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Vediamo di capire meglio perchè.
Nel discreto, dove tutto è finito e limitato, Universo compreso, è contemplato il vuoto e il movimento avviene per scatti elementari non ulteriormente divisibili.
Immaginiamo allora che, l'ipotetico Universo Y discreto di cui sopra, sia un lungo corridoio il cui pavimento sia fatto di 10 mattonelle elementari (nel senso che non sono ulteriormente divisibili), con ognuna delle quali che individua di conseguenza anche lo scatto elementare del moto.
In siffatto Universo Y tutte le possibili velocità sono esattamente 10, e precisamente:
1 scatto 2 scatti 3 scatti 4 scatti 5 scatti 6 scatti 7 scatti 8 scatti 9 scatti 10 scatti
con l'ultima (ovvero 10 scatti) che è esattamente la velocità massima sostenibile all'interno dell'Universo Y.
Sono dunque le dimensioni globali degli Universi discreti che determinano l'esistenza di una velocità limite.
In realtà, negli Universi discreti, accade contemporaneamente che sono anche le dimensioni parziali di questi ultimi che determinano l'esistenza di una velocità limite.
Se infatti proviamo, grazie a degli esperimenti, ad "interrogare" la natura Y nel merito della velocità massima che è appunto sostenibile all'interno dell'Universo Y, e con riferimento, non a tutta l'estensione di quest'ultimo, e cioè 10 spazi lineari, ma, per esempio, con riferimento a metà Universo Y, e quindi con riferimento a 5 spazi lineari, ebbene, "la risposta" che la natura Y ci restituisce è precisamente 5 scatti, che è esattamente ancora la velocità massima sostenibile all'interno dell'Universo Y, visto che i 5 scatti fanno riferimento solo a metà Universo Y.
Se infatti la progressione di 5 scatti ci consente di percorrere solo 5 spazi lineari di Y, la stessa progressione di 5 scatti, potendo ancora evolvere, visto che Y è lungo 10 spazi lineari, ci consentirà di percorrere tutto Y con appunto 10 scatti, e che è appunto la velocità massima sostenibile all'interno dell'Universo Y.
Nulla naturalmente cambia se invece di considerare 10 spazi lineari di Y, o di considerare 5 spazi lineari di Y, ne considero 4 o 3 e così via.
Per cui, la natura di un possibile Universo discreto Y, "interrogata" (con degli esperimenti) nel merito della velocità massima sostenibile, è in grado di restituirci sempre la stessa velocità limite, e ciò anche se lo spazio in cui effettuiamo l'esperimento non è tutto l'Universo Y, ma solo una quota parte di quest'ultimo.
L'incredibile ora è che quello che accade nell'Universo discreto Y, è anche ciò che esattamente accade nel nostro Universo X.
Quando infatti "interroghiamo" con degli esperimenti, con la luce ma anche con gli elettroni, la natura X del nostro Universo X, ebbene essa sistematicamente ci restituisce sempre la medesima velocità limite, e ciò sia su piccola scala, le dimensioni di un laboratorio, sia su grande scala, le dimensioni del Sistema Solare.
Conclusione: la natura X dell'Universo cui apparteniamo è esattamente identica alla natura Y dell'ipotizzato Universo Y solo ed esclusivamente discreto.
La nostra Realtà fisica, dunque, in base a ciò che la sua stessa natura ci dice, è solo ed esclusivamente discreta, per cui è contemplato il vuoto e il movimento a scatti, e tutto è finito e limitato.
Ma il discreto non solo
- consente di spiegare facilmente l'esistenza di una velocità limite
- e di farci capire che la nostra stessa Realtà Fisica è discreta
- ma ci consente anche di far saltare il circolo vizioso in cui è caduta la Fisica negli ultimi 100 anni, e che porta dritto all'obbrobrio della dilatazione del tempo.
E dove il circolo vizioso di cui sopra è il seguente:
- scoperta dell'esistenza di una velocità limite
- correzione delle trasformazioni di Galileo con quelle di Lorentz
- obbrobrio della dilatazione del tempo, con il moto e la gravità che finiscono, infatti, a causa della suddetta dilatazione, per autoannichilirsi.
Ma spieghiamolo meglio questo circolo vizioso.
All'origine della teoria della dilatazione del tempo, c'è, in sostanza, la scoperta dell'esistenza di una velocità limite.
Scoperta contemplata dalle equazioni di Maxwell, ma non dalle trasformazioni di Galileo.
Rispetto a tutto ciò che attiene alla teoria della dilatazione del tempo, la scoperta dell'esistenza di una velocità limite, è l'unica cosa certa, verificata e verificabile sperimentalmente (con la luce, ma anche con gli elettroni).
Tutto il resto, infatti, sono solo deduzioni.
Deduzioni che, peraltro, sono solo suffragate da
esperimenti i cui risultati sono sistematicamente
commentati, dagli stessi ricercatori che li hanno
conseguiti, con la frase per niente convinta e
convincente:
i risultati sono in buon accordo con la teoria.
"La Fisica di Berkeley"
vol. 1 (meccanica)
di C. Kittel, W. D. Knight e M. A. Ruderman
Zanichelli Bologna
(l'edizione originale è pubblicata da McGraw-Hill)
a pag. 15, per esempio, si legge:
Einstein, in una serie di bellissimi lavori (1917),
ha descritto una teoria di gravitazione e geometria,
la teoria della relatività generale, che predice, in
buon accordo quantitativo con i dati sperimentali,
i due effetti sopra descritti.
Esperimenti sulla vita media del mesone pigreco+
(pione positivo) sono riportati da R.P. Durbin,
H.H. Loar e W.W. Havens, Jr., Phys. Rev. 88,
179 (1952): i risultati sono in buon accordo
con la dilatazione del tempo predetta per le
velocità in esame.
Per cui si inventarono le trasformazioni di Lorentz, dalle quale si evince però la dilatazione delle lunghezze, e a cui si aggiunse, successivamente, l'obbrobrio della dilatazione del tempo.
In realtà le cose, secondo me, stanno in modo molto più semplice, ed al punto che, proprio grazie al discreto, è possibile far saltare il circolo vizioso di cui sopra, ecco come:
I) le trasformazioni di Galileo sono dei semplici modelli ingegneristici
II) la Realtà è solo ed esclusivamente discreta
III) per cui il movimento evolve a scatti, e non in modo fluente e continuo
IV) di conseguenza esiste una velocità limite, semplicemente perchè in una Realtà solo ed esclusivamente discreta, in uno spazio occupabile (dalla materia e dal vuoto) di lunghezza L, possono al massimo starci X scatti elementari (elementari nel senso che non sono ulteriomente frazionabili)
V) per cui, se per esempio appurassimo che in uno spazio occupabile L, al massimo ci possono essere 5 scatti elementari, e che A fa 1 scatto mentre B fa 3 scatti, ebbene, se A si mette sopra B, A farà complessivamente 4 scatti, con ciò che è in accordo con la semplice somma delle velocità (velocità nell'ambito del continuo e non scatti nell'ambito del discreto) delle trasformazioni di Galileo
VI) sempre nell'ipotesi che avessimo appurato che in uno spazio occupabile L, al massimo ci possono essere 5 scatti elementari, se viceversa mentre A fa 1 scatto, "spara" anche un oggetto B alla velocità di 5 scatti, ebbene, B coprirà la distanza L comunque in 5 scatti e non 6 scatti, con ciò che è in accordo con gli esperimenti, e cioè che la velocità limite (i 5 scatti) è indipendente dallo stato di moto della sorgente (ovvero di A)
VII) sempre nell'ipotesi che avessimo appurato che in uno spazio occupabile L, al massimo ci possono essere 5 scatti elementari, se viceversa A fa 5 scatti mentre B fa 1 scatto, ebbene, anche se A si mette sopra B, A coprirà la distanza L comunque in 5 scatti e non 6 scatti, con ciò che è in accordo con gli esperimenti, e cioè che la velocità limite (i 5 scatti) è indipendente dallo stato di moto dell'osservatore (ovvero di B).
Come anticipato, dunque, a partire dal discreto, sono bastati sette semplici punti a far saltare il circolo vizioso di cui sopra.
Ed infatti, senza far ricorso alle trasformazioni di Lorentz e alla dilatazione del tempo, sono riuscito a spiegare:
- non solo perchè le trasformazioni di Galileo fanno cilecca con la velocità limite
ma sono riuscito a spiegare anche ciò che gli esperimenti evidenziano, e cioè che:
- la velocità limite non solo è indipendente dallo stato di moto della sorgente
- ma anche che la velocità limite è indipendente dallo stato di moto dell'osservatore.
Queste ultime considerazioni, fra l'altro, non avendo niente a che vedere nè con i riferimenti inerziali di Galileo e nè con la dilatazione del tempo, ci inducono ad aggiungere altre 2 cose:
- primo: che il non evidenziare nessun spostamento delle frange di interferenza in conseguenza dello spostamento dell'interferometro di Michelson e Morley, non suggerisce affatto che gli effetti dell'Etere non siano rilevabili, ma solo che la velocità della luce coincide con la velocità limite
- secondo: che l'Etere, ingiustamente seppellito, è in realtà il discreto stesso.
In una Realtà solo ed esclusivamente discreta, infatti, con la velocità limite che non ha niente a che vedere con i sistemi di riferimento inerziali, l'Etere è esattamente il discreto stesso.
Quello che i sostenitori dell'Etere immaginano che sia l'Etere, in realtà, è solo il discreto riempito di materia, con il vero Etere che, invece, è esattamente la nostra Realtà quando le abbiniamo la sua vera natura, appunto discreta.
I suddetti sostenitori sono stati ingannati nelle loro idee dal fatto che la vera Realtà è stata involontariamente camuffata con le proprietà del continuo.
Per cui, sulla scorta anche delle osservazioni e delle deduzioni che facevano e fanno quando ad esempio guardavano e guardano il mare, hanno immaginato e immaginano un Etere che ha consistenza, e che dunque contempla anche la materia.
Quando in realtà ciò che osservano e osserviamo è solo materia aggregata (le goccie d'acqua del mare) che si sposta all'interno di un supporto di fondo, ovvero il discreto, l'unico vero Etere.
Le proprietà del discreto sono molto semplici.
Nel discreto (o Etere):
- tutto è finito e limitato
- è contemplato il vuoto
- e il movimento avviene a scatti.
Di conseguenza il discreto (o Etere) è "spazio occupabile" solo in parte effettivamente occupato dai costituenti ultimi della materia, con ciò che infatti rimane dello "spazio occupabile" che è riservato al vuoto.
Rispetto a ciò, dunque, il mare, ad esempio, è solo una sorta di discreto di secondo livello o Etere di secondo livello, potendolo immaginare come "spazio occupabile" dalla goccie del mare e dal vuoto di goccie del mare.
In conclusione, dunque, l'unico vero Etere è esattamente il discreto, ovvero un supporto di fondo fatto di:
- uno spazio M riservato ai costituenti ultimi della materia, con questi ultimi che possono o non possono effettivamente occuparlo, e dunque con lo spazio M fatto o di solo vuoto o di costituenti ultimi della materia
- e di uno spazio V comunque riservato al vuoto, con lo spazio V, dunque, fatto solo ed esclusivamente di vuoto.
Il mare invece è una sorta di Etere di secondo livello, un Etere2, ovvero un supporto non di fondo fatto di:
- uno spazio M2 riservato ai costituenti ultimi del mare, ovvero le goccie del mare
- e di uno spazio V2 riservato al vuoto di goccie di mare.
Giovanni
lunedi 28° giorno di ottobre 2002