Il Monte
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Il Monte di Portofino

 

Il Monte. Si chiama così, senza nessun complemento di specificazione. Non ce n'è bisogno, non so se sia una pratica diffusa in tutto il mondo, chiamare cioè Il Monte con la M maiuscola la montagna più vicina, come Il Lago, Il Fiume, e così via. Fatto sta che non mi accorgo di parlare un po' troppo vagamente, mentre parlo con amici lontani, continuando a dire Monte senza nient'altro dopo... ma ormai mi suona bene così. È così e basta. Ed il Monte ha tutte le sue storie, vediamo un po' quelle che mi ricordo io...

Un vulcano! Il caprone! Gli abitanti! I sentieri!

Il Monte di Portofino è un vulcano

Da quando a scuola, alle elementari, ho letto che alcune montagne erano state un tempo dei vulcani, mi sono convinto che la stessa sorte fosse capitata anche al Monte. Ed ora non so più se è tutta fantasia o meno! Potrebbe anche essere, io non capisco niente di rocce, ma il Monte è pieno di tufo che sembra roccia vulcanica... Chi lo sa, forse un vulcano lo poteva anche essere stato... Ci assomiglia anche, sarà da qui che ho creduto sempre di vedere lava e lapilli uscire dalla sua sommità...

Il caprone

Foto (aprile 1988) del caprone alle batterieChi non ha mai incontrato il caprone alle case matte? Oppure l'ha notato passando con la barca da Punta Chiappa, una macchietta bianca che saltellava sulle rocce sotto i bunker verso il passo del Bacio. Non ho una foto di quegli incontri, non tanto perché mi mancava la macchina fotografica, quanto perché ero ben più preoccupato di salvare le penne!! Non sarà stato pericoloso, ma trovarsi un caprone, su di un sentiero impervio (tipicamente alle case matte sopra Porto Pidocchio, dopo l'incrocio con il sentiero per il Semaforo Nuovo), che vi guarda negli occhi... non è un'esperienza tranquilla. Non ho detto che sia piacevole, solo che non conosco il comportamento di un caprone selvatico... quindi la fuga è sempre stata la tattica migliore! Eppure, prima di partire per ogni escursione, la voglia di incontrarlo era sempre alta. Anzi, se non lo incontravo, tornavo a casa dispiaciuto, come se non avessi potuto salutare un amico pur visitando la sua città. A metà degli anni 90, purtroppo, è stata ritrovata la sua testa e la carcassa spolpata... se lo sono mangiato!!! Ecco un trafiletto apparso sul Secolo XIX che ne ricorda le gesta! 

Gli abitanti del Monte

Il Monte, a parte i centri abitati di S. Rocco, Mortola, Porto Pidocchio e Portofino Vetta (o Kulm), non è molto ben abitato, soprattutto perché è avaro di acqua e non ci sono luoghi molto ospitali. Finché si fa una gitarella, tutto bene, ma viverci tutta la vita... è un'altra storia! Malgrado ciò, ci sono tante storie di gente che ha abitato sul monte, alcune con una propria identità, molte altre perfettamente anonime.

L'eremita della grotta

L'interno della grotta dell'eremita, sulla costa meridionale del Promontorio di PortofinoQuante persone sono vissute alla grotta dell'eremita? La grotta dell'eremita è quella che si sviluppa nella seconda insenatura dopo Punta Chiappa, quella prima di Cala dell'Oro. Si narra che fin dal IV secolo d.C., un uomo di nome Giovanni, vivesse in solitudine in una spelonca naturale nei pressi di Punta Chiappa. Viveva di ciò che gli forniva il mare, nonché dell'elemosina dei pescatori che da lì passavano. Vi soggiornò per degli anni, finché un giorno, una mareggiata più forte delle altre, lo portò con sé. Si racconta che spesso, dopo la sua morte, si vedevano dei fuochi fatui scaturire dall'ingresso della grotta. Quando si decise di ricercare il corpo, fu trovato sotterrato dai sassi, ma "le ossa spiravano soave odore" e fu sepolto nella chiesa millenaria di Ruta dove una lapide lo ricorda ancora.

C'è gente che ricorda di altre persone che hanno soggiornato nella grotta dell'eremita, chi dice che nel XVI secolo "albergò un uomo dedito a non chiare imprese", altri che dicono che "durante la grande leva napoleonica, i non pochi disertori che intendevano sottrarsi all'arruolamento, trovarono in questa zona di difficile accesso, perché priva di sentieri, nascondigli sicuri" (tutte le citazioni dal libro "Camogli - Acquarelli"). Una cosa è certa, la grotta è molto bella (difficile comunque accedervi da mare, quasi impossibile a mio parere arrivarci dall'alto), molto ampia, con una piscina naturale (di acqua salata chiaramente) subito dopo superati i primi scogli. Sulla destra parte un corridoio molto alto e profondo una decina di metri, coperto di sabbia, che si interrompe in un buco dove è impossibile calarsi. In questo corridoio, il mare non arriva direttamente (è parallelo alla costa infatti), per cui è possibile vivere all'asciutto e con un minimo di comodità...

Il vagabondo della casa cucina

Più di una volta l'abbiamo incontrato. Sempre alla casa cucina. Con il termine casa cucina, intendo quel bunker provvisto di cucina che si trova sotto Semaforo Nuovo, sopra il passo del Bacio. Era un signore, abbastanza giovane direi, con il suo zaino e il suo armamentario, suppongo per vivere proprio utilizzando la cucina. Non l'ho mai sentito parlare, ma una volta ci ha gridato dietro qualcosa (eravamo io e Doddo Risicato). Poi non l'abbiamo più visto, magari piuttosto che un eremita era un nomade, per cui ora sarà da qualche altra parte.

gigante che dormeIl gigante che dorme

Lungo i crinali del monte, non è raro notare un personaggio alquanto buffo e schivo, chiamato Il gigante che dorme. Nessuno riesce a vederlo da vicino, nessuno lo ha mai incontrato... ma dal mare, passando in battello, la sua sagoma si staglia chiara e decisa, tra la Punta e Semaforo Nuovo. Si tratta del profilo dei crinali sopra il bunker del telemetro (casa cucina)... da lontano, assomiglia molto alla testa di una persona che guarda verso l'alto. Da qui il suo nome, Il gigante che dorme. A questo proposito (pensa com'è piccolo il mondo!) leggete anche la bellissima storia di Lilla Mariotti.

Vecchi sentieri

Il Monte è prodigo di sentieri per camminare. Da S. Rocco a S. Fruttuoso, ad esempio, ci si può arrivare in mille modi diversi. Quello che un giorno io e Doddo cercammo di fare, fu di ripercorrere alcuni sentieri non più praticati. Non so come, ma Doddo era venuto in possesso di una vecchia cartina topografica del Monte di Portofino, dove erano segnati sentieri che non esistevano più ai giorni nostri! Un giorno, quindi, armati della cartina e di un machete, siamo partiti per i bunker. Il primo sentiero, infatti, portava da Punta Chiappa alle case matte. Un po' impervio, vero, ma forse possibile. Quella occasione fu una di quelle in cui incontrammo il caprone. Scendemmo dalle case matte ai bunker sottostanti, il sentiero c'era ma era coperto da arbusti o piante vere e proprie (corbezzoli). Fino ad un certo punto siamo andati avanti, finché c'erano bunker, il sentiero era ancora visibile, poi scompariva del tutto. Era un'impresa seguirlo. I bunker visti dal mare Se avessimo continuato, saremmo arrivati alla scogliera di Porto Pidocchio, ma noi volevamo seguire il sentiero, e quello ormai era perduto. A fatica (e mestamente), quindi, siamo tornati a casa. Un'altra volta, poi, siamo scesi alla Cala dell'Oro dal sentiero che da Semaforo Nuovo porta a Pietre Strette. Quello era più facile, siamo infatti arrivati fino in fondo, dove abbiamo fatto il bagno (allora si poteva ancora fare!!!). Un'altra volta, con Doddo e Christian, abbiamo cercato di prendere il sentiero dei tubi dall'inizio, da sopra S. Rocco cioè. Siamo saliti dai Galletti e poi, davanti a quella casa che mi è stata spacciata come una casa dei VAB, abbiamo tagliato verso destra, seguendo un sentiero che proprio da lì partiva. Ora, io non so ancora adesso se quello era il sentiero giusto, fatto sta che per un po' è rimasto in piano, poi è sceso violentemente verso la Mortola. Ed a Mortola siamo arrivati, proprio da quella casa a 3 piani che stanno ristrutturando (prima della sorgente). Visto che ormai l'avevamo perso, abbiamo cercato di recuperare il sentiero prendendolo dalla fine, da dove cioè sapevamo che spuntava. Quindi siamo saliti per il tratto che porta a Semaforo Nuovo ed al primo tornante ci siamo infilati nella boscaglia verso sinistra, verso S. Rocco cioè. Finalmente il sentiero c'era! Erano proprio i tubi! Proseguendo sul sentiero siamo arrivati ad un punto in cui il sentiero spariva per lasciare lo spazio al tubo e basta: infatti c'era una specie di baratro, superato unicamente dal tubo (ed una corda, peraltro elastica, ancorata sopra). Christian, con la telecamera, è corso sul tubo (umido) dall'altra parte, chiamandoci a gran voce. Io e Doddo siamo rimasti a bocca aperta: se fosse scivolato (il tubo sospeso è lungo circa 10 metri, ed è tutto tondo!) sarebbe finito nella scarpata, e si sarebbe fatto male (e noi non saremmo neanche riusciti a tirarlo fuori da lì). Doddo allora si è seduto sul tubo ed ha cominciato a strisciare, e pian pianino è arrivato dall'altra parte. Quando è arrivato il mio turno, ho analizzato la situazione, controllato che la corda era effettivamente un po' molla ed elastica (e quindi non sarebbe servita allo scopo, magari potevo inaugurare il bungee jumping...), e, sopraffatto dalla mia codardia, ho rinunciato senza neanche cominciare! Christian mi ha detto di tutto ma allegramente è tornato indietro, seguito a ruota da Doddo. Rimane quindi per me un mistero come si colleghi il sentiero da S. Rocco alle batterie, prima della prima galleria cioè. Un'altra volta ancora, abbiamo cercato (e trovato) la fonte d'acqua vicino a Pietre Strette, sul sentiero che porta al Semaforo Nuovo. Si trova verso mare, in corrispondenza di una pietra sporgente che obbliga quasi a sporgersi oltre il sentiero (la sorgente ce l'ha fatta scoprire Ottorino Maruffi). Per finire, ricordo il sentiero che abbiamo trovato (io e Paolo Molfino) che passa per la Felciara ed arriva ad un'altra sorgente, per un sentiero a spirale. Molto umido, ma ricco di vegetazione (felci come dice appunto il nome). Si trova nei dintorni degli Olmi.

Un'avventura che ricordo con molta passione è la ricerca del sentiero che da S. Fruttuoso porta alla Torretta Saracena. Troppe volte, infatti, passando per La torretta saracena (foto presa da VHS del 1988) S. Fruttuoso, ci chiedevamo come arrivare alla Torretta. Sapevamo solo che un sentiero si dipanava da quello che saliva per andare alla Cala dell'Oro (mi rendo conto che è assurdo dire che un sentiero "sale" per andare alla Cala dell'Oro che è al livello del Doddo si appresta ad assicurare la fune (foto presa da VHS del 1988) mare, ma prima di arrivarci bisogna superare il crinale che divide le due baie (avrà anche un nome ma io non lo so), per cui prima di scendere per la Cala, bisogna salire...). Un altro bel giorno, quindi, io, Doddo Risicato, Christian Taddei e Paolo Molfino, ci siamo decisi a partire alla ricerca del sentiero. Christian aveva già la telecamera, per cui posso rivivere quei momenti semplicemente guardando la cassetta che mi ha dato. Abbiamo fatto il solito giro da Pietre Strette e poi per gli Olmi, e siamo scesi dalla parte della Base 'O'. All'eliporto abbiamo inscenato l'atterraggio di un elicottero che pareva vero! A S. Fruttuoso abbiamo pranzato (al sacco) e poi ci siamo arrampicati verso la Cala dell'Oro. La diramazione non si poteva non vedere, c'era anche scritto in rosso "Torretta Salvo d'Acquisto", per cui ci incamminammo da quella parte. Dopo poco, ci imbattemmo nella prima difficoltà: una parete scoscesa sulla destra, un po' pericolosa da percorrere senza essere assicurati con una fune. Christian, così, scelse di percorrere per primo la parete senza corde, per assicurare dall'altra parte la fune. Devo dire che Christian è sempre stato il più Doddo e Paolo parlano con la radio (foto presa da VHS del 1988) temerario (ed il più fifone ero io). Una volta legati, siamo passati tutti dall'altra parte, dove il sentiero continuava in piano verso la torretta. Dopo poco, però, arrivati al punto più vicino, il sentiero spariva perché spariva anche la roccia! Infatti eravamo in un vicolo cieco. L'unica possibilità era di calarsi lungo la parete, attraversare il bosco proprio sotto la torretta e risalire sul crinale Nord dove sembrava apparire un abbozzo di sentiero. Lì abbiamo passato quasi tutto il pomeriggio, cercando di scendere dalla parete in modo da poter poi risalire. Più di una volta, a turno, siamo scivolati e, senza l'aiuto degli altri, non avremmo potuto risalire. Dopo un paio d'ore di febbrile ricerca, dovemmo abbandonare. Tornati indietro, superato nuovamente la parete assicurati alla fune, raccolta la fune di sicurezza, mogi mogi, camminavamo guardando solo i nostri piedi, quando Doddo si accorse di un sentiero che scendeva verso il mare. Che ci faceva un sentiero che scendeva verso il mare a quell'altezza (eravamo circa a 100 metri slm)? Decidemmo di seguirlo per vedere dove andava (la torretta infatti era alla nostra altezza, noi avevamo seguito un sentiero che rimaneva in piano, questo invece scendeva e di brutto!). Non dico che siamo quasi arrivati al livello del mare, ma di una cinquantina di metri ci siamo scesi! E poi improvvisamente risaliti, per il sentiero nascosto tra gli alberi (come avremmo potuto vederlo dall'alto?) e finalmente giunti, da Sud, alla Torretta! Chi l'avrebbe mai detto! Ci aspettavamo di seguire un sentiero esposto, sul crinale, dal lato Nord, ed invece il sentiero quasi lambiva il mare e poi girava per raggiungere la torretta da sud... Eravamo euforici, non solo per aver raggiunto la meta, ma anche perché avevamo ormai perso le speranze! Dalla Torretta, infine, guardammo il punto dove ci eravamo arenati due ore prima: era impossibile scendere da quella parete senza farsi male, ed eravamo stati fortunati a scegliere di tornare indietro. Per questo, al ritorno a S. Fruttuoso, andammo in Chiesa ad accendere un cero all'altare dei subacquei: anche se non avevamo ricevuto una grazia, per modo di dire, in ambito subacqueo, comunque volevamo ringraziare chi ci aveva guidati in quella giornata. Alla Torretta ci sono tornato l'anno successivo (nell'89), ma poi niente più.

Altre volte, invece, con Doddo e Christian, siamo andati in cerca di buchi o grotte. Io infatti ho ancora un libricino degli anni '60 con tutte le grotte della provincia di Genova, dove il termine grotta è utilizzato con molta generosità: basta un buco di qualche metro, infatti, per essere catalogato come spelonca... Armati quindi di quel libricino, con le coordinate studiate sulla cartina a 25:000 che avevamo (mica avevamo il GPS!), siamo partiti alla ricerca di qualche buco da esplorare... Beh, devo dire che con i sentieri abbiamo avuto più fortuna... Comunque un buco Doddo l'ha trovato, e ci si è anche calato, proprio sotto la casa cucina, ed è sceso per 4-5 metri. Chiaramente non era niente di più di un buco, ma per noi era come avventurarsi in un mondo inesplorato...

Sempre a proposito di grotte, non posso non citare l'avventura del film che Christian ha girato con me e Doddo. L'abbiamo chiamato "Fan il Toch terribile", ambientato sul Monte di Portofino, tra la casa cucina ed i boschi del Castellaro. Proprio in questa zona abbiamo trovato un'altra grotta, molto più ampia, e molto più artificiale... si trova sopra il Barsanti ed è un buco prettamente in orizzontale che va verso sud, quindi in direzione del mare sopra il ristorante del Cenobio. Forse è stato scavato dai tedeschi anche questo, come le gallerie sul monte, per arrivare alla passerella che dal Cenobio portava a Punta Chiappa. Ad un certo punto, però, la galleria è franata, e ci è stato impossibile continuare oltre. Anche la passerella ha avuto una brutta fine, non è rimasto molto di tutto il percorso che, nella seconda guerra mondiale, permetteva di arrivare a Porto Pidocchio da Camogli senza salire a S. Rocco. Ora, passando in canoa sotto il Monte, si vedono delle travi e delle traversine che sbucano dalla roccia... è tutto quello che è rimasto...

A questo punto, se volete saperne di più sui bunker, su chi li ha costruiti e perché, ecco un dettagliatissimo reportage di un foresto, appassionatissimo di fortificazioni belliche. Si tratta di Gianfranco Genta e questo è il suo link.