Prima Parte – Il viaggio.

 

Era la sera di lunedì 31 luglio del primo anno del millennio ed io mi trastullavo gironzolando per questo sito leggendo le piccanti novità inserite da Tornado, che sputtanavano definitivamente (come se ce ne fosse bisogno) il gotha dei centri sociali.Nello spostare il mouse urtai inavvertitamente la mia statuetta di merda compressa del Pokemon “Rautichu” che, rotolando sulla tastiera, compose una sequenza casuale di tasti. Immediatamente fui catapultato in una sezione segreta del sito.Rimasi sbalordito dall’apparizione di una celtica ghignante e fiammeggiante con la scritta “audax2000” in sovrimpressione. Poco al disotto di essa vi era una bella fotografia di una ridente cittadina alpina.La didascalia annunciava “Asiago (VI) ”. Appena sotto la foto si poteva leggere l’invitante messaggio che oramai conoscete anche voi. In realtà avevo un mezzo aggancio per passare le vacanze nelle isole mediterranee della Spagna con amici di amici di un mio cugino di Cornaredo, ma quelle cameratesche parole mi colpirono in modo talmente favorevole che, prima ancora di rendermene conto, l’e-mail era partita verso la sua strana destinazione.Pensai che fosse proprio strano che Tornado non me n’avesse mai parlato durante il frequentissimo scambio epistolare che avevamo tenuto in quel periodo e questo ragionamento mi trasportò verso l’idea che forse quell’indirizzo era talmente riservato da non poterne mettere a parte un normale collaboratore.Vacca porca, forse l’avevo combinata bella inviando quell’e-mail. Ma certo! Non fosse stato per il ruzzolare fortuito di Rautichu non avrei mai scoperto il link. Mentre mi arrovellavo a meditare se avessi compromesso l’amicizia con Tornado o se n’avessi addirittura perso la fiducia, arrivò la risposta. L’aprii in tutta fretta ed il suo contenuto mi rassicurò immediatamente: “Wella!! Ciao Tommaso, non so come tu abbia scoperto il link ma sono veramente orgoglioso di annoverarti fra gli Eletti che quest’anno parteciperanno ad Audax2000.Fatti trovare il giorno 6 agosto nella piazza principale di Asiago.In Alto I Cuori, Tornado”.Come allegato c’era un orario ferroviario con tutte le coincidenze per raggiungere la cittadina.Ero così contento di poter finalmente incontrare “de visu” il mio amico webmaster, e forse addirittura conoscere il Signor Dottor Direttore, da non riflettere su quell’insidiosa parolina inserita nella mail: “Eletti”.

Tenete sempre ben presente una regola che io ho imparato quando ormai era troppo tardi: mai, dico mai, aggregarvi a qualcosa che comporti l’uso del termine “l’Eletto” o “il Prescelto” o, peggio ancora, “il Designato”.Sarebbe come entrare a far parte di una società di navigazione nella quale uno dei soci è soprannominato “l’Albanese”. Ma, come ho già detto, ero troppo felice per fermarmi a cavillare su una “E” maiuscola messa lì sicuramente per disattenzione.Avevo ben una settimana di tempo, oppure solo una settimana di tempo, per prepararmi all’avventurosa situazione. Dipendeva tutto da come mi fossi organizzato. E qui, forse per paura che il tempo non mi bastasse, commisi il solito errore in cui cadono tutti i pisquani disorganizzati come me: chiesi un parere a mia madre.Per fortuna le tacqui il vero motivo del viaggio parlando solo di un campeggio nell’alto Veneto con degli amici.La sera prima della partenza il mio letto era letteralmente sommerso da: numero sei maglioni pesanti, numero sei maglioni leggeri; numero sei pantaloni assortiti (jeans, fustagno, lana, vigogna, velluto ed un sordido paio di pantaloni alla zuava); sei camicie pesanti e sei camice leggere e poi magliette, maglie, magliuzze, calze, mutande, canotte, una giacca a vento, un K-way, un cappotto, un paio di scarponi, un paio di scarpine, un paio di doposci moonboot ed uno smoking.Mia madre stava poggiata pensosa allo stipite della porta della mia stanza.Notando il mio disappunto disse “Mah…forse lo smoking non ti dovrebbe essere indispensabile.Prendi il completo scuro”.Mia sorella, passando saltellando in corridoio ottenebrata dall’hard-rock che dirompeva dal suo walkman, urlò senza rendersene conto “Portati il tuo solito completo da pirla, che ti sta a pennello!”

Le lanciai uno scarpone da roccia rostrato ma era già lontana.

La mattina dopo mi svegliai alle quattro dopo una notte popolata da terribili incubi premonitori.

Il primo si ambientava in casa mia.Era l’alba e mi accingevo ad uscire dalla mia stanza con lo zaino sulle spalle e due borsoni da viaggio.Nel sogno pensavo a come raggiungere la Stazione Centrale di Milano.Avrei chiamato un taxi giacché era impensabile svegliare i miei a quell’ora antelucana.Al posto di aprire la porta della stanza aprii quella dell’armadio ed entrai (Questo mi succede anche da sveglio.Sarà grave?).Dentro l’armadio, appesa penzoloni su una gruccia, c’era mia madre divorata dalle tarme.Sembrava un grosso pupazzo tutto traforato come un pizzo.Dai fori slabbrati fuoriusciva della materia fluida e giallastra con delle rade venature rosse.Tentai di urlare ma la mia gola emise solo un rumore di carillon. L’orrendo spaventapasseri che una volta era stata mia madre alzò più e più volte la testa (negli incubi certe movenze si ripetono all’infinito) fino a quando dalle sue labbra tumefatte uscì una voce spettrale. “Tommiiaaso…portati lo smoking Tommiiasoouugll!”.Nel sonno riuscii ad urlare e l’incubo cambiò.

Nel secondo incubo, che col primo non aveva alcun’attinenza, ero il leader in seconda del più vasto schieramento di centro-destra di una nazione chiamata Italia.Forse quest’incubo fu generato dalla frase di scherno lanciatami da mia sorella.Difatti il mio parere non contava un cazzo.Io difendevo pubblicamente la mia posizione politica, con abilità ed eloquenza. Subito dopo mi telefonava il Leader Maximo Televisivo ed io dovevo cambiare la “mia” linea politica nella “sua” linea politica, con abilità ed eloquenza.Una figura da pirla dopo l’altra.Un completo da pirla dopo l’altro.Ovviamente le posizioni più intransigenti dovevo prenderle io.Mi era stato suggerito (ordinato) di dire pubblicamente che con quel Nordista non sarei andato a prendere nemmeno un caffè. Tutti dissero di me: quello lì c’ha sotto due coglioni così.Poi mi fu suggerito (ordinato a calci in culo) di fare al Nordista da cavalier servente, da galoppino e baciapile in nome dei Santi Voti Polari.Tutti dissero di me: quello lì c’ha sotto al mento due coglioni così. Per vendicarmi indissi un referendum che persi. Cominciai ad urlare e l’incubo cambiò.

Mi trovavo in un paese che poteva essere la Cina. Alcuni poliziotti mi stavano trascinando in catene dinnanzi ad un giudice che intendeva condannarmi per aver cosparso una statua del Budda con salsa di mirtilli. Protestavo a gran voce e cercavo di divincolarmi inutilmente.Il giudice mi impose di giurare di dire la verità, almeno credo perché anche se il sogno era in cinese io quella lingua non la capisco proprio. Mi si avvicinò un nanetto giallo porgendomi un libro che pensavo fosse la Sacra Bibbia ma che, un attimo prima che vi posassi sopra la mano, realizzai essere il libretto rosso dei pensieri di Mao.Cominciai ad urlare e mi svegliai.

La sera prima avevo concordato con mio padre che mi avrebbe accompagnato egli stesso alla stazione partendo da casa alle sette in punto. Conoscendolo si sarebbe svegliato alle cinque ed alle cinque e mezza anche mia madre sarebbe stata pronta per l’ispezione bagagli. Ficcai nello zaino il minimo indispensabile, scrissi un biglietto di scuse ed uscii di casa sgattaiolando come un ladro. Anche Goebbels e Himmler, i due Dobermann di famiglia, dovettero pensarla nello stesso modo, infatti mi inseguirono fino a sotto al pero dove mi ero rifugiato vedendoli arrivare di corsa. Fortunatamente dopo cinque minuti si convinsero della mia identità e scomparirono nei meandri bui del giardino.Ed io caddi dal pero.Un po’ ammaccato uscii dal cancello e percorsi un paio di isolati nella tiepida notte varesina.Quando fui certo di essere sufficientemente lontano dagli strali parentali accesi il cellulare e chiamai un taxi.Alle sei e mezza stavo già vagando da un po’ in quella casba che si ostinano ancora a chiamare Stazione Centrale di Milano.Per sicurezza tenevo il cellulare spento in modo da non dover subire lavate di testa da mio padre,da mia madre e magari anche da Goebbels e Himmler. Mentre me ne stavo col naso all’insù a scrutare la volta dell’immenso edificio alla ricerca di qualche fregio che testimoniasse il credo di chi l’aveva costruito, una voce secca e seccante interruppe il corso dei mie pensieri.

“Buongiorno.Favorisca i documenti, per cortesia.”

Mi girai e mi ritrovai faccia a faccia con due Carabinieri.Il più giovane dei due,un ragazzo della mia età,mi osservava con sospetto, neanche fossi stato inserito nella lista dei tre malavitosi più ricercati di Stresa, mentre quello più anziano, un po’ rotondetto e con degli spettacolari baffi a manubrio, teneva un atteggiamento molto più rilassato alla “Uè,paisà,dacce sti documenti che ce n’ jammo”.Estrassi il portafogli e porsi a quest’ultimo la mia carta d’identità. Poteva darsi che mio padre si fosse rivolto ai Carabinieri? Forse mia madre mi aveva querelato per “abbandono di smoking”? Avevo pagato il taxista con una banconota falsa? Mi puzzavano i piedi? Mentre mi arrovellavo con questi inquietanti interrogativi i due militi osservavano con attenzione il documento che gli avevo consegnato. Dopo pochi istanti il più giovane dei due ritornò a fissarmi. Aveva l’espressione soddisfatta di un gatto che ha finalmente bloccato in un angolo il suo topolino giornaliero.La visiera del suo berretto fuori ordinanza era talmente bassa che lo costringeva a tenere la testa alta per fissare chi gli stava di fronte e la sua divisa, di taglio troppo impeccabile per non essere stata confezionata su misura, gli conferiva un aspetto da Generale di Corpo d’Armata. Aprì la fondina della pistola e le sue dita cominciarono ad accarezzare il calcio della Beretta 92sb mentre continuava a fissarmi diritto negli occhi. L’anziano continuò a fissare alternativamente il documento e me per un po’.

“Senta signor …DeTorquemada Tomàs, credo che lei ci debba seguire all' Unità Mobile.”

“Perché?” domandai con uno strozzo in gola.

“Perché questo documento non mi convince.Il nome ed il cognome si leggono chiaramente,così come il luogo di residenza ma gli altri dati appaiono sfocati,quasi illeggibili. Me ne intendo abbastanza da riconoscere che la sua Carta d’Identità è autentica, ciononostante….”

Trassi un sospiro di sollievo.Potevo fornire una spiegazione e lo feci.

“Ah,quello! Bhe, vede Appuntato quello capita perché io non sono proprio io…cioè, io in realtà sono il personaggio di un racconto per cui Tomàs de Torquemada è solo uno pseudonimo. O meglio, io sono io ma uso questo pseudonimo nei miei racconti. Il mio nome e la città in cui vivo sono ormai chiari a tutti i lettori mentre gli altri particolari appariranno probabilmente in questo o nei prossimi racconti che scriverò.Almeno credo.” I due militari si guardarono stupefatti negli occhi ed il più giovane dei due fece un passo verso di me.

L’Appuntato disse “Io invece credo che questa storia la debba proprio sentire anche il Maresciallo.E’ un bel po’ che non si fa due risate fatte bene.”

L’uomo si passò le mani fra i capelli scrollando il capo.Non aveva trovato nulla di divertente nelle mie spiegazioni e la sua espressione parlava per lui.Nella sua unità mobile,un furgone IVECO attrezzato come un mini ufficio,parcheggiata nel piazzale antistante la stazione, la notte era passata troppo lentamente.Troppi drogati in crisi, troppi travestiti urlanti e veramente troppi rifiuti umani da ascoltare, da registrare ed a volte da arrestare.Poteva avere una trentina d’anni il Maresciallo, ma a causa del suo duro lavoro ne dimostrava molti di più.Il giovane militare al suo fianco che stava battendo a macchina la nostra conversazione si era fermato e mi osservava perplesso. Ci pensò un po’ su poi esclamò “Ma,sior Maresciallo,questo qui el xe come Paperino.Che el xe zio de tuti e nipote de tuti. Che anca elo el se sposaria mai con la Paperina finché l’autor el ghe darà el permeso.”

“Taci Romeghin!”fece il Maresciallo con un fil di voce che indicava chiaramente quanto non ne potesse più di ascoltare cazzate. “Senta Torquemada, ma lei è o non è di cittadinanza italiana?”

Romeghin scrisse il tutto velocemente,aggiunse <A domanda risponde> e si voltò a fissarmi con aria interrogativa.

“Certo che sono italiano”sbottai con orgoglio.Il Maresciallo, che sarebbe stato interpretato magistralmente da Aldo Fabrizi buonanima, si appoggiò allo schienale della poltroncina facendolo scricchiolare paurosamente.

Aveva chiamato la stazione dei Carabinieri di Varese ed attendevamo entrambi un responso sulla mia identità. Mi fissò in silenzio per qualche istante poi riprese a parlare.

“Sicché il suo nome sarebbe uno pseudonimo e tutta questa storia , io compreso, saremmo solo un racconto da pubblicare su un sito internet.”

“Si, se il Direttore lo consentirà.”

“Certo,se il Direttore lo consentirà. E questo Direttore, questo Luca Pilli, è uno pseudo anche lui?”

“No no,quello è vero.E’ Tornado che è lo pseudonimo del webmaster.Il suo nome proprio non lo so”

“Certo, e lei si trova qui in stazione per andare a trovare una sua amica a Bolzano.”

“Esatto”

Il telefono squillò in quel momento ed il Maresciallo, sempre fissandomi nelle palle degli occhi, con studiata lentezza sollevò il ricevitore.Cosa credeva? Che vistomi ormai sull’orlo dello sputtanamento telefonico mi sarei gettato in ginocchio confessando di essere Giusva Infamavanti fuggito dalla comunità gay che mi aveva amorevolmente accolto?

“Pronto, Maresciallo Capo Esposito Gennaro.”disse sempre tenendomi d’occhio.Un’istante dopo la sua espressione cambiò d’un botto. Sembrava quella di un bambino scoperto a rubare la marmellata. Si alzò di scatto e si mise sull’attenti sbattendo i tacchi come se il suo interlocutore potesse vederlo.

“Comandi signor Generale.Sì signor Generale. No signor Generale.Certo signor Generale.Bhe,lo stavamo solo interrogando e…. assolutamente no signor Generale….il signor Torquemada mi stava appunto dicendo che….. certo signor Generale la sua vera identità resterà un segreto… capisco signor Generale…la sicurezza nazionale.Comandi signor Generale.”Riappese sbalordito il ricevitore e mi fissò senza realmente vedermi.

Aveva la stessa espressione di qualcuno che avesse visto alzarsi in volo uno stormo di mucche.Rimase interdetto per un minuto o due ,poi come un robottino, raccolse la mia Carta di Identità dalla sua scrivania e me la porse. Io la presi e la rimisi nel portafogli.

“Può andare signor Torquemada.Ci scusi se l’abbiamo trattenuta ma..”

“Non c’è problema Maresciallo.In bocca al lupo per il suo lavoro.”

Gli porsi la mano e lui me la strinse.

“Buon viaggio signor Torquemada e dica a suo padre di salutarmi tanto il signor Generale.”

“Lo farò senz’altro e gli dirò anche di con quanta abnegazione lei svolge il suo servizio.Complimenti a lei ed ai suoi uomini.”

“Grazie” fece il Maresciallo Esposito Gennaro portandosi la mano alla fronte nel saluto militare.Gli sorrisi ed uscii dal furgone.Mentre tornavo alle banchine dei treni incrociai la coppia di Carabinieri che mi aveva accompagnato all’unità mobile che sospingeva energicamente un brutto ceffo dai lineamenti slavi.Altro lavoro per il Maresciallo.L’appuntato non mi degnò di uno sguardo , mentre il suo più giovane collega mi fissò con aria interrogativa.Il treno era arrivato.Salii e presi posto in uno scompartimento vuoto.Chissà cosa era successo a Varese.Mio padre mi aveva dato una mano ancora una volta con le sue importanti conoscenze. Ero tentato di telefonargli ma il timore del cazziatone che mi avrebbe sicuramente fatto mi indusse a desistere.Il treno si mosse ed uscì sferragliando dalla stazione.Ero felice ed emozionato.In quel momento non sapevo ancora in quale terribile guaio mi fossi cacciato.

Alla stazione di Verona salirono una nutrita schiera di skinheads.Quattro di essi presero posto nel mio stesso scompartimento.Iniziarono subito a fare una cagnara pazzesca ignorandomi completamente.Bevevano fiumi di birra e si lanciavano le lattine vuote l’uno con l’altro.Quando passarono a quelle mezze piene uno sbruffo di birra mi centrò in piena faccia.Al limite della sopportazione saltai su come una biscia inveendo contro di loro.

“Oooooooh! Brutte teste di cazzo con le orecchie! La finite di rompere i coglioni o no?!”

Dopo un millisecondo in cui restarono zitti per lo stupore mi saltarono tutti addosso e mi incaprettarono.

Cercai di lottare come potevo, ma erano troppi e troppo forti ed alla fine mi trovai immobilizzato con uno di loro che mi stava seduto sul petto.

“Quante birre abbiamo ancora?” Chiese quello che mi si era accomodato addosso senza smettere di ghignarmi in faccia sadicamente.

“Una trentina di lattine”rispose felice qualcun’altro che non riuscivo a vedere.

“Trenta eh?”continuò il primo”Facciamogliele bere tutte una dopo l’altra”

Era evidente che si aspettava un coro di consensi che invece non arrivò.Si girò perplesso verso gli amici con aria interrogativa. Nello scompartimento regnava il silenzio più assoluto, disturbato solo dall’eco del casino che i loro compari stavano facendo negli altri scompartimenti.

“Allora?” fece l’ideatore del mio supplizio “Non vi piace l’ideona che ho avuto?”

“Bhe”fece un altro alle sue spalle con aria mesta “Se le facciamo bere a lui noi rimaniamo senza”

Di nuovo il silenzio.Il primo si girò a guardarmi pensoso per un istante poi ritornò a guardare i suoi amici

“Allora gli scassiamo lo sterno a cazzotti!”

Belluine urla di giubilo riempirono lo scompartimento

Galvanizzato dal clamore suscitato dalla sua seconda “ideona” il mio sgradito ospite mi afferrò il colletto della camicia e lo divaricò con forza.I bottoni partirono per direzioni diverse senza nemmeno salutare le asole.Lui caricò il pugno ma, al momento di colpire, si bloccò.Fissava il pendente che era ora in bella vista fra i miei pettorali.

“Raga”esclamò “Questo qui ha una celtica attaccata alla collanina.Ma sei un Camerata?”

“Secondo te che cosa sarei?Una zecca?” risposi intravedendo un barlume di speranza mentre il mio sterno faceva la òla dalla felicità.

“Cazzo,scusa.”disse il mio fantino alzandosi e porgendomi la mano per far rialzare anche me “Non potevamo mica saperlo.Del resto sei vestito da civile!”( Portati il tuo solito completo da pirla, che ti sta a pennello!)

In effetti con la mia camicia di Ralph Lauren ed i miei jeans di Armani ero ben lontano dai loro pantaloni mimetici e dal loro bomber nero.In più non avevo un filo di barba da opporre ai loro fieri mustacchi da messicani. Il ragazzo si presentò come “il bombardiere” ed anche gli altri mi lanciarono tribali segnali di saluto.Mi riaggiustai come potevo la camicia e,tanto per fare conversazione,domandai

“E allora? Dove andate di bello?Anche i terribili Skin vanno in vacanza?”

“Vacanza un cazzo”fece uno del gruppo “andiamo ad un campo..”

“Un campo da calcio”si intromise il bombardiere lanciandogli un’occhiata di fuoco che non mi sfuggì “Andiamo a Treviso per scacciare alcune zecche dei centri sociali Samir ed Eternit che vogliono rigiocarsi un derby. Dicono che il precedente non era valido e vogliono rifarlo.”

“Ne ho sentito parlare”affermai poco convinto.Possibile che anche loro fossero diretti all’Audax2000?

Per tutto il resto del viaggio parlammo di politica e di metodi. Inutile dire che mi trovavo in leggero dissenso rispetto alle loro teorie.Alla stazione di Vicenza sia io che il gruppo di Skin scendemmo dal treno.Io ed il bombardiere,che era poi il capo di tutto il gruppo,ci tenevamo d’occhio a vicenda.Se avessero preso il treno per Thiene sarebbe stato ovvio che avevamo lo stesso obiettivo finale.Dal nostro treno,oltre al gruppo del bombardiere,scesero altri gruppi di skin saliti lungo il percorso senza che me ne accorgessi.Il bombardiere si unì a conciliabolo con altri capi skin e di tanto in tanto guardava nella mia direzione,subito imitato dagli altri.

Era chiaro che parlavano di me.Sulla banchina erano ora raggruppati circa duecento skin e gli agenti della PolFer li tenevano d’occhio da dentro il loro bugigattolo blindato.La giornata si era messa decisamente al bello,ed un’aria fresca e profumata irrorava la stazione provenendo dalle montagne.

Inaspettatamente, almeno secondo le mie teorie, tutti gli skin presero la coincidenza per Treviso ed il bombardiere venne a stringermi la mano.

“Addio,Camerata!Noi andiamo a far ballare un po’di rossi.”

“Arrivederci piuttosto!”feci io di rimando “Può darsi che ci s’incontri in qualche manifestazione quest’autunno.”

Il bombardiere sorrise e si diresse correndo verso il suo treno che già accennava a partire.Salì al volo accolto dagli sieg heil e dalle braccia tese nel saluto romano dei suoi amici.Con i finestrini abbassati dai quali spuntavano decine e decine di skin il treno sembrava una tradotta militare in partenza per il fronte ed infatti, mentre lasciava la stazione di Vicenza, un coro di voci liete intonò “Lilì Marlen” in tedesco.Scrollai il capo e mi diressi verso il treno per Thiene, meditando di quanto poteva apparire contraddittorio che una schiera di baldi giovani italiani cantasse e salutasse in un’altra lingua. Era del resto una specie di refrain che saltuariamente tornava a scaldare gli animi nelle fredde serate invernali in birreria.

Mentre mi dirigevo verso il mio treno vidi che nella banchina affianco sostava un altro convoglio la cui destinazione, almeno secondo il cartello giallo appeso ai vagoni, era Treviso.Mi avvicinai ad un’inserviente che stava percotendo i freni del locomotore con un lungo martello e gli esposi le mie perplessità.

“Certo che va a Treviso”rispose questi “Come dice?No, quello che è appena partito andava a Trento passando per Bassano del Grappa e per la Valsugana.”

Ringraziai e salii sul treno per Thiene.Mentre osservavo il bel paesaggio scorrere fuori dal finestrino continuavo a pensare ed a ripensare ai motivi che avevano spinto il bombardiere a mentirmi.Forse era diffidente per natura oppure era il mio modo troppo diverso dal suo di essere Camerata a spingerlo a diffidare di me.Con questi amari pensieri in mente arrivai nella stazione della cittadina di Thiene e solo per un soffio non persi la corriera per Asiago.Il viaggio in autobus fu terribile.In località Ponte di Campiello, dopo un’orrenda serie di tornanti, l’autista fu costretto a fermarsi dalle mie deliranti minacce di farlo oggetto di un improprio tipo di shampoo.Mi fiondai in mezzo ad un pascolo vomitando anche il pranzo di Natale. In un modo o in un altro, verde come una lattuga, arrivai ad Asiago.

Nella piazza principale notai tre camion grigi telonati ed un fuoristrada dello stesso colore.Li stavo osservando meglio quando un ragazzo dal fisico imponente cominciò ad urlare dentro ad un megafono.

“ATTENZIONE!!GNIIIIIII-FIIIIIIII TOC TOC.TUTTI QUELLI CHE DEVONO VENIRE SU AL CAMPO AUDAX2000 SI AVVICININO AI CAMION. GNIIIIIII-FIIIIIIII”.Presi su lo zaino e mi avvicinai.

Dai bar, dalle panchine e da un’edicola molti giovani conversero verso gli automezzi.Quando fu chiaro che nella piazza non c’era più nessuno diretto al campo il ragazzo che ci aveva chiamati a raccolta estrasse un foglio e chiese a ciascuno le proprie generalità.Man mano che ci identificavamo lui metteva una spunta sulla lista.Dopo un quarto d’ora eravamo in viaggio, seduti sulle panche nei cassoni dei camion come fossimo una colonna militare.Oltrepassato il comune di Gallio la strada divenne una specie di mulattiera ed il mio stomaco riprese a ballare la rumba.Fortunatamente non c’era alcun bisogno di far fermare il camion visto che potevo agevolmente vomitare dalla sponda posteriore del veicolo, fra gli applausi degli altri ragazzi e le espressioni disgustate dell’autista del camion che ci seguiva.Arrivati in una sorta di malga chiamata Campomulo prendemmo a sinistra inerpicandoci su per una stradina ripidissima piena di buche e sporgenze.

Dopo mezz’ora di atroci sofferenze a causa degli scossoni (la mia testa sbatteva come un pendolo ora contro quella del ragazzo alla mia sinistra,ora contro quella del ragazzo alla mia destra ) oltrepassammo un dosso che dava su un pianoro.Al centro di esso era montato il campo.

 

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