TESTIMONIANZE di SOPRAVVISSUTI

Pietro Pascoli: I Deportati - pagine di vita vissuta (1960)

presentazione di Ferruccio Parri

Presentazione

 

di FERRUCCIO PARRI

 

A Pascoli convalescente don Fortin mostrava un notes nel quale aveva segnato il suo nome con accanto una crocetta che voleva dire: "spacciato". Ma Pascoli ha superato invece di un soffio quel discrimine impercettibile che separa tra i sopravvissuti di Dachau la vita dalla morte. Riesce a raggiungere, redivivo da quell'inferno, la sua città: Udine. È notte; la luna splende sugli scheletri lugubri delle case diroccate. In fondo a Via Moretti c'era la sua casa: c'è ancora. Ci sarà la moglie? Dormiranno le bambine, sognando del loro babbo lontano? Bussa. Sente il passo della sua donna, e fuori dall'uscio avverte. "Non spaventarti. Sono uno scheletro. Ma sono tornato. te lo avevo detto". Pascoli è tornato alla vita di un tempo. La salute lentamente ritorna, le ferite si rimarginano, l'oblio salutare scende sulle delusioni e sulla tristezza del passato. Perché egli sente il bisogno di scrivere e di raccontare il martirio della deportazione? E che cosa c'è nel suo racconto che mi invita a segnalarlo all'attenzione del lettore? È normale che il protagonista di prove così tremende ceda all'interno impulso di raccontare. Non mancano da noi memorie sui campi di deportazione, anzi almeno tre di questi libri (Caleffi, Primo Levi, Fergnani) sono giustamente considerati tra i migliori, tra i più efficaci come presa sul lettore, della nostra letteratura sulla guerra ultima. Pure è bene, in linea generale, che questa memorialistica si accresca. La storia di domani deve farsi sul maggior numero di documenti e voci del tempo purché sincere, cioè non letterariamente artefatte o politicamente viziate. Così è questo libro di Pietro Pascoli, trascrizione diretta, fedele e vivace dei fatti e delle emozioni di Pascoli partigiano, arrestato, deportato, redivivo. Questa genuinità è il suo primo titolo di raccomandazione. Il lettore vede in queste pagine l'onesto viso e la sofferenza di un compagno sincero. Umana sofferenza. Pure non unica, e purtroppo nemmeno rara. Milioni sono state le vittime, milioni di corpi e milioni di anime. Quanti compagni nostri hanno seguito la sorte del Pascoli, ed erano tra i più bravi: ben pochi sono tornati. Qual è dunque la nota particolare che mi par necessario sottolineare? È la protesta insistente, veemente, che fa da pedale continuo al racconto; contro la ferocia abietta di un sistema, che si compiace di annientare e di torturare, ed ancor più di umiliare lo spirito umano ricacciandolo ai limiti della bestialità elementare, di un regime che può trovare a servirlo tante orrende canaglie, sfrenate perché certe della impunità. Ha ragione Lucifero quando una così efferata organizzazione della malvagità può ben far dubitare della capacità di progresso morale della civiltà umana. Prima di ogni altra considerazione, questa protesta è giusta, questo grido d'indignazione è salutare. Questa storia dei campi di deportazione dev'essere conosciuta il più largamente possibile. La conoscenza è una prima difesa. Pascoli vuol condurre il suo lettore ad altre riflessioni e ad altre conclusioni. Giudichi il lettore. Il discorso trapassa in un campo politico che richiederebbe, per sviluppare il discorso dell'autore, attente valutazioni e considerazioni. Dirò solo che con ogni desiderio di equanimità verso la gente tedesca, pur sapendo quanto sia difficile pronunciar giudizi sulla responsabilità collettiva dei popoli, pur convenendo come vada riveduto il giudizio negativo corrente sulla mancata resistenza anti-hitleriana, resa praticamente impossibile da quel regime, pur con tutte queste necessarie cautele e riserve, condivido anch'io il dubbioso giudizio di chi teme non la formidabile capacità di disciplina  di quel popolo, ma il suo potenziale di cecità e di orgoglio nazional-razzista. Se tornassero tempi propizi ad un nuovo stregone folle, cosa succederebbe? Le preoccupazioni che ne conseguono hanno un campo ancor più ampio. Tu conosci, Pascoli, qual reviviscenza di barbarie naziste nella repressione della sollevazione algerina macchi l'onore del governo e dell'esercito francese. Non del popolo che reagisce e protesta, come tutti sanno. Una barriera più ampia deve sorgere contro barbarie, contro ogni ritorno alla barbarie. La tua protesta, caro Pascoli, deve mettere profonda radice nella coscienza dei popoli, così profonda che se ne alimenti sicuramente lo spirito delle nuove e delle future generazioni.

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