Quinta Parte – Il Calvario delle penne mozze.

 

La mattina dopo , durante l’alzabandiera, le sentinelle delle trincee ad ovest lanciarono l’allarme. Accorremmo tutti a vedere cosa stesse succedendo e lo spettacolo che ci trovammo ad osservare ci fece venire la pelle d’oca. L’intera Armata avversaria stava dilagando in valle e vi assicuro che vedere mille nemici in armi non è affatto come discorrere di mille nemici in armi. Le venti compagnie del bombardiere si stavano schierando in campo secondo una regia militare perfetta. Viste dall’alto di quota 2105 le loro manovre avevano un che di napoleonico.I reparti, perfettamente inquadrati e dotati di bandiere e gonfaloni, marciavano cantando il loro inno di guerra guidati addirittura dalle note di una piccola fanfara. Non conoscevo la musica ma assomigliava sinistramente a “Deutschland uber alles”, variante dell’attuale inno nazionale tedesco. Fra musica e stendardi il nemico occupò in breve tempo tutto l’avvallamento fra l’Ortigara ed il Cuvel. Mentre li osservavo, schierati in campo come i francesi a Waterloo, sperai di cavarmela come Wellington anche se, al contrario del generale inglese, non potevo certo sperare nell’aiuto dei prussiani di Blucher. Che cosa avrebbe fatto il bombardiere? Non era possibile che me li lanciasse contro in un unico mostruoso assalto. Non avrebbero avuto spazio a sufficienza per manovrare e si sarebbero incastrati a formare un ingorgo terribile, facile preda dei miei mortai. Sarebbe avanzato per tappe? Quale sarebbe stata la sua Hougoumont? Dovevo individuarla alla svelta in modo da tenerla sotto il tiro della mia “artiglieria”.

Se fossi riuscito ad individuare il luogo da cui il bombardiere intendeva far partire gli assalti alle nostre trincee le speranze di vittoria da parte nostra sarebbero aumentate di molto.

“Fulmine, fai venire qui Principe immediatamente”

“Ma, Tommaso…Principe è sul Cuvel, ce l’hai mandato tu.Non ricordi?”

Un crampo doloroso mi artigliò le viscere.La temeraria era sul Cuvel alle spalle del nemico. Presi il binocolo per vedere se potevo scorgerli ed effettivamente notai uno strana onda nel fronte avversario. Tre compagnie di schutz staffeln stavano abbandonando lo schieramento, improvvisamente interessate ad una collinetta alle loro spalle. Avevano trovato la temeraria. La montagnola era alta una ventina di metri ed ora erano chiaramente visibili, anche ad occhio nudo, un manipolo di uomini che la risalivano di corsa sparando a più non posso.Erano però inesorabilmente accerchiati dall’ intera armata nemica.Sul cucuzzolo della collinetta si trovavano i resti di un fortilizio a pianta quadrata di una decina di metri di lato.Oppure era una stalla in rovina, non si capiva bene. I muri a secco erano solo le vestigia di quello che dovevano essere stati gli originali ed offrivano una protezione variabile fra i due metri ed i cinquanta centimetri. La temeraria vi si rifugiò, respingendo incredibilmente il primo attacco delle tre compagnie che la inseguivano. I nemici, dopo essersi beccati una pioggia di palle di titanio, ridiscesero in tutta fretta la montagnola cingendola comunque d’assedio. Con il binocolo potevo vedere chiaramente Principe che disponeva i suoi uomini lungo il perimetro interno del rudere.Alcuni di essi erano però riversi a terra, completamente immobili. Altre due compagnie nemiche arrivarono di gran carriera a dar manforte alle altre tre. Il divario si allargava in un tragico rapporto di cinque a uno a vantaggio degli assalitori. Per un lunghissimo istante tutto rimase immobile come in una fotografia poi il trombettiere nemico suonò la carica. Duecentocinquanta uomini diedero d’assalto alla collinetta contemporaneamente da tutti i lati. Sembravano un orrido branco di piranhas che si gettassero sulla preda. Le prime fila furono falciate dalle scariche di fucileria della temeraria, ma il resto degli avversari dilagò attraverso i varchi delle mura.

“Fulmine!” gridai in preda all’orrore “prendiamo duecento fucilieri e …”

Le parole mi morirono in gola. Tutti i nostri ragazzi giacevano a terra ed il nemico si accaniva su di loro con il calcio dei fucili. Solo Principe resisteva. Usando il fucile come una clava seminava letteralmente denti avversari sul terreno come fossero granaglie. I nemici continuavano a sparargli colpi a bruciapelo ma, benché ricoperto di vernice e sangue, il capitano non mollava. Ad un tratto gli assalitori si ritirarono di colpo di qualche metro e lui restò solo in mezzo a decine di corpi avversari, menando ancora ed ancora colpi di mazza all’aria. Sembrava di assistere alla fine di una corrida quando il toro, ormai quasi esangue per le ferite provocategli dai picadores, era lasciato al torero per il colpo finale. Ed infatti il torero arrivò. Mentre Principe se ne stava ormai immobile, col capo abbassato ma reggendo ancora il fucile per la canna, un soldato arrivò di corsa e spianò una mitraglia a quattro metri da lui. Credo che a quel punto Principe non si accorgesse nemmeno di quel che gli accadeva intorno.Pensai che lo volessero minacciare per obbligarlo ad arrendersi ed invece il mitragliere aprì il fuoco scaricando tutti e duecento i proiettili addosso al mio capitano.Principe lanciò un grido di dolore e rabbia ed avanzò incontro al fuoco avversario come se avanzasse contro un forte vento. Aveva ancora la forza di brandire il fucile come una mazza. Poi piccoli pezzi di Principe cominciarono ad abbandonarlo. Si fermò di scatto come se gli fosse venuto in mente qualcosa mentre il fuoco avversario continuava a disfogliarlo. Alla fine cadde all’indietro ed i soldati nemici gli furono addosso percuotendolo con i calci dei loro fucili. Un ululato terribile mi uscì dalla gola, estrassi la pistola e mi lanciai giù per il pendio. Fulmine ed Antonio mi placcarono all’istante, impedendomi di sacrificare inutilmente anche me stesso dopo aver sprecato la temeraria inviandola in missione quella mattina.

“Tommaso….Tommaso…” continuava a ripetere Antonio “Non si può fare nulla, non si può fare più nulla.

Sic itur ad astra.” Tornai nelle trincee insieme ai due ufficiali. Sul pianoro regnava un silenzio mortale.

Nessuno parlava, nessuno commentava l’accaduto. Tutti i miei ragazzi tenevano lo sguardo a terra e vidi centinaia di mani bianche per la rabbia con la quale stringevano le loro armi.

Tornammo al punto d’osservazione e, binocoli alla mano, assistemmo alla processione di barelle che salivano e scendevano dalla montagnola.Un elicottero arrivò a portare via Principe. Mentre lo issavano col verricello scorgemmo la fleboclisi ed il respiratore automatico con il quale lo avevano intubato.

Immaginai Principe che si alzava a sedere sulla barella ormai in volo ed agitando un pugno gridava allo schieramento nemico “Maledetti bastardi! Sono ancora vivo!”, così com’ebbero a dire Papillon ed Antonio tempo addietro.

Nel frattempo lo schieramento avversario si era ricomposto ed i serventi ai pezzi stavano per lanciare le loro granate su di noi.

“Reti!” urlai senza smettere di osservare il nemico col cannocchiale. “Fulmine dì a Valerio di far strillare qualcuno dei suoi uomini ogni volta che n’arriva una. Non devono pensare che siano inefficaci”

Le reti si alzarono a nostra protezione. Dal basso dovevano essere invisibili.La prima salva arrivò corta di una cinquantina di metri e le palle esplosero colpendo i sacchi di terra sulle trincee. Gli artiglieri nemici dovevano aver regolato i pezzi sul loro tiro massimo, infatti furono costretti a smontarli ed a rimontarli cento metri più avanti.Non dovete immaginarvi quest’azione come un vero tiro di mortai. Le granate lanciate arrivavano un po’ come un pallone calciato da un giocatore esperto. Non si vedevano partire, ma una volta in alto si poteva scorgere la loro parabola discendente come se si trattasse di palline da tennis un po’ cresciute. Se il bombardato non fosse dovuto stare attento alla battaglia avrebbe benissimo potuto evitarle fuggendo. La loro “esplosione” era generata dalla solita bomboletta d’aria compressa e produceva quindi lo stesso rumore soft di una fucilata. Se si tirava oltre un ostacolo si dava per scontato che la granata fosse esplosa, visto che non si sentiva alcuno scoppio.Era quindi impossibile per i nemici scoprire il trucco delle reti se non potevano vederle.La seconda salva arrivò a segno. Le reti si fletterono ammortizzando la caduta delle granate che rimasero intatte. Urla strazianti si levarono dalle trincee. Gli uomini di Valerio meritavano l’oscar per la recitazione. Come le granate smisero di ondeggiare nelle reti furono raccolte e smontate dai Camerati del Genio e le palle di titanio riutilizzate per le nostre granate da mortaio.Gli istruttori, per quanto avessero cercato e per quanto si fossero consultati, non avevano trovato nulla nel regolamento che vietasse esplicitamente l’uso delle reti. Vi era una norma sugli scudi, che erano vietati, poiché “a scorretta protezione della persona” ma, a proposito di reti mimetiche non diceva nulla.Il fatto che le strutture per il mimetismo fermassero anche le granate non poteva essere considerata una subdola astuzia. Lo sbaglio era semmai nell’utilizzo dei mortai a molla.Cannoncini a gas a tiro teso od anche i semplici colpi di fucile non avrebbero avuto problemi ad oltrepassare quel tipo di difesa.Arrivò un’altra salva.Stesso rimbalzo,medesime urla ed uguale smontaggio con riutilizzo. Quel fesso del bombardiere ci stava regalando quattrocento colpi a salva.

A mezzogiorno il cannoneggiamento terminò e la nostra scorta di proiettili era più che raddoppiata. Solo una granata era andata oltre le reti conciando per le feste due istruttori ed un tenente della Quinta Compagnia che erano stati dichiarati “morti”. Come avevo previsto il bombardiere ci avrebbe attaccati con le fanterie solo dopo mezzogiorno per non avere il sole negli occhi assalendoci da ovest ad est.

“Giù le reti”ordinai, e queste si riarrotolarono scomparendo.

“Signor Comandante” fece un istruttore arrivando di corsa “ Una compagnia nemica con dei mortai e delle mitraglie si è arroccata sul Passo dell’Agnella. Si stanno fortificando in modo difensivo.Sembra siano lì per bloccarci ogni possibilità di ritirata.” Andai a controllare ed effettivamente l’istruttore ci aveva visto giusto.

Da dove si trovavano non potevano certo sperare di colpirci. I colpi dei loro mortai sarebbero arrivati al massimo ai tre quarti del percorso. Dovevano essere partiti durante la notte e si dovevano essere arrampicati con delle funi per aggirare il nostro schieramento.Guardando più attentamente vidi che non si trattava di una Compagnia al completo ma di soli venti uomini. Per precauzione feci schierare due mitraglie ed un mortaio, con dieci fucilieri, nelle trincee verso il Passo dell’Agnella.Tornai al punto d’osservazione richiamato a gesti da Fulmine. Dodici compagnie nemiche, seicento uomini, stavano uscendo dall’allineamento dirigendosi verso di noi. Disposi i miei ufficiali a portata di voce.Al mio fianco restarono solo Fulmine ed Antonio.

Arrivato a metà declivio il nemico si schierò in sei righe parallele che si sdraiarono bocconi sul terreno.

Ora le intenzioni del bombardiere erano chiare: ci avrebbe assaliti con tre ondate di fanteria consecutive.

Un piano poco raffinato ma efficace, infatti i fucilieri nelle trincee non potevano avere una buona visione degli attaccanti per cui erano psicologicamente danneggiati dal vederne comparire in continuazione.

“Pronti con i mortai”ordinai a Fulmine che passò l’ordine agli altri come durante un’operazione chirurgica. “Fuoco a volontà al mio comando”. Attesi ancora un po’ mentre il nemico avanzava strisciando. Avrei potuto sprecare un sacco di granate grazie alle munizioni sottratte con il trucco delle reti, ma preferivo non farlo.I reparti della fanteria avversaria entrarono in quel momento nell’esatta triangolazione dei nostri mortai.

“Mortai…fuoco a volontà! Pronte le mitraglie.Fuoco a volontà al mio comando”. Dopo i primi colpi, il nemico si rese conto che restando dov’era avrebbe fatto la fine del topo, così gli ufficiali avversari guidarono la prima ondata all’assalto.Piegati in due i nemici cominciarono a correre su per il pendio.

“Mitraglie…fuoco a volontà!Fermi con i mortai!Pronti i fucilieri!Fuoco a volontà al mio comando!”

Quattrocento canne di fucile comparvero attraverso i piccoli varchi lasciati fra i sacchi ti terra.

La prima fila di soldati ed ufficiali nemici fu falciata letteralmente dal fuoco delle nostre mitragliatrici.

Sissignore, Fulmine aveva fatto un ottimo lavoro; il mio reparto funzionava proprio come un’arma ben lubrificata. La prima ondata non si avvicinò neanche alle nostre trincee ed il tiro di fucileria non fu nemmeno necessario. I pochi superstiti se la diedero a gambe tornando a sdraiarsi assieme alle altre due ondate che aspettavano fuori tiro.

“Cessate il fuoco!” Le mitraglie si zittirono all’istante mentre i ragazzi del Genio accorrevano a lubrificarle ed a fare un po’ di manutenzione.

Il declivio di fronte a noi sembrava un lazzaretto. Potevano esserci un centinaio di corpi buttati a terra in qualche modo, alcuni si lamentavano ma i più tacevano. Il nemico si era nel frattempo convinto che ad un’ondata per volta li avremmo eliminati tutti, perciò le due ondate successive iniziarono a strisciare verso di noi contemporaneamente.

“Pronti con i mortai!Fuoco a volontà al mio comando”.Attesi che le fanterie nemiche fossero a tiro.

“Mortai…fuoco a volontà! Pronte le mitraglie.Fuoco a volontà al mio comando”

La pioggia di granate cominciò a riversarsi sull’avversario che questa volta si alzò di scatto al cadere della prima palla da mortaio.Avevano imparato la lezione e ci caricarono al grido di “Got mit uns”

“Mitraglie…fuoco a volontà!Fermi con i mortai!Pronti i fucilieri!Fuoco a volontà al mio comando!”

Le mitraglie martellarono le fanterie nemiche che si ributtarono a terra continuando ad avanzare.

Stavolta non si erano fatti fregare come la volta precedente anche se a quel ritmo li avremmo “ammazzati” tutti lo stesso. Ora erano abbastanza vicini.

“Fucilieri…fuoco a volontà” quattrocento fucili spararono all’unisono mietendo altri nemici che erano ormai ridotti ad una paio di centinaia. Fu allora che le granate del bombardiere cominciarono a piovere sulle nostre trincee.Un tiro perfetto, da manuale. Dieci palle da mortaio esplosero contemporaneamente fra i camminamenti eliminando d’un botto almeno un centinaio fra soldati ed ufficiali ma, quel che è peggio, crearono un varco nella nostra difesa attraverso il quale la fanteria avversaria sarebbe potuta penetrare.

“Reti!” gridai a squarciagola, ma il soldato che era corso ad azionare la leva fu preso in pieno da una granata della seconda salva. Si beccò trenta sfere di titanio fra testa e collo e dalle espressioni dei barellieri non era messo molto bene.Uno dei barellieri tirò lo stesso la leva e le salve successive non arrecarono danni.

Li stavano facendo invece i fanti nemici che erano ormai a ridosso delle nostre trincee. In un punto erano riusciti ad entrare da una breccia nei camminamenti. Era di vitale importanza cacciarli da lì o sarebbero dilagati per le trincee. Estrassi la pistola e, seguito da Fulmine ed Antonio, mi diressi verso il varco. Ci impadronimmo di una compagnia di fucilieri ed andammo all’assalto della breccia. Tentammo per tre volte e per tre volte fummo respinti. Fui preso da una delle mie saltuarie crisi mistiche shakesperiane ed urlai “Ancora una volta sulla breccia, cari amici, o con i nostri caduti chiuderemo questo varco!Boia chi mollaaaa!” Sarà stato Shakespeare o l’indebolimento del nemico, fatto sta che riprendemmo la posizione e chiudemmo il varco.Quel che restava dell’avanguardia nemica correva a rotta di collo giù per il declivio.

Urla di trionfo si alzarono dalle nostre trincee. Istruttori avversari e nostri con la bandiera bianca cominciarono a ritirare le piastrine ai “morti” ed ad indirizzare i “feriti”, con le loro relative note d’esclusione, verso i propri reparti. I paramedici si occuparono dei moltissimi feriti autentici.

Il bombardiere aveva perso, fra morti e feriti, più di 550 uomini.Noi 235, soprattutto a causa dell’inaspettato bombardamento pomeridiano. Il rapporto di forza era pressoché lo stesso della mattina quando avrebbe potuto essere di parità se solo non avessi fatto riavvolgere le reti.Oltretutto con soli duecento fucilieri era impossibile controllare bene come prima tutto il perimetro delle trincee, ed ora il bombardiere conosceva il trucchetto delle reti. Le prime ombre della notte stavano calando sulla montagna e ci apprestammo quindi alla difesa notturna. Schierammo due file di sentinelle su trincee parallele, in modo che la prima fila controllasse il declivio mentre la seconda controllava che non accadesse nulla alla prima.In più utilizzammo un espediente ideato da Antonio. Ai mortai collegammo una raggiera di funicelle nere, invisibili nel buio, tirate fino a punti precisi del declivio. Se qualcuno le avesse solo sfiorate si sarebbe beccato una scarica di granate. La stessa cosa facemmo con dei campanellini, costruiti agganciando un cucchiaino ad un bicchiere, che avrebbero dato l’allarme.Per maggior sicurezza tenemmo le reti sollevate. Alle due del mattino un campanellino suonò ed un paio di mortai spararono. Scattò subito l’allarme e tutti i fucilieri corsero nelle trincee mentre le sentinelle sparavano nell’oscurità. Sentimmo parecchie imprecazioni e molti lamenti, poi più nulla. Nessuno andò in ogni modo a dormire e l’alba si levò sui nostri volti pallidi come fantasmi. Per la prima volta non si tenne l’adunata per l’alzabandiera. Il luogo designato era, infatti, privo della protezione delle reti e non potevamo certo fidarci della discrezione del bombardiere.Alle otto di mattina cominciò a piovere. Prima si trattò di una pioggerellina sottile ma dopo una mezz’ora ci trovammo nel mezzo di una tempesta.Raffiche improvvise di vento strapparono parte delle reti che fummo costretti a riarrotolare. Le trincee si trasformarono in vere e proprie vasche di fango ed i soldati dovevano estrarre l’acqua con gli elmetti in continuazione. Probabilmente il bombardiere pensava che fossimo ancora protetti contro le sue granate perché non ne arrivò una in tutta la mattina. A mezzogiorno smise di piovere ma le nuvole si erano abbassate a tal punto da ridurre la visibilità a due o tre metri.Per tutta la mattina le compagnie nemiche, passate da venti a nove, non si erano mosse dal loro allineamento. Ora però erano scomparse dalla nostra vista limitata dalle nubi e non potevamo scorgerne i movimenti. Tutto il pianoro era avvolto da una luce irreale, i rumori parevano attutiti e distanti. Sembrava una scena tratta dall’Amarcord di Fellini.Scrutavamo tutti nello strato nebbioso, ma i giochi di luce ed ombre, le volute di vapore acqueo parevano sipari di scena che si aprivano e si chiudevano in continuazione aumentando la suspance. Le trincee si svuotavano lentamente dell’acqua piovana creando una miriade di ruscelletti che gorgogliavano verso il declivio. Ogni tanto un sasso, forse smosso dall’acqua, rotolava a valle ed i fucilieri sollevavano le loro armi puntando contro un invisibile quanto impalpabile nemico.Di tanto in tanto una breve raffica di vento liberava tratti del declivio e gli ufficiali si affrettavano ad ispezionarlo in cerca di un nemico che non arrivava. Per pochi istanti il vento aprì uno squarcio nelle nubi d’innanzi a me ed io vidi con orrore che le compagnie nemiche erano scomparse. Non stazionavano più nell’avvallamento e noi non avevamo la più pallida idea di dove si trovassero. Pensai che se fossi stato nei panni del bombardiere non mi sarei fatto sfuggire un’occasione così. Potersi avvicinare con le proprie truppe fino a pochi metri dall’accampamento nemico restando invisibili era il sogno d’ogni stratega. Lottai aspramente per scacciare il panico che si stava impossessando di me. Antonio ed Io iniziammo ad aggirarci per le trincee per controllare che tutti fossero ben svegli ed attenti nonostante il sonno arretrato che ci rendeva gli occhi cisposi ed i visi tirati.Fulmine restò al posto d’osservazione nella speranza che le nubi si diradassero. Ma questo non pareva rientrare nei loro piani anzi sembrava proprio che la situazione intendesse peggiorare. Mentre tornavamo verso il punto d’osservazione mi scusai con Antonio e mi diressi verso il centro dell’accampamento.

“Ehm…scusami Antonio” dissi sottovoce “devo andare con urgenza a telefonare altrimenti mi telefono addosso”. Antonio sorrise ed incredibilmente mi diede un’amichevole pacca sulla spalla dicendo “Eh beh, quando scappa, scappa.” A pochi passi dalle trincee mi sentii perso. Non c’erano punti di riferimento visibili, solo nebbia bianca e grigia. Sentii riaffiorare il panico. Avanzai di qualche passo attratto da uno strano rumore, un rumore come di qualcuno che respira in un sacchetto di carta. Dopo pochi metri vidi la sagoma del pennone della bandiera.Mi avvicinai per orizzontarmi giacché sapevo che il nottolo della fune era rivolto a nord.Una volta raggiunto vidi che il palo era stato sostituito. Al posto di quello d’alluminio telescopico portatile ce n’era uno di legno grezzo. Lo aveva forse preso Antonio per rinforzare i sostegni delle reti piegati dalla tempesta? Ovviamente si. Guardai in giro e scorsi le sagome di due soldati che parlottavano fumando nella nebbia.

“Ehi, voi due!Cosa cazzo fate lì? Tornate di corsa in trincea!” gridai al loro indirizzo. Questi si voltarono verso di me senza accennare minimamente a muoversi. Mi avvicinai furente pensando che mi mancavano giusto gli imboscati per coronare i pochi problemi che avevo.“Siete sordi o solo deficienti? Mettetevi subito a rapporto dal vostro comandante di compagnia e ditegli che…..” Mi fermai di scatto ed insieme a me si fermo il mio respiro e probabilmente anche il mio cuore. I due soldati erano vestiti da alpini, da alpini in forza al Comando Altipiano nel 1917. Quello più vicino a me sorrise ed i pochi denti che aveva in bocca gli caddero fuori dalle labbra come pedine del domino appoggiate lì da qualche burlone. Gli mancava tutto il lato sinistro della faccia e l’osso della mascella sporgeva dalle carni nerastre. Era giallastro e sporco di terra dalla quale facevano capolino alcune larve di mosca. L’unico occhio che aveva mi fissava con curiosità. L’iride, che un tempo doveva essere del colore del cielo, era opaca e lattiginosa come quella di un pesce morto da tempo. Spostai lo sguardo sull’altro alpino e solo in quel momento notai che era completamente carbonizzato. Cercò di farmi il saluto militare ma il braccio si spezzò all’altezza del gomito cadendo a terra con un tonfo.Un rantolo cominciò ad uscirmi dal profondo della gola ed indietreggiai di un passo.Poi di un altro e di un altro ancora.I due militari (i due zombie Tommaso, sono due zombie e ti mangeranno il cervello) mi osservavano divertiti. Fuggii a gambe levate continuando a guardarmi alle spalle ed a modulare il mio rantolo di terrore. Cozzai violentemente contro il pennone della bandiera e rimbalzai a sedere per terra.

Udii di nuovo quello strano rumore di sacchetto e compresi che si trattava delle risate dei due alpini (Zombieee!). Qualcosa mi assalì ricoprendomi la testa con un telo.Mi dibattei urlando come un ossesso e mi strappai di dosso il pezzo di stoffa. Era il tricolore che, a causa del colpo che avevo dato al pennone, mi era planato addosso.In mezzo alla bandiera, al posto della celtica ghignante, c’era però l’emblema sabaudo.Lo gettai lontano e mi rialzai. I due soldati (mmm..lo sai bene che sono morti viventi) erano scomparsi. Mi voltai un paio di volte di scatto sentendomi addosso il loro fiato fetido e putrescente.Solo nebbia, nient’altro che nebbia.Udii uno sparo. Uno sparo vero, intendo, non uno da soft-air. Mi girai verso il luogo da cui era provenuto e restai in ascolto. L’allarme si alzò dalle trincee ed udii chiaramente Fulmine gridare

“Arrivano ….arrivano! Fuoco a volontà!Fuoco a volontà!”. Corsi verso le grida e vidi Fulmine in piedi con la pistola in mano. Come mi vide arrivare mi corse incontro afferrandomi per un braccio.Mi trascinò verso una trincea e mi mostrò un soldato riverso a terra in un lago di sangue. In mezzo alla fronte aveva un buco nero dal quale colavano sangue e materia cerebrale. Il retro della testa non c’era più.

“Che cazzo vuol dire questo?!” mi urlò in faccia come se avessi assassinato io il Camerata. Avrei voluto assicurargli che quella era una scena ordinaria se paragonata a quello che avevo visto nel campo ma le parole non riuscivano ad incolonnarsi in maniera corretta. Lo guardai spaventato e riuscii solo a dire “Zombie alpini sabaudi carbonizzato pennone”. Fulmine mi guardò stupefatto. Io deglutii e mentre tentavo di fare di meglio l’allarme suonò di nuovo.

“Eccoli, eccoli!” gridò qualcuno. Guardammo oltre il bordo della trincea e scorgemmo un’infinità di soldati dall’elmo chiodato che ci erano ormai addosso. Uscivano dalla barriera nebbiosa come spettri. La prima cosa che attrasse la mia attenzione furono i loro occhi che ardevano come tizzoni di brace, la seconda le mortali baionette innestate sui loro moschetti vecchi di oltre ottant'anni. Avanzavano velocemente sparando proiettili veri causando morti altrettanto veri.

“Ritirata! Ritirata!” urlai con quanto fiato avevo in gola a dimostrazione che il pericolo sblocca qualsiasi trauma. “Correte tutti al Passo dell’Agnella. Si salvi chi può!”

Saltai verso il retro delle trincee appena in tempo per evitare una scarica di pallottole. Mi rialzai e mi misi a correre nella nebbia. “Fulmine!Fulmine!”gridai portandomi le mani ai lati della bocca per amplificare la mia voce. Tutto il pianoro era un rimbombare di colpi di fucile e d’urla di terrore. Vidi Fulmine che avanzava piegato in due, tenendosi stretto il ventre con le braccia. Lo raggiunsi.

“Che ti è successo? Ti hanno ferito?”

“Non è niente, non è niente” rispose lui con un filo di voce.

“Fammi vedere!”

“Ti ho detto che non è niente” e queste parole furono seguite da un copioso fiotto di sangue che gli colò dalle labbra.

“Fammi vedere dove ti hanno beccato” gli scostai le braccia e le sue viscere si sparsero sul terreno con un curioso rumore di risucchio. Fulmine ci cadde sopra di schianto, le sue gambe si agitarono in un ultimo spasmo e poi rimase immobile. Rimasi immobile anch’io a fissare il mio amico morto. Cazzo, pensai mentre il delirio stava per impadronirsi di me, come faccio ad aggiustarlo questo qui? Poi avvertii una pressione all’altezza dei reni. Cercai di girarmi ma qualche cosa mi teneva fermo.Mi sembrava di essere attaccato per la schiena ad una pertica. Guardai in basso e vidi che dalla mia pancia spuntavano venti centimetri d’acciaio tutto sporco di sangue. Lo fissai imbambolato e quando cercai di toccarlo questo si ritrasse scomparendo dentro di me.

D’un tratto sentii di essere di nuovo libero. Tentai nuovamente di voltarmi ma a metà strada le mie ginocchia diventarono bollenti e si fletterono facendomi cadere all’indietro.Caddi di schiena addosso al povero Fulmine che non si lamentò nemmeno. Sbuffò una volta sola e basta. Buffo, non riuscivo a muovere nemmeno un dito e mi era venuto un sonno tremendo.Però ero contento.Non che me ne importasse, però quell’idiota del bombardiere non era riuscito a riprendersi la quota 2105 dell’Ortigara. Non riuscivo a vedere granché da quella posizione. Ogni tanto qualcuno mi saltava di corsa. Vedevo solo stivali e pantaloni grigi. Ad un tratto la vista mi si annebbiò ed ebbi paura.Sbattei le palpebre e la vista tornò normale.Cominciavo ad avere un po’ freddo, ma uno strano tipo di freddo.Senza brividi. Mi sembrava in realtà di essermi immerso in una vasca d’acqua gelida.La vista si appannò di nuovo ma stavolta non riuscì a spaventarmi.Conoscevo il trucco e sbattei le palpebre ricominciando subito a vedere correttamente.Vidi Antonio che mi fissava dall’alto.Era spaventato, piangeva e aveva la faccia coperta di lividi.Un rivoletto di sangue gli scorreva dalle labbra.Poi un calcio di un fucile lo colpi al volto. Si voltò a guardare terrorizzato qualcuno dietro di lui e se ne andò sospinto da una cosa lunga ed appuntita che poteva essere una baionetta.Un istante dopo fui scavalcato da uno di quegli strani soldati dall’elmo chiodato.La vista mi si annebbiò di nuovo.Sbattei le palpebre ma non si riaprirono più.

 

Capitolo successivo.

 

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