C.V.L
COMITATO DI LIBERAZIONE NAZIONALE
…
Gli
appartenenti alle Brigate Nere, alla Folgore, Nembo, X Mas e tutte le truppe
volontarie sono considerate fuori legge e condannati a morte. Uguale trattamento
sia usato anche ai feriti di tali reparti trovati sul carro.
…
In
caso si debbano fare dei prigionieri per interrogatori ecc. il prigioniero
non deve essere tenuto in vita oltre le tre ore.
IL C. DI DIVISIONE
(firma illeggibile)
RELAZIONE DEL P. R. RETTORE DEL
SANTUARIO DELLA B. V. MARIA DELLAVITTORIA,
Sac. LUIGI BRUSA, sul doloroso episodio della fucilazione dei sedici repubblicani,
avvenuto il 28 APRILE 1945 ore 17.
A un anno dalla fucilazione dei
sedici giovani Repubblicani, la scena è ancor viva davanti al mio sguardo.
Nei giorni dell'insurrezione, 26-27-28
aprile 1945, vennero arrestati 160 Repubblicani della Brigata Perugia che
da Bergamo transitavano per Lecco: erano diretti, credo, in Valtellina. La
colonna, dopo una notte ed una giornata di resistenza,dovette cedere le armi
e furono arrestati a Pescarenico dai partigiani e tradotti alle scuole di
via Ghislanzoni. Al mattino del sabato 28 aprile ebbi sentore che qualche
cosa di grave stava per succedere e con due Confratelli, sacerdoti Aldo Cattaneo
e M. Gazzi, mi portai a dette scuole per potere avvicinare i giovani detenuti
e possibilmente portare il conforto del Ministero sacerdotale. Dal comportamento
di chi presiedeva alla prigione ( certo Piero ) venni in sospetto che si stavano
prendendo decisioni a carico di 16 giovani, in prevalenza Ufficiali della
Brigata Perugia, che per aver fatta la resa durante il combattimento, avevano
procurato delle morti nelle file dei partigiani. Visto che il tentativo presso
la direzione delle prigioni di via Ghislanzoni non mi dava alcun affidamento,
mi fece premura di correre da Mons. Prevosto e di avvertirlo dei miei sospetti,
ed insieme escogitammo di venire in aiuto dei prigionieri. Mons. Prevosto
fece subito i passi opportuni presso il comando militare che trovavasi presso
le scuole D. Chiesa ed ebbe come risposta di star tranquillo che non c'era
nessuna disposizione a carico degli indiziati. Non fui contento della risposta
e pensai di sollecitare Mons. Prevosto che avesse a conferire nuovamente con
1' autorità militare. Difatti verso le ore 13 lo rintracciai nel locale "
Segreteria" della scuola D. Chiesa che, col berretto in mano, in un angolo,
attendeva una risposta dal comando. Io abbordai Monsignore e dissi Monsignore,
questa gente ci prende in giro. I 16 giovani li stanno caricando per portarli
alla fucilazione al Campo Sportivo. Se non possiamo salvare i corpi, salviamo
le loro anime e con Monsignore uscii dalla segreteria ed infatti sul piazzale
delle scuole assistemmo a scene veramente incivili. I Condannati a morte sul
carro venivano colpiti con pugni e calci dai partigiani presenti. La folla,
ebbra di sangue, aizzava i soldati. La maggior parte dei presenti era indignata
per queste sevizie verso persone già destinate alla morte, mentre nessuno
si opponeva. Con Monsignore corremmo in Basilica a prelevare le Sacre Specie
e poi ritornammo sul piazzale. L' autocarro era appena partito. Noi montammo
su un'auto e doppio particolare stridente nella dolorosa circostanza.: sulla
nostra macchina si trovava"
"Tom" l'arrestatore
di Mussolini, che precedentemente era stato portato in trionfo intorno
all'autocarro delle vittime, ed
anche una spavalda figura vestita da uomo, che poi fu obbligata a scendere,
perché incompatibile la sua presenza con i Ministri di Dio che portavano le
Sacre Specie.
Nell'ampio campo sportivo il drappello
dei sedici Repubblicani, scortati da un plotone di partigiani armati,stava
in attesa dell'ordine di fucilazione. Noi chiedemmo di poterli avvicinare
e ci fu concessa la massima libertà e tutto il tempo necessario. Subito li
invitammo ad uno ad uno al Sacramento della Penitenza e credo tutti ricevettero
il conforto religioso. Ci vennero in aiuto due Sacerdoti della Parrocchia,
don M. Molteni e don A. Clerici. A mano a mano che i giovani si confessavano
ricevevano da Monsignor Prevosto e dal sottoscritto la Santa Comunione con
visibile spirito di fede e con profonda commozione.
Io ne confessai cinque e dopo,
ultimato il mio Ministero, li baciai e chiesi se avessero qualcosa
da riferire ai loro Cari lontani. Il primo di disse di no poiché aveva già
provveduto. Gli altri quattro scrissero sul retro dell'immagine della Madonna
della Vittoria il loro ultimo pensiero che mi feci premura ed un sacro dovere
di inviarlo ai loro cari.
Vittorio Naponiello che scrive
alla mamma - Vincenza Naponiello, via Maria delle Grazie Eboli ( Salerno )
T. Borghesi Marino scrive ai genitori via del Balcone
- Perugia.
Cappocci Aride scrive a Cappocci
Paolo, via Vendemini, 6 Bertinoro (Forli’) al suo parroco
Sottotenente BERNARDINO BERNARDINI
scrive a Maria Pia, via Baldassini 72 Gubbio (Perugia).
Mi sembrava indelicatezza conservare
il loro scritto e trasmisi tutto alle singole famiglie. Le espressioni erano
ricolme di Fede e di Amor Patrio.
Ecco ad esempio quello che scrisse
Bernardino Bernardini:
Lecco, 28-4-45 ore 17 Carissima
Maria Pia e Mila,
catturato dai partigiani insieme
ai Colleghi vado a morte tranquillo e certo del perdono di Dio. Non serbare
rancore a nessuno ed inculca in Mila l'amor Patrio. Abbraccio tutti. Avverti
i miei parenti. BERNARDINO
Se la comparsa dei Sacerdoti aveva
suscitato prima in loro un senso di diffidenza perché eravamo giunti assieme
ai partigiani quando capirono che noi eravamo preoccupati unicamente del loro
bene spirituale, essi si aprirono con animo sereno. Chiesero a tutti se portavano
odio ai loro uccisori. "Padre" mi rispose uno, qualche ora fa sì,
ma ora perdono a tutti e di cuore pregherò per loro ".
Così si presentarono alla morte.
A quattro a quattro venivano fucilati
e prima si baciarono e si abbracciarono. Amavano teneramente il loro Capitano
e questi, davanti al plotone di esecuzione, rivolse due parole ispirate ad
Amor di Patria. Pressappoco furono queste le parole, odo almeno il senso
"Noi e Voi combattiamo per
un'idea Amor di Patria - Viva l'Italia"
Strinse la mano all'ufficiale che
comandava il plotone, poi cadde sotto la raffica di mitra. Nessun Giovane
è venuto meno di coraggio,ma tutti con ardore e slancio affrontarono la morte
al grido : Viva I' Italia !
Volli rimanere sul campo sino all'ultimo
istante, raccolsi le loro. ultime espressioni e mentre cadevano impartivo
loro la benedizione col Crocefisso nelle mani.
Lasciai il campo con gli altri
Sacerdoti conservando nell'animo le forti impressioni della giornata. Mi fece
pena il fatto che, caduti, i Giovani, l'ufficiale comandante tentava di
sparare il suo colpo di mitra verso
i Caduti che ancora respiravano e siccome aveva il mitra
scarico, pronunciando una bestemmia,
toglieva ad un suo soldato l'arma per completare l'opera.
Sac. Luigi Brusa:
Va aggiunto che, oltre i nominativi
della lettera di don Brusa, anche gli altri dell'eroica schiera, prima dell'esecuzione,
scrissero parole di fede e di perdono cristiano.
Il Capitano Dal Monte scrive
Miei cari genitori, fratello e
sorella, Muoio col solo dispiacere di lasciarvi; ma ho la coscienza tranquilla
di aver fatto il mio dovere, per la santissima causa della Religione,
della Patria e della Famiglia. Muoio col Signore nell'anima, perché
ho fatto la Santa Comunione.
Il Tenente Giovanni Ferraris
scrive al babbo
"La Patria ha bisogno di martiri.
Da soldato, ho eseguito gli ordini ed ho tenuto alto l'onore della bandiera.
Non addolorarti pensa che una pallottola mi abbia colpito in battaglia
Il Sottotenente Rinaldi scrive
"Mamma, babbo fratello Ivano
muoio in camicia nera. Vi chiedo la santa benedizione e vi bacio ".
Il tenente Alfredo Castellani,
di Castiglione del Lago ( Perugia) non ha più famiglia a cui scrivere, perché
tutti i suoi cari sono rimasti uccisi dai bombardamenti. Proprio poco prima
l'ha saputo e scrive sull'immaginetta religiosa che gli ha offerto don Brusa
Muoio felice per due ragioni :
prima perché ho seguito sempre la mia via, senza deviare; secondo perché proprio
ora ho saputo che tutti i miei sono stati uccisi e posso andare a raggiungerli
".
Il Sottotenente Siro Lombardini
scrive ai genitori:
"Fra pochi minuti la mia vita
sarà stroncata. Muoio contento. Pregherò per voi; vi proteggerò dal cielo".
Il Brigadiere Giuseppe De Victoriis
scrive la sera del 27
Cara mamma, ti scrivo sul punto
di morte. Ho fatto il mio dovere fino all'ultimo e non temo di morire. Sono
puro e ciò mi basta.Non vi affannate, perché sono morto per la mia Patria.
Tuo Pinuccio
E la sera del 28
"Cara mamma, ti scrivo ancora
in punto di morte. Mi sono confessato e ho l'anima pura. Non piangere per
me che sono morto per la Patria. Bacio te e tutti che in questo momento ricordo
".Tuo Pinuccio per sempre.
Il Vice Brigadiere Alberto Grossi
di Volterra ( Pisa ) scrive
"Miei cari, vostro figlio
é morto con il vostro ricordo in cuore. Perdonatemi. Vi ho amato tanto
Significativo il messaggio ritrovato
14 anni dopo sulle tombe dei Caduti unitamente ad un vistoso mazzo di garofani
rossi che si riporta in fotocopia.
Lettera inviata dal Santuario
B.Vergine della Vittoria - Lecco alla vedova Sig.ra Bernardini Maria Pia :
il 24 luglio
1945
Spettabile famiglia,
sabato 28 aprile 1945 ore 17.00
A distanza di quasi tre mesi da
questa data oso prendere in mano la penna per inviare due parole di condoglianze.
Ho ancora viva la scena dolorosa a cui: come Ministro del Signore ho partecipato
onde poter assistere sino all'ultimo istante il vostro buon Bernardino.
Non posso esprimere se non con
povere parole quello che ho provato in quella luttuosa giornata di insurrezione
qui a Lecco. Avuto sentore di quanto stava per accadere a 16 dei 160 giovani
catturati in combattimento mi sono dato premura, con l'aiuto di Monsignore
Giovanni Borsieri Prevosto di Lecco di avvicinare i Comandi locali e superate
tutte le difficoltà, abbiamo potuto portare i conforti religiosi.
Non vi posso dire la gioia di questi
bravi giovani quando si son visti vicino a loro il Sacerdote di Dio. Tutti
si sono Confessati ed hanno ricevuto la Santa Comunione pochi istanti prima
della morte. La scena era commoventissima. Abbracciai quei giovani ad uno
ad uno e dissi loro: "Ti bacio e ti abbraccio a nome dei tuoi cari"
Prima di lasciarlo gli ho offerto un’ immagine, e nel retro scrisse le ultime
parole: "Carissima Maria Pia e Mila catturato dai partigiani insieme
ai colleghi vado a morte tranquillo e certo del perdono di Dio
- non serbar rancore a nessuno
inculca in Mila l'amor di Patria W l'Italia. Abbraccio tutti avverti i miei
parenti - Bernardino».
Tanto l'immagine come un fazzoletto
che mi diede all'ultimo momento sono in mie mani. Mi direte come posso inviarveli
in modo sicuro.
Il vostro Bernardino non
ebbe un momento di debolezza ma con ardore e slancio gridando: W l'italia
affrontò sereno la morte.
Lo Spirito Santo infuse in quel
momento una forza sovranaturale.
Ho voluto rimanere sul campo sino
all'ultimo istante per poter impartire la Benedizione e l'assoluzione generale.
Al lunedì seguente Monsignor Prevosto
di Lecco poté accompagnare la salma al cimitero di Acquate (Lecco) e venne
sepolto al Ceppo nr012.
Come Sacerdote comprendo il loro
dolore reso più acuto dalla notizia di una morte così tragica però accolgano
l'ultimo desiderio espresso dal loro Bernardino di non nutrir odio verso alcuno.
Gesù dall'alto della Croce ce ne ha dato l'esempio sublime e il buon Bernardino
lo ha imitato "Conservi dell'odio?. No mi rispose franco qualche ora
fa si, ora no, perdono a tutti e chiedo al Signore perdono dei miei peccati".
Io ritengo che dal Paradiso pregherà per tutti noi.
Gradite le mie più vive condoglianze
e pregate anche per me.
Il giorno appresso mi sono
dato premura di celebrare una Santa Messa di suffragio. Mi vogliano scusare
il ritardo dello scritto.
Nella carità di N. S. Gesù Cristo
di loro obbligo
RELAZIONE
DEL SENATORE CESARE POZZO
a Lecco quarantasei anni dopo
"Fu un barbaro eccidio non
una dolorosa necessità"
A Lecco, dopo quarantasei anni
dall'aprile del 1945, taluno ancora si chiedeva come realmente andarono le
cose nei giorni 26, 27, 28 aprile durante e dopo la sanguinosa battaglia che
ebbe come epicentro il borgo di Pescarenico e, come protagonisti, da una parte
centosessanta uomini del Gruppo "M" Leonessa e del Battaglione "Perugia"
e dall'altra un numero imprecisato molto più rilevante dei partigiani della
55a Brigata
Rosselli (ed altre).
Si leggeva infatti sul quotidiano
cittadino del 27 aprile 1991 che "sulla tragica vicenda lecchese del
28 aprile 1945 era sempre stata fornita la motivazione di dolorosa necessita’:
come a dire che i sedici giovani ufficiali e sottoufflciali della "Leonessa
e del "Perugia", fucilati al campo sportivo di Lecco, per ordine
del Comando partigiano, si fossero macchiati di crimini di guerra tali da
costringere un sedicente tribunale del popolo a prendere la "dolorosa
decisione" di assassinarli con giudizio sommario, malgrado si
trattasse di militari in regolare uniforme, con precisi segni di riconoscimento
e perciò stesso da considerarsi prigionieri di guerra tutelati dalla convenzione
dell'Aja.
Nessuna diversa interpretazione
dei fatti é sul piano giuridico, storico e morale possibile, nessun'altra
e per nessun motivo. Del resto un atto di resa presuppone la cessazione contestuale
del fuoco e quindi anche degli attacchi agli asserragliati.. Questo è fin
troppo evidente.
Quei sedici ufficiali e sottoufficiali
della "Leonessa" e del "Perugia" si erano arresi, dopo
strenui combattimenti protrattisi dal tramonto del 26 aprile, al tramonto
del 27 aprile, sulla base di precise condizioni sottoscritte da entrambe le
parti e che prevedevano, dopo la cessazione del fuoco
1° - Onore delle armi secondo codice
di guerra,
2° - Salvacondotto entro tre giorni per i mllitari di truppa,
libe:i così di
rient:rare alle loro case,
3° - Applicazione della Convenzione di Ginevra sui prigionieri di guerra per
tutti.
A quel momento i morti delle nostre
fila erano nove, numerosi i feriti.
Cessato il fuoco, il 1° punto fu
rispettato. Ci inquadrammo sul luogo degli scontri e procedemmo in formazione,
affiancati dai partigiani sino alle scuole Ghislanzoni. Marciavamo con le
nostre armi in spalla. La gente di Lecco sui marciapiedi, restava muta a guardare.
Nessuna invettiva salì contro di noi. Probabilmente perché nessuno sapeva
che l'ultima nostra preoccupazione, prima della resa, era stata di mettere
fuori uso le armi.
Va chiarito una volta per tutte
che, se vi fosse stato anche il più marginale dei rilievi da sollevare nei
nostri confronti, quella sfilata drammatica ma solenne e silenziosa non avrebbe
potuto esserci consentita.
Quello che accadde dopo,oltrepassato
il cancello della nostra prima prigione,fu lo scatenamento della barbarie,
com’e’ noto a tutti e come risulta dal memoriale di Luigi Brusa, Rettore
del Santuario della Vittoria, ampiamente diffuso, pubblicato e abbastanza
ricco di particolari, peraltro la relazione dei carristi Lombardi e
Mandelli, allegata al fascicolo pubblicato di recente a cura dei Reduci
del Gruppo "M Leonessa", attualmente in corso di ristampa, per una
più vasta e approfondita documentazione storica, rispecchia con precisione
e puntualità, financo nei particolari più terribili, i fatti.
I
* * *
Ci é stato chiesto: come eravate
finiti a Lecco, quella sera? Una lapide sbrecciata e annerita dal tempo parla
sul posto di nemico "nazifascista" in fuga. Da qualche anno quella
lapide é stata guastata e non più sistemata, sicché l'elenco nominativo di
tutti i caduti partigiani é scomparso, effetto di una debole e ingenerosa
mancanza di memoria storica.
Noi arrivammo a quel tragico "appuntamento
sul lago" dopo un difficile ripiegamento dall'Appennino fra Parma e Piacenza
e la Val Trebbia. Il reparto aveva dovuto tenere la zona resistendo alla pressione
sempre più ravvicinata di reparti partigiani e di calmucchi (ex prigionieri
tedeschi) sotto gli attacchi quotidiani dei cacciabombardieri anglo-americani
mirati alla distruzione dei pozzi petroliferi dell'Agip.
Può sembrare incredibile ma quei
pozzi petroliferi avevano assicurato il funzionamento dei mezzi motorizzati
in dotazione al Gruppo, il resto andava alle Forze armate repubblicane (vedi
relazione Borgatti).
Ai primi di aprile i pozzi petroliferi
di Montechino (Piacenza) furono infine bombardati con il fosforo, incendiati
e praticamente distrutti dagli aerei anglo-americani, ciò nonostante il reparto
della Leonessa mantenne malgrado tutto la posizione, ripiegando su Piacenza
soltanto dopo il 20 di aprile.
La notte del traghettamento sul
Po, il 23 o 24, esplose sotto gli attacchi aerei financo l'arsenale di Piacenza;
le avanguardie corazzate americane in tale scenario apocalittico furono a
lungo contrastate dai giovanissimi carristi della R.S.I..
Arrivammo, con i pochi mezzi rimasti,
a Bergamo il 25 aprile, giusto in tempo per organizzare la colonna al comando
del Tenente Ferraris, completa di due batterie di cannoni da 75/27. L'ordine
ricevuto per radio da Milano era di raggiungere al più presto Como per poi
arrivare al R.A.R. in Valtellina. In forza di quell'ordine, la colonna formatasi
a Bergamo si mosse con i mezzi corazzati, con le due batterie di cannoni,
con un reparto di esploranti e di motociclisti e con numerosi autocarri sovraccarichi
di armi, munizioni e carburanti.
La pioggia, la nebbia e il caso
determinarono lungo il percorso lo sdoppiamento della colonna e il conseguente
dimezzamento del relativo potenziale in uomini e mezzi del troncone in movimento
verso Lecco, direzione Como.
Alle porte di Lecco avvenne Fincontro
con il Battaglione "Perugia" in gravi difficoltà per avarie agli
automezzi. I Legionari del "Perugia" salirono così in gran parte
sui nostri auto-carri e riprendemmo a muoverci insieme, una quarantina della
"Leonessa e circa centoventi del "Perugia".
Fummo fermati all'altezza del ponte
ferroviario sul Corso, in località Pescarenico all'altezza di via Como, da
un intenso fuoco di mitragliatrici. Durante le ore successive ci fu un crescente
scambio di raffiche, di attacchi e contrattacchi con i primi feriti e i primi
caduti.
Frattanto fu posto in atto l'accerchiamento
della colonna e quindi fu deciso di asserragliarci in tre case del Borgo Pescarenico.
Gli scontri, il giorno dopo, furono violentissimi. Vennero impiegati contro
i militari della "Leonessa" e del «Perugia» tutti i mezzi di cui
la 55a Brigata
Rosselli disponeva per effetto degli aviolanci ango-americani. Di più c'erano
le armi consegnate dai tedeschi, già arresisi il 25 e il 26 aprile.
Circa la denominazione……"controllata"
delle formazioni che parteciparono con grande e da noi riconosciuta audacia
alle operazioni, ci fù detto. che si trattava appunto della 55a Brigata
Rosselli. Successivamente la stampa di Lecco di quei giorni pubblicò servizi
e interviste con vari comandanti, tutti coperti da nome di battaglia, sicché
resta tuttora problematico assegnare la competenza e la responsabilità delle
trattative per il cessate il fuoco a questo o quel personaggio.
Così come non é mai stata resa
nota la composizione del "tribunale del popolo" che sentenziò la
fucilazione dei sedici Ufficiali e Sottoufficiali della "Leonessa"
e del "Perugia". In ogni caso la volontà di procedere a una esecuzione
di massa e successivamente alla decimazione e noi ancora alla eliminazione
degli Ufficiali e Sottoufficiali furono sempre prese dinnanzi a noi da uomini
vistosamente bardati di rosso.
Con i commilitoni del "Perugia"
fraternizzammo subito e per tutta la giornata di fuoco, dividendo poi insieme
le esperienze crudeli e violente della feroce prigionia al Ghislanzoni, ad
Acquate, nel campo P.W. di Modena e poi ancora al campo 10 di Coltano.
Dagli eventi di quei giorni a Lecco
i nostri caduti non sono stati lasciati soli. Vi è stata sempre la cura e
il ricordo dei loro commilitoni sopravvissuti, e ciò si é concretizzato in
un cippo eretto nel sacrario della "Piccola Caprera" dove ogni anno
ci rechiamo a rendere onore a tutti i nostri caduti disseminati in Italia.
Va detto anche che, per interessamento
di cittadini di Lecco, e in particolare alla signora Mariadele Tentori,
che videro lo svolgersi della battaglia e seguirono le sorti dei fucilati,
dopo alcuni anni le autorità cittadine hanno ufficializzato la traslazione
dei resti dal cimitero di Acquate, al santuario della Vittoria, dove sono
stati tumulati accanto ai caduti di tutte le guerre, in forma solenne e con
picchetto d'onore dell'Esercito italiano.
Quando i sedici giovani Ufficiali
e Sottoufficiali furono portati dinanzi al plotone di esecuzione avevano già
subito ogni sorta.di oltraggio e di violenza, di scherno ed umiliazione. In
quell'aula della scuola Ghislanzoni dov'erano ammassati centosessanta giovani
"di Pescarenico", esplose la furia bestiale di aguzzini che non
potevano avere niente in comune con i combattenti che ci avevano attaccato
in armi riuscendo a distruggere ogni cosa intorno a noi, incendiando la nostra
colonna, bombardandoci con bazooka, con mortai, con armi pesanti, con due
"dingo" blindate, alla fine addirittura con una sorta di treno blindato,
venendo all'assalto allo scoperto e invano più volte, malgrado tutto. Gli
scontri finali erano avvenuti a distanza ravvicinata, a tiro di bomba a mano.
Ci si poteva quasi guardare negli occhi. Quanti fossero non saprei dire. Certamente
- mi si lasci questo convincimento
- non erano gli stessi che infierirono
su di noi in quella tragica e profanata aula di scuola. Volevano in un primo
tempo dare luogo alla strage, come infatti altrove é accaduto, ad
esempio laddove allievi ufficiali
delle varie scuole e ragazzi in camicia nera sono stati trucidati in massa.
Poi i caporioni di quella pagina di furore selvaggio ripiegarono sulla soluzione
"umanitaria" della decimazione e, visto che il conto tornava, sedici
su centosessanta, accettarono alla fine l'olocausto offerto dagli ufficiali
e sottoufficiali per salvare la vita ai ragazzi più giovani.
Il ricordo é fermo alle parole
del Tenente Ferraris, quando insieme al Sottotenente Satta, venne alle
nostre postazioni per illustrarci le modalità della resa respingendo la nostra
alternativa di una sortita finale, alla grande e in bellezza. Con i due Ufficiali
della "Leonessa" c'era un indescrivibile rapporto di sorridente
amicizia: ci dissero però con molta fermezza che una sortita, in quelle
condizioni essendo quasi del tutto esaurite le munizioni, avrebbe sicuramente
portato a uno scempio imperdonabile di vite giovanissime. Come "veterani"
all'età di diciannove anni, avevamo il dovere di curarci dei ragazzi più giovani,
taluni di sedici anni.
Si è scritto, sempre nel giornale
citato della presenza nelle case di Pescarenico di falchi e colombe:
non é vero, c'erano semplicemente dei giovani che avevano conosciuto lunghe
esperienze di guerra e ragazzini volontari di recente arruolamento.
L'ambizione dentro l'animo di taluno
di noi poteva essere quella di diventare - o prima o poi - ufficiali come
Ferraris e Satta; arrivare alla RAR (ridotta délla Valtellina),
raggiungendo Mussolini a Como e poi, magari vedendo realizzato il progetto
a lungo accarezzato della divisione corazzata "M" per l'estrema
difesa della R.S.I..
Il non essere ancora ufficiali
ci salvò invece la vita; il destino era tutto scritto. Non ci rimase che fermare
e disarmare qualche carrista più giovane nell'atto di tentare il suicidio
con la pistola di ordinanza, ascoltare
le parole del Tenente Ferraris al momento di uscire dalle macerie delle
case sbrecciate e fumanti, dinnànzi al cadavere del Sergente Alessandri,
caduto in battaglia.
E poi quella maledetta prigione, l'addio
dei nostri camerati, la loro ultima indimenticabile lezione di vita.
Queste riflessioni vanno ai giovani
del F.D.G. di Lecco, che hanno voluto ricordare, sul luogo della esecuzione,
i sedici martiri del 28 aprile 1945, chiedendoci di aiutarli a conoscere la
verità. Era un appuntamento al quale avevo sempre pensato, quello di consegnare
a dei giovani la testimonianza intorno a quelle giornate.
L'incontro a Lecco, promosso dal
F.D.G., dirigente Alberto Arrighi, e della locale subfederazione, dirigente
il professor Redaelli, alla presenza dello studioso dottor Viganò, ha
avuto un interessante seguito con la presentazione del volume "Appuntamento
sul lago" di Fabio Andreola, approfondita ricerca storica sulle vicende
dell'aprile 1945 di rara e quindi preziosa efficacia.
La verità storica é che ci fu alla
fine, e soltanto alla fine, una resa a condizioni da parte nostra, due su
tre di quelle condizioni furono tradite e ne seguì dunque un eccidio a guerra
conclusa, una vigliaccata e un crimine senza giustificazione.
Non credevamo, dopo tanto tempo,
che ci fosse bisogno di chiarire alcunché, visto che proprio nella città di
Lecco gli uomini della «Leonessa» hanno ricevuto gli onori militari, da vivi
e da morti.
I giovani della F.D.G. hanno poeticamente
chiamato la testimonianza di Ezra Pound e di Cesare Pavese.
Un accostamento intellettualmente nobile che ha vanificato del tutto la tesi
ciarlatana e sbrigativa della "dolorosa necessità", buona per mettere
in pace la coscienza di chi ha il suo tornaconto nel cancellare la memoria
storica degli eventi.
Lecco, oggi. Città ad alto reddito
pro-capite corre velocemente al traguardo della provincia. Grande centro industriale
sul lago di Como ai piedi della Valsassina e del Resegone di manzoniana memoria
vive le contraddizioni laceranti di una società cittadina operosa, freneticamente
impegnata a colmare i vuoti lasciati dallo Stato, i ritardi nell'attraversamento
sotterraneo del centro, nella costruzione dell'autostrada per la Valtellina.
Nel grande cantiere della Lecco
1991 credo che sia ben difficile trovare occasione per i momenti di riflessione
storica, di onesta rimeditazione intellettuale. Come in ogni centro di attività
febbrile del mondo, la gente pensa giustamente a costruire, a edificare l'immagine
di ciò che sarà la cittadina nel 2000, e vive l'ebrezza di questa lotta contro
l'inerzia dello Stato, contro la pigrizia mentale e le regole lassiste del
potere; può darsi che giorno dopo giorno, goccia dopo goccia, finisca col
cancellare il ricordo del passato e la stessa memoria storica.
Si cerchi di capire il perché del
nostro "no" a una tale ipotesi; in così lunghi e intensi anni di
impegno civile abbiamo coltivato una condizione umana e morale di rifiuto
permanente e globale di tutti i feticci agitati per esorcizzare la nostra
anima di uomini irrinunciabiimente liberi. In questo senso siamo sinceri sino
alla provocazione e crediamo che sulla realtà di oggi, così come sulle verità
di ieri, noi tutti, anziani e giovani, abbiamo le carte per confrontarci con
gli altri, sui problemi, sulle attese civili della gente.
Ma abbiamo anche intenzione di
guardare alle cose con il lucido rigore di una certa intelligenza del mondo
nel quale viviamo nel senso cioé della sua cognizione profonda e meditata.
Per questo ci sentiamo di rifiutare
il senso di una giustificazione ipocrita di certi eventi come stati di necessità,
anche se dolorosa.