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Autore: Enrico Deaglio

Titolo : La banalità del bene

Casa editrice: Universale Economia Feltrinelli

Città: Milano

Anno di pubblicazione: giugno 1997 (prima edizione 1991)

 

Trama

Il personaggio di Giorgio Perlasca ricorda per molti versi quello di Schindler, protagonista del notissimo film di Spielberg Schindler’s list:come Schindler, non era un antifascista, anzi aveva aderito con entusiasmo al fascismo e, prima, all’impresa di D’Annunzio a Fiume, era partito volontario per la guerra di Abissinia e per la guerra di Spagna; come Schindler, era un bell’uomo, amato dalle donne, ed era in un certo senso un impostore, un uomo abile e furbo, che sapeva trattare con i nazisti al fine di garantire i propri affari e la propria sicurezza personale. Tuttavia credeva, come Schindler, nell’uguaglianza degli esseri umani: fu quindi contrario alle leggi razziali emanate dal regime fascista nel 1938 e all’alleanza dell'Italia con la Germania nazista.Come Schindler, infine, salvo’ migliaia di ebrei da morte sicura, a rischio della propria vita.

Nel periodo della guerra Giorgio Perlasca era un commerciante di carni. Bloccato a Budapest dall’otto settembre 1943, si trovo’ nella capitale ungherese nel vortice finale della guerra, così decise di chiedere aiuto all’ambasciata spagnola, avvalendosi della sua ottima conoscenza della lingua castigliana. L’ambasciatore di Spagna gli trovò alloggio in una villa che aveva lo status di extraterritorialità, poi fu mandato nel campo di Kèkes e più tardi trasferito in quello di Cakanydorozlo, da cui non ebbe bisogno di scappare perché fu autorizzato ad andarsene, su una macchina diplomatica svedese, a Budapest, per essere sottoposto ad esami clinici. Budapest nel 1944 era irriconoscibile: il nuovo governo, infatti, aveva cominciato ad agire davvero per risolvere la questione ebraica in Ungheria, un paese fino ad allora molto poco antisemita, dove gli ebrei erano numerosi e soprattutto influenti nel mondo degli affari e della cultura. Dalle province a est partivano quotidianamente i convogli organizzati da Eichmann verso i campi di sterminio in Polonia. Perlasca non sapeva dove andare e così si rifugio' dal suo amico D’Alessandro, piu’ tardi gli venne la febbre alta e venne portato al sanatorio, ma anche lì c’era pericolo perché tutti i giorni passavano i poliziotti che chiedevano i documenti.Uscito dal sanatorio, prima andò ad alloggiare alla pensione Danubio blu e poi all’hotel Hungaria e lì gli venne in mente di tornare da Sanz Brinz, il funzionario dell’ambasciata spagnola che già una volta gli aveva offerto il suo aiuto. Trovò rifugio nella sede diplomatica e dall’ ambasciatore ricevette la cittadinanza spagnola e un passaporto. Così si mise al servizio di un programma umanitario di salvataggio degli ebrei, che la Spagna conduceva insieme ad altre legazioni di paesi neutrali e alla Croce Rossa Internazionale. Un giorno Sanz Brinz chiamò Perlasca nel suo ufficio per dirgli che il giorno dopo sarebbe partito perché ormai il suo lavoro era finito. Allora Perlasca accompagnò alla stazione Sanz Brinz che partiva per la Svizzera e da quel giorno iniziò la sua avventura: infatti, invece di scappare, si autonominò nuovo rappresentante della Spagna di fronte al governo ungherese. Così, come autorevole rappresentante di una nazione neutrale, assicurò protezione a piu’ di cinquemila ebrei ungheresi, nascondendoli in edifici posti sotto la giurisdizione spagnola, le cosiddette case protette, e trattando con i nazisti che li volevano deportare. Alla fine della guerra tornò a casa e provò a raccontare la sua storia, ma nessuno gli credette fino a quando qualcuno di coloro che aveva salvato si ricordo di lui. Allora fu insignito di varie onoreficienze e in suo onore fu piantato un albero nel Giardino dei Giusti a Gerusalemme. Giorgio Perlasca morì la mattina del 15 agosto 1992 per infarto e, nonostante il Ferragosto, i suoi funerali furono affollatissimi.

 

Stile

Si può dire che questo libro è un insieme di vari generi letterari. Il primo è l’intervista, perché Enrico Deaglio si reca a casa del signor Perlasca, per conoscere la sua storia dalla sua viva voce, nel 1989, e per farla conoscere in Italia. Attraverso la trasmissione televisiva Mixer e attraverso questo libro Perlasca ottiene un riconoscimento atteso da quarantacinque anni. Ma il libro è anche un diario, perché Perlasca prende appunti su quello che succede nei giorni cruciali della sua avventura dal 2 dicembre 1944 al 13 gennaio del 1945, e affida questi appunti giornalieri al suo intervistatore, il quale li riporta integralmente nel capitolo VI. Perciò si può dire che il libro è in parte un testo di memorialistica. Deaglio poi inserisce suoi commenti sui fatti che costituiscono lo sfondo del caso giornalistico da lui ricostruito. Per esempio, condanna la deportazione degli ebrei da parte dei nazisti, ma è anche contro il comportamento degli Alleati che, invece di cercare di salvare gli ebrei bombardando le ferrovie e i campi di sterminio, non fanno niente dando già tutte quelle persone per morte. Infine, come in un saggio storico, Deaglio ricostruisce anche la situazione dell'Ungheria nelle fasi finali della Seconda Guerra mondiale e fornisce, in Appendice, dati sugli ebrei ungheresi salvati e notizie su persone che hanno avuto un ruolo importante nei fatti da lui riportati. La storia di Perlasca si svolge a Budapest ormai distrutta dalla guerra nell'autunno-inverno del 1944-45.

Una pagina esemplare

La pagina di questo libro che mi è piaciuta di più è quella che fra poco citerò perché insieme vi si possono vedere la paura e il coraggio. Come altri rappresentanti diplomatici delle nazioni neutrali, Perlasca una mattina era andato alla stazione di Budapest, dove venivano radunati gli ebrei da caricare sui convogli-merci in partenza per i campi di sterminio, per tentare di salvarne qualcuno.

"C'era una fila che veniva avanti e in mezzo vidi due ragazzi. Avranno avuto dodici o tredici anni ed erano identici. Due gemelli, soli. Io avevo la Buick della legazione parcheggiata di fianco alla banchina, con tanto di bandiera spagnola sul parafango. Non so perché, ma quei due ragazzi mi colpirono. Erano bruni, con i riccioli. Mi apparivano come la stessa persona moltlipicata per due. Quando mi passarono davanti nella fila, mi sporsi e li afferrai. Li presi dalla fila e li sbattei dentro la macchina. Gridavo:' Queste due persone sono protette dal governo di Spagna!' Si avvicinò un maggiore tedesco, che li voleva riprendere. Io lo fermai e gli dissi:' Lei non può farlo! Questa macchina è territorio spagnolo! Questa è una zona extraterritoriale! Il maggiore tedesco estrasse la pistola e ci fu un parapiglia. L'autista e io tenevamo chiusa la portiera e lui cercava di aprirla. Vicino a me c'era Raul Wallemberg . Si rivolse al maggiore con tono deciso:' Lei non sa che cosa sta facendo! Lei sta assalendo il territorio di un paese neutrale! Lei deve fare molta attenzione alle conseguenze del suo gesto!'

Il maggiore non cedeva. Mi agitava la pistola sotto la faccia. Mi disse:' Mi renda quei due ragazzi, lei sta disturbando il mio lavoro.' Io gli dissi:' E questo, lei lo chiama lavoro?'

Arrivò un colonnello. Il maggiore posò la pistola e gli spiegò la situazione. Io feci altrettanto. Ripetei che quei due ragazzi erano sotto la protezione governo di Spagna e che l'automobile era zona extraterritoriale. Il colonnello, con la mano, fece segno al maggiore di desistere. Poi si voltò verso di me e mi disse, con calma:' Li tenga. Verrà anche per loro'.

Così li tenemmo. Ce l'avevamo fatta. Quando i tedeschi si allontanarono, Wallemberg, sottovoce, mi fece:' Lei ha capito chi era quello, vero?' 'No,' dissi io. 'Quello è Eichmann.'">>

E. Deaglio, op.cit., pp.110-111

Questa pagina mi è piaciuta molto perché vi si può vedere il coraggio di Perlasca che, anche non rappresentando niente e non essendo veramente il primo segretario dell’ambasciata di Spagna, cerca di salvare più ebrei che può, ben sapendo che se lo avessero scoperto sarebbe stato deportato anche lui. Secondo me quest’uomo ha fatto una cosa che medaglie e onorificenze non basteranno mai a ricompensare. Eppure, molto modestamente, al suo intervistatore dichiara: "Alla fin dei conti, io ho avuto un’occasione e l’ho usata"(p. 16), quasi riducendo a una cosa banale il suo eroismo. È questo, secondo me, il significato del titolo del libro: La banalità del bene.

Scheda a cura di Grimaldi Marco

5e Telecomunicazioni

Anno scolastico 1998/99

I.T.I.S. GB PININFARINA

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