Terza Parte – Sulla montagna
Il
resto della giornata trascorse in maniera tranquilla, quasi noiosa, con solo
due episodi degni di nota.Il primo fu che era stata installata una tenda-mensa
solo per noi ufficiali che fu subito chiamata pretenziosamente “circolo
ufficiali” ed il secondo fu la comparsa di un Generale di Corpo d’Armata degli
Alpini autentico, benché in pensione.Costui, che come ci fu detto era amico
personale del padre del Direttore, si era offerto di tenere degli indottrinamenti
ai neo ufficiali sui metodi di comando, sulle tecniche di guerra e su tutti
quegli accorgimenti particolari che il combattere fra le montagne ci obbligava
a conoscere.Il Generale Terenzi, questo il suo nome, era un Camerata della
prima ora.Classe 1910, tenente di prima nomina a soli vent’anni, era stato di
stanza in Etiopia e si era fatto la Russia da Maggiore a Colonnello.Tornato in
patria poco prima del “45 era entrato a far parte dei reparti informativi della
Xa MAS alle dirette dipendenze del Principe Junio Valerio Borghese.Nella
Repubblica Italiana era passato al SIFAR (servizio informazioni forze armate)
dal quale si era congedato “spintaneamente” nel 1977 con la riforma dei Servizi
Segreti.Inutile dire che costui era a conoscenza di tutti i segreti della
Repubblica e che stava ad essi come Enrico Cuccia era stato all’economia
privata nazionale.Vi lascio immaginare i commenti a denti stretti di Fulmine
appena venne a conoscenza di questi fatti.Fu deciso che i pomeriggi dei tre
giorni successivi sarebbero stati dedicati alle lezioni del Generale Terenzi.
Dopo
la cena al circolo ufficiali ci inerpicammo sul declivio per l’usuale sigaretta
sul pino caduto.
Quella
sera il cielo era sgombro ed il tramonto alpino ci inebriò con le sue
meravigliose sfumature.
Vittorio,
che era stato stranamente taciturno per tutta la cena, si alzò in piedi e
guardandoci in viso disse
“Ma
secondo voi, a cosa ci stiamo preparando?E tu Fulmine non cominciare con le tue
storie di complotti.”
Fulmine
fece spallucce e continuò a giocherellare con la pistola d’ordinanza che ora
anche noi avevamo in dotazione.
“In
che senso?”chiesi io alzandomi a mia volta.
“Nel
senso che in tutta questa storia c’è qualche cosa che mi sfugge”continuò Vittorio
“Per esempio nessuno ha mai fatto nemmeno cenno alla divisione delle sei Compagnie
in due blocchi contrapposti, se escludiamo la giornata di ieri con la guerra
simulata.Ed a proposito di questo…perché chiamarla guerra simulata?Questo
termine non presuppone per caso la successiva trasformazione in guerra vera?Non
intendo con armi vere, ma contro un nemico vero.In fin dei conti quando un
esercito fa le “manovre” fra le sue stesse fila le fa per addestrarsi contro
un’armata avversaria.Capite che voglio dire?”
“No”feci
io guardando Fulmine che, tranquillamente seduto, continuava a scarrellare con
la sua pistola.
“Come
no?”sbottò Vittorio infastidito dal fatto di non essere riuscito a spiegarsi
“Cosa cazzo pensate che ci faranno fare per le prossime due settimane?Domenica
ci sarà l’ultima lezione del Generale Terenzi e dopodiché saremo informati su
tutto quel che c’e da sapere sulla guerra in montagna.E poi? Avete sentito
quando ha accennato alla suddivisione dei compiti come se stesse parlando di
una vera Armata. Incursori, fucilieri, assaltatori, genio ed anche paramedici e
portaordini. Ma la guerra contro chi la facciamo?
Assaltatori
contro Portaordini oppure Paramedici contro Fucilieri? Se noi siamo i buoni,
chi cazzo fa il cattivo?”
Fulmine
saltò su come se avesse una molla nel sedere ed esclamò
“Assalteremo
le zecche! E’ proprio come speravo io.Una bella sera saliremo sui camion ed
a notte fonda daremo d’assalto al Samir.Cattureremo Lucazzo Casaminkia e gli
infileremo…”
“Andate
a fare in culo tutti e due. Mai che si possa fare un discorso serio.” fece
Vittorio girandosi inviperito e dirigendosi a grandi passi verso il Campo.Io,
che stavo ridacchiando delle cazzate di Fulmine, mi sentii subito in colpa e lo
inseguii giù per il pendio inseguito a mia volta dall’altro mio Camerata
balordo.
“E
dai!” scherzai sbarrandogli il passo “Non prendertela, oggi è una giornata di
festa per noi.Siamo diventati ufficiali!Vedrai che al momento giusto ci
spiegheranno tutto.Non può essere nulla di illegale visto che hanno i permessi
e che, come abbiamo visto tutti, sono stati controllati dai
Carabinieri.Dai,Vittorino, fai un bel sorrisuccio uccio uccio a papà tuo”
Visto
che gli stava scappando da ridere, assunsi un atteggiamento esageratamente
marziale.
“Che
cosa credete di fare Tenente Vittorio? Vi allontanate da un vostro superiore
senza salutare?Considerate il fatto che siete stato prescelto non perché voi ce
l’abbiate più lungo degli altri, ma perché voi ce l’avete infinitamente più
corto degli altri e che vi siete immerso dove la maggioranza degli altri si è
mantenuta galleggiante nella merda. Poffarre e poffarbacco!”
Tornammo
ridendo come matti verso l’accampamento e ci ricomponemmo solo quando
incontrammo due “soldati” che scattando sull’attenti ci fecero il saluto
militare.
I
tre giorni successivi furono una pizza insopportabile, rallegrati solo dalla
Santa Messa all’aperto che si tenne Domenica 13 agosto sul pianoro del Campo.Fu
un vero miracolo che il tempo si fosse messo al bello giacché venerdì e sabato
la pioggia era caduta senza interruzione.Tornado inviò il suo fuoristrada a
prendere il parroco di Asiago , Don Alfredo, che tenne una funzione veramente
suggestiva con le vette più alte come sfondo.Alla Messa partecipammo tutti,
compresi Tornado, il Capitano dei Carabinieri ed il Generale Terenzi.A
proposito di quest’ultimo devo precisare che le sue lezioni si rivelarono di
una noia mortale.Alla prima lezione, quella tenutasi nel pomeriggio dell’11,
arrivai deciso ad apprendere tutto quello che ci avrebbe insegnato.Vista la sua
esperienza lo pensavo fonte di preziosissimi consigli e dispensatore di
tecniche micidiali come solo il Dio Marte avrebbe saputo fare.Mi portai
appresso un registratore ed un blocco per appunti.
Alla
fine della lezione sul blocco si leggeva:
<<
Capitano Tomàs de Torquemada.Comandante la Prima Compagnia del Campo Audax2000.
Campomulo,addì
11 di Agosto dell’anno 2000.
Prima
lezione di Tecniche di guerra tenuta dal Signor Generale di Corpo d’Armata
Ettore Terenzi.
=APPUNTI=
Predisporre
sentinelle a camminamenti.Cavi.Distendere i cavi.Sottoposti=funzioni precise
dei.
Sentinelle.Approvvigionamenti.
(disegno
di una casetta con camino storto ed un albero).
PENDENZE.
(disegnini
a spirale con rette parallele)
BUM,BUM,BUM,
ARRRGHHH,SOB TICCHETETACCHETE.
Fulmine
sei un babbeo.
(disegno
raffigurante Fulmine con le corna)
Tu
e tua sorella.
No
tu.
E
tua nonna.
Suka.
(disegno
raffigurante fulmine con le orecchie d’asino)
(disegni
geometrici incomprensibili fino alla fine del foglio).>>
Il
registratore si immolò eroicamente alla fine della seconda ora.Nonostante il
poderoso fuoco di sbarramento di fregnacce messo in essere dal nemico, il
registratore SONY KT200, con sprezzo del pericolo e con virile eroismo,
continuava a registrare da una posizione avanzata nei pressi della scrivania
del Comando di Divisione avversario.Con sforzo sovrumano resse alla prima
ondata di “chiarisco il concetto” ma, accerchiato da soverchianti forze
antagoniste cadde nell’adempimento del suo dovere tentando di registrare anche
l’ultimo “forse non sono stato abbastanza chiaro”.Un sottile ma denso filo di
fumo bianco si innalzò dal suo involucro, il motorino continuò a girare per
qualche istante e poi più niente. Nobile esempio di elevatissimo senso del
dovere, generoso coraggio e grande abnegazione, spinti sino all'estremo, eroico
sacrificio, Medaglia d’oro al Valor Militare.Tre squilli di tromba.Una prece.
Alle
lezioni successive non portai più il blocco degli appunti ma un lettore CD
portatile dal quale ascoltavo, di tanto in tanto e di nascosto, pezzi dei
Dodicesima Disposizione Transitoria e degli Amici del Vento.A suo merito devo
però ammettere che dribblava magistralmente tutte le domande che concernessero
la sua esperienza nel SIFAR.Parecchie volte gli altri ufficiali cercarono di
farlo sbottonare in proposito durante la lezione o al termine di essa quando lo
inseguivano d’appresso fino al fuoristrada.Lui restava impassibile, con un
sorrisetto malizioso stampato sulla faccia, e rispondeva in modo vago senza
evitare la domanda ma nemmeno soddisfacendola.
Durante
quei tre giorni la truppa fu addestrata in base alle diverse specializzazioni
già enunciate da Vittorio.La nostra Compagnia sarebbe divenuta il Primo
Assaltatori.Noi ufficiali, la mattina, assistevamo all’indottrinamento
specialistico dei nostri ragazzi, ma tutto il lavoro era svolto egregiamente
dagli istruttori.Gli usuali ritrovi serali al pino caduto nei giorni di
venerdì e sabato non avvennero a causa
della pioggia battente che imperversava sul pianoro.Un fatto veramente importante
accadde invece durante la cena di domenica sera al circolo ufficiali.Mentre
sorseggiavamo il caffè un istruttore irruppe letteralmente nel circolo e con
gran sbatacchiamento di tacchi mi consegnò un dispaccio aggiungendo che il
Comandante Tornado aveva espressamente richiesto che fossi io a leggerlo a
tutti gli ufficiali.Salutò ed uscì rapidamente dalla tenda.Aprii il dispaccio e
ne diedi lettura alla platea improvvisamente ammutolita.
DA COMANDANTE CAMPO AUDAX2000 =SEDE=
AT UFFICIALI CAMPO AUDAX2000 =TUTTI=
PERCO COMANDANTE GENERALE =SEDE=
Pregasi
voler disporre affinché in data 14.08.00 ore 07.00 personale truppa completo
sia trasportato con autocarri in località Forcola di Campo Bianco et condotto
assetto marcia pendici Monte Forno.Est richiesto equipaggiamento
completo.Seguiranno comunicazioni cablo in detto obiettivo. A far data da ora
Capitano DeTorquemada Tomàs est investito incarico Comandante missione
Compagnie tutte.
FINE-TORNADO.
Riposi
il dispaccio nella tasca interna della divisa e zittii il coro di commenti che
si era alzato dalla sala alla fine della lettura.
“Signori
ufficiali” dissi con enfasi “Ci aspetta il nostro primo vero
incarico.Facciamoci onore.”
Capitani
e Tenenti uscirono dal circolo in tutta fretta per andare a dare disposizioni
per la partenza agli istruttori. Io mi rivolsi ai miei due sottoposti “Andiamo subito da Persilli e poi di corsa
al pino caduto”
“Tommaso?!”chiese
Fulmine perplesso “Non ho capito chi cacchio è ‘sto PERCO che c’era nel
dispaccio.”
“Significa
per conoscenza, asino!”
“Per
conoscenza ad un asino?”
“Ma
va a caccare!”
Una
volta seduti sul tronco con la sigaretta accesa domandai a Vittorio cosa ne
pensasse.
“Non
so che dirti Tommy.Mi complimento con te per l’incarico che, come vedi,
presuppone che tutte e sei le Compagnie avranno un solo comando.Per cui non
combatteranno certo una contro l’altra.Sai cosa c’è poco più in là del Monte
Forno?”
“No”risposi
io.In geografia ero sempre andato come in tutte le altre materie.Cioè da
schifo.
“C’è
il Monte Ortigara”fece lui prendendomi di mano la mappa militare che avevo
estratto dal borsello “E sai che accadde là in cima nel giugno del 1917?”
“Una
battaglia?”
“Una
battaglia è un po’ riduttivo. La prima linea austriaca andava dalla sponda
destra del torrente Assa, qui, quindi passava sulla sponda sinistra all'altezza
di Roana, qui, e appoggiandosi ad una serie di capisaldi naturali, raggiungeva
l'orlo settentrionale dell'Altipiano di Asiago,cioè qui.”
Mentre
raccontava Vittorio ci indicava con abilità le località che nominava.Pareva non
avesse fatto altro in vita sua che leggere mappe militari.
”Se gli italiani fossero riusciti a sfondare ed a ricacciare l'avversario sulle
posizioni precedenti all’avanzata austriaca (Strafexpedition) dell’anno
precedente, avrebbero allontanato la minaccia che dall’Altipiano incombeva
ancora alle spalle delle nostre Armate del Cadore, della Carnia e dell'Isonzo.
Il piano dell'azione prevedeva il forzamento a Nord in corrispondenza del Monte
Ortigara e del Monte Forno, di cui fu incaricato il XXo Corpo
d'Armata ed a Sud tra Monte Zebio e Monte Mosciagh con il XXIIo
Corpo d'Armata. L’offensiva fu preparata con largo dispendio di forze, circa
300.000 uomini con oltre 1.600 bocche da fuoco, su pochi chilometri di fronte.Tre volte le truppe austriache.
Questo
piano presentava però alcune gravi minacce strategiche.
Le
forti posizioni avversarie, che dominavano le nostre linee a Sud, fino al Monte
Colombara.
La concavità dell'arco formato dalle linee contrapposte verso le posizioni Austro-Ungariche.Purtroppo
questo favoriva l'artiglieria avversaria che da posizioni centrali poteva
battere tutto il campo di battaglia.
L'eccessivo affollamento nella nostra linea del fronte che non favoriva
certamente la lucidità e la rapidità di manovra.Infine la mancanza del fattore
sorpresa, difatti il nemico conosceva e si aspettava l'offensiva.
Lo
scatto delle fanterie avvenne alle ore 15.00 del 10 Giugno 1917 dopo una
poderosa preparazione di artiglieria iniziata alle 05.00 dagli oltre 1.600
pezzi d'artiglieria e bombarde.Il cannoneggiamento venne però ostacolato e reso
impreciso da una nebbia improvvisa.
A
sud l'azione del XXIIo non ebbe esito favorevole per la
strenua resistenza avversaria, facilitata soprattutto dai fattori che vi ho
illustrato, mentre a Nord gli alpini della 52a Divisione si impadronirono,
pagando un prezzo altissimo in termini di vite umane, del Passo dell'Agnella e
della quota 2.101 dell'Ortigara.
Nonostante
i ripetuti contrattacchi ed il tormento
dell'artiglieria degli avversari, il 19 Giugno attaccavamo e conquistavamo la
vetta dell'Ortigara a 2.105 metri di quota.
Prontamente
il Comando Austriaco faceva accorrere in Valsugana rinforzi numerosi e
specialmente addestrati per l'assalto. Il mattino del 25 Giugno, dopo una
violenta preparazione di fuoco d’artiglieria, ingenti reparti d'assalto
investirono repentinamente e con grande impeto i nostri undici battaglioni che
presidiavano la posizione. La resistenza dei nostri alpini e dei fanti della
Brigata Regina, che si batterono con disperato vigore, arrivò a livelli epici
nei combattimenti alla baionetta.Alla fine la vetta insanguinata dell’Ortigara,
denominata poi "il Calvario delle penne mozze", ricadde in mano degli
Austriaci.Quando dico insanguinata non faccio una metafora, la tragica
mattinata del 25 Giugno ci costò la perdita tra morti e feriti di oltre 150
ufficiali e 3.000 uomini di truppa.Dicono che tutto il pianoro fosse rosso del
sangue dei nostri eroi.Le perdite complessive italiane della battaglia sono
stimate in 28.000 uomini tra morti, feriti e dispersi.
Gli
avversari ebbero circa 9.000 perdite. Con questo doloroso insuccesso si chiuse
quella sfortunata offensiva.Mi pare proprio che chiamarla semplicemente
battaglia non equivalga a renderle l’onore dovuto.”
Restammo
in silenzio per qualche istante mentre Vittorio continuava ad osservare la
mappa, poi Fulmine gli domandò “Ma cosa vorresti dire?Che lassù sull’Ortigara
ci aspetta uno sconosciuto nemico?E da chi sarebbe impersonato, da giovani
zecche austriache del cazzo?Come li abbiamo zorlati una volta possiamo rifarlo
ancora. Perché alla fine della fiera l’Austria nel ’18 ha preso le botte,
Vittorino mio bello, o credi che non lo sappia? Anche se abbiamo onorevolmente
perso una battaglia abbiamo comunque vinto la guerra! In culo ai crucchi!”
“Non
lo so” fece Vittorio di rimando “sono comunque preoccupato.Poi non mi piace
quel tuo atteggiamento negativo nei confronti dei tedeschi.Hanno combattuto con
onore anche loro.Mi conforta solo l’idea che comunque sia tutto quello che ci
può capitare è di essere dipinti di giallo dalla testa ai piedi.E poi c’è
Tommaso a coordinare l’azione!”
“Capirai!”sbottò
Fulmine “Stamo in una botte de fero!”
La
mattina dopo raggiungemmo la Forcola di Campo Bianco con il fuoristrada di
Tornado.Io ed il mio Stato Maggiore,i soliti Fulmine e Vittorio, a cui si era
aggiunto il Capitano Romanagens in quanto Comandante del Secondo Genio ed
Incursori, cioè della Seconda Compagnia.
Questa
volta il viaggio fu tranquillo e piacque al mio stomaco per il fatto che presi
posto davanti a fianco dell’istruttore autista.Gli altri ufficiali stavano
invece nelle cabine dei camion che ci seguivano.I vantaggi dell’incarico
affidatomi da Tornado cominciavano a farsi sentire.Per il momento della
fregatura non c’era traccia.
Durante
il tragitto presi accordi con il Comandante del Genio in modo che, una volta a
destinazione, si preoccupasse innanzitutto degli alloggiamenti della truppa e
solo dopo di quelli degli ufficiali.
Una
volta alla Forcola dovemmo attendere che i camion compissero altri due viaggi
per trasportare tutto il reparto sul posto.Nel frattempo disposi, di concerto
con il Comandante degli Incursori che era sempre quello del Genio,
l’approntamento di due squadre d’esplorazione seguendo la stessa tattica usata
nella guerra simulata.Il Capitano Romanagens voleva condurne una personalmente
, ma lo convinsi ad affidarle ai suoi due Tenenti.Solo dopo le dieci riuscii ad
avere il reparto incolonnato al completo ed a partire per le pendici del Monte
Forno.Io ed i tre ufficiali che stavano con me sul fuoristrada aprivamo la
colonna camminando di buon passo.A mezzogiorno eravamo sul luogo
dell’appuntamento con il portaordini, che trovammo infatti già lì a cavallo di
una moto da cross.L’istruttore ci venne incontro correndo e, dopo avermi
salutato, mi porse un dispaccio.Risalì in moto e si allontanò a tutta
velocità..Mi appartai con i miei ufficiali di Stato Maggiore per leggere i
nuovi ordini.Il Capitano Romanagens non era a conoscenza dei nostri discorsi al
pino caduto e rimase quindi ancora più stupefatto di quanto non fossimo noi.
DA COMANDANTE CAMPO AUDAX2000 =SEDE=
AT COMANDO TRUPPE ALTIPIANO =SEDE=
PERCO COMANDANTE GENERALE =SEDE=
Pregasi
voler disporre avanzata colonna at località Passo Agnella et liberare detta
posizione da ingenti forze nemiche ivi acquartieratesi.Raccomandasi mantenere
posizione Passo Agnella fino nuovi ordini.
FINE-TORNADO
Antonio
ci guardò incredulo mentre i nostri sguardi si incrociavano velocemente.
“Come
sarebbe che ci sono ingenti forze nemiche?Se siamo tutti qui chi sarebbe il
nemico?”
“Non
lo so ma credo che lo scopriremo presto”risposi ripiegando il dispaccio
“Fulmine, comunica agli altri ufficiali di venire a rapporto da me
immediatamente.Vittorio, predisponi il Primo Assaltatori in testa alla
colonna.Antonio, schiera qui tutti i tuoi incursori.”I tre ufficiali scattarono
ad eseguire gli ordini.
Dopo
un breve conciliabolo con il resto degli ufficiali, una tattica particolare per
raggiungere il Passo dell’Agnella si evidenziò come completamente
inutile.Difatti la salita era nella sua stragrande maggioranza priva di
vegetazione se si escludono dei radi cespugli ed un bel po’ di roccioni,
inadatti però a nascondere l’avanzata di trecento uomini.Il luogo dove ci
trovavamo in quel momento era invece invisibile dall’alto e decisi quindi di
attendere il calare della notte per salire al Passo con i trenta incursori
della seconda Compagnia.Il piano era dunque il seguente:Io ed il Capitano
Romanagens, con quindici incursori a testa, ci saremmo avvicinati quatti quatti
e da lati opposti alla sella seguiti da Fulmine e Vittorio che, con venticinque
assaltatori per uno della prima Compagnia, si sarebbero fermati in vista del
Passo.Questi ultimi dovevano attendere il nostro segnale per poi irrompere
nelle postazioni del nemico, chiunque esso fosse, oppure darsela a gambe fino
al fondovalle nel caso l’incursione fosse andata male.I duecento fucilieri
delle restanti quattro Compagnie avrebbero atteso lo sviluppo degli eventi
fermi sul posto.Ordinai a tutti gli ufficiali di farsi consegnare dalla truppa
tutto quello dal quale potesse scaturire un qualsiasi tipo di luce, come
sigarette, accendini, torce o fiammiferi.Quella notte nel
fondovalle doveva regnare l’oscurità più assoluta.Precisai inoltre che tutti i
nemici dovevano essere “uccisi” appena individuati perché il fatto stesso di
essere consci di rischiare solo una verniciata avrebbe sicuramente generato una
ridda di “atti di eroismo” con risse e colluttazioni varie, unica eccezione
sarebbe stata fatta per gli ufficiali che servivano “vivi” per essere
interrogati. Ogni gruppo avrebbe portato inoltre con se uno dei cinque
portaordini della seconda Compagnia in modo da poter comunicare in caso di problemi insormontabili.
Fortunatamente
la luna piena che avrebbe dovuto illuminare la notte del nostro battesimo del
fuoco era oscurata da una spessa coltre di nubi.Io ed Antonio ci salutammo
concordando che ognuno avrebbe agito autonomamente rispetto all’altro.Troppo
complesso il mettersi lì a studiare un sistema di segnali o una
sincronizzazione degli orologi.
“Chi
primo arriva meglio alloggia”dissi al Capitano stringendogli la mano.
“Ci
vediamo in cima”rispose mentre si avviava seguito dai suoi uomini.
Cominciai
ad inerpicarmi portandomi dietro i miei quindici incursori.La visibilità era di
circa dieci metri e dopo poco più di due ore fummo in vista del Passo.Qualche
centinaio di metri dietro di me gli assaltatori venivano fatti sdraiare a terra
in attesa del segnale.
“Bene
ragazzi”dissi alla mia squadra “adesso si fa sul serio.Là in alto, da qualche
parte, c’è il nemico.Se abbiamo fortuna dovremo occuparci solo delle
sentinelle, se avremo sfiga sparate su tutto quello che si muove.Attenzione a
non colpire gli uomini del Capitano Romanagens che potrebbero arrivarci
incontro dalla parte opposta.Tutto chiaro?”Annuirono tutti.Dietro i loro volti
anneriti dal nerofumo spiccava la smania per il combattimento.Strisciammo in
avanti fino a distinguere le trincee avversarie scavate nella roccia dagli
austriaci di oltre ottant’anni prima.Ci avvicinammo ancora di più e quello che
vedemmo ci rinfrancò il cuore.Alla luce di una torcia elettrica quattro ragazzi
in divisa bruna giocavano a carte su di un tavolino da campo e bevevano birra
da tre boccali di peltro come se fossero in una taverna.I fucili erano
abbandonati lungo il bordo della trincea e poco più in là si vedevano una
quarantina di sacchi a pelo dove il resto dei nemici riposavano tranquilli,
convinti che quelle quattro sentinelle da operetta facessero buona guardia.Nel
frattempo una delle sentinelle, probabilmente contrariata per essere stata
battuta, mollò un terribile pugno sul tavolino.Questo cedette di schianto e
catapultò i tre boccali di birra alle loro spalle.Due finirono appena dietro la
trincea mentre il terzo, probabilmente più leggero perché vuoto, compì un arco
più lungo finendo sulla testa di uno dei nemici nei sacchi a pelo.Questi doveva
avere un sonno pesantissimo perché non fece una piega.
“Sei
un’imbecille” disse una delle sentinelle al lanciatore di boccali, rivelando
così di essere italianissima.
Borbottando
l’altro si alzò e recuperò tutti e tre i boccali calpestando bellamente anche
due dei dormienti che restarono impassibili come il primo.Era chiaro che
stavamo per finire in una trappola.Nei sacchi a pelo non c’era nessuno,
sicuramente erano stati riempiti con degli stracci o roba simile.Le quattro
sentinelle erano solo uno specchietto per le allodole, e le allodole eravamo
noi.Dovevo avvertire Antonio della situazione.
Chiamai
a me il portaordini con un gesto e gli spiegai quello che doveva
riferire.Subito dopo scompariva nell’oscurità.Mi guardai attorno.I nemici
dovevano essere acquattati lì vicino, abbastanza vicini per sorprenderci non
appena avessimo invaso il pianoro ma prima che ci accorgessimo
dell’imbroglio.Dovevano essere vicinissimi. Il caposquadra degli incursori mi
strattonò la manica della divisa ed indicò un punto della trincea fuori dal
cerchio di luce della torcia.Sulle prime non capii il motivo della sua
agitazione poi, osservando meglio, vidi un pulsante del tipo “a peretta”
seminascosto fra due lattine di birra.Dal pulsante dipartiva un filo elettrico
che, passando rasente al muretto della trincea, si dirigeva verso di noi
passando a non più di sessanta centimetri dalla mia mano sinistra per poi
curvare dietro alcune rocce.Era un allarme per qualcuno che aspettava nel buio
in attesa di piombare sulle sue allodole.D’un tratto seppi che fare.Diedi
istruzioni precise ad uno degli incursori che restò fermo mentre io e gli altri
aggiravamo le rocce passando dall’alto.Subito dietro il costone scorgemmo,
dieci o dodici metri più in basso, una decina di soldati in agguato dietro a dei pietroni e, più vicini
a noi, un’altra trentina di ragazzi sdraiati per terra, quasi invisibili.Presi
un sasso da terra e lo lanciai al di sopra delle rocce che avevamo appena
aggirato.Era il segnale stabilito con l’incursore rimasto indietro.Ora stava a
lui inviare i due lampi di luce rossa che segnalavano a Fulmine ed a Vittorio
che dovevano irrompere fra le postazioni nemiche.Per un lunghissimo istante non
accadde nulla, poi un urlo terribile lacerò il profondo silenzio della notte.
“Boia
chi mollaaaaaaa” urlava Fulmine incitando i suoi alla battaglia.Molti altri
urli si levarono nell’oscurità.
Una
piccola luce blu prese a lampeggiare davanti a noi, le sentinelle avevano
lanciato l’allarme anche se non ce n’era proprio bisogno visto il chiasso che
gli assaltatori stavano facendo.Udimmo chiaramente il soffio schioccante dei
primi mitragliatori soft-air che sparavano e tutti i ragazzi sotto di noi si
affollarono, armi in pugno, dietro alle rocce da cui dominavano il
pianoro.Appena vidi i primi assaltatori arrivare sul pianoro e prendere a calci
i sacchi a pelo vuoti capii che il momento giusto era arrivato.
“Boia
chi molla!” urlai anch’io saltando fuori alle loro spalle sparando
all’impazzata seguito dai miei uomini che sventagliavano anche loro come
matti.In tre minuti avevamo preso il Passo dell’Agnella perdendo solo due
uomini “abbattuti” dalle sentinelle sbevazzone prima che “crepassero” anch’esse
crivellate di colpi.
Ci
fu un solo ferito vero, un incursore preso in testa da un sasso lanciato per
segnalargli di far avanzare gli assaltatori. Mentre i nostri istruttori,
insieme agli istruttori “morti” del nemico, si aggiravano per il campo con dei
taccuini per assegnare “giorni di fuori
gioco” ai feriti ed a ritirare le piastrine di riconoscimento dei “defunti” io
mi diressi verso Antonio che arrivava in quel momento con la sua squadra.
Ci
abbracciammo felici e iniziammo ad aggirarci incuriositi per il campo di
battaglia.Inviai immediatamente un portaordini in valle con l’ordine per le
altre compagnie di raggiungerci al più presto.
Fulmine
imprecava come un matto con un istruttore che gli stava assegnando un giorno di
sospensione per una lieve ferita al braccio, ma questi appariva
irremovibile.Persilli mi vide e si avvicinò di corsa.
“Signor
Capitano, abbiamo catturato un’ufficiale nemico che, benché ferito, tentava di
svignarsela.”
“Portatelo
qui immediatamente”risposi all’istruttore che scomparve fra la piccola folla
che ingombrava il pianoro.Tornò poco dopo con una scorta di quattro assaltatori
che sospingevano in malomodo un ragazzo dalla divisa bruna ed i gradi di
Capitano.Teneva le mani sprofondate nelle tasche e la testa bassa.Era evidente
che la sconfitta della sua Compagnia gli bruciava immensamente.Arrivato di
fronte a me alzò il viso ed i suoi occhi azzurri ebbero un fremito di
sorpresa.Una sorpresa sicuramente pari alla mia quando mi accorsi che il
prigioniero altri non era che “il
bombardiere”.
“Ma
porco il cazzo!” esclamai con una finezza pari solo a quella del Duca di York
“Ma tu non dovevi essere a Treviso?” Prima ancora che l’altro mi desse delle
spiegazioni tutto divenne chiaro nella mia mente.
Tornado
ed il Direttore avevano creato non uno ma due Campi come Audax2000.Uno a sud
dell’Ortigara ed uno a nord, sicuramente dalle parti di Borgo Valsugana.Ecco
perché il Direttore non si vedeva in giro quasi mai, perché dirigeva il Campo a
nord.Sicuramente nel Campo nemico la frottola della supervisione era stata
appioppata come ruolo a Tornado.Così tutte le domande di Vittorio trovavano
piena soddisfazione.
Il
bombardiere non accennava a dare nessuna risposta limitandosi a fissarmi con
uno sguardo spavaldo ma carico d’odio.
“Senti”
feci io “non ti stancare a rispondermi
, tanto ho già capito tutto da solo.L’unica cosa che non mi è chiara è il
motivo di tanta segretezza.Portatelo via e custoditelo attentamente.”
Persilli
e la scorta si allontanarono trascinando il bombardiere per la divisa.Cercai
con lo sguardo Vittorio e lo scorsi mentre stava dando ordini a dei suoi
sottoposti che dovevano fare la guardia al prigioniero.Lo raggiunsi e gli
raccontai del bombardiere,della faccenda del treno per Treviso che era invece
diretto in Valsugana e della mia teoria dei due Campi. Mi aspettavo che si
bullasse con un “te l’avevo detto” o roba del genere, cambiò invece discorso
domandandomi cosa si dovesse farne delle armi catturate. Alle nostre spalle gli
istruttori stavano incolonnando “morti”e “feriti” per condurli ai rispettivi
Campi.
Un
terzo dispaccio di Tornado ci ordinava, come tutti ormai avevamo largamente
previsto,di assalire e conquistare la quota 2105 del Monte Ortigara.Non avevo
la più pallida idea di come fare, ma ero fiducioso del fatto che qualcosa mi
sarebbe pur venuto in mente.
All’alba
i duecento fucilieri erano schierati nelle trincee che guardavano al versante
“nemico” del passo.
Io,
il mio Stato Maggiore e tutti quelli che avevano preso parte all’azione di
quella notte ronfavamo della grossa. Il comando della piazzaforte era affidato
al Capitano Valerio, già Comandante del Terzo Fucilieri e da me designato a
coordinare in mia assenza tutte e quattro le Compagnie di quella
specializzazione.
Il
sole, enorme e rosato, stava tramontando sul mar dei Caraibi ed io lo osservavo
sdraiato sull’amaca tirata fra gli alberi del mio schooner.L’imbarcazione
dondolava lentamente cullata dai flutti ed una leggera brezza mi accarezzava i
capelli.La splendida ragazza creola che prendeva il sole in coperta si alzò
sinuosamente aggiustandosi il perizoma bianco che spiccava maledettamente sulla
sua pelle ambrata.I suoi lunghi capelli corvini raccolti in una coda di cavallo
ondeggiarono nel respiro dell’oceano.Mi sorrise maliziosamente e si diresse in
cambusa.Il vento mi portò il suo profumo muschiato.Riapparve quasi
immediatamente portando con se un daiquiri.Mi si avvicinò porgendomi il
cocktail ma, appena cercai di afferrare il bicchiere, lei lo scostò con un
risolino furbetto nascondendoselo dietro la schiena.Chiuse gli occhi ed
avvicinò le sue meravigliose labbra carnose alle mie.Chiusi gli occhi a mia
volta pregustando il sapore di quel bacio salato.
Il
bacio non venne ed io riaprii gli occhi trovandomi a fissarli nei suoi che
apparivano ora preoccupati, quasi impauriti. “Arrivano” fece lei con
un’espressione più stupita che inquieta.Sembrava che quella parola le fosse
uscita dalla bocca senza che lei pensasse di farlo.Io la fissai con aria
interrogativa.
“Arrivano!”urlò
lei lasciando cadere il bicchiere che andò in mille pezzi.Dopodiche si tuffò
oltre il parapetto e scomparve dalla mia vista.“Signor Capitano, arriva il
nemico”
Mi
svegliai di colpo e solo per un soffio non baciai Persilli che si scostò
lestamente.Mi misi a sedere sulla branda passandomi le mani fra i capelli.Avevo
ancora nelle orecchie lo sciabordio delle onde.
“Scusate
se vi ho svegliato, Signor Capitano” insistette Persilli “ma il nemico sta
avanzando dall’Ortigara e ci sarà addosso in pochi minuti”
“Hai
fatto benissimo” borbottai infilandomi gli stivali “Fai suonare l’adunata e
chiama subito a raccolta il mio Stato Maggiore”
“Signorsì,Signore”
fece Persilli.Sbattè i tacchi e si fiondò fuori dalla tenda.
Io
ed Antonio scrutavamo il declivio con i nostri binocoli.Facevamo il paio con
Fulmine e Vittorio nel sembrare completamente rincoglioniti dal sonno.Avevamo
dormito per poco più di tre ore e la stanchezza non ci aveva per niente
abbandonati. La stanchezza e la sfiga sono amanti fedeli che non ti abbandonano
mai rompendo calici di daiquiri sulla barca della tua esistenza.Al massimo si
fanno un giro a poppavia ma poi ritornano. Nonostante questo chiunque di noi
avrebbe preferito farsi amputare un dito piuttosto che abbandonare la
partita.Adesso, mentre sto scrivendo, sono divorato dai dubbi ed incubi
terribili popolano i miei sonni ma, al tempo della battaglia ero fiero di me
stesso e mi ero calato completamente nel personaggio del “Capitano Coraggioso”,
del soldato di mestiere che conosce solo le parole coraggio,onore e fedeltà.
Effettivamente
dall’altura potevo vedere un centinaio di sagome che si muovevano rapidamente
da un masso all’altro nel tentativo di avvicinarsi senza essere colpiti.Erano
comunque troppo distanti perché potessi ordinare ai miei di aprire il fuoco.Inviai
Persilli e Vittorio con i loro plotoni di ventiquattro assaltatori
Fra
gli ultimi massi e la nostra linea difensiva vi erano circa cento metri di
terreno privo di ripari. Se il nemico si fosse messo a correre in salita verso
di noi avremmo fatto il classico tiro al piccione.
Avevo
sperato che, presupponendo che il loro numero totale fosse uguale al nostro ed
avendo avuto 20 “morti” ed un ufficiale prigioniero nella nottata, il
Comandante avversario avrebbe aspettato almeno due giorni per
contrattaccare.Almeno i loro 29 feriti sarebbero stati riammessi in gioco.Ma
questo pareva non preoccuparlo.Nel frattempo tutti i soldati nemici si erano
acquartierati dietro l’ultimo blocco di massi.
I
nostri fucilieri li tenevano d’occhio ed appena fossero usciti da dietro il
loro nascondiglio sarei stato costretto ad ordinare una “strage”.
“Got
mit uns!” urlò un’ufficiale saltando fuori dal suo rifugio brandendo una
pistola.
Con
un urlo belluino tutti i suoi uomini si lanciarono verso di noi.
“Aspettate
ancora!” ordinai ai fucilieri “Sparate quando lo dico io.Ricordate che siamo
almeno il doppio di loro!”.Quando il nemico si venne a trovare ad una ventina
di metri dalle nostre trincee puntai a mia volta la pistola e diedi ordine di
aprire il fuoco.Duecento colpi partirono all’unisono , subito seguiti da una
seconda scarica e da una terza.La prima e la seconda fila dei nostri avversari
vennero decimate ma la terza riuscì ad arrivare fino a noi portandosi dietro la
quarta. I nemici invece di cadere sul posto una volta colpiti, come da
regolamento, avanzavano barcollando ancora per due o tre metri proteggendo con
i loro corpi quelli che li seguivano.Morivano in modo talmente melodrammatico
da sembrare attori di un film di quart’ordine, di quelli, per intenderci, che
prima di trapassare fanno in tempo a riassumere la loro vita o le loro
malefatte al loro giustiziere.Con questa tattica le loro prime due file avevano
fatto da scudo alle ultime due permettendo loro di raggiungerci.Trovai alquanto
scorretto il loro comportamento e mi alzai per andare a protestare da qualche
istruttore.Uscendo dalla trincea mi trovai di fronte un soldato nemico che mi
sparò al petto.Una macchia blu comparve sulla mia divisa.Ero incazzato come una
bestia e gli diedi un potente spintone mandandolo a cagare.Per tutta risposta il
tizio afferrò il suo fucile per la canna e mi fracassò il calcio dell’arma
sulla testa.Caddi a terra come un sacco di patate e l’ultima cosa che ricordo è
un velo rosso di sangue che mi cola davanti agli occhi. Mi risvegliai col viso
tutto ricoperto di sangue secco ed appiccicoso. Avevo la vista appannata e
vedevo solo delle ombre sfocate che si ricorrevano per il pianoro.Mi alzai
barcollando e mi avviai verso la tenda.Mi girava la testa ed avevo la
nausea.Un’ombra mi venne incontro e mi infilò un braccio sotto l’ascella per
sorreggermi.
“Che
ti hanno fatto Tommaso?”chiese la voce preoccupata di Fulmine “Come ti senti?
Infermieri!Infermieri!”.Arrivarono di corsa altre tre ombre che mi caricarono
su una barella e mi portarono via mentre svenivo di nuovo.
Mi
risvegliai nella mia branda con un mal di testa apocalittico.Solo il giorno
dopo la festa per la maturità mi ero sentito così, ma allora era stato il
whisky e non una mazzata terribile.Come mi alzai dalla branda vomitai in un
secchio di metallo, muto testimone del fatto che mi dovevo essere già esibito
in quello spettacolo poco decoroso.Fuori doveva essere giorno
inoltrato.Inforcai i miei ray-ban rendendomi conto solo in quel frangente di
non avere più le orecchie.Ad un esame più attento mi accorsi con sollievo che
le orecchie erano al loro posto, solo che erano coperte da uno spesso bendaggio
che mi avviluppava tutta la testa.Barcollando uscii all’aperto. Fulmine e
Vittorio che stavano fumando una sigaretta accorsero a sorreggermi.
“Tommy
non puoi alzarti dal letto!”esordì Fulmine in tono allarmato “il dottore ha
detto..”
“Si
fotta il dottore!”sbottai liberandomi dalla loro presa con uno scrollone che a
momenti mi faceva finire per terra “Io ho il comando di questo fottuto
reparto,ed intendo esercitarlo dovessi crepare qui sull’altipiano. Signori,
subito a rapporto nella mia tenda!”
Sorridendo
sotto i baffi i miei due apprensivi
amici mi seguirono d’appresso per paura che cadessi lungo e disteso. Mi sedetti
nuovamente sulla branda ed ascoltai la relazione dei miei sottoposti.
I
nostri nemici erano riusciti a forzare il nostro sbarramento con il trucco dei
morti viventi.Il loro imbroglio era però stato scoperto e tutti i loro
partecipanti all’offensiva erano stati squalificati mentre i nostri “morti”
erano stati riabilitati, me compreso.Il Capitano Romanagens, che aveva già
redatto un rapporto circostanziato e lo aveva inviato a Tornado, calcolava che
gli effettivi del nemico dovevano ora ammontare a 181 uomini fra ufficiali e
soldati di truppa.Mi giustificarono tale numero sommando i cento squalificati
ai venti “morti” che gli avevamo causato noi, ai quali andava però sottratto
“il bombardiere” che, nel trambusto dell’assalto, era riuscito a
filarsela.Eravamo in vantaggio di oltre cento uomini, due intere Compagnie.Una
squadra di nostri incursori, agli ordini di Fulmine, aveva individuato il
nemico al gran completo sulla quota 2105 dell’Ortigara.Sul Calvario delle penne
mozze.