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Disciplina dell’esercizio delle professioni da parte dei cittadini di razza ebraica.

L’ideologia nazista puntava sul concetto di purezza della razza ariana. Di conseguenza la stirpe tedesca doveva mantenersi incontaminata, dalle varie razze considerate inferiori, e rappresentate da neri, slavi e soprattutto da zingari ed ebrei. Indicava inoltre la dittatura assoluta di un capo, contro ogni forma di democrazia, stabilendo quindi che solo l’individuo singolo era all’origine del progresso e sosteneva che il popolo doveva obbedire alle teste migliori, le quali, a loro volta erano subordinate in ordine strettamente gerarchico al capo: Führer. Quindi analogamente, a quanto stava accadendo in Germania, anche in Italia vennero presi alcuni provvedimenti nei confronti dei cittadini italiani di razza ebraica.

In particolar modo, con Legge del 29 giugno 1939, pubblicata poi anche sulla Gazzetta Ufficiale il 2 agosto 1939, venivano dettate le norme relative l’esercizio delle diverse professioni da parte dei cittadini di razza ebraica. Le norme erano divise in cinque capi principali, per un totale di trentacinque articoli. All’articolo uno del capo primo, veniva fornito l’elenco delle professioni, svolte da cittadini di razza ebraica, regolamentate dalle suddette norme. Ai cittadini di razza ebraica era vietato inoltre l’esercizio della professione di notaio. I cittadini di razza ebraica erano divisi poi in due categorie: discriminati e non discriminati. Tale discriminazione era effettuata sulla base dell’articolo 14 del Regio Decreto-Legge del 17 novembre 1938. I primi venivano iscritti in elenchi aggiunti, i quali dovevano essere istituiti in appendice agli albi professionali e potevano continuare ad esercitare una delle professioni elencate all’articolo uno; i secondi invece venivano iscritti in elenchi speciali e potevano continuare ad esercitare la propria professione (una delle professioni indicate al punto uno) salvo limitazioni della legge stessa e ad esclusione della professione di giornalista. A questi cittadini di razza ebraica venivano inoltre applicate le norme che disciplinavano i rapporti collettivi di lavoro. Ai cittadini discriminati o meno era fatto obbligo di denunciare la propria appartenenza alla razza ebraica entro venti giorni dall’entrata in vigore di tale legge, pena l’arresto sino ad un mese e l’ammenda sino a tremila lire. Gli elenchi speciali relativi ai cittadini non discriminati, erano istituiti presso ogni circoscrizione di Corte di Appello. Era vietata l’iscrizione contemporaneamente in più elenchi. L’iscrizione veniva conseguita, dopo avere fatto domanda presso il primo presidente della Corte di Appello del distretto presso cui il cittadino risiedeva. All’articolo nove veniva fornita una lista con i quattro punti principali che determinavano l’iscrizione all’elenco. I cittadini che avevano riportato una condanna per delitto non colposo, per il quale fosse stata comminata la pena della reclusione (minimo a due anni) con un massimo di cinque anni, o che fossero stati radiati dall’albo professionale, non potevano essere iscritti negli elenchi. Non potevano essere inoltre iscritti coloro che fossero, o si trovassero sottoposti alle misure di polizia previste dalla legge (approvate con Regio Decreto-Legge del 18 giugno 1931).

Le diverse attribuzioni inerenti la tenuta degli elenchi dell’articolo quattro, ed alla disciplina degli iscritti, erano esercitate da una Commissione distrettuale i cui membri venivano nominati con decreto del Ministero di Grazia e Giustizia. Tale Commissione avevano anche il compito di verificare le domande di cui all’articolo otto. Le deliberazioni di suddetta Commissione venivano prese a maggioranza (in caso di parità prevaleva il voto del presidente). Contro queste, era dato ricorso sia all’interessato, sia al Procuratore generale della Corte di Appello. Il presidente di tale Commissione era rappresentato da un magistrato di terzo grado.

Ogni anno, nel mese di febbraio la Commissione procedeva alla revisione dell’elenco speciale apportandovi le modifiche e le diverse aggiunte qualora fossero necessarie. La Commissione aveva inoltre la facoltà di applicare eventuali sanzioni disciplinari che prevedevano: censura, sospensione dell’esercizio professionale per un tempo non maggiore a sei mesi e, non ultimo, la cancellazione dagli elenchi. La cancellazione dall’elenco poteva avvenire inoltre su domanda del diretto interessato o per la condanna e l’applicazione delle misure di pubblica sicurezza. Per gli iscritti agli elenchi speciali, l’esercizio professionale era regolata da alcune limitazioni. Tale professione doveva essere esercitata esclusivamente a favore di persone di razza ebraica. Non si poteva esercitare la professione di farmacista se non presso farmacie che svolgessero la loro attività nei riguardi esclusivamente di appartenenti alla razza ebraica . Ai professionisti di razza ebraica non potevano essere assegnati incarichi che prevedessero funzioni di pubblico ufficiale, non era consentito svolgere attività per conto di enti pubblici, fondazioni, associazioni e comitati (di cui gli articoli 34 e 37 del codice civile). Non potevano inoltre essere iscritti nei ruoli di amministratori giudiziari (se lo si era già, si era automaticamente cancellati). I professionisti forensi che svolgevano attività antinfortunistica e che erano iscritti ai relativi albi professionali perdevano il diritto di iscrizione. Era vietata qualsiasi collaborazione tra professionisti di razza ebraica e non. L’esercizio di tali attività suddette, era punito ai sensi dell’articolo 348 del codice penale e comportava la immediata cancellazione dall’albo e dagli elenchi. Gli appartenenti alla razza ebraica dopo la cancellazione dal proprio albo professionale, potevano continuare l’esercizio solo dopo l’iscrizione ad uno degli elenchi speciali. I cittadini italiani di razza ebraica, ammessi a proseguire gli studi superiori o universitari, nonché tutti coloro che avevano acquisito un titolo accademico potevano ottenere l’iscrizione negli elenchi speciali o aggiunti. I notari ebrei dispensati dall’esercizio della loro attività professionale potevano avvalersi del diritto di trattamento di quiescenza da parte della Cassa nazionale del notariato. Se non si era maturato il periodo prescritto si poteva accedere al trattamento minimo di pensione (prevedeva che si fossero svolti almeno dieci anni di attività). Ai giornalisti che cessavano la loro attività veniva corrisposta dal datore di lavoro l’indennità di licenziamento prevista dal contratto collettivo di lavoro giornalistico. Il Ministro di Grazia e Giustizia era autorizzato (in accordo con altri Ministri interessati) ad emanare norme che determinavano il contributo da porsi a carico degli iscritti nell’elenco speciale.

Furono presi anche altri provvedimenti nei confronti dei cittadini italiani di razza ebraica inerenti: la difesa della razza nella scuola fascista, i rapporti con gli ebrei stranieri a la difesa della razza italiana in genere. Furono pubblicati inoltre il Manifesto degli scienziati razzisti e la Dichiarazione sulla razza.

Relazione a cura di:  Scionti Alberto, Operti Corrado e Carena Roberto.

Classe 5a E telecomunicazioni

Anno scolastico 1998/99

I.T.I.S. G.B. PININFARINA

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