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Tempio di Antas

Il tempio di Antas

una ricerca di Daniela Rapetti

Il tempio di Sid sorse intorno al 500 a. C., sul rilievo del monte Conca S'Omu, a 363 m. sul livello del mare, in un'area delimitata dalla presenza di un affioramento calcareo che assunse il ruolo di roccia sacra.

Inizialmente doveva trattarsi di un semplice sacello rettangolare, all'incirca di m. 9 x 18, accessibile dal lato sud-orientale. Era orientato con gli spigoli in modo che l'angolo di destra fosse rivolto a nord ( si trattava di un rituale semitico derivato dalla credenza che le divinità avessero dimora celeste a nord).

Internamente, addossato al lato sud-occidentale si ergeva l'altare, forse a cielo scoperto, costituito dalla roccia sacra e delimitato da bassi muretti di schegge di calcare bianco. Sulla roccia sono state indviduate tracce di bruciato, che testimoniano sacrifici alle divinità, con un'ipotesi anche di olocausto. Un grandissimo t?menos quadrato, con un lato di circa 68 m. , composto da pietre calcaree, circondava il sacello.

Intorno al 300 a. C. il tempio fu ampiamente ristrutturato, secondo modelli punico-ellenistici. Con molta probabilità dall'antico sacello furono ricavati un vestibolo, un vano mediano e un penetrale provvisto di un'ala parallela al muro perimetrale nord-orientale, mentre l'ingresso e l'orientamento rimasero invariati. Il penetrale fu dotato di un pavimento in pietrisco e calce, ancora visibile nello spazio di m. 5,5 x 4,5 riaffiorato durante gli scavi. Anche qui sono state rinvenute tracce di bruciato, segno che anche questo, oltre all'altare, era luogo di sacrifici. La decorazione esterna fu quella più coinvolta dalle modifiche. Anche ad Antas vennero introdotti gli elementi tipici dell'ellenismo punico, derivanti dall'Egitto tolemaico. E' probabile che due colonne con capitelli dorici privi di funzione portante ornassero il prospetto del sacello, delimitato nell'estremit? superiore dalla corice a gola egizia. Questo misto di stili architettonici greco-egizi ? tipico dell'ecclettismo cartaginese, e lo ritroviamo infatti anche nel grande tempio di Tharros. Tra il lato nord-orientale del sacello e il muro parallelo del t?menos é stato rilevato un ambiente rettangolare di m. 12,3 x 3,3, contenente frammenti di sculture votive cartaginesi, suggerendo l'ipotesi di deposito ex-voto. A distanza di 9,7 m. dalla scalinata, in direzione sud-ovest, sono stati evidenziati i segni di una struttura in pietrame dalle dimensioni di m. 1,15 x 0,83, che quasi certamente costituiva un altare a cielo aperto.

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Le tracce del culto punico sono andate quasi interamrnte perdute durante la ricostruzione del tempio in stile romano-italico, probabilmente in età augustea (27 a. C. - 14 d. C. ). Ancor oggi sono però visibili alcuni resti punici, evidenziati durante gli scavi.

E' visibile la traccia di un muro di schegge piatte calcaree, cementate con una malta di fango scuro, a due metri dall'inizio della scalinata in direzione nord-ovest, in corrispondenza dell'estremità sud-occidentale. E' molto probabile che questo muro facesse parte del lato sud-occidentale del sacello punico.

Sempre in direzione nord-ovest, a 8 m., possiamo osservare altri residui murari edificati attraverso la stessa tecnica della prima struttura, che si trovano immediatamente a monte dei muretti (di 90 cm. di altezza) di scheggie arenarie cementate da fango rossastro, di et? romana. Questi muretti sono addossati ad una grande roccia calcarea, con la quale definiscono un quadrato del lato di 4,75 m.

A nord-ovest da questa roccia si osserva un pavimento di calce e pietrisco delle dimensioni di m. 5,5 x 4,5, che si estende al di sotto dei gradini del tempio raggiungendo le fondamenta del podio.

I lati nord-orientale e sud-orientale della gradinata sono costituiti da blocchi in aenaria appartenenti alla precedente struttura punica.

Sono stati evidenziati 3 elementi di gole egizie, rocchi di colonne e due mezzi capitelli dorici scolpiti nell'arenaria e rifiniti con stucco color avorio. Lo stesso alto podio é stato realizzato anche con l'uso di membrature architettoniche puniche, utilizzate come materiale di riempimento.

Tra i numerosi reperti, la scultura greca più antica recuperata ad Antas é una testa in marmo pario, a grossi cristalli, raffigurante con molta probabilità Afrodite, risalente al 420 a. C., attribuita ad una bottega di Argo, in cui si riscontrano influenze policletee ed ateniesi. Un'altra testa femminile, velata, rappresenta forse Demetra, ed é datata intorno alla metà del III secolo a. C., scolpita ad Alesssandria su modello di Skopas. Allo stesso ambiente é attribuita la testa muliebre in marmo bianco, rappresentante Kore. Sono state recuperate anche una statuina di danzatrice in alabastro, un frammento di statuetta femminile rivestita con peplo e mantello e un torso maschile in marmo bianco pario, attribuiti alla scuola alessandrina, della seconda metà del II secolo a. C.

Queste ultime sculture testimoniano la prosecuzione del culto di Sid nell'antico tempio punico, benché in epoca politicamente romana, per gran parte dell'età repubblicana, dal 238/37 a. C. a tutto il II secolo a. C. e forse fino al I.

Inoltre, sono stati recuperati diademi, borchie e pendenti, chiodi in bronzo con capocchie laminate in oro, amuleti egittizzanti e centinaia di monete bronzee provenienti dalla Sicilia, da Cartagine e dalla Sardegna, del periodo tra il IV e il III secolo a. C.

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Il Tempio di Sardus Pater

Il tempio punico sopravvisse quindi fino al I secolo a. C., in età tardo-repubblicana. Questa datazione ci é confermata dagli scavi effettuati nell'area: infatti sotto la pavimentazione della gradinata del tempio romano sono stati evidenziati elementi architettonici punici, frammenti di iscrizione cartaginese del III sec. a. C. , un frammento di statuina e di un vaso del II sec. a. C. , utilizzati come materiale di riempimento. Un'ipotesi é che questi oggetti votivi fossero stati utilizzati per l'immediata ricostruzione del luogo di culto romano dopo la violenta distruzione di quello punico. Una seconda, più accreditata, riguarda il fatto che questi oggetti avessero da tempo perduto il loro valore sacro, portandoci ad ipotizzare che fosse trascorso del tempo dall'ultima offerta alle divinità.

La costruzione del tempio è attribuita ad Augusto, secondo l'analisi degli elementi architettonici e decorativi e sulla devozione del futuro imperatore al Sardus Pater. Infatti quando Ottaviano, nel 38 a. C. conquistò la Sardegna, fece coniare , nella zecca di una imprecisata città sarda, una moneta in bronzo, raffigurante sul dritto il profilo di M. Azio Balbo, pretore della Sardegna nel 59 a. C. e suo avo, e sul rovescio il profilo del Sardus Pater. Questa moneta é nota in diverse varianti sia iconografiche, che epigrafiche, metrologiche e dimensionali, di ui si conoscono oltre 200 esemplari, a Nora, Tharros,, Sulci, Olbia, Arborea, Tonara, Guasila, Cabras, Narbolia, Bithia, Othaca, Cornus, Vallermosa, Arbus, Samassi e Gonnosfanadiga. La moneta documenta quindi la devozione di Augusto nei confronti dell'importantissima divinit? locale, che crebbe attraverso l'edificazione del tempio dedicato al Sardus Pater, sulle rovine dell'antico luogo di culto.

Il tempio mantenne l'orientamento del sacello punico, articolandosi in una gradinata , dalle dimensioni di m. 17,25 x 9,3 , e nel podio, elevato da terra di m. 1,1 e dalle dimensioni di m. 23,2 x 9,3. Sull'area occupata precedentemente dal tempio punico venne costruita la gradinata, di cui poco si conserva a causa degli scavi clandestini, che era composta da numerosi gradini. Sul quarto piano si elevava l'ara sacrificale, secondo i canoni rituali romani, proprio sul punto in cui stava la roccia sacra punica. L'unico lembo di gradinata superstite é quello dell'angolo nord. I ripiani erano pavimentati in cocciopesto; i lati brevi erano costituiti da blocchi di calcare, mentre le fiancate erano costituite da blocchi di arenaria riciclati dalle architetture puniche. Questi blocchi contenevano ancora materiale punico recuperato, scaglie di arenaria cementate con malta di fango rosso. Questo procedimento di realizzazione dei basamenti é comune in ambito greco (es. Zeus Olimpio ad Agrigento), e in contesti punici (tempio di Tanit a Nora) e romani (tempio di Venus a Caralis). IL podio é realizzato in opus quadratum, delimitato da blocchi di calcare collegati da incavi a code di rondine (come a Tharros, a Roma nell'Ara Pacis e nel foro di Augusto), ed ha proporzioni di 2,5 : 1. Il tempio é dotato di pronaos, naos e adyton bipartito. Il pronaos ha 6,6 m. di profondità, con quattro colonne frontali e due sui lati. L'intercolumnio frontale é di tre metri mentre le colonne laterali distano da quelle frontali 2,4 m. Le colonne, in calcare locale, sono composteda rocchi lisci, per un'altezza ricostruita di 8 m., hanno basi attiche e capitelli ionici. I capitelli, costruiti sul luogo da scultori locali, si differenziano in proporzioni dal canone ionico, per la mancanza dell'abaco e del canale delle volute. Le anomalie dal modello ionico, come ad esempio il fusto liscio, sono forse attribuibili al significativo restauro sotto Caracalla, tra il 213 e il 217 d. C. La datazione del III sec. d. C. per il prospetto tetrastilo é confermata dall'iscrizione sull'epistilio:

Imp(eratori) (Caes(ari)M.) Aureflo Antonino. Aug(usto) P(io) F(efici) temp( ( l (um) djei (salrdi Patris Bab(ilvetustate clon(lapsum) (?) (--- l A(restitue(ndum) cur(avit/ Q (?) Co(effius o Co(ccelius Proculus)

“In onore dell'Imperatore Cesare Marco Aurelio Antonino Augusto, Pio Felice, il tempio del dio Sardus Pater Babi, rovinato per l'antichità fu restaurato a cura di Q (?) Celio (o Cocceio) Proculo". Questa dedica é infatti datata tra il 213 e il 217 d. C. Il tempio era coronato da un frontone triangolare, quasi interamente distrutto già nella prima metà dell'Ottocento. Anche la pavimentazione del pronaos é andata perduta, a causa dei deturpamenti clandestini. In fondo al pronaos vi era il muro sud-occidentalwe del naos, nel quale era situata la porta di accesso, di cui si osservano le tracce della soglia di 2 m. La cella (alla quale si accedeva anche tramite due ingressi laterali, a m. 1,95 dalla parete di fondo, larghi i,9 m. e accessibili tramite tre gradini) aveva dimensioni di m. 11,25 x 7,4, ed era decorata da pilastri addossati alle pareti, mentre il pavimento conserva il rivestimento in mosaico su tutta la superficie. Questo mosaico si presenta con una fascia bianca di raccordo di m. 2,36 ed un bordo nero di 18 cm., che circonda l'area completamente bianca.

Il muro di fondo possedeva due porte, larghe 1,3 m., che davano accesso ai due piccolissimi locali pressoché quadrati, a cui si poteva accedere discendendo tre scalini di 25 cm. Di fronte a queste porte si aprono due bacini quadrati di m. 1,2 di lato per 1 m. di profondità. Queste vasche, rivestite in cocciopesto, sono impermeabili, ed avevano la funzione di contenere l'acqua lustrale per i riti di purificazione. Il tetto del tempio era originariamente ricoperto di tegole piatte, coperte nelle connessure da coppi con estremità ornate di antefisse di terracotta, raffiguranti un personaggio alato, forse Scilla, sfociante, nella parte inferiore, in due volute. Le lastre "campana" del tempio romano sono, sotto l'aspetto mitografico, ancora in fase di studio. tra le figure appaiono una chimera, un grifo e figure muliebri ammantate e alate, tipiche del classicismo augusteo. secondo un modello diffusissino dall'età arcaica a quella tardo-imperiale, i gocciolatoi raffigurano teste di leoni. La decorazione fittile, di colore ocra-arancio, probabilmente provviene dalle botteghe urbane, rappresentando così la più antica importazione in Sardegna di opus doliare.

In sintesi, dalle notizie ottenute attraverso gli scavi, possiamo dire che il tempio romano di Antas fu edificato con molta probabilità sotto Augusto, seguendo un modello romano-italico influenzato dalla persistenza culturale punica, che impose l'orientamento con gli angoli e le aperture laterali, il padyton bipartitop e le vaschette per i riti di purificazione. Sicuramente dotato di un ricco ornato, possedeva con molta probabilità un mosaico pavimentale policromo. In uno dei due vani dell'adyton doveva essere collocata la statua in bronzo del Sardus Pater, di cui é stato ritrovato un dito della mano, le cui dimensioni, 15 cm., lasciano facilmente immaginare quelle gigantesche della figura: oltre tre metri. Anche l'altro ambiente ospitava probabilmente una statua. Caracalla attuò un significativo restauro, privando il prospetto delle terrecotte e decorando il pavimento con un nuovo mosaico. Il culto del Babai-Sid-Sardus si concluse, dopo millenni, nel IV secolo d. C., con la diffusione del Cristianesimo, con l'affermazione della libertà di culto del 313 da parte di Costantino e la proclamazione del Cristianesimo religione di stato da parte di Teodosio.


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Archeologia

Il periodo nuragico


Il villaggio di Antas

L'antico villaggio dista soli 200 m. dal tempio, in direzione sud-ovest. Si tratta di edifici a pianta sub-circolare, costruiti da pietre di piccole dimensioni cementate con fango. Questi edifici hanno un diametro variabile tra i 3 e i 6 m., e sono circondati da mura dello spessore di mezzo metro; la pavimentazione é composta da lastre irregolari di pietra e frammenti di terracotta. L'insieme di ambienti era cinto da un mura non continue ad andamento curveggiante, su cui si apriva un varco per il passaggio di uomini e carri. Dagli scavi é risultato che il centro fosse frequentato anche in età tardo-romana. I reperti archeologici sono di manifattura locale, anche se non mancano ceramiche di provenienza africana. Sono stati ritrovati anche vetri, lame e punte di ferro, un peso con l'inicazione in greco di tre onze e un orecchino in bronzo, tutti datati tra il IV e il V sec. d. C.

Inoltre sono venute alla luce quattro tombe a cassone, tra le abitazioni ed il muro di cinta; una di queste possedeva un corredo di tre brocchette di ceramica, risalenti al tardo antico o all'alto medioevo. Lo scheletro del defunto aveva all'anulare sinistro in argento e stagno, decorato da un serpente e riportante un'iscrizione latina che documenta la devozione al Sid-Babai.