta gente, ma le più belle erano le Suore di Madre Teresa, tante. Prima di Casa Serena ebbi varie esperienze di assaggio, tanto per capire quale fosse la mia strada da intraprendere, ma potrei dire che la strada è sempre nuova, da affrontare ogni giorno, anche se la meta è sempre la stessa, Dio. Dimenticavo le due esperienze albanesi, altre due o tre a Montanara, nella grande casa per malati terminali di AIDS.
Nel 2001 ci fu il primo viaggio in Guinea Bissau, con Fra Giuseppe Bonato. Tutti e due andammo per un mese, al fine di capire se avesse potuto essere un luogo adatto a noi. Partimmo a primavera. Ricordo che lì faceva tanto caldo e umido, con dei piovaschi improvvisi. Il lebbrosario è ottimamente organizzato. Oltre che dei lebbrosi, i missionari si occupano anche dell'educazione, di altre parrocchie sparse nella giungla, della pediatria, maternità e, a quel tempo, avevano ceduto un reparto allo Stato, per ospitare i malati di TBC, in quanto durante la Guerra Civile, era stato distrutto il Reparto di Malattie Infettive dell'Ospedale dello Stato. Dopo pochi giorni, capii che dai lebbrosi non c'era bisogno del mio aiuto, così chiesi di poter andare a fare del volontariato dai tubercolotici. Il medico di quel reparto mi concesse molto volentieri di interessarmi di quelle vite abbandonate.

ProgettoManoTesa

La situazione era complicata, perché era gestita dallo Stato, ma sovvenzionata dalla famosa Comunità di S. Egidio di Roma. La verità era che da Roma non si faceva vedere mai nessuno e il denaro per le spese di sostentamento, farmaci e l'affitto raramente. L’abbandono era quasi totale.
Nessuno entrava tra quei malati. Sporcizia, lamenti di bambini e vite terrificate dal male e nient'altro, questo era quel reparto quando crollarono le Due Torri a New York.
Ogni giorno morivano due, tre persone e tutte giovani. Ciò che mi questionava era il fatto che, se un malato di TBC viene regolarmente nutrito e gli vengono date le terapie del caso, non dovrebbe morire di tubercolosi, a parte i casi disperati, ma lì sembravano tutti disperati. Grazie alla mia esperienza con i Missionari di Madre Teresa e con i malati di AIDS di Venezia, intuii che morivano a causa dell’AIDS, ma non si poteva dire, perché non avevano il test dell’HIV.
Il mese stava per scadere, cosi' proposi loro di ritornare a Venezia, contattare i miei soliti amici benefattori, trovare il denaro necessario per acquistare i test rapidi dell’HIV, dei farmaci per le puerpere affinché non si contagiassero i neonati, la Nevirapina, e, possibilmente, trovare un medico infettivologo che fosse disposto a partire con me. Accettarono con entusiasmo i Superiori di Cumura.
A metà agosto partimmo io e il medico (lavorava al Reparto di Malattie Infettive di Venezia, con una borsa di studio), carichi di tutto il necessario. Il denaro fu raccolto con il solito sistema. I farmaci li procurò il Presidente della nostra Associazione CISAIDS Volontariato, Primario del Reparto di Malattie Infettive (pagati con il denaro raccolto organizzando vari incontri di beneficenza. Pagato fu anche il medico, per il suo lavoro al lebbrosario).
Fu di grande impatto emozionale vedere la reazione del test a contatto del siero positivo. Lavorammo tutto il giorno, per giorni e giorni. Il medico prelevava il sangue, lo si centrifugava, accostava il siero al test e, con stupore, vedevamo la reazione del test che diveniva opaca. Prima tra i TBC e poi tra i lebbrosi, successivamente tra le donne incinta e alla fine all’ambulatorio.
Al termine del lavoro, il 12 ottobre 2001, fu chiaro a tutti il perché della morte di tanti giovani tra i tubercolosi: Il 74% era HIV+. La tubercolosi era una conseguenza dell’AIDS e non la causa. Tra i lebbrosi non c’era nemmeno un positivo, forse perché non hanno una vita sessuale promiscua.
Le gestanti risultavano il 6% HIV+. Tra i pazienti dell’ambulatorio c’era il 47% di HIV+. L’infettivologo ritornò in Italia da solo; io rimasi fino a novembre. Poco tempo dopo il mio ritorno a Venezia, ricevetti una telefonata da un’amica Suora, la quale mi disse che aveva sofferto tanto per me, causa un articolo che era apparso sul giornale Diocesano, “Gente Veneta”, dove parlavano del progetto AIDS di Cumura ignorando totalmente il promotore, cioè il sottoscritto e stravolto i fatti (vedi articolo).

Infermeria_di_Claudio

Neanche un mese dopo, ricevetti un invito a partecipare ad un progetto per la realizzazione d’una casa d'accoglienza per i familiari dei campesinos, che accudiscono i loro parenti, ricoverati all’Ospedale di Cuzco, Perù. L’invito veniva dalle care amiche, Suore dell’Ordine delle Vergini Consacrate, tre ex suore di altre famose Congregazioni. Invitarono a venire in Italia il giovane parroco di Cuzco, padre Angelino; lo conobbi a Taurano nel loro convento; venne con me a Venezia, dove ricevette un discreto assegno da un mio amico, e poi ci ritrovammo a Lima, poiche' lui aveva il biglietto di un’altra compagnia aerea. L’arrivo a Cuzco fu trionfale.
Avevo visitato la citta' una ventina d’anni prima, tuttavia mi sembrava una scoperta e lo era davvero. Ci rimasi tre mesi. Organizzai una semplice ma efficace infermeria, grazie ai molti farmaci che avevo portato con me. Oltre ai farmaci, portai centinaia di occhiali da vista, donati dall’amica Cristina De Curti e termometri procurati dall’altrettanto cara amica Fiorella Lucchese. Sempre tutto regalato dagli amici. Avevo gli strumenti per la pressione, per la glicemia, medicavo le ferite, scottature, la scabbia e avevo trovato un ottimo farmaco per estirpare le verruche dalle mani.
I casi difficili li accompagnavo all'ospedale o dal medico dei Frati Francescani, che visitava quasi gratis, e dava anche qualche pastiglia. Vivevo con grande entusiasmo. Un po’ alla volta conobbi molte persone, tra le quali una ragazza, presso il Consolato Italiano, che viveva a Torino.
E' figlia di un proprietario di farmacie. Mi presentò suo fratello, membro del Club de Leones, e attraverso loro potei far curare i denti a molti parrocchiani e a tutti i seminaristi. Arrivò la Settimana Santa e, come usano da quelle parti, il vescovo mando' in parrocchia due seminaristi per aiutare padre Angelino. Vivemmo una bellissima esperienza di vita comunitaria.
Uno dei due seminaristi era della provincia di Huanuco e apparteneva alla piccola Congregazione Diocesana “Hijos de San Doroteo”, in localita' Chinchavito, sul fiume Huallaga, a 20 km dalla famosa citta' di Tingo Maria, nota per essere stata la capitale della coca e zona remota usata come rifugio da Sendero Luminoso.
Questo seminarista mi disse: “Tu che parli dei poveri dell’India, va a vedere il villaggio dal quale vengo io, dove non c’e' veramente nessuna possibilita' di sviluppare un qualcosa di buono, tanta e' la poverta'”.
A fine aprile arrivo' a Cuzco la piu' che cara amica Maria Antonietta Mazzer, chiamata Mia. In quel periodo non era felicissima. Non dormiva da mesi ed era dimagrita, sembrava un’indossatrice, forse questo era l’unico aspetto positivo del dramma che stava vivendo. Comincio' a dormire subito dalla prima notte, delle volte anche dieci, dodici ore di fila. Riprese a nutrirsi con piacere, a fare delle lunghe e faticose passeggiate, non sempre facili, data l’altitudine (Cuzco si trova a 3.400 m.s.l.m.).

in_viaggio_con_Mia

Andammo a Machu Picchu, visitammo tutta La Valle Sacra, provammo l’emozione del Trenino delle Ande fino a Puno, visitando le Isole del Lago Titicaca. Arequipa e La Cruz del Condor.
Ritornammo in Italia a fine maggio e lei era rinata, io ero come lo sono ormai dal giorno della mia conversione.
Ad agosto ritornai a Cuzco con il Vicario del vescovo di Nola e con il Direttore della Caritas e un ingegnere, amico d’una mia amica, che pero' non sempre si puo' diventare amici degli amici, dei nostri amici.
La Diocesi voleva partecipare al progetto “Casa per i Familiari dei Malati Campesinos”. Individuammo la casa, ma fu necessario attendere l’arrivo delle Suore di Taurano per decidere sull’acquisto, poiche' era un loro progetto. Arrivarono le Suore, i nolani partirono e l’ingegnere parti' poco dopo; si acquisto' quella casa; pian pianino fecero il restauro, ma io decisi di ritornare a Venezia.
Prima di ritornare in Italia, feci una breve visita alla Missione dei Campesinos a Chinchavito.
Non potei rimanere più di tre giorni, ma furono sufficienti per vedere la condizione in cui vivevano i Missionari e, soprattutto, il popolo. Zona ai piedi delle Ande e all’inizio dell’infinita Amazzonia. Strette valli, alte montagne sempre verdi; molta pioggia e troppo fango; frutta a volontà, tropicale, ma troppa miseria: niente pane e companatico. Case di pali, tavole rotte e frasche. I Missionari avevano un bellissimo forno per cuocere il pane a legna, ma non avevano i soldi per comperare la farina.
Avevano una casa con un primo piano, ma non avevano la scala per poter salire, così, alla sera si arrampicavano come le galline, che tra l’altro non avevano, perché in quella zona tropicale, spesso muoiono per strane epidemie. Il mattino della mia partenza, radunai i Missionari e dissi loro: "Torno in Italia. Ho ancora qualche spicciolo con me, non posso lasciarvi più di 100 Dollari. Usateli per affrontare il bisogno piu' urgente, fate voi". Decisero di comperare i materassi perche' dormivano sul nudo legno.

CongregazioneDiocesanaHijosDeSanDoroteo

Arrivai a Venezia verso la meta' di novembre.
Cominciai a muovermi per trovare i soldi necessari per fare il pane e per la scala. Prima di Natale spedii una buona cifra, con la quale hanno potuto fare la scala in cemento armato e comperare molti sacchi di farina. Eccomi di nuovo a Cuzco. Questa volta partimmo insieme, Mia ed io. Alloggiammo dalle Suore Mercedarie. Visitammo la casa dei campesinos. Il momento piu' emozionante fu quando consegnammo l’Anfotericina B a Suor Maria Teresa. Era una straordinaria Suora che curava gratuitamente i malati di Leishmaniosi, perche' gratis riceveva i farmaci dagli amici. Io ricevevo l’Amfotericina B dalla Squibb Mayers, grazie all’interessamento del dottore Gabriele Risica, Primario di Cardiologia e della dottoressa Giuliana Boldrin, Primario della Farmacia dell’Ospedale Civile, e del “Club Zonta”, di Venezia. Purtroppo Suor Maria Teresa e' morta un anno fa di tumore polmonare, lei che aveva vissuto per trent’anni in quelle zone di aria pura.

a_sx_SuorMariaTeresa_a_dx_Claudio_e_Mia_Huayna_Picchu

Mia ed io facemmo un voto, quando andammo a Machu Picchu: Che saremmo ritornati per scalare il Huayna Picchu. Fu un’avventura esaltante. Ero divertito come un bambino. Mia ogni tanto diceva che doveva riposarsi, ma io volevo vedere quanto tempo avremmo impiegato per arrivare in cima. Dall’ingresso, dove si e' obbligati a dare il nome per essere rintracciabili in caso di smarrimento, impiegammo un’ora esatta.
Salutammo Cuzco e prendemmo l’aereo per Lima, da dove percorremmo la Panamericana con la corriera, fino a Pisco. Dormimmo in un comodo albergo e bevemmo dell’ottimo Pisco con lime, ma senza l’albume d’uovo. Visitammo Paracas, le Isole dei leoni marini, ammirammo l’enorme Candelabro Preinca scavata nella montagna. Il volo con il minuscolo aeroplano, che sembrava un colibrì, sopra le Linee di Nazca;






la planata che ci ha fatto fare il pilota, toccando per un attimo la Pista degli Astronauti, sono tra i ricordi più soavi che conservo del Perù. L’ultima visita ho voluto che fosse dedicata alla comunità di Chinchavito.
Prendemmo l’unico volo che c’era per Huanuco. Era un dodici posti e, con nostra grande meraviglia, eravamo gli unici viaggiatori di quel volo. La città dell’eterna primavera si trova tra le montagne e il clima è sempre mite. Padre Eliseo, il Superiore della Missione, ci portò con la macchina fino a Chinchavito, circa due ore di viaggio verso Tingo Maria. Grande accoglienza e grande piacere nel vedere la scala che avevamo fatto costruire. Salii come pazzo su e giù, per rendermi conto che c’era. Poi altra emozione alla panetteria. Le scansie erano tutte piene di pane di varie forme, profumato, dorato, una meraviglia!



Per Mia fu un impatto troppo forte con la povertà, capii che sarebbe stato meglio fare un’escursione, così, con la macchina di padre Eliseo e il suo autista, andammo a visitare Kotosh e Huanuco Viejo.
Il primo sito apparteneva alla Madre delle Civiltà del Perù (2.000 a. C); la seconda era una splendida città Inca. Purtroppo gli invasori spagnoli la rasero al suolo e oggi rimangono poche rovine, delle quali risaltano le famose Porte della Via Imperiale.
Prima di lasciare Chinchavito, ancora una volta radunai i Missionari e chiesi loro se avessero avuto qualche progetto da realizzare. Mi dissero che avrebbero voluto fare qualcosa per i bambini dei campesinos, che abitano sulle alte montagne e, soprattutto quando piove, non scendono a valle per andare a scuola. Con il tempo l'abbandonano del tutto, poi si danno alla malavita o vivono nella più triste delle miserie, privi di tutto.
Dissi a padre Eliseo di far fare un progetto, semplice, per un ostello, dove poter accogliere dai trenta ai cinquanta bambini. Mi mando' uno troppo costoso. Gli risposi di mandarmene uno piu' semplice e cosi' fu.
Con la grazia di Dio e, come sempre con l’aiuto degli amici benefattori, in breve tempo fu costruito l’Ostello dedicato alla Beata Teresa di Calcutta. Dall’ultima email di padre Eliseo, sempre inviata al negozio del caro amico Toni Scarpa, “e-copie da Toni”, risulta che ospitino una trentina di bambini.
Dopo l’Ostello fu necessario dare loro e a tutta la valle, la luce elettrica. Altro preventivo troppo caro, altra richiesta di semplificarlo. I poveri e i Missionari tentano, se la va, la va, ma io non ci cado in quei tranelli.
Un giorno arrivo' una lunga email all’amico Toni, luogo da me considerato come fosse un “mio ufficio”, arricchita di fotografie, dove potemmo vedere la luce accesa dietro l’altare, per la santa messa.
Padre Eliseo disse che ci fu una grande emozione per tutti, quando accesero la luce e si illumino' tutta la valle.
Una generosa offerta e' stata fatta anche dalla vedova del defunto carissimo amico Berto Gorghetto, in sua memoria. Un’opportunità per raccogliere fondi, me l’ha data anche Don Massimiliano, incontrando i fedeli di San Zulian, dopo avere dedicato l’ora di Adorazione al Santissimo Sacramento.

OstelloBambini_CentroLosMisionerosCAMPESINOS

Dopo l’amarezza e il dolore che ho vissuto con la storia di Peter Paul e compagni, indiani e italiani non miei amici, e aggiungendo anche il grazie per avermi ignorato totalmente e stravolta la realta' della realizzazione del progetto AIDS in Guinea Bissau, ho maturato la convinzione che avrei dovuto operare in forma di dono e passare oltre.
Cosi' decisi di non andare a vedere ne' l’Ostello ne' l’elettrificazione della valle di Chinchavito.
Come si dice: Nessun male viene solo per nuocere e questo e' il vero motivo per cui cerco di donare e passare ad altri progetti. Questa scelta non e' un abbandono di cio' che viene fatto, ma un non volersene impadronire.
Ecco perche' sento il bisogno di spiegarmi sulle varie vicende, delle volte dolorose, che pero' non devono essere lette come dei pettegolezzi o degli sfoghi dell’anima. I documenti sono autentici, tutti.
Ho imparato il senso del dono: Donare e andare, perche' il dono non ci appartiene piu'.
Il vero dono e' saziare l’altro, vestirlo, alloggiarlo, medicarlo, ascoltarlo e lasciarlo andare, o andarsene, come Il Buon Samaritano del Vangelo, e non di certe presuntuose e sedicenti missioni che si trovano in giro per il mondo e si fregiano dell’Evangelico nome, da me, purtroppo, conosciute.
Ma per conoscerle bisogna pur incontrarle e praticarle, sia le persone che le cose.
Grazie all’esperienza peruviana e al mio innamoramento per l’arte Inca, in particolare dell’architettura e soprattutto di come hanno saputo lavorare le pietre, ho pensato di pubblicare un libro, “Come le Pietre Inca”, ricco di fotografie che testimoniassero la nostra bellissima eserienza comune. Ho unito le mie fotografie al testo che avevo scritto visitando e rivisitando i vari siti archeologici. L’ho riveduto e corretto al computer facendo compagnia alla carissima Mia durante il mese di agosto e di settembre, in quanto lei era inferma dopo che era stata investita nel centro della piazza di Refrontolo, dove lei risiede, in pieno giorno e, paradossalmente, da un vigile urbano. Quando le misero il gesso definitivo e lei pote' essere relativamente autonoma, le dissi che avrei voluto ritornare a Venezia e cercare di trovare degli sponsor per pubblicare questo mio libro.
Lei non esito' un attimo e mi disse: “Io ti do una quota per iniziare, poi troverai il resto”.
Venezia oltre che il mio covo, e' un luogo straordinario dove trovo sempre la via d'uscita per affrontare i progetti in cui m'infilo. Non ho mai ringraziato ufficialmente questa citta' e i veneziani, ed e' decisamente giunta l’ora per farlo: GRAZIE A TUTTI! Il Signore mi ha mandato dalle persone giuste, e dopo la pubblicazione del libro, tutto il ricavato e' andato alla realizzazione dei pozzi d’acqua in Tanzania.
In quattro giorni trovai altri sei sponsor, l’editore, e nel giro di venti giorni ebbi davanti agli occhi i mucchi di libri rossi. Il primo sponsor fu Mia, poi l’architetto Marino Valletta di Roma, Lele Masiol, titolare del Ristorante “Busa alla Torre” di Murano, il dottore Piero Rosa Salva; Sandra, Antonio e Alberto dell’Agenzia d’Affari Immobiliari “Tiengo”, Mestre e Afro, Carlo e Luca della Vetreria Artistica “Polichromy”, di Murano. L’editore è Editrice ARTI GRAFICHE CARRER. Non posso dimenticare il patrocinio dell’Istituto Alberghiero “Barbarigo”, di Venezia. Grazie alla buona amicizia con padre Roberto Giraldo O.F.M. e Preside dell’Istituto Studi Ecumenici di S. Francesco della Vigna di Venezia, ho potuto conoscere e frequentare i tre studenti tanzaniani. Il padre Lutherano Johanna, il padre Anglicano John e il padre cattolico Erik.
Erano arrivati dalla Tanzania e non sapevano una parola d’italiano. L’amica Gabriella insegnava loro al mattino e io andavo da loro al pomeriggio per la dizione e ripetizione.
Arrivò la fine di giugno del 2004. L’anno accademico era agli sgoccioli e John e Johanna andavano a passare le vacanze dalle loro famiglie. Hanno moglie e figli, non essendo, come dicono loro, Romano Cattolici. Gli dissi di informarsi presso i loro vescovi, quali fossero i bisogni piu' urgenti da affrontare per aiutare i bisognosi. I vescovi mi mandarono delle lettere dicendomi che la priorita' ce l’aveva l’acqua, poi la luce e la scuola.
Mi feci mandare i vari preventivi e scelsi il piu' economico. Lunedì 8 novembre 2005, presentai il libro all’Ateneo Veneto. Come relatori c’erano i professori dell’Istituto Alberghiero “Barbarigo”, del quale avevo anche il patrocinio, Fulvia Cervone e Giancarlo Gianeselli, Gianni De Luigi conduceva l’incontro con il folto pubblico.
Anzi, la presidentessa dell’Associazione Culturale “Dante Alighieri” esordi' dicendo: “Sono felice di vedere finalmente una sala piena di giovani”.
Da novembre a marzo presentai il libro e raccolsi fondi da Milano ad Acireale. A Venezia organizzammo una magnifica serata alla discoteca “Acropolis”. Eravamo in 507 persone. Tanti amici collaborarono, ma tra tutti emerse la cara amica Maria Teresa Battino, professoressa d’inglese, che riusci' a distribuire piu' di cento libri tra i suoi allievi e vendere loro altrettanti biglietti per la discoteca. Un magnifico lavoro hanno fatto gli amici di Gussago (Brescia), in particolare l’architetto Mario Veronesi e la straordinaria Signora Giacomina Spini.
Ma anche il concerto di clavicembalo, eseguito dall’amico Giovanni Togni, nella chiesa dei Santi Casaglioni, gentilmente concessa da don Antonio Bonetta.
Una bella e proficua serata è stata anche quella all'Associazione LARNIA di Trieste.
Udine, Napoli, Acireale durante le feste natalizie e fino a Capodanno.
Splendida è stata la serata a Refrontolo: C'erano i rappresentanti di tutta la cittadinanza. La giunta uscente e la nuova; il Parroco, vecchi e giovani. La sala era piena.
E le diverse serate-concerto-cena e libro al Museo Querini Stampaglia... A Roma alla Parrocchia di San Camillo de Lellis, dove si esibirono in un concerto rock, Armando (figlio di Marino Valletta) e i suoi amici... La divertente accoglienza che offri' in campo, il Bar Cavallo, al Vescovo Anglicano John Mwela, con la banda di Sant'Erasmo.
Un grazie particolare lo devo alla giornalista Manuela Lamberti, che preparo' quella bellissima pagina del Gazzettino di domenica 7 novembre 2004. Un grazie particolare lo rivolgo con tutto il cuore al Vice Direttore del Gazzettino, Vittorio Pierobon, per la sua umana disponibilità.
In tutto questo lavoro di comunicazioni vicine e lontane, stampate in bianco e nero o a colori, c'e' sempre l'amico Toni Scarpa, con la sua grande pazienza e generosita'. GRAZIE TONI!
I fondi raccolti furono sufficienti per dare l'acqua a 200.000 persone circa, nella zona di Mbarali, terra dei pastori Masai, nella Diocesi di Mbeya-Tanzania.
A marzo del 2005 cominciarono i lavori di studio del terreno e la trivellazione per i pozzi. A fine maggio venne in Italia il Vescovo John Mwela, anglicano, per ringraziare i benefattori e andammo anche all'udienza generale del Papa, lui ne fu molto felice di avere dato la mano a Benedetto XVI.

FOTO BANDA, ARTICOLO, PAPA

A luglio mi decisi di andare in Tanzania. All'aeroporto trovai ad attendermi il segretario del Vescovo, il Pastore John con suo figlio e suo nipote e la macchina del Vescovo con l'autista. Rimasi due giorni a Dar es Salaam per ambientarmi al clima e poi partimmo alla volta di Mbeya, che si trova al confine con lo Zambia, sotto il Lago Tanganika. La città è situata a 1900 m.s.l.m. per cui a luglio fa piuttosto fresco di notte e c'è bisogno dell'acqua calda per lavarsi. Il Vescovo ebbe un grande riguardo nei miei confronti e mi fece abitare presso la casa del Vescovo cattolico, perché avessi la santa messa ogni mattina. Questo riguardo l'ebbe durante tutto il mio soggiorno tanzaniano. Mi portò a visitare la zona di Ngiombe, Songea e rimanemmo per una settimana a Manda sul Lago Nyasa. Mi fece visitare il parco nazionale di Mikumi e volle farmi conoscere la mitica Zanzibar, luogo del mercato degli schiavi. Poche persone sanno che la schiavitù terminò alla fine degli anni '20 del secolo scorso.

FOTO MASAI e ACQUA

La Stone Town di Zanzibar ricorda molto il Medio Oriente, ma anche Venezia, soprattutto colpiscono i portoni delle case del centro antico, ricche di legni e bronzi lavorati finemente. Ma anche gli edifici costruiti con i massi di corallo non sono male. Accanto alla Cattedrale Anglicana c'è un monumento per ricordare la deportazione degli indigeni, neri, verso i paesi arabi e orientali in generale, che è impressionante per la sua veridicità.

FOTO MONUMENTO

Vicino al monumento c'è la casa del Vescovo Anglicano in pensione, John Ramadhani, persona estremamente gentile e saggia. Il Papa Giovanni Paolo II l'ebbe come rappresentante della Tanzania, se non addirittura dell'Africa, al famoso incontro di preghiera per la pace, di Assisi, nel 1986, se non erro. Il Vescovo, dopo avermi fatto alcune domande sulla mia vita, mi disse che un sacerdote ordinato da lui, giovane, aveva scelto la vita celibataria, era parroco e si dedicava agli orfani della sua parrocchia. Mi mise in contatto con lui. Andai a conoscerlo prima di ritornare il Italia. Padre Joel abita a Ngombezi, Comune del Distretto di Korogwe, nella Regione di Tanga. Venne con me anche il Pastore John. Non è lontano da Dar es Salaam, sono quattro ore di macchina. Rimanemmo con P. Joel un pomeriggio, la notte il mattino dopo per incontrare anche il Vescovo di Joel. La zona è molto bella, vicina alle classiche falde del Kilimangiaro. Dissi a P. Joel che sarei ritornato, senza promettere assolutamente niente. Accarezzai l'idea di soggiornare tra quella natura collinosa, lussureggiante, dal clima piacevole, aiutando gli orfani e condividendo la vita con P. Joel. C'era un però, abbiamo sempre tanti però. Da quasi un anno ero in contatto con un eremita in città, avrei voluto sperimentare quel tipo di vita. Presentai la mia domanda a diversi Vescovi, ma non l'accettarono, finalmente, attraverso un caro amico Camilliano, Fratel Luca Perletti, Segretario Generale dell'Ordine dei Ministri degli Infermi, arrivai all' Arcivescovo di Ancona-Osimo, il quale mi disse di sì, di andare e provare con semplicità. Arrivai ad Ancona il 10 aprile, ma tanta era la mia trepidazione, che mi misi in viaggio il giorno prima. Mi fermai a Pesaro per vedere la città che non conoscevo, in particolare volevo vedere le cornici, gli stipiti delle finestre del Palazzo Ducale, che sono molto eleganti. Il Vescovo mi fece avere un magnifico appartamento in una casa abitata da preti, nel cuore della città, a San Biaggio, quasi di fronte alla famosa Fontana delle Tredici Cannelle. Un vero eremo, ciò che mi ci voleva per mettere alla prova la mia vocazione, il mio amore per il Signore. volevo un eremo nel senso di una luogo in centro città, dove vivere da solo, in preghiera e carità. Il luogo era perfetto per mettere alla prova la mia pazienza, la capacità di accettazione del contingente quotidiano in cui vivevo, e soprattutto, valutare quanto mi fosse sufficiente la presenza simbolica di Gesù per non sentire il bisogno di altre persone o cose. La casa è abbastanza grande e molto curata nel restauro dopo il terremoto. Ha un bell'ingresso-soggiorno-pranzo, cucina, camera da letto, con belle finestre, grandi ma senza luce: L'appartamento s'affaccia su uno strettissimo cortile e di fronte ha un palazzo altissimo, in più alle finestre ci sono le zanzariere piombate. La seconda stanza dà su una piccola chiostrina, buia anche quella. È' una perfetta casa invernale. Al piano sotto del mio, c abita Don Mario, con problemi d'udito, per cui teneva il televisore ad alto volume, tanto che avrei potuto seguire il telegiornale. Sopra di me abita Don Nicola, il quale soffre d'insonnia e cammina a tutte le ore, con le scarpe o delle ciabatte pesanti. Io, che ho sofferto da sempre per il rumore dei vicini di casa, lì sono stato messo alla prova e non ero per niente disturbato, anzi ero totalmente indifferente, sentivo ma vivevo come se fossi stato lì di passaggio, provvisorio e in effetti era proprio così. Psicologicamente ero staccato da quella realtà, nulla avrebbe potuto disturbarmi, tranne la salute. Non sono stato mai tentato di uscire dopo cena, nemmeno con il grande caldo. La Caritas chiuse dal 7 al 27 di agosto e io andai in Tanzania da P. Joel, informando i Vescovi, sia di Ancona che di Tanga. All'aeroporto di Dar es Salaam trovai ad attendermi il Vescovo John Mwela di Mbeya, P. John, e P. Joel. Il giorno dopo partimmo per Ngombezi con la macchina di P. John. Io passai la prima notte a casa del Vescovo Anglicano Baji, a Korogwe. Il Vescovo avrebbe voluto che alloggiassi stabilmente da lui e che andassi tutti i giorni, con la sua macchina, al villaggio di P. Joel, ma io fui chiarissimo, gli dissi che ero venuto per stare con P. Joel, che lo volevo conoscere, conoscere la vita del suo villaggio.

FOTO VILLAGGIO CON BAMBINI

Ngombezi dista da Korogwe circa cinque chilometri. È una zona collinare, dove lo Stato ha fatto piantare la juta. La juta la si comincia a vedere decine di chilometri prima Korogwe e si estende verso Tanga a sud, e s nord verso Lushoto. Sparsi lungo questo grandioso paesaggio, si incontrano ogni tanto dei villaggi statali, con casette fatte in serie, così è anche Ngombezi, con in più delle casupole di mattoni crudi che si sgretolano, o di fango e sterpaglia. Padre Joel abita, in affitto, in una casa dello Stato e con lui ha tre orfani, uno dei quali è figlio di suo fratello, morto, e la cui mamma non è in grado di mantenerlo.

FOTO IN CASA CON ORFANI e JOEL

Al mattino ci si alza alle cinque per le preghiere, poi si fa una piccola colazione e si comincia la giornata lavorativa. I ragazzi a scuola, Joel ed io a studiare come organizzare qualcosa di buono per il Signore, per gli orfani e per noi, perché nò? Il primo dei problemi che abbiamo affrontato è stato fare il censimento degli orfani. Il risultato fu poco esaltante: 70! Trenta orfani totali e 40 di uno dei due genitori. Scattai la foto di ciascuno di loro, prendendo tutti i dati necessari per preparare la cartella personale e con quella trovare delle adozioni a distanza. Il secondo problema era l'orfano Joseph, di sedici anni, orfano totale e che vive con P. Joel. Joseph ha terminato la prima classe della Scuola Secondaria, ma poi è rimasto a casa per mancanza di soldi. Le spese scolastiche sono costose e Padre Joel non ce l'ha fatta ad affrontarle. Allora decidemmo di usare il denaro che avevo portato io, ricevuto dagli amici prima di partire, per farlo andare a scuola quanto prima. Io non avevo sbandierato ai quattro venti d avere con me 5.000 Euro per gli orfani. Aspettai di vedere come si sarebbero svolte le cose. Ad un certo punto dissi a Padre Joel la mia intenzione di aprire un conto bancario internazionale, sul quale poter spedire del denaro dall'Italia, in caso lo ricevessi. Invitammo anche il Vescovo e andammo a Tanga alla NBC Limited, P. O. Box 5031. Grazie a fatto che il Vescovo abbia avuto una ONG, ho potuto essere incluso anch'io nel contratto e usare la mia firma in caso di bisogno. Il conto è sotto il nome "DROPS OF LOVE PROJECT", con il numero 020108000152 ; swift code: NLCBTZTXXX. Sul conto ho depositato 3.000 Euro. Il giorno dopo siamo andato a Korogwe, abbiamo prenotato una Casella Postale, ci hanno dato la 272. Mi rimaneva ancora un gesto da compiere prima di partire: Aprire un conto a Korogwe a non di Padre Joel, in modo che potesse avere la possibilità di prelevare in caso di bisogno, senza dover correre con il Vescovo fino a Tanga. Con il Vescovo, perché abbiamo voluto che ci fossero almeno due persone su tre, per prelevare dei soldi. Alla National Microfinance Bank di Korogwe, c'è il conto corrente con il numero 4152503529, a nome di Joel Makame, diciasettesimo figlio di una infermiera, che ha saputo educare e far studiare tutti i figli. Su quel conto ho messo 2.000 Euro. C'è un altro particolare non di secondaria importanza: La Banca di Korogwe non cambia la valuta estera e non ha il Bancomat, questo mi ha creato un grande disagio. Questa scoperta mi ha allarmato anche per il futuro, così ho pensato che avendo il conto P. Joel, in caso di bisogno si può andare in Banca con lui e ritirare dei Shellini Tanzaniani. Su entrambi i conti si possono spedire dei soldi, senza problemi. Le due settimane al villaggio, vissute come tutti i contadini del luogo, sono state colme di serenità. All'ora del tramonto, prima che faccia buio, si riempie un secchio d'acqua e si va a farsi il bagno, ponendosi l'acqua sulla testa con un pentolino e si lascia un po' d'acqua per lavare i panni sporchi. l'acqua la si va a prendere al fiume con le taniche o i secchi, che non è molto distante. Ci si nutre di polenta bianca, molto leggera, legumi, verdura soffritta, patate, pesce secco e frutta tropicale. Ciò che stupisce è la discrezione, il parlare sottovoce, la tranquillità della natura e della gente. Tutto è intenso, ma non sgargiante. Immenso, ma non volgare. Dopo cena, normalmente si chiacchiera per un'oretta, poi si dice Compieta e si va a letto alle nove. Prima di coricarmi, uscivo dalla mesta casa e alzavo lo sguardo al cielo. La settimana di assenza della luna, la Via Lattea sembrava la si potesse toccare, e il resto del cielo non era nero, aveva un colore luminoso, anche se scuro, dal grande luccichio delle stelle, che arrivavano fino a terra. Joel ha voluto che andassimo a visitare la zona di Lushoto, che si trova a due ore di corriere da Korogwe. È una splendida zona montuosa al centro dei Monti Usambara, a 1200 m.s.l.m., disseminata da nascoste ville, ex coloniche, da una profumata e fresca foresta, dove chi poteva andava a passare l'altrimenti calda estate. A cinque chilometri dalla città, c'è un luogo da cui si ha l'impressione di vedere tutta l'Africa: Irente View. Si sale una stradina sterrata, un po' in salita dopo l'albergo di lusso, ed ecco che d'improvviso ci si trova su un roccione immenso e davanti e sotto l'immensità. È un luogo da urlo.

FOTO IRENTE e LOCANDINA "GOCCE D'AMORE"

Ogni adozione sarà una goccia d'amore che farà crescere e studiare coloro che altrimenti sarebbero destinati alla miseria totale. Appena arrivato ad Ancona, ho cominciato a parlare e contattare coloro che conoscevo, informandoli del Progetto "GOCE D'AMORE". Telefonai in giro per l'Italia e con una volontaria della Caritas, Sandra Oliva, preparammo un primo pieghevole. Anche suo marito era felice di partecipare al Progetto. Poi con il responsabile della Banca Etica per Le Marche, Paolo Ranzuglia, stavamo già studiando di fondare una associazione ONLUS, finalizzata alla raccolta fondi per gli orfani, ma la domenica pomeriggio, dopo avere accompagnato al treno Maria Teresa che tornava a Venezia, andai al bagno ed ebbi una sorprendente emorragia intestinale. In un istante cambia il mondo. Ti trovi al Pronto Soccorso, tra tanti come te o peggio di te. Ti siringano e invadono la tua riservatezza da tutte le parti, e tu non puoi fare niente, perché speri che ti risolvano il problema. Eccomi anch'io come bisognoso, con un problema da risolvere o per lo meno da affrontare. Dopo la rettoscopia ti vogliono fare la colonscopia, perché devono vedere fino in fondo, e tu cosa fai? Taci o scappi! Prendi tutto quello che puoi e corri sul treno. Vuoi essere a casa tua, tra le tue cose, i tuoi amici, il tuo paesaggio. Sono a Venezia da lunedì sera 4 settembre, oggi siamo il 29 ed è venerdì. Mi curo la mia colite ulcerosa e anche l'otite di cui soffro ormai da dieci giorni, la quale mi ha reso sordo al 40% per i toni alti e al 70% per i toni bassi. Tra l'altro, raccontando a Mia la novità del mio udito, soprattutto per la parte che concerne i toni bassi, che mi danno molto fastidio e secondo il dottore che mi ha fatto l'audiometria, è una mia difesa naturale, Mia mi disse: "Ti ricordi che quando eravamo in giro con la barca sul Lago Titicaca, ad un certo punto urlasti alla guida turistica di abbassare i toni bassi? Perché ti davano fastidio? Antibiotici, gocce, cortisone e il ronzio non passa. Ma quanto tempo ci vorrà perché finisca e se finirà. E il resto? Padre Joel mi ha dato una bellissima notizia, al telefono: Joseph è tornato a scuola. ha dovuto pagare tutte le spese scolastiche per i mesi trascorsi, comperare le divise e tutto il necessario, ma sono felice anch'io. Io ho avviato la raccolta delle adozioni e sono arrivato a 32, alcuni hanno pagato per tre mesi, altri per sei, qualcuno per l'intero hanno e coloro che abitano lontano mi devono ancora mandare la loro quota. Lunedì prossimo penso che andrò alla Banca e spedirò l'intera cifra a Padre Joel, in modo che organizzi l'assistenza agli orfani e li iscriva al prossimo anno scolastico, grazie a Dio e a tutti i benefattori, mi ricorderò di tutti voi nelle mie preghiere. Desidero ritornare su due punti: Il Dono e la Pazienza. La Carità è dono totale di sé e dei beni che si distribuiscono, ma la Carità dev'essere fatta con grande pazienza. Anzi, si dovrebbe imparare prima ad essere pazienti e poi caritatevoli. Páthos, patimento, commozione, affetto. Patire, compatire, pazientare con il bisognoso. Vedere il bisogno, capirlo, assumerlo come fosse proprio, perché è del nostro prossimo, e il prossimo è il nostro vicino, il più vicino, quello della porta a canto, che è seduto sull'autobus, che ci telefona. Nessuno è più vicino a noi di chi sta al telefono con noi. Se il verbo donare deriva dal latino dônum, il cui significato è: Dare qualcosa con un libero atto di volontà e senza aspettarsi ricompense o per riconoscenza, amore, affetto, ricordo o dedicarsi completamente a qualcuno, è chiaro che non ha nulla da fare con l'egoismo, l'egocentrismo, la superbia, la fantasia di padronanza. Il verbo pazienza deriva dal latino pâtiens: patire, sopportare. Il latino a sua volta prende dal greco páthos, che però anche il greco deriva dall'indoeuropeo: Páschein (patire). La Carità riconduce alla Passione del Signore. Tutta la storia della Carità e del dono parte dalla passione che genera nell'essere la pazienza. Il punto di partenza è (sono) la vista e l'udito. Da essi, se l'essere recepisce il seme della compassione, nasce in esso il sentimento della pazienza, della volontà di donarsi e donare al bisognoso ciò necessità. Vedere con gli occhi e udire con le orecchie e da essi lasciar passare al cuore e alla ragione, e decidere di donarsi e donare. Ecco che la fede e la ragione agiranno insieme, facendo sì che il donatore dimentichi se stesso, ma sia ricordato dal beneficato e da Dio. È Dio che conosce tutto grazie al Suo "Ambasciatore", lo Spirito Santo, che è dentro di noi. Invece avviene esattamente il contrario: il beneficato dimentica e il benefattore, non tutti, ricorda. Il dono mal fatto genera l'odio. E se chi riceve non vuole ricordare di avere ricevuto, per non essere riconoscente, e perché non si sappia del suo passato d'indigenza, arriverà a detestare e calunniare chi l'ha beneficato. D'altro canto, il benefattore, vedendo la non riconoscenza dell'altro, non potrà certo essere contento del gesto caritatevole fatto nel passato. Il benefattore, se non impara a fare del bene per il Signore, prima o poi si lamenterà del dispiacere e delle offese che riceverà. Anche coloro che si dicono non credenti, se si limitano a donare per il mero piacere di donare, non ne soffriranno mai, perché sono stati già ricompensati dal piacere di donare e di donarsi. Il piacere di donare e di donarsi come fine a se stesso, è simile al piacere di donare per il Signore.

"SERVO INUTILE"
Lc 17,10; Gb 22,3; 35,7

giusto e che vantaggio ha, se tieni una condotta integra?". "Se tu sei giusto, che cosa gli dai o che "Abbiamo fatto quanto dovevamo fare". "Quale interesse ne viene all'Onnipotente che tu sia cosa riceve dalla tua mano?". Che si faccia qualcosa per dovere o per piacere, abbiamo fatto quello che dovevamo fare, ma per accettare questa verità dobbiamo ricordarci che siamo "servi inutili" di Dio, perché non ha bisogno di noi per se stesso, ma per i nostri simili. Di tutti i progetti che concepito e realizzato con la grazia del Signore e con l'aiuto dei benefattori, nessuno è stato finalizzato alla mia persona, niente è rimasto nelle mie mani. Per dire la verità, poco è rimasto anche della mia vita precedente alla conversione e quel poco è il mio minimo vitale con cui vivo e viaggio, per i vari progetti che di volta in volta concepisco e porto a compimento. Sono stato un servo inutile a Roma a "Casa Serena", in Albania due volte per una sttimana. Durante la prima volta avevo raschiato e dipinto le pareti e il pavimento della Cappella dei Missionari, avendo portato da Trieste i prodotti necessari per il lavoro. Con me erano venuti anche dei miei conoscenti, attraverso i quali i Missionari della Carità ricevettero un TIR di vernici, gratis. Servo inutile sono stato a "Shanti Daan", la casa di 400 moribondi dei Fratelli della Beata Teresa di Calcutta, a Bombay; servo totalmente inutile sono stato alla casa dei bambini del discusso ex Donenicano, P. Anthony Ellengimitan a Bandra (Bombay); servo inutile sono stato alla casa per malati di AIDS, a Montanara (Mantova); sempre servo inutile sono stato a Gurgaon per la fondazione della Missione, in qui mesi vidi erigere i muri di cinta, costruire la casa degli ospiti, il magazzino, la trivellazione, a mano, del pozzo d'acqua. Io sono stato uno dei primi a berla. Era dolce e freschissima. Ora so che esiste una splendida chiesa e una bella casa per i novizi, una casa per i menomati nel corpo e nella mente. A Gurgaon sono stato doppiamente servo inutile, perché avevo partecipato anche con una cifra, discreta per l'India di allora, di tasca mia. Ora, da quello che sento dire, sembra che sia cambiato molto, ma i non ci credo che sia cambiato per i poveri. Ma servo davvero inutile sono stato, e, come usano dire un po' tutti, alla grande, con P.P. a Chirag Nagar e a Tagore Nagar. P.P. Mi ha ripagato proprio alla grande, preferendo tacere e farmi passare per ladro, anzi che rispondere come sarebbe stato un suo dovere morale, leale e sincero. Rispose alle mie telefonate e ai miei fax un anno dopo, quando venne a Venezia ospite dei suoi nuovi amici, firmando il mio fax che gli avevo mandato un anno prima. Per fortuna c'erano i testimoni, perché il diavolo, che esiste in noi, fa le pentole ma non i coperchi. Poi ci fu anche lo sgradevole equivoco dell'incasso circa la mostra di quadri a S. Basso. Erano dei lavori donati da vari artisti. Io avevo unito tre progetti. L'India, Venezia e Venezuela. Il Gazzettino pubblicò una settimana dopo la chiusura della mostra, il successo della vendita per beneficenza, dicendo che erano stati incassati 12.000.000 di Lire, falso. In realtà erano stati incassati 6.000.000 di lire. Divisi per tre quanto fa? Non serve avere fatto l'università per fare questo calcolo. Prima che io andassi a Bombay con Jacopo Fasolo, una buona cristiana, veneziana che aveva letto il Gazzettino, telefonò a P.P. informandolo dell'incasso errato. Quando arrivai a Bombay e gli diedi i due milioni della mostra e i vari soldi che avevo ricevuto, sempre Jacopo come testimone, compresi quelli mandati da Francesca De Vito, P.P. Mi chiese dove fossero glia altri 10.000.000 della mostra. Non servirono né le lettere dell'architetto Franco Fabris, curatore della mostra, né la testimonianza verbale dell'ingegnere, P.P. aveva il suo piano, sostenuto da coloro che da soli non sanno fare niente. Non a caso, la persona che telefonò a P.P. per fargli la lettura del Gazzettino, quanto mi contattò, mi disse che desiderava tanto fare qualcosa per i bambini, ma che tutto ciò che iniziava le andava male. Questa volta ci è riuscita! P.P. è ritornato a Venezia per la beatificazione di Madre Teresa, con il suo Padre spirituale, che io conoscevo, e con l'autista del parroco (si vede che ormai sono ricchi). Dietro richiesta di P. Herculan, ho incontrato lui e il suo autista. Mi disse che P.P. piangeva, perché non lo volevo incontrare, non sapeva il perché, ma è possibile o faceva l'indiano? Gli avevo scritto mille volte dicendo ripetendogli ogni particolare, e non rispondeva. Scrissi perfino al suo Vescovo affinché lo facesse ragionare, e lui insiste ancora mandandomi delle lettere, dicendo che non capisce perché non gli sono più amico. Insiste a fare l'indiano. Oscar dice: "No go astico".

FOTO DEL FAX e LETTERA DI FABRIS

Alcuni momenti vissuti a Chirag Nagar, lungo le strade di Bombay in cerca dei bambini di strada, spidocchiarli, medicarli per la scabbia, andare alla santa messa al mattino presto e vedere la chiesa sempre piena di fedeli, erano molto edificanti. Però P.P. non avendo più bisogno di me, ero diventato INUTILE, ma io non capivo, allora. Ora agisco da "servo inutile" già iniziando un progetto: procuro il necessario e saluto, benedicendo. Servo inutile sono stato in Guinea Bissau, visto l'articolo che si sono fatti pubblicare, e chi l'ha scritto mi conosce bene e sapeva benissimo com'erano andate le cose. Sempre servo inutile sono stato anche alla Parrocchia di P. Angelino, con i seminaristi, con la ricerca della casa, con l'Ostello di Chinchavito e l'elettrificazione della valle. Il Perù mi ha fatto il dono di conoscere bene i siti archeologici Inca. Di fare tante fotografie, di mettere per iscritto ogni giorno le mie emozioni e poi di pubblicare il libro, di raccogliere i soldi e fare i pozzi d'acqua, dove l'acqua è un desiderio. Ma il Perù fu, soprattutto, il toccasana per Mia. A quell'altitudine con l'aria rarefatta, il cielo blu con le nuvole bianche in cammino, il cibo sano, il sonno tranquillo grazie alla lontananza dal luogo del dolore, Mia andava quasi tutti i giorni dal parrucchiere e usciva raggiante, con il suo caschetto dorato. Io mi divertivo farla camminare in salita, perché si stancava e diceva che si sarebbe fermata e tornata indietro, se non avessi rallentato il passo. Io lo facevo per farle venire l'appetito. Forse sono stato meno servo inutile con il libro, perché ho ancora qualche copia, che tengo per ricordo. Il libro uscì nel 2004; i pozzi nel 2005; il mio primo viaggio in Tanzanizia luglio 2005; Ancona 10 aprile 2006; secondo viaggio in Tanzania agosto 2006; ritorno a Venezia il 4 settembre 2006, per curarmi il corpo materiale, quello spirituale avrei dovuto curarmelo ad Ancona, ma è poi vero che cisia un certo posto per curare l'anima e non dovunque ci si trovi? Anche ad Ancona ho avuto la mia magnifica dimostrazione che ero un servo inutile: Per quattro mesi non avevo fatto altro, insieme ad altri volontari, a scegliere i capi migliori, a dividerli e impaccarli per traslocarli nella futura casa della Caritas, molto grande e bella. Una sera arriva un uragano dal mare, torrenti d'acqua in tutta la città, con danni enormi. Il mattino dopo, vado al magazzino della Caritas, infilo la chiave per aprire e non si apre la porta in nessun modo. Chiamo la Signora Rita, che abita sopra gli uffici e le dico che non riesco ad aprire e che mi desse la chiave della saracinesca. Lei, quasi sorridendo, mi disse: "Avessi visto cos'era ieri sera nel piazzale. Era tutto un mare, acqua da per tutto e non entrava nei tombini, che erano intasati di detriti". Il magazzino era tutto allagato. I pacchi erano crollati uno sopra l'altro, perché quelli a terra, non essendo appoggiati su dei bancali, avevano assorbito l'acqua come una spugna. La scena mi ricordava i Templi Greci di Selinunte, con tutte quelle colonne spezzettate e sparpagliate.

FOTO SELINUNTE

Non si poteva fare altro che asciugare, dividere ciò che era asciutto da quello che era bagnato e cercare Luca, il ragazzo che raccoglieva gli stracci, caricare tutto e riordinare il magazzino. Non c'era tempo da perdere, il giorno dopo si chiudeva per ferie e io partivo per la Tanzania. Quattro mesi di lavoro inutile. Più servo inutile di così! Ora devo essere utile a me stesso. Devo curarmi. Anche se ho perso un'alta percentuale dell'udito, non mi disturba per niente, attendo però che mi cessi questo ronzio dovuto all'otite. Devo comunque ringraziare il Signore Dio, perché Egli da e toglie, come vuole. Lo ringrazio con tutto il cuore perché non mi ha lasciato solo nella mia malattia, né tanto meno senza un progetto. Dalla Sua onniveggenza, ha voluto che andassi a Ngombezi, conoscessi quegli orfani e avessi di che occuparmi pur curandomi nel mio covo veneziano. Oggi posso dire che si può essere missionari anche stando a casa propria e da malati, non ci sono scuse che tengano, per non fare niente per i bisognosi.

FOTO CON I BAMINI e P. JOEL




Lele fu anche uno degli sponsor del mio libro “Come la Pietre Inca”.





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© 2006 GOCCE D'AMORE, Progetto Ecumenico

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