L'EQUAZIONE DEL PROFESSOR PANTAREI
di Antonello Goi
Il segnale orario delle sei del mattino pulsava, con un ronzio di sottofondo che svelava la cattiva qualità della radiosveglia.
Luigi aprì gli occhi di scatto, come se qualcuno lo avesse strattonato per svegliarlo.
Stava dormendo profondamente, un sonno pesante: quasi non ricordava a che ora fosse andato a letto la sera precedente, cosa avesse fatto, cosa avesse mangiato, cosa stesse leggendo.
Rimase per qualche tempo con gli occhi aperti, senza vedere. La stanza era immersa nel buio, fatta eccezione per i led rossi della radiosveglia: zero sei zero zero.
- Le sei
disse Luigi
- Devo alzarmi
Allungò la mano davanti a lui per raggiungere il comodino e spense la radio: la stanza precipitò nel silenzio assoluto, un silenzio materiale, denso come l'oscurità che permeava tutto lo spazio attorno.
Trasalì, un brivido di freddo lo percorse per tutta la persona e una strana sensazione di angoscia gli accelerò il battito del cuore.
Accese la luce e si sedette sul letto tenendo le coperte sulle gambe.
- Forza!
Si diresse alla finestra, prese il filo del riloga e lo distese con malavoglia, quasi con timore; le tende spiegazzate si ritirarono su sé stesse.
Aprì la finestra con un gesto meccanico e la spalancò. Fuori era ancora buio, il traffico scarso, il furgone dei giornali stava scaricando davanti all'edicola, il tram era passato senza fermarsi davanti alla fermata deserta. L'aria era ferma, immobile.
Nemmeno una bava di vento!, pensò.
Poi guardò il cielo: un cupo colore nero lo sovrastava, niente stelle, niente luna, niente nuvole: sembrava una abisso , una voragine lugubre, tetra, una immanenza terribile.
Scosse la testa, si allontanò dalla finestra portandosi addosso una sensazione di angoscia.
Come tutte le mattine accese la televisione e prese a preparasi il caffè: la cucina era grande, tipica delle case di una volta, e lo scarso arredamento la faceva sembrare ancora più ampia.
Acceso il gas, si sedette al tavolo in attesa che il caffè salisse nella moka; guardò distrattamente la televisione, la fine di un film.
- Strano, dovrebbe esserci il telegiornale delle sei!
Guardò l'orologio da polso, il cronometro di suo padre, l'unica cosa che gli era rimasta di lui dopo che morì all'ospizio: le cinque e cinquanta.
Ma la sveglia...deve essere guasta! Del resto quando l' ho comprata costava poco, dovevo immaginarlo.
- Al diavolo
Spense la televisione.
Davanti allo specchio si aggiustò la cravatta, il nodo appariva frusto dall'usura; quando l'aveva comprata? Dieci anni prima? O forse quindici?
- Chi se ne frega! Per quei quattro cani di colleghi....
Guardò nuovamente l'orologio al polso: le cinque e cinque.
- Cristo! S'è fermato! Che cavolo di ore saranno?
Si girò verso il letto. La radio sveglia segnava le cinque e sette.
- Anche questa si è guastata.....bel modo di iniziare la giornata! Senza sapere che ore sono!
Luigi parlava spesso da solo. Gli figurava di farsi compagnia: si poneva delle domande, si rispondeva.
Non si era mai sposato, non aveva amici, viveva in quel piccolo appartamento in affitto da quasi trenta anni: casa, ufficio, casa.
Durante le feste se ne stava rinchiuso. I vicini oramai non lo salutavano più.
Per fare la spesa prendeva il tram e cambiava in continuazione negozi e supermercati: non voleva avere contatti con nessuno.
Il portone di casa era ancora chiuso. Luigi cercò in tasca le chiavi, aprì con rabbia e si trovò fuori, sul marciapiede.
Non c'era nessuno: automobili, persone, l'edicola era chiusa, il bar chiuso.
D'istinto guardò l'orologio: le quattro e cinquantasette.
Gli occhi si fermarono sulle lancette: le quattro e cinquantasette. Aprì la bocca ma non disse nulla.
Con un gesto rapido, quasi uno strappo, abbassò la manica del soprabito per coprire l'orologio, come a nasconderlo.
Poi si guardò nuovamente attorno: non c'era nessuno.
Una soffocante sensazione di gravità lo opprimeva, non riusciva a spiegarsi cosa stesse accadendo.
- Sto ancora sognando, non mi sono ancora svegliato...è...è..un..incubo..
Era sceso senza accorgersi in mezzo alla strada: all'improvviso due fari lo abbagliarono, una macchina era apparsa come saltata fuori dal buio e puntava su di lui.
Alzò le braccia davanti al volto per proteggersi, sentì il cuore battere all'impazzata e attese l'urto.
Nulla.
Abbassò le braccia e le distese lungo il corpo: aprì gli occhi: davanti a lui solo l'oscurità.
Respirò profondamente, ma l'affanno continuava ad gravare il suo respiro: aveva fame d'aria, il petto si gonfiava e sgonfiava rapidamente via via che riempiva e svuotava con ansia i polmoni.
Si girò di scatto, due fanalini rossi si allontanavano velocemente fino a dissolversi, inghiottiti dal nulla.
Si incamminò verso il marciapiede e si sedette. Prese la testa fra le mani.
- Che mi succede? Cosa sta capitando? Che ho fatto?
Il cuore continuava a battere forte, lo sentiva pulsare nelle tempie, le gambe parevano di marmo.
- Le ore! Che ore...sono?
Allungò il braccio destro e scoprì la manica. Ma non aveva il coraggio di guardare, teneva la mano sul quadrante dell'orologio.
- Al diavolo!
Con un gesto secco portò il braccio sotto la luce spiovente dal lampione: le quattro e quarantacinque.
Si alzò in piedi, infilò le mani nelle tasche dell'impermeabile e prese a camminare in mezzo alla strada.
Continuò senza fermarsi; ogni tanto una macchina, un camion lo trapassava. Luigi non si spostava, continuava a camminare diritto davanti a lui.
Era arrivato dall'altro lato della città, il parco Nord, le gambe gli facevano male.
Si sedette su una panchina e rialzò il bavero. Non faceva freddo, ma aveva i brividi.
- Sono il professor Pantarei, lei si chiama?
- Io? ..Lei..lei chi è? Dove siamo?
L'uomo apparso all'improvviso mostrava una sessantina di anni, vestiva con abiti scuri, di foggia inconsueta.
Si sedette a fianco di Luigi e posò la mano destra sulla sua spalla.
- Appena arrivato? Eh? Vedo che è ancora...spaventato! Sono il professor Pantarei, insegnavo fisica ah, già! Dove siamo?..ma qui, naturalmente!
Luigi lo guardava smarrito, la bocca aperta, gli occhi attoniti.
- Vede? Sta ritornando la luce! E sa perché? Perché è il tramonto! Tra poco sarà sera, poi pomeriggio...fino all'alba e poi.....cosa viene prima dell'alba?....la notte! Ancora buio!
Luigi si alzò di scatto dalla panchina, ma Pantarei lo trattene per la manica dell'impermeabile.
- No! Aspetti...è meglio che si sieda qui, vicino a me, cercherò di spiegare cosa è successo. Cosa le è successo..cosa ci è successo.
Pantarei sorrise, prese le mani di Luigi e le strinse tra le sue.
- Dove siamo? Nella sesta dimensione! Sono le diciotto e trenta al suo orologio? Ma quella è l'ora di questo tempo....di un altro spazio...
Cavò di tasca un taccuino e cercò una pagina bianca, poi estrasse dal taschino della giacca una matita.
- Guardi qui
Luigi era come ipnotizzato; fissò con ansia la pagina bianca e attese che quell'uomo continuasse a parlare.
Pantarei disegnò due cerchi, uno accanto all'altro. Poi scrisse A in quello di sinistra e B in quello accanto.
- Lo spazio A e B, due s-p-a-z-i identici!
E disse spazi sillabando le lettere.
- Lo spazio - sospirò - è un continuum a tre dimensioni illimitate che coesistono nello stesso momento. Ma lo spazio, questo spazio , l'A oppure il B, esiste in sé, come luogo dove noi siamo allineati, è una proprietà delle cose stesse...di questa panchina, di questi alberi oppure è una modalità soggettiva con la quale percepiamo certe proprietà e certe relazioni dell'essere?
E quanti spazi esistono? A B C D...fino all'infinito!
Pantarei riprese in mano la matita e disegnò una freccia in senso orario nel cerchio A e una in senso antiorario nel cerchio B
- Vede? Qui, nello spazio A il tempo scorre..per cosi dire in avanti..da sinistra a destra. Da oggi a domani...nello spazio B il tempo scorre all'incontrario..da oggi a...ieri!
E mentre spiegava accompagnava le parole con larghi gesti delle braccia a indicare il procedere del tempo.
Luigi respirò profondamente, l'affanno si era calmato, una insolita sensazione di tranquillità era scesa in lui: la vicinanza di quell'uomo aveva avuto un effetto rassicurante.
- Ma cosa è successo?
- La sua percezione dello spazio..è, per così dire, trapassata nello spazio B, dove il tempo scorre..all'indietro. Oggi è ieri, ieri sarà domani..
- No...non capisco..
- Ecco, lei è passato attraverso uno...strappo spaziale... dal suo spazio a questo spazio..perfettamente identico all'altro meno che per il tempo.
- Qui...indicando con l'indice della mano sinistra il suol... qui si ritorna al passato! Lo spazio A, o B, o C...è un continuum illimitato con il tempo, una dimensione di cui noi occupiamo un punto determinato che si sposta continuamente nella stessa direzione...dal punto di partenza!
Luigi guardò in alto i palazzi lontani, ormai completamente illuminati dal sole.
- Vuol dire che sto ritornando indietro nel tempo?"
- Non esattamente, non indietro. Qui, in questo spazio il tempo ...diciamo..gira, si gira, in un altro senso! Per quelli che vivono questo tempo il suo tempo…. va all'indietro. E' il punto di vista! Capisce? Se si guarda allo specchio la sua immagine è la stessa, ma riflessa al contrario! Se mette uno scritto allo specchio, come lo vedrà? Al contrario!"
- E..allora perché non si vede anima viva in giro? Perché accidenti le macchine mi passano attraverso? Perché il mio orologio va all'indietro?"
- Anche io mi ero posto queste domande...ma lasci che le racconti come sono arrivato qui! Dunque, quanto tempo è passato? Chi lo sa? Stavo lavorando ad una mia intuizione proprio sul tempo. Sulla sua direzione. Ero partito dal punto zero: prima del tempo non c'era nulla o c'era lo spazio? Ecco, se metto zero al numeratore e lo 'spazio' al denominatore, tutto va zero, mi capisce?"
Prese il taccuino e scrisse:
0
t = --
s
- Prima di Einstein, lo spazio era un concetto basato sui dettati della geometria euclidea, e il tempo..diciamo che andava per conto suo...dal presente al futuro, passando attraverso ieri. La mia formula, così, andrebbe a dimostrare che prima del punto di partenza non c'era...nulla! O c'era un tempo che andava a..ritroso? E lo spazio?
Prese la matita e scrisse:
- 0
-t = --
s
Luigi distolse lo sguardo dal taccuino di Pantarei e si guardò attorno. Gli pareva che il suo pensiero fosse come paralizzato, non riusciva a collocarsi nella situazione in cui si trovava, non percepiva alcuna emozione, nessuna sensazione, nessun calore, né suono, né assillo. Una sentimento di vuoto gli ingombrava la mente
Il sole era ormai alto, il parco deserto riluceva di un verde abbacinante, di una sola tonalità brillante; gli alberi si stagliavano di un assurdo colore nero, come pennellate in un cielo bianco.
All'improvviso si accorse che il professor Pantarei era scomparso: si alzò di scatto, dove era andato? Perché lo aveva lasciato solo?
Il cuore prese a battere nuovamente all'impazzata, voleva correre ma le gambe erano come devitalizzate.
Il segnale orario delle sei guizzava secco dalla radio sveglia.
Luigi aprì gli occhi di scatto, come se qualcuno lo avesse strattonato per svegliarlo.
Stava dormendo profondamente, un sonno pesante: quasi non ricordava a che ora fosse andato a letto la sera precedente, cosa avesse fatto, cosa avesse mangiato. Sentì il cuore battere forte nel petto.
Si ritrovò fra le mani il libro che stava leggendo, prima di addormentarsi: "Luciano De Crescenzo: Il Dubbio"
Accese la luce e si sedette sul letto tenendo le coperte sulle gambe.
- Forza!
Si diresse alla finestra, prese il filo del riloga e lo distese con malavoglia, quasi con timore; le tende spiegazzate si ritirarono su sé stesse.
Aprì la finestra con un gesto meccanico e la spalancò. Fuori era ancora buio, il traffico scarso, il furgone dei giornali stava scaricando davanti all'edicola, il tram era passato senza fermarsi davanti alla fermata deserta. L'aria era fresca, quasi frizzante.
Pare una buona giornate!, pensò.
Poi guardò il cielo: un tiepido azzurro lo sovrastava annunciando una giornata serena, qualche stella riusciva ancora a raggiare, la luna era sorta, niente nuvole.
Luigi guardò in basso: alla fermata del tram un uomo.
L'uomo apparso all'improvviso mostrava una sessantina di anni, vestiva con abiti scuri, di foggia inconsueta.
Improvvisamente l'uomo si girò e guardò nella direzione della sua finestra; Luigi si ritrasse d'istinto, ma poi una strana forza ,lo costrinse a riaffacciarsi.
La, sulla strada, quell'uomo lo salutava sorridendo, agitando con la mano destra un taccuino.