La Storia dell'Enneagramma

dal Corso di Naturopatia
dell'Istituto Riza di Medicina Psicosomatica


L'ENNEAGRAMMA

Il termine "Enneagramma" (in inglese enneagramm) deriva dai termini greci enneas ("nove") e gramnia ("illustrazione").

L'enneagramma è un'illustrazione, una descrizione figurata, di nove realtà: in primo luogo, dei nove volti che si ritiene caratterizzino la psiche, sulla base della concezione secondo cui l'intero universo è spiegabile a partire da nove "prospettive". In parole più semplici, ci troviamo in presenza di un'antichissima tecnica in grado di studiare e migliorare l'animo umano classificandolo in nove tipi.

Nonostante ciò che potrebbe apparire dall'analisi etimologica del termine, l'enneagramma non consiste necessariamente in un vero e proprio disegno, anche se l'approccio più comune a questo metodo di analisi prevede l'impiego di una figura geometrica che riassuma schematicamente i principi del metodo stesso. La figura generalmente impiegata è costituita da un cerchio, lungo la cui circonferenza sono segnati nove punti distanti 40 gradi l'uno dall'altro; ciascuno di questi punti corrisponde a un tipo caratteriale. Le linee che vengono condotte da un punto all'altro rappresentano le varie tappe del cammino evolutivo che ciascuno di noi deve percorrere per realizzarsi completamente, liberandosi, via via, delle proprie caratteristiche originarie.

I nove punti del cerchio sono numerati in progressione oraria, diversamente da quanto accade, per esempio, per il cerchio zodiacale, lungo il quale i segni si susseguono in senso antiorario.

All'interno del cerchio dell'enneagramma tradizionale si possono costruire due figure geometriche (una regolare e l'altra irregolare) che simboleggiano realtà psicologiche complementari: un triangolo equilatero (avente gli angoli nel punto tre, nel punto sei e nel punto nove) e un esagono irregolare (avente gli angoli nei punti uno, due, quattro, cinque, sette e otto).

Le linee, o frecce, cui si accennava possono dirigersi esclusivamente da un angolo all'altro della stessa figura: in nessun caso, per esempio, una freccia partirà da un angolo del triangolo per arrivare a un angolo dell'esagono irregolare.

Una tale rappresentazione grafica riveste sì un ruolo importante nell'ambito del metodo che stiamo esaminando, ma deve essere considerata semplicemente un mezzo e non un fine. All'origine di questa immagine concreta, infatti, c'è uno studio approfondito che, partito da alcune intuizioni, è giunto a stabilire regole molto precise, alcune delle quali piuttosto complesse. Si tratta di nozioni di ordine psicologico e, in parte, spirituale, traducibili in pratici consigli per la vita.

L'intero patrimonio di idee e di leggi che stiamo descrivendo risale a epoche antiche della civiltà umana; esso è giunto fino a noi attraverso la tradizione orale prima e, solo in epoche relativamente recenti, per mezzo di opere scritte. E dunque utile tracciare una breve storia di tale tradizione, per cercare di capire quali sono le sue radici.

LE ORIGINI

L'enneagramma era conosciuto già, seppur non approfonditamente, prima della nascita di Gesù Cristo. Esso venne probabilmente ideato nell'area geografica che aveva come confini l'India a est, la Persia a ovest e l'Asia centrale a nord. Qui alcuni individui, considerati dal popolo "maestri spirituali" diedero origine a questa "rnappa" dell'anima, prendendo in considerazione i principi fondamentali delle religioni diffuse all'epoca.

Quando in quell'area si impose definitivamente il culto islamico, le antiche conoscenze relative alla psiche diventarono patrimonio di alcuni circoli religiosi interessati agli aspetti meno evidenti della realtà umana. Tutto ciò avvenne negli ultimi secoli del primo millennio d.C., in un clima spiritualmente confuso, che vedeva molte diverse correnti del credo musulmano farsi portavoce dell'insegnamento di Maometto. Lungi dallo stabilire un solo canone dogmatico, la fede musulmana consentiva allora un certa libertà interpretativa, che sarebbe scomparsa quasi completamente nel secondo millennio.

Fin dalle origini, in ogni caso, la tradizione relativa all'enneagramma sopravvisse in virtù degli insegnamenti orali impartiti da maestro a maestro. Le origini della tradizione esoterica universale, peraltro, sono caratterizzate da un'analoga valorizzazione dell'oralità. Per sua natura, infatti, l'insegnamento esoterico non si presta alla facile divulgazione e deve essere affidato ai soli iniziati: la sua trascrizione, invece, conduce necessariamente con sé una più ampia possibilità di accesso a verità che possono essere quantomeno fraintese da tutti coloro che non sono preparati.

I SUFI

Il movimento esoterico e religioso che, attorno all'anno Mille d.C., sorse nelle regioni centromeridionali dell'Asia prese il nome di "sufismo". Tra i metodi di analisi del reale adottati da tale movimento c'era anche l'enneagramma.

Per comprendere meglio la natura del rapporto esistente tra sufismo ed enneagramma, occorre spendere qualche parola sulle caratteristiche di questo movimento, che è, peraltro, sopravvissuto fino ai nostri giorni.

Rispetto alla religione islamica ufficiale, che attribuiva una grande importanza agli aspetti esteriori della fede, il sufismo (dall'arabo al-tasawwuf, "pratica purificatrice del sufi") si propose di occuparsi maggiormente della realtà interiore: il cuore andava purificato affinchè il fedele potesse confondere la propria anima con quella di Allah.

Il sufismo veniva anche indicato come "la Verità" da tutti coloro che condividevano l'idea secondo cui la vera essenza umana non risiede nel corpo e nei suoi movimenti, bensì nell' anima, che raggiunge la felicità solo quando si libera dalle molteplici vesti esteriori.

Il termine sufi, che designa il praticante disposto a purificarsi e a comunicare poi la propria esperienza, deriva da suf nome dell'abito di lana bianca che veniva usato dai maestri orientali, in segno di umiltà, ancor prima dell'avvento dell'Islam.

Il sufismo si diffuse in modi diversi e in città anche abbastanza lontane l'una dall'altra. I maestri sufi si opponevano, generalmente, al materialismo imperante, che si manifestava in un eccessivo attaccamento ai beni esteriori nonostante certi divieti della legge. Essi, tuttavia, non erano favorevoli a una vita ascetica, cioè troppo lontana dai concreti problemi quotidiani.

La loro filosofia di vita si basava sul progressivo raggiungimento di stadi successivi di perfezionamento interiore, secondo una teoria che potremmo chiamare "evoluzionistica". Lo studio della dottrina religiosa rappresentava solo il seme che veniva piantato affinché nascesse il germoglio del vero cammino interiore.

Il fiore di questa pianta destinata a crescere sempre più era costituito dalla povertà e il frutto dall'annientamento stesso in Dio. Così veniva stabilito un vero e proprio 'viaggio" attraverso il quale il sufi avrebbe trovato la perfezione.

Durante questo percorso spirituale, il praticante doveva essere guidato da un maestro, che insegnava la tariqa, una disciplina piuttosto rigorosa, la cui pratica doveva guarire l'allievo da una serie di "vizi" tipici della vita mondana: desiderio, separazione, ipocrisia, narcisismo, illusioni, avarizia, avidità, irresponsabilità, fretta e negligenza.

La tappe principali dell'itinerario che conduceva verso Dio erano invece le seguenti: conversione, lotta spirituale, ritiro, timor di Dio, rinuncia, silenzio, rimorso, fame, umiltà, resistenza, contentezza, fiducia, gratitudine, pazienza, consenso, sottomissione, rettitudine, lealtà, vergogna, magnanimità, spirito cavalleresco, moralità, santità, preghiera, purezza assoluta.

Psicologia e numerologia nel sufismo

Come già si accennava, il sufismo ha sempre prestato un'attenzione particolare allo studio dell'animo umano. Ancora oggi il culto sufista viene chiamato nafsa-ffyyatalinsani-yat, cioè, in termini occidentali, "psicoantropologia". Per procedere alla liberazione di un individuo, i sufi ritenevano di non poter prescindere da un'analisi classificatoria delle sue caratteristiche spirituali. Tale analisi veniva però espressa con un linguaggio "segreto" costituito da enigmi, numeri e figure, che, per alcuni aspetti, si possono avvicinare all'alfabeto della cabala ebraica.

In particolare, per quanto riguarda le componenti matematiche del linguaggio segreto sufista, nel periodo tra l'XI e il XV secolo vennero messi a punto dei sistemi che privilegiavano certi numeri rispetto ad altri, in particolare il sette e il nove.

Il sette, soprattutto, ritornava come numero dominante in moltissime dottrine di questi monaci psicologi: si pensi, per esempio, alle categorie umane rappresentate dai cosiddetti "sette uomini" (depravato, accusatore, ispirato, sereno, realizzato, realizzatore e purificato) e, soprattutto, ai sette gradi dell'essere (natura, uomo, spirito, immagine, cielo, Dio apparente, Dio essente).

La numerologia, in generale, vede nel sette la rappresentazione della crisi riflessiva e immaginativa: questo numero apre le porte al mondo dell'aldilà e del sogno, stabilisce dei nuovi programmi per la vita spirituale. Esso, inoltre, predispone alla stessa analisi psicologica, grazie a quell'invito all'introspezione che reca con sé. Ciononostante il sette non può bastare a spiegare i complicatissimi meccanismi dell'universo, proprio perché solleva dei problemi ma non li risolve, facendone comunque intendere le reali difficoltà.

Fu solo nel XV secolo, con la definitiva scoperta del sistema decimale, che il sufismo cominciò a privilegiare una rappresentazione geometrica della realtà; fu proprio in questo periodo che si intensificarono i rapporti con l'enneagramma e, quindi, con il numero nove.

Il nove, numero chiave dell'universo

Il nove portò a conclusione la "crisi" aperta dal sette, nel senso che venne a rappresentare il massimo grado di consapevolezza dell'essere. Esso portò alla conclusione del "viaggio", dando la possibilità al praticante di giungere tra le braccia di Dio.

Dal punto di vista numerologico, il nove rappresenta la somma di tutti gli altri numeri e ha un valore simbolico pari solo a quello dello zero: è significativo, dunque, che nella rappresentazione grafica dell'enneagramma, i nove punti siano disposti lungo la circonferenza di un grande zero.

Anche i matematici considerano il nove un numero davvero particolare: infatti, sommato o sottratto a un altro numero, lascia, per mezzo di una riduzione a una cifra unica, quest'ultimo inalterato: per esempio, 9 + 5 = 14; 1 + 4 = 5, che è proprio il numero di partenza.

I sufi consideravano quindi il nove non solo come la conclusione del ciclo di liberazione dai limiti materiali e il mezzo di conoscenza dell'assoluto, ma soprattutto come il numero magico che sta alla base di tutto l'universo, comprendendo gli altri numeri e fornendo la struttura di base di qualsiasi realtà e, in primo luogo, del comportamento degli esseri umani.

Numerosi sono gli esempi che mostrano chiaramente come i suf usassero il nove come strumento per comprendere le realtà più profonde. Ciascuna delle ventinove lettere che compongono l'alfabeto arabo, per esempio, poteva essere abbinata a un numero: le prime nove lettere, naturalmente, si abbinavano a un numero compreso tra uno a nove; le lettere seguenti, abbinate a numeri composti, tramite la riduzione a una sola cifra, risultavano anch'esse abbinabili a un numero semplice. Facciamo un esempio: la dodicesima lettera dell'alfabeto era, naturalmente, abbinata al numero dodici, che, ridotto a un'unica cifra (1 + 2), rimandava al numero tre. In questo sistema, il numero nove risultava abbinato alla nona lettera dell'alfabeto, che corrispondeva al doppio suono TT, simbolo di totalità, il cui esatto significato è "conoscenza segreta".

Le lettere che componevano la parola più cara ai sufi, tariqahswftyya ("sentiero" o "disciplina del sufi"), corrispondevano a numeri la cui somma complessiva dava proprio nove, a conferma della dimensione trascendente che era raggiungibile grazie all'aiuto dei maestri.

Famosa è questa battuta sufica: "Ricerca la conoscenza, anche se fosse lontana quanto la Cina". Questo motto ci offre un altro esempio del valore attribuito dai sufi alle parole, proprio in rapporto alla loro corrispondenza numerica: nel linguaggio segreto dei sufi, infatti, il termine persiano chyn significava "concentrazione". Trasposta nell'alfabeto arabo, questa parola diventava jyn, il cui valore numerico era: j = 3, y = 1, n = 5; da cui 3 + 1 + 5 = 9.

Era tuttavia un diagramma figurato ciò che, nell'ambito della tradizione sufica, valorizzava meglio quella che potremmo definire la "filosofia del nove" come visione del mondo e interpretazione della realtà. Tale simbolo grafico era pure quello che maggiormente si avvicinava all'enneagramma, anche se diverse erano le funzioni che gli venivano attribuite. Stiamo parlando del cosiddetto "quadrato magico del quindici", composto da nove caselle di uguale grandezza che, benché sembrino numerate a caso, sono disposte in modo che la somma di tutte le cifre che compongono una linea, verticale o orizzontale, dia come risultato quindici. Questo numero, peraltro, è strettamente legato al nove, in quanto 1 + 5 = 6, che è un multiplo di tre, base del nove. In sostanza, le nove caselle del quadrato magico possono essere associate ai nove punti dell'enneagramma e alle tipologie psicologiche corrispondenti, perché anch'esse nascono dalla percezione della struttura novenana dell'universo. Nel quadrato magico, peraltro, il nove è posto in una posizione privilegiata: in qualsiasi direzione si volti la figura stessa, esso è posto al centro del lato. Analogamente, nell'enneagramma, il punto nove sta in una posizione centrale nella sua semicirconferenza.

Dal punto di vista simbolico, le nove caselle del quadrato, così come i nove punti che costituiscono la circonferenza dell'enneagramma, rappresentavano i nove modelli comportamentali umani: si trattava, anche in qual caso, di nove stili di vita, ciascuno dei quali, secondo la visione sufica, non ammetteva recidività (in ciò consisteva propriamente il "peccato" ma andava adottato e poi superato, in un continuo processo di elevazione.

I SUFI E L'ENNEAGRAMMA

Una particolare corrente sufica, nata in Medio Oriente nell'alto Medioevo e sviluppatasi in età moderna soprattutto nel Turkestàn e in Afghanistàn, fu quella cosiddetta dei "dervisci" mistici assai versati nella poesia e nella musica. Essi, sempre tramite l'insegnamento orale, valorizzarono sempre più il metodo basato sull'enneagramma.

Secondo i dervisci, la vera conoscenza doveva essere considerata come un nutrimento corporale, da ingerire a poco a poco, proprio come il cibo quotidiano, con un'analoga consapevolezza della sua imprescindibile necessità.

La prima forma di conoscenza, secondo questa teoria, consisteva nel riconoscimento dell'effetto prodotto da ogni singola parola, quella successiva nell'individuazione dell'energia presente nel lavoro e l'ultima ("scienza della saggezza superiore") nel raggiungimento del pensiero puro, supremo mezzo di esperienza.

L'insegnamento dei dervisci spingeva a guardare profondamente dentro se stessi, in modo da riuscire a trovare il proprio "Io Essenziale". Per arrivare a ciò, tuttavia, ogni uomo doveva curare le proprie disarmonie mentali, suscitate dallo stesso sforzo compiuto per raggiungere uno stadio evolutivo superiore. Tali disarmonie potevano essere superate grazie a specifici esercizi mentali e fisici, destinati a favorire il distacco dalle passioni: ci si doveva esercitare in particolari tecniche respiratorie, nel pronunciare le sillabe con ritmi inusuali, nel muovere il corpo in perfetto sincronismo con la recita di certe preghiere ecc.

L'esercizio più efficace era sicuramente costituito dalla danza detta Sama, che prevedeva un incedere circolare, rappresentazione scenica della visione cosmografica su cui si fondava la "filosofia del nove": il movimento circolare, infatti, simboleggiava il percorso degli astri. Ogni danzatore girava prima su se stesso e poi percorreva una circonferenza ideale, immagine del mondo e del cerchio dell'enneagramma. Questa danza sacra illustrava dunque, in qualche modo, i meccanismi regolatori dell'universo e di ciò che era inteso come il suo specchio, l'animo umano.

I movimenti del danzatore dovevano essere precisissimi: la realtà da rappresentare era infatti essenzialmente geometrica e simmetrica. Egli si muoveva lungo traiettorie simili a quelle iscrivibili nel cerchio dell'enneagramma; la ripetizione continua e prolungata di questi percorsi arrivava persino a produrre nei partecipanti uno stato di estasi, che favoriva una totale partecipazione all'unità del mondo.

Durante le danze, grazie a esercizi preparatori, i dervisci riuscivano ad attivare tre centri vitali del corpo, che corrispondevano ai tre settori psicologici principali rappresentati nella struttura tripartita dell'enneagramma (tre blocchi di tre numeri):

  • il centro dell'Io, che sta sotto l'ombelico e i cui impulsi partono dalla pancia;
  • il centro del cuore, localizzabile nel petto;
  • il centro dello spirito, che si trova nel sistema nervoso che fa capo al cervello.


  • I maestri dervisci che dirigevano gli esercizi e le danze sacre erano chiamati "guide". Essi agivano basandosi su una profondissima conoscenza dell'enneagramma e delle sue implicazioni psicologiche e si proponevano come scopo quello di procurare la guarigione interiore di tutti gli allievi-partecipanti.

    GURDJIEFF E UNA RIELABORAZIONE DELL'ENNEAGRAMMA

    Occorre giungere all'inizio del nostro secolo per assistere a uno sviluppo e a un approfondimento del metodo dell'enneagramma. Un merito di aver reso sistematica l'applicazione di tale metodo si deve all'armeno Georges Ivanovich Gurdjieff, nato nel 1870 e morto nel 1949. Dopo aver viaggiato per tutta l'Asia e aver imparato da maestri di diverse religioni i più profondi segreti dell'animo umano Gurdjieff decise di fondare una scuola esoterica: nacque così il Prieurè, l'istituto parigino divenuto famoso per la severità della sua disciplina, a cui si sottoposero scrittori e artisti alla ricerca di una dimensione più autentica di vita.

    Nel suo peregrinare per l'Asia, Gurdjieff rimase colpito soprattutto dagli insegnamenti dei sufl e dei dervisci: egli riteneva infatti che tali insegnamenti fossero i più utili a migliorare il livello di coscienza dell'uomo. Decisivo fu il soggiorno tra i maestri del monastero Sarmung, in Turkestàn. Qui, guidato dal principe Yuri Lubovedsky, Gurdjieff venne a contatto con i principi che regolavano le danze sacre e approfondì i criteri psicologici sviluppati dai maestri. Successivamente incontrò il derviscio Bahauddin Naqshbandi, che lo iniziò alla conoscenza dell'enneagramma. Egli non lasciò nessuno scritto su questo argomento, tuttavia la sua interpretazione ci è nota grazie alle opere del suo allievo P.D. Ouspenskij e dell'allievo di quest'ultimo, Kenneth Walker. Da tali scritti risulta evidente che Gurdjieff riflettè moltissimo sugli insegnamenti ricevuti dai dervisci.

    Grazie a questi e all'osservazione della civiltà a lui contemporanea, che diede origine a confronti con il mondo orientale egli poté arricchire il metodo dell'enneagramma.

    Ciò che scaturì da tale arricchimento fu una versione interessantissima del metodo stesso. Sviluppando le intuizioni dei dervisci, infatti, Gurdjieff arrivò a individuare "tre menti" o "centri" dell'essere umano, facendoli oggetto di una scienza che egli chiamò "meccanica umana" per il fatto che, secondo la sua teoria, nella maggior parte degli uomini i tre centri non vanno a costituire una vera e propria psiche, bensì un meccanismo automatico che agisce spontaneamente e, in qualche modo, incontrollatamente.

    Secondo Gurdjieff - e in ciò concordano anche gli attuali cultori dell'enneagramma - la mente intellettuale ha come centro di gravità la testa, quella affettiva il plesso solare e quella istintuale la pancia o addome. Il centro istintuale si divide a sua volta in tre sottocentri: istintivo, sessuale e motorio.

    L'aspetto più interessante della classificazione tripolare di Gurdjieff è costituito dall'affermazione secondo cui i tre centri non funzionano mai in maniera equilibrata: la capacità di una mente di lavorare per un'altra risulta utile solo per un po' di tempo, ma, se viene sollecitata troppo a lungo, produce dei danni. Quando l'equilibrio esistente fra i vari centri si altera, l'intera "macchina umana" si inceppa, con conseguenze più o meno gravi. Ciò accade soprattutto nei soggetti nevrotici e in quelli psicotici, ma anche negli individui ritenuti "normali" possono verificarsi delle disfunzioni nell'attività dei centri.

    Secondo questa teoria, dunque, col passaggio dall'adolescenza all'età adulta le persone possono essere "catalogate" in una di queste categorie:

  • istintuale: il centro dell'istinto è eccessivamente sviluppato a scapito degli altri due; chi risponde a questa tipologia tende a imitare passivamente il comportamento altrui;
  • affettiva: è dominata prevalentemente dall'emozione; chi rientra in questa categoria si lascia guidare solo da ciò che sente, amore o odio che sia;
  • intellettuale o cerebrale: viene eccessivamente sviluppata la razionalità; chi viene classificato in questa tipologia si basa essenzialmente su teorie astratte e su motivazioni razionali.


  • Questa tripartizione sta alla base anche dell'enneagramma modemo (tre punti fanno infatti riferimento al centro di gravità della pancia, tre a quello del cuore e tre a quello della testa).

    Gurdjieff collegò, inoltre, i tre tipi psicologici a tre tipi biologici e chimici, le cui caratteristiche varierebbero anche in funzione dei cibi ingeriti. Questo corollario della sua teoria, tuttavia, si considera oggi largamente superato, poiché non potrebbe convivere con le ultime conquiste delle scienze naturali e alimentari. Mantiene invece il proprio valore la considerazione di Gurdjieff secondo cui, alla cosiddetta "introspezione", è preferibile l'osservazione della dinamica che caratterizza i propri centri. Una tale autosservazione, secondo Gurdjieff, permette di registrare pensieri, emozioni e sensazioni nel momento in cui si verificano; l'introspezione, invece, viene considerata come un semplice "fantasticare su noi stessi" una sterile speculazione sul proprio comportamento.

    Si scorge, in questo atteggiamento, un'intenzione polemica nei confronti della psicologia classica e della stessa psicanalisi, che è infatti ritenuta, da molti enneagrammisti moderni, incapace di identificare i veri meccanismi psichici perchè troppo speculativa poco portata cioè all'osservazione concreta dei fenomeni.

    Secondo Gurdjieff, esaminando noi stessi attraverso l'enneagramma, dobbiamo usare un certo distacco, comportarci come se avessimo davanti un'altra persona. Questa affermazione implica la possibilità di autoanalisi: prima di farci esaminare da altri, dunque, possiamo procedere a un'autoanalisi scrupolosa, che escluda ogni immaginazione astratta.

    Per procedere in modo corretto all'autosservazione occorre pero prima giungere a quello che Gurdjieff chiama "autorisveglio". Gli esseri umani, infatti, vivono costantemente in una sorta di "sonno ottenebratore", anche quando pensano di essere svegli e lucidi. Ecco perché in loro la vera conoscenza risulta molto limitata dalla soggettività. Solo raggiungendo uno stato di coscienza superiore si possono vedere le cose come sono veramente!

    Poiché allo stato di perenne torpore dell'essere umano contribuisce anche un'educazione sbagliata e l'incapacità di reagire a essa, secondo Gurdjieff bisogna esercitare quello che egli chiama l' "autoricordo" della verità. Così l'autorisveglio e l'autocoscienza conducono a una nuova esperienza e permettono di superare comportamenti abitudinari nati dalla prevalenza di uno dei centri sugli altri.

    Il problema maggiore è dato dal fatto che, paradossalmente, nessuno di noi è incline ad abbandonare la propria tipologia, neppure quando l'abuso di un centro provoca sofferenza; ciò è dovuto in gran parte al timore delle novità.

    Con il risveglio, però, otterremmo un equilibrio, garantito dalla presenza di un centro "superiore" di gravità permanente, che eliminerebbe la supremazia unilaterale di uno degli altri.

    Molti studiosi hanno visto in questo alternativo centro di gravità permanente qualcosa di simile al Sé di Jung, l'unico psicologo occidentale vicino alla mentalità orientale.

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