Lecco

20 dicembre 2001

 

 

 

28 aprile 1945

 

“Miei cari genitori, fratello e sorella. Muoio col solo dispiacere di lasciarvi; ma ho la coscienza tranquilla di aver fatto il mio dovere, per la santissima causa della Religione, della Patria e della Famiglia (...) ”

 

Poche parole vergate in fretta su un’immagine sacra offerta dal sacerdote, don Brusa, per gli ultimi saluti, per gli ultimi pensieri. Senza rimpianti.

Poi, il plotone.

Al grido di “Viva l’Italia!” cadevano quattro a quattro, uccisi dalla mano dei traditori e degli imboscati. A guerra finita.

Sedici giovani ufficiali e sottufficiali della Guardia Nazionale Repubblicana, del Battaglione Perugia e del Battaglione Leonessa. Sedici giovani leoni che si erano incamminati di propria volontà verso la Morte per salvare le vite dei centosessantuno camerati che avevano combattuto con loro.

 

 

14 ottobre 2000

 

Azione Giovani riesce a far deporre un cippo alla memoria dei camerati caduti allo stadio “Rigamonti Ceppi”.

Non mancarono le polemiche dallo stesso staff di AN, oltre che gli insulti e lo scalpitio della feccia anarcocomunista.

 

15 ottobre 2000- 19 dicembre 2001

 

Infami ricoprono puntualmente la lapide di insulti scritti con spray, vernice rossa, olio per motori.

La loro cultura politica si legge tutta nella frase “cacca fascista”, dedicata pochi giorni fa ai 16 camerati caduti per l’Onore.

 

19 dicembre 2001

 

Viene reso noto che il corteo della manifestazione indetta dal “Kollettivo Autonomo Studentesco” ha ricevuto i permessi di transitare e fermarsi davanti alla lapide della memoria.

Ma il problema non è qui. Il problema è che già altre volte avevano ottenuto i permessi e puntualmente avevano imbrattato la lapide sotto gli sguardi delle forza dell’Ordine, ben lungi dall’intervenire a fermare il bieco gesto di becerismo.

Nel pomeriggio ricevo una telefonata di un camerata di Azione Giovani che mi chiede la disponibilità per creare un comitato di difesa della memoria del 28 aprile.

Non posso fare altro che accettare: saranno molte le differenze tra i movimenti a cui apparteniamo, saranno molti i punti programmatici su cui discutere. Ma la difesa della Memoria di chi è morto per l’Italia, per la nostra Italia fieramente fascista, trascende ogni lotta intestina, ogni scaramuccia ogni presa di posizione.

Così nasce il “comitato 28 aprile” e stabilito il quartier generale, la sera si programma l’azione per il giorno successivo.

Le idee sono tante, ma alla fine, visto che la maggior parte di noi ha impegni di lavoro e la mobilitazione di massa è impossibile a così poche ore di distanza, si decide per una piccola manifestazione nel centro cittadino con un volantinaggio volto a smascherare la bestialità e lo sciacallaggio degli infoibatori della verità.

 

 

20 dicembre 2001

 

Gli autonomi sono circa 150, circondati dal reparto celere di Milano, e appena partito il corteo iniziano ad intonare i loro canti, più simili a grugniti e latrati che a inni di gioia e di lotta, ma si sa, loro non lottano per un’idea, loro lottano per il caos e per la menzogna, per mantenere quella viscida patina muffa e fetida di finto eroismo che ancora ricopre quei vetusti vigliacchi che nei giorni di battaglia si nascondevano sui monti sparando alle spalle di chi ebbe il coraggio di indossare una divisa.

Noi, una ventina, siamo in stazione fin dalle sette a volantinare, per far capire come la manifestazione contro la riforma Moratti non sia che un pretesto per inscenare il solito squallido teatrino dove bestie farneticanti completamente ubriache e con la mente annebbiata dai fumi della loro “kultura” si preparano ad urlare, insultare e infamare dei ragazzi morti per aver creduto nell’Italia e nel suo Duce.

Il corteo striscia, arranca e barcolla fino alla lapide.

Che bella l’italiana gioventù, con le bandiere della Jamaica che sibilano nel vento, con i rasta, ricoperti di stracci sudaticci e sporchi, con il fiato avvinazzato e lo sporco addosso.

Non solo sporco fisico, sporco ideologico: 50 anni di bugie, 50 anni di propaganda portata avanti da Presidenti partigiani che baciarono la tomba di Tito o che fraternizzano con la Massoneria internazionale hanno avuto il loro bieco effetto.

“MORTE AL FASCIO!”!

“FASCISTI, CAROGNE TORNATE NELLE FOGNE”!

Ecco i loro slogan, logori e abusati come sempre, come l’ideologia abbietta a cui si rifanno o pensano di rifarsi.

E l’immancabile “Bella Ciao” si alza nel plumbeo cielo di una fredda mattina invernale tra i monti che videro spostarsi le truppe che si preparavano a combattere del ridotto valtellinese.

Qualcuno appoggia sulla lapide un cartello con la scritta “vigliacchi ieri, vigliacchi oggi”.

Sputi, insulti, qualche bottiglia sul muro.

Infreddoliti e con la faccia tagliata dal vento i camerati erano sempre in piazza, circondati da volanti dei carabinieri e della polizia.

Che emozione vedere il sole fare capolino da dietro una nube fino a illuminare con la sua forza i tricolori e le celtiche che garrivano in Piazza XX settembre!

Che emozione vedere gli amici di sempre inquadrati e orgogliosamente fieri dell’azione che stavamo compiendo, finalmente uniti. Anche se solo per una volta, poi, chissà...

Sono le 11 e il corteo si sta sciogliendo come neve al sole, si disperdono e iniziano a girare in mandria per il centro cittadino: erano stati avvisati che noi, anche se in forte minoranza numerica, non gli avremmo lasciato la piazza e avremmo fatto di tutto per cancellare metro per metro le fetide tracce che si lasciano dietro.

I primi anarchici con le bandiere rosse iniziano a passarci vicino cantando inni a quello che loro definiscono come “il più grande pacifista della storia a cui tutta la sinistra si rifà”, tale Dottor Ernesto Guevara detto “Che”.

Professione?

Guerrafondaio e guerrigliero...bell’esempio di pacifismo.

Ma d’altra parte non gli si può fare una colpa della loro ignoranza, lo idolatrano solo per il mistico alone che lo circonda, qualcuno solo per il suo fascino e il bell’aspetto.

Non sanno nemmeno di che nazionalità fosse, come fargli capire che forse non hanno la minima idea di quello di cui parlano?

Ci insultano, ma la fiera militanza non si smuove dalla posizione e continua imperterrita la propria azione di volantinaggio mentre vede la polizia lasciar passare indisturbati i provocatori.

In quel momento tornano due camerati che non vedevamo da tre quarti d’ora: erano stati fermati dalle forza dell’ordine perché hanno osato stare a cinquanta metri dal corteo del “Kollettivo”...

Beh, la legge è uguale per tutti, loro passano e insultano, a noi sequestrano i documenti e ci controllano anche la marca delle mutande. Ah, la democrazia.

Ma non finisce così: un rasta ci vede, inorridisce e corre a chiamare i suoi degni compagni (di merende...).

Un forte odore ci colpisce le narici, molto simile a quello di una stalla, o meglio all’acre puzzo di una capra di montagna: arrivano e sembrano essere tanti.

Noi siamo rimasti in pochi, molti sono dovuti andare al lavoro, e non superavamo la decina, loro quasi 50.

Cominciano a gridare “tutti i fascisti come Ramelli...” E i loro soliti slogan insulsi e bestiali.

Ci scaldiamo e l’adrenalina inizia a salire mentre qualcuno di loro chiede alla polizia di poter passare nella piazza: “Non vogliamo provocarli, vogliamo solo andare al bar in fondo alla via...”...non penso di dover fare altri commenti.

Continuano le urla, gli slogan e noi ci stringiamo a quadrato e cominciamo ad avanzare.

Qualcuno mostra delle saponette chiedendo ai lerci di rossovestiti se sapessero cosa fossero o come usarle e non ottenendo risposte, al grido di “lavatevi lerci!” cominciamo a muoverci. Loro sono a una quarantina di metri e non si muovono, se non per indietreggiare lentamente di qualche passo.

Noi acceleriamo e i carabinieri formano un cordone per fermarci ed evitare che il “bianco natal” lecchese si tinga di rosso...

Ci chiamano vigliacchi.

Ci urlano di essere dei cani senza coraggio.

Ma il coraggio non si vede 50 contro 10, si vede stando in 10 e tentando di caricarne 50.

Il coraggio non lo si acquista ne mantiene insultando la memoria di un morto, di qualsiasi morto, men che meno per un ragazzo coraggioso, come il Sottotenente Rinaldi che si è sacrificato per salvare i suoi uomini.

 

“mamma, babbo, fratello Ivano, muoio in camicia nera (...) ”

 

Chi non ha Onore non può ne comprarlo ne acquistarlo. Chi non ha coraggio non può inventarselo o mascherarvisi.

 

Per la prima volta in piazza c’era uno schieramento d’area solo, un fronte che ha unito per una causa comune due forze politiche con diversa impostazione, Forza Nuova e Azione Giovani, c’era una campana sola, una sola parrocchia, non mille sigle che si dividono cento militanti.

Non so se si ripresenterà l’occasione di trovare un punto ideologico che ci riavvicinerà nelle strade, non so se un domani saremo dietro la stessa barricata, so solo che devo ringraziare i camerati intervenuti stamattina che come al solito si sono resi disponibili anteponendo la Lotta al privato.

 

E chissà che presto non si possano vedere le bandiere della Repubblica sventolare nel cielo con mille fiaccole, davanti ad un cippo bronzeo...

 

 

Fulmine - Comitato 28 aprile

 

* Testimonianze sull'eccidio tratte da www.italia-rsi.org

 

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