a-b-arr.gif (1839 byte)                         arrowb~3.gif (1338 byte)                                                                             

AUSCHWITZ III - MONOWITZ

Quando si stava preparando la soluzione finale del problema ebraico, decisa ufficialmente dai nazisti il 20 gennaio del 1942 nella conferenza di Wannsee, un numero immenso di ebrei e di altre razze inferiori, come gli zingari, era stato concentrato ad Auschwitz.

Si rese allora necessario costruire altri Lager, utilizzando come manodopera gli stessi deportati, e, tra il marzo 1941 e il febbraio del 1942, nacquero Auschwitz II, a Birkenau, e Auschwitz III, nella località di Monowitz, oltre a numerosi altri sottocampi (40).

Auschwitz III – Monowitz era situato a sette Km dal campo principale, vicino alla fabbrica che il gruppo industriale IG Farben voleva costruire per produrre gomma sintetica, ed era per questo detto Buna (dalle sillabe iniziali dei componenti chimici, il Butadiene e il Sodio, che in tedesco si dice Natrium). La dislocazione dei prigionieri in un campo più vicino alla fabbrica in costruzione permetteva di sfruttare in modo più razionale il loro lavoro e rientrava perfettamente nel progetto dello sterminio attraverso il lavoro.

Conoscevamo il campo di Monowitz, detto anche Buna-Monowitz per la sua stretta associazione alla fabbrica, dai libri che abbiamo letto, Se questo è un uomo di Primo Levi e Il triangolo di Gliwice di Pio Bigo. Primo Levi infatti fu internato a Monowitz, arrivandovi in autocarro dalla stazione di Oswiecim (Auschwitz in polacco) e rimanendovi fino alla liberazione del campo ad opera delle truppe russe il 27 gennaio 1945 e ancora per un breve periodo dopo.

Pio Bigo, invece, vi arrivò il 3 dicembre del 1944, dopo essere sfuggito alla selezione sulla rampa di Birkenau, e qui, nell’infermeria dove era ricoverato per un infortunio alla Buna, incontrò proprio Primo Levi. Nel suo libro, Bigo parla del loro breve dialogo e racconta di aver saputo che quel prigioniero era Levi solo 42 anni dopo, quando lo rivide nel novembre del 1986 a Torino, in occasione del Convegno Internazionale "Storia vissuta".

Ma, quando i tedeschi, incalzati dall’avanzata dell’Armata rossa, ordinarono l’evacuazione del Campo e trascinarono tutti coloro che erano in grado di camminare verso altri Lager, Primo Levi rimase e Pio Bigo, il 17 gennaio del 1945, partì.

Iniziò allora per Pio Bigo, e per tanti altri ricordati anche da Primo Levi ( Alberto, Pikolo, il rabbino Mendi) la cosiddetta marcia della morte: tre giorni e due notti di cammino nelle neve, con le SS a fianco che avevano i mitra e li usavano per colpire chiunque si accasciasse per la stanchezza o tentasse la fuga. Moltissimi morirono in queste marce verso l’interno della Germania, per lo più rimasti anonimi, ignoti.

Ad Auschwitz III o Buna- Monowitz non c’è quasi più nulla e si fa fatica ad immaginare il campo di allora, in quanto i tedeschi, nella loro ansia di distruggere le prove dei loro crimini, hanno lasciato in piedi ben poco.

C’è la fabbrica, la Buna, che occupa un’area vastissima (l’abbiamo vista dai finestrini dei pullman) c’è qualche baracca in rovina o riutilizzata come magazzino e ci sono dei piccoli bunker, in muratura o ricoperti di prato, con feritoie, dove stavano le SS. 

 mono2.JPG (116078 byte)

Baracca in rovina

Nella zona, che oggi ha l’aspetto di un tranquillo villaggio, sono ritornati gli antichi abitanti che erano stati costretti ad andarsene al tempo della costruzione del Lager, i quali hanno ricostruito le loro case, spesso sul perimetro delle baracche, e hanno eretto spontaneamente fra di esse dei monumenti in memoria delle vittime. Tutto questo ci è stato spiegato dal dr. Andrey Strzelecki (interprete del tedesco è stata la professoressa Eleonora Vincenti).

 

mono3.JPG (115813 byte)

Un monumento spontaneo

 

Un nostro compagno del liceo, Matteo Gai, ha letto in questo villaggio la poesia di Primo Levi, intitolata Buna.

mono5.JPG (71609 byte)

 

La marcia della morte

Dopo la sosta a Monowitz, abbiamo ripercorso, in pullman, il cammino di Pio Bigo nella "marcia della morte" verso Gliwice, senza però arrivarvici, dove avvenne l’episodio che dà il titolo al suo libro. Peccato che Pio Bigo non abbia potuto accompagnarci nel viaggio! Sarebbe stato importante sentire dalla sua voce il racconto di quei giorni drammatici! Comunque il dr. Strzelecki ci ha fornito delle interessanti spiegazioni. Su sua indicazione ci siamo fermati in due paesi dove si trovano le tombe di alcuni morti durante la marcia di evacuazione da Auschwitz, avvenuta dal 17 al 21 gennaio 1945.

A New Berun, in un cimitero, c’è una tomba in cui sono sepolti dieci morti fino ad oggi anonimi.

Il dr. Strzelecki, però, ha forse individuato cinque persone (due ebrei e tre polacchi) perché è stato ritrovato il loro numero, e quindi il loro nome, nei registri delle SS. Tuttavia l’identificazione non è certa perché, se il numero era cucito sulla giacca, potevano averla cambiata, oppure chi li ha ritrovati poteva non ricordare bene il numero, anche se era tatuato.

 

mono.jpg (224957 byte)

Tomba di New Berun

A Mikolow, il luogo dove probabilmente si trovava il cascinale in cui Pio Bigo dice di aver dormito nella notte tra il 18 e il 19 gennaio, c’è una tomba dove sono sepolti sessanta morti anonimi. Forse morirono lungo la strada o forse furono scaricati qui dai carri che seguivano la colonna dei prigionieri in marcia, dove venivano accatastati i cadaveri.

La tomba si trova ai limiti dell’area del cimitero ebraico, vicino ad una croce (non facevano differenza tra ebrei e polacchi). I numerosi lumini accesi, come del resto in molti dei luoghi che abbiamo visitato, testimoniano la memoria dei polacchi. Una targa in basso a destra dice che del monumento si prende cura una scuola di Mikolow.

 

mono1.jpg (222528 byte)

Tomba di Mikolow

 

Ghetto ebraico di Cracovia

Il nostro viaggio di studio ha avuto come prima tappa la visita a Kazimierz, in origine una città a sé stante fondata da Casimiro il Grande e oggi un quartiere di Cracovia.

Dopo l’invasione nazista della Polonia (1939), Cracovia era diventata la capitale del Governatorato Generale, cioè della zona polacca sottoposta a protettorato tedesco e comandata da Frank. A partire dal marzo 1941, venne decisa la reclusione degli ebrei cracoviani, che in quel momento erano circa 12000 (perché molti altri, quasi 50000, erano già stati in precedenza espulsi), e l’istituzione di un ghetto ebraico a Kazimierz. Venne allora eretto il muro, di cui oggi esiste ancora qualche frammento, che separava il quartiere dal resto della città.

ghetto3.JPG (164113 byte)

Da quel momento nessun polacco poteva più risiedere a Kazimierz, né aiutare in nessun modo gli ebrei lì rinchiusi. Noi abbiamo visitato la farmacia del dottor Pankiewitz, oggi museo, dove sono conservati importanti documenti della storia del ghetto. Qui abbiamo scattato alcune fotografie e abbiamo messo la nostra firma sul registro delle presenze. Il dottor Pankiewitz, come ci ha spiegato la nostra guida polacca, dopo il 1941 dovette risiedere fuori del ghetto, in quanto non era ebreo, ma cercò lo stesso di aiutare, con suo grande rischio personale, gli ebrei cracoviani, fino a quando il ghetto fu liquidato, nel marzo 1943. Gli ebrei cracoviani furono protagonisti di numerosi atti di ribellione, pagati a caro prezzo, con la fucilazione. Il pullman ha sostato un momento davanti al monumento in onore di questi eroi.

Poi l’autista del pullman, di sua spontanea iniziativa, ci ha portato davanti alla fabbrica di Schindler, dove il noto impresario salvò molti ebrei da morte sicura e dove è stato girato il film di Spielberg  Schindler’s List. Non c’è neppure una targa commemorativa, tuttavia la memoria sopravvive e la gratitudine non muore, come testimonia la spontanea decisione dell’autista di portarci lì davanti.

rghetto4.JPG (153344 byte)

La fabbrica di Schindler

Il quartiere di Kazimierz è ancora oggi sede della comunità ebraica. Noi abbiamo visitato i due principali luoghi di culto: la Synagoga Stara (sinagoga vecchia), dove è stato allestito il museo dell’olocausto, e la Synagoga Remuh, con l’annesso cimitero, dove si trovano ancora numerose lapidi rinascimentali e barocche. Ci ha colpito una particolarità per noi un po’ strana: gli ebrei, tradizionalmente, sono soliti porre dei sassi sulle tombe, perché, quando seppellivano i morti nel deserto, la sabbia non volasse via.

ghetto1.JPG (231715 byte)

Davanti alla sinagoga vecchia

 

ghetto7.JPG (466288 byte)

Cimitero ebraico

 

Relazione a cura di Carena Roberto,CotugnoPasquale,Operti Corrado,Scionti Alberto

Classe 5 E Telecomunicazioni

I.T.I.S. Pininfarina

   a-b-arr.gif (1839 byte)                     arrowup.gif (1339 byte)