IL LAVORO IN GALLERIA

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Cave di Roggendorf, presso Melk.

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"Uniti nel ricordo"

Ebensee: Pio Bigo incontra un ex deportato polacco

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"La memoria cancellata"

Ebensee: L'ingresso al lager.



EBENSEE, KOMMANDO DI MAUTHAUSEN
di Italo Tibaldi




A 100 Km da Mauthausen, campo principale, Ebensee è un grazioso villaggio situato a sud del lago Traunsee. A nord di questo lago si trova la città turistica di Gmunden, vicino all'autostrada Salisburgo-Linz. Il piccolo villaggio di Ebensee ha il suo porticciolo ed è circondato da grandi massicci montuosi tra cui l'Hollengeberge (1862 m) e la stazione sciistica di Feuerkogel. Nell'insieme un piccolo paradiso per le vacanze ed il riposo.
Ed è in questo quadro incantato che, nell'inverno 1943-44, fu creato il campo di Ebensee, Kommando di Mauthausen.

Questo campo funzionò per circa 17 mesi, per la costruzione di officine sotterranee per la creazione di benzina sintetica e la costruzione di missili. Si iniziarono 14 tunnels, divisi in due gruppi di 7 tunnels. Il lavoro era dei più difficili: 24 ore su 24 le squadre di uomini hanno lavorato alla loro perforazione. L'urgenza per l'entrata in funzione di queste officine e la crescita della mortalità con la conseguente sostituzione continua degli uomini deceduti a causa del lavoro, dei colpi, del freddo, della fame e dei trattamenti subiti nel campo hanno inevitabilmente determinato l'aumento progressivo delle dimensioni di questo kommando.
Il campo entrò in funzione il 24 novembre 1943 con il primo convoglio di 400 detenuti e cessò le sue funeste attività il 6 maggio 1945, data della liberazione, con, a quel momento, un effettivo di 16.650 uomini9 A Ebensee saranno passati approssimativamente da 25 a 30.000 uomini.
Il numero ufficiale dei decessi registrati è di 8.749 al 30 apri le 1945, ma in realtà esso fu di quasi il doppio. Tra il 1º e il 6 maggio 1945 morivano più di 300 detenuti al giorno. Dopo la liberazione la mortalità era ancora di circa 200 decessi al giorno.

COSTRUZIONE DEL CAMPO
Il campo fu impiantato a 5 Km dal villaggio sul fianco della montagna. Da esso si aveva una vista magnifica di quelle splendide montagne, i prati si stendevano nella valle, più lontano appariva il villaggio di Ebensee e, incassato tra i massicci montagnosi, si scorgeva il lago che cambiava di colore seguendo i giorni e le stagioni. Un posto incantevole, oggi! I nazisti avevano scelto questo luogo per impiantarvi delle officine 8otterranee. Nessuno poteva immaginare che in quei luoghi pacifici sarebbero state costruite delle future officine da guerra.

All'arrivo del primo convoglio, il campo non esisteva ancora e i deportati dormivano alla stazione merci di Ebensee. Di sera, dopo una giornata di lavoro trascorsa alla preparazione dei tunnels, intraprendevano la costruzione del futuro campo di Ebensee: abbattimento di alberi, livellamento del terreno, edificazione delle prime baracche in legno, dove dovevano ben presto abitare. In dicembre, gennaio e febbraio, l'inverno non era ancora rigido, ma pioveva ininterrottamente. L'acqua era fredda: era neve fusa. Eravamo poco vestiti: soltanto una giacca ed una camicia. L'acqua, che scorreva sui nostri corpi, ci gelava.
Alla fine del mese di gennaio la prima baracca era abitabile. A quell'epoca la futura piazza dell'appello era ancora indescrivibile, ma con l'abbattimento degli alberi, il livellamento con mezzi rudimentali e la pioggia, eravamo in un mare di fango. Dovevamo rimanere per ore in questo pantano durante gli appelli del mattino e della sera. Il campo fu costruito progressivamente: ogni mese due baracche nuove entravano in funzione. Il risultato finale fu un campo di una trentina di baracche. Successivamente furono installati i magazzini di approvvigionamento, le cucine, la baracca per la disinfezione, l'infermeria, il forno crematorio. Il campo era cintato con filo spinato elettrificato ad alta tensione. Si costruirono anche, fuori del campo; baracche e villette per l'alloggiamento dei nostri guardiani SS. L'insieme rappresentava il campo ed i lavori effettuati dai prigionieri oltre quelli fatti nelle officine.

LA COSTRUZIONE DELLE OFFICINE SOTTERRANEE
Il nostro lavoro consisteva, all'inizio, nell'abbattimento del fianco della montagna, per ottenere una superficie ben diritta. E' su questa facciata che, in seguito, inizieranno gli scavi per le entrate dei tunnels. Al mattino ci alzavamo alle 6 e partivamo alle 6.30, dopo aver bevuto un'indefinibile acqua annerita, chiamata caffè e null'altro. Percorrevamo a piedi il tragitto dal campo al Gran Steinbruck, là dove avrebbero dovuto nascere i primi tunnels. Si trattava di circa 4 Km all'andata ed altrettanto alla sera per il ritorno al campo. Cominciammo lo scavo di 7 tunnels in fila.

Nel marzo I944 si aprirono i cantieri di un nuovo insieme di tunnels, il piccolo Steinbruck S.B.U., sito vicino al campo, contro la parete attigua. Eravamo soggetti alle stesse condizioni di lavoro, l'unico vantaggio, ed era molto importante, era il non dover percorrere 8 Km per andare e ritornare. Inoltre, essere chiamati per il lavoro al grande Steinbruck era una punizione terribile, poiché significava una morte più rapida. Anche qui furono iniziati 7 tunnels: quindi alla liberazione esistevano complessivamente 14 entrate di tunnels. Dopo le entrate, che formavano delle volte di circa 10 m di larghezza per 4 m di altezza, entravamo in vaste sale dalle dimensioni allucinanti, delle vere cattedrali: da 25 a 30 m di larghezza, 160 m di lunghezza e 15 m di altezza. Gallerie trasversali collegavano i tunnels fra di loro. Al termine dello scavo le sale venivano interamente costruite in calcestruzzo. Verranno usate tonnellate di calce.
Si ottennero diversi piani. Il pianterreno fu previsto per l'installazione di macchinari vari, il primo piano per gli uffici, i servizi tecnici, ecc., l'ultimo piano doveva alloggiare i lavoratori delle officine: costoro non conosceranno più la civiltà esterna, il sole, le stagioni, la vita: la schiavitù più inumana mai esistita fino alla morte.

IL LAVORO SOTTO I COLPI
Nel tunnel la roccia era calcarea e man mano che ci si addentra va nella montagna, l'aria diveniva irrespirabile. Le esplosioni nella miniera, i gas che si ammucchiavano, la polvere fine e bianca del calcare che si alzava, facevano si che gli uomini che respiravano questa atmosfera, con i polmoni incrostati, non resistevano a lungo.

I kapo, capi del Kommando, colpivano continuamente con colpi di bastone, di cavo elettrico o pedate tutti coloro che si trovava no sul loro passaggio per farli lavorare più velocemente. Ma non dimentichiamo le SS che sorvegliavano il tutto e faceva no accelerare i lavori: là dove servivano 3 uomini per spingere un vagoncino, ne toglievano uno, mentre i kapo picchiavano i due rimanenti affinché riuscissero a spingere.
La media del lavoro era di tre mesi continuati, al Grande Steinbruck. In seguito, con i polmoni pieni di calcare, l'uomo, Ormai divenuto scheletrico, aveva dato tutta la sua forza e, non potendo più continuare, veniva picchiato.. Allora, non essendo più in grado di lavorare, era trasportato nelle baracche in cui erano ammassati quelli in attesa della morte. Si aggiunga a tutto ciò il clima. Nel marzo 1944, fecero la loro apparizione la neve ed il freddo. Durante l'inverno cadde fino ad un metro di neve. La temperatura raggiunse i -20º. Ma il più terribile era il vento che si riversava nella valle.

Gli uomini che lavoravano avevano diritto ad un paio di mutande, una camicia, una giacca, un pantalone e, qualcuno, un. cappotto e un paio di zoccoli di legno. Ma con il passare dei mesi e l'aggravarsi della guerra, gli abiti cominciarono a mancare, e, ben presto, quelli che non lavoravano, non ebbero più né giacca, né pantaloni, né zoccoli. Si comprende allora come quelli che, vestiti soltanto con mutande e camicia, moriranno di freddo rimanendo per ore sotto tempeste di neve in attesa degli appelli.

Lo spettacolo era indescrivibile. I tunnels sembravano dei formicai. Ogni uomo era occupato sia a portare via le pietre con i vagoncini, che a portare legna per erigere le gallerie. Si lavorava di notte e di giorno accompagnati dalle urla dei kapo, dalle grida dei deportati, dal rumore dei martelli pneumatici. Era infernale: qui, gli uomini rimanevano a terra, colpiti a morte dai kapo; là c'era un ferito, colpito da una pietra nel tunnel, con la testa fracassata; altrove, un detenuto colpito da dissenteria che i camerati portavano via prima che i carnefici lo vedessero. Anche se si aveva un malessere passeggero, non si poteva smettere il lavoro, perché se si veniva scoperti, si era pestati a morte.
Ecco l'inferno dove i deportati lavoravano continuamente, stanchi, nutriti, a mezzogiorno, con una specie di minestra che, all'inizio, era composta di patate e di verdura, ma che nel 1945 consisteva di ortiche e bucce di patata.. La cena serale era ridotta ad un pezzo di pane nero ed una ciotola con un piccolo quadrato di margarina ogni 4 deportati; in seguito questa ciotola era per 8, senz'altro e unicamente per quelli che lavoravano.

LA VITA AL CAMPO
Il campo, con il passare del tempo, prende l'andamento di una picco la città di 400 uomini, poi si passa a 5000, 10.000 ed infine 15.000 uomini. Tutte le nazionalità europee vi sono rappresentate. Il regime interno è molto diverso a seconda dei periodi; all'inizio dobbiamo sistemare l'interno del campo, oltre alla nostra giornata di lavoro. Questo consiste nell'abbattere alberi, livellare il terreno, inghiaiare, ecc.., ogni capo baracca comanda i deportati che vi abitano per effettuare questi compiti.
Tra i capi dei blocchi, alcuni sono vecchi criminali o degli asociali, sono violenti e cattivi. Colpiscono a morte i deboli.
Quando i lavori sono meno importanti, vengono allora prolungati gli appelli del mattino e della sera per delle ore. Avremo degli appelli che variano da mezz'ora a 3 e anche 4 ore, sull'attenti, al freddo, sotto la neve o la pioggia. Al termine, si rientrerà ai blocchi. Ma non potremo fare niente, poiché non ne abbiamo il diritto. Dovremo aspettare la distribuzione della minestra che si prolunga per ore, seguendo l'umore del capo, intiepidendosi o freddandosi. In seguito, anziché il riposo tanto atteso, sarà il momento del controllo dei pidocchi. Durante interminabili ore ciascuno a turno dovrà essere esaminato.
Frattanto, si subirà il supplizio di 25 colpi di "schlag" sui reni mentre tutti quelli del blocco dovranno assistere a questo spettacolo. La notte di riposo sarà breve nella baracca. Le finestre saranno aperte, anche quando farà molto freddo, e dopo 4 o 5 ore di sonno, ci sarà il risveglio, che sarà diverso a seconda dei capi dei blocchi: alcuni con l'acqua ed un attizzatoio, altri con forti fischi o manganellate. Dopo la distribuzione del "caffè", tiepida acqua annerita, ancora l'appello, poi la formazione in comando per andare a lavorare nei diversi luoghi.
Ogni tanto, dopo l'appello serale, ci riuniscono in semicerchio, le prime file accovacciate, poi in ginocchio ed in piedi,; scorgiamo che al centro di questa siepe umana è stata eretta una forca. Una SS avanza con il suo capo che ci informa che avrà luogo una o più impiccagioni; il motivo sarà sempre tentata evasione. Dovremo assistere allo "spettacolo" nel più assoluto silenzio.

Nel campo si trovano una prigione, dei blocchi destinati agli invalidi, che sono stesi a terra senza coperte, dei blocchi di sterminio ed accanto a questi, una camera fredda dove vengono deposti i cadaveri prima di essere bruciati nel forno crematorio che abbiamo costruito nell'agosto 1944.
C'è anche l'infermeria, ma i medici devono curare i feriti e i malati con quelle poche medicine che ricevono, senza contare la mancanza di spazio.
E' incredibile questa sofferenza umana, questi uomini che aspettano la vita o la morte.

Abbiamo anche uno stabilimento di disinfezione con docce, ma queste serviranno per uccidere.
Nel periodo marzo-aprile 1945, due convogli in evacuazione su Ebensee saranno quasi annientati. Riceveranno una doccia calda e fredda e dovranno aspettare nudi per diverse ore nella tempesta di neve. La mortalità registrata in aprile 1945 è stata ufficialmente di 4.500 morti.
Nel 1945 i nostri effettivi aumentano a causa dell'evacuazione dei campi che si trovano sui diversi fronti. In quattro mesi si passa da 10.000 a 16.500 deportati. L'alimentazione rimane sempre la stessa e ben presto le razioni diminuiscono. Poco dopo la liberazione contiamo i giorni che possiamo resistere perché è molto difficile sopravvivere con un nutrimento così misero.
Nell'aprile 1945 la mortalità è così intensa che si devono scavare delle fosse comuni per metterci i cadaveri, visto che il forno crematorio non può più bruciarli. Il campo è un inferno. La morte è là e si avvicina sempre più a noi. Tutte le mattine, all'appello, ci guardiamo e cerchiamo quelli che mancano.
Ci osserviamo e cerchiamo di capire chi sarà ancora in grado di resistere.

L'ORGANIZZAZIONE PER LA SOPRAVVIVENZA
Solidarietà non è una parola vana. Si tenta tutto per cercare di aiutare i più sfavoriti. Alcuni possono procurarsi dei rifornimenti, grazie alla loro particolare situazione di lavoro e li mettono a disposizione per nutrire altri. Non possiamo soccorrere tutti, ma il poco che riusciamo a raccogliere permette di sostenere il morale della collettività e non ci sentiamo abbandonati in questa marea umana che si batte per sopravvivere. La solidarietà e l'amicizia assumono allora tutto il loro valore.
Nell'aprile 1945, lo stato degli uomini è scheletrico; sono quasi tutti nudi o mal vestiti. Ecco Ebensee, il campo, la sua vita e il suo lavoro come in una scena esteriore di teatro.

Il 5 maggio avverrà il nostro ultimo appello prima della liberazione. Grazie all'organizzazione internazionale clandestina che è molto attiva, apprendiamo che le SS hanno deciso il nostro sterminio. All'appello del mattino, prima di raggrupparci sulla piazza, i responsabili internazionali di solidarietà ci informano sul la necessità di armarsi di bastoni, martelli, tenaglie, ecc. per battersi meglio, poiché è meglio battersi liberi che morire rinchiusi in un tunnel la cui entrata è stata minata con una locomotiva imbottita di esplosivo. Eravamo stati avvertiti da un soldato della Luftwaffe. In effetti, a quell'epoca, l'esercito tedesco aveva sostituito una parte delle SS. All'ordine di andare al tunnel, un "NO!" unanime fu pronunciato da tutti i deportati. Per la prima volta vedemmo i capi SS andarsene senza infierire.
Rimanemmo per tutto il giorno liberi nel campo e, all'indomani, 6 maggio 1945, nel pomeriggio, avvenne la liberazione del campo con l'entrata di due carri americani.

Eravamo liberi e stava per incominciare un'altra vita; ma a Ebensee molti non conosceranno questa gioia, perché la mortalità è stata grande.

Ecco, in poche parole, un ricordo di Ebensee.

Italo Tibaldi - Vico Canavese, 17.2.2000

Torino P.N. 13.1.1944
Mauthausen 14.1.1944 (42307)
Ebensee 28.1.1944
Ebensee 6. 1. 1945
Torino 15.7.1945


Italo Tibaldi, autore di studi e ricerche archivistiche e documentarie sui convogli di deportati partiti dall¹Italia, curatore di ³Aned-ricerche², ha pubblicato tra l'altro il volume Compagni di viaggio. Dall¹Italia ai Lager nazisti. I ³trasporti² dei deportati 1943-1945, Milano, F.Angeli, 1994; già deportato a Mauthausen ed Ebensee, è vicepresidente del Comitato Internazionale di Mauthausen e svolge la sua attività di ricerca in ambito internazionale.
Per la storia di Ebensee è fondamentale Florian Freund, KZ ZEMENT Ebensee. Il campo di concentramento di Ebensee "commando" di Mauthausen e l'industria missilistica, Torino 1990 (ed. or. Wien 1989)
Un testo di memoria costituito principalmente da disegni è il libro di Giovanni Baima Besquet, Deportati a Mauthausen 1943-1945, Torino 1946)



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Una lapide.

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