Il viaggio come metafora attraverso la prosa

RICORDI NELLA PIOGGIA

di Fabio Lastrucci

 

 

Era la prima goccia.

Se ne accorse un attimo dopo aver fatto il salto che la separava dalla sua soffice nuvola-madre.

<<Com’è blu questo cielo! Com’è fredda l’aria! Come sono lontane le sorelle>>. Plic cadeva veloce davanti a tutte. Era davvero la prima goccia.

Pioveva con milioni di altre in un giorno abbastanza pigro di maggio. Sopra di sé, una grande nuvola le faceva ombra proteggendola dai raggi del sole e sotto un cuscino di bruma si apriva man mano rivelandole il mondo colorato che l’attendeva.

Dove sarebbe finita, in uno stagno? Su di un campo? La goccia se lo chiedeva con l’impressione di avere già dentro sé la risposta. Se soltanto l’avesse ricordata...

Il mare le sarebbe piaciuto. Finire inghiottita da quelle grandi acque doveva essere meraviglioso, proprio meraviglioso.

<< Sono certa che è il posto dove andrò. >> si disse Plic fiduciosa.

Mentre il paesaggio intorno si faceva sempre più vasto e vicino, un’idea le sfrecciò nel cuore, troppo veloce per essere chiara. Plic non le prestò attenzione e rotolando nel vento notò lo sbattere d’ali di una strana creatura che si stava avvicinando.

<< Chi sei? >> chiese all’uccello bianco. << Non mi riconosci? >> fece lui<< Sono un gabbiano. >> e subito scomparve curvando in alto nel cielo.

Poco più in basso un’altra figura incrociò il volo di Plic. Era un rombo di carta e bambù legato a terra da un lunghissimo filo.

<< Ciao! >> esordÏ allegro l’acquilone. <<Ti ricordi di me? Una volta mi hai bagnato! >>. Plic, perplessa non potè rispondergli che lui era già lontano.

Le cime più alte di un pino incominciarono a spiccare sotto di lei. Mancava poco per raggiungere la meta, e a vederlo adesso quel mare laggiù pareva così familiare, come conosciuto da sempre.

Plic avrebbe voluto chiedersi il perché di quei ricordi, di quelle sensazioni, ma una raffica di vento la investì.

<< Hei, fermo, vento! Mi stai portando via! >>. D’un tratto, vide che alle punte del pino si sostituivano quelle di antenne fitte come siepi. I piani dei palazzi le andavano sfrecciando accanto, passò su un filo teso su un balcone, rotolò per una tenda a righe e infine cadde su di un tergicristallo che violentemente la cacciò via, mandandola a finire a terra in una pozzanghera.

Una tristezza terribile prese Plic non appena le riuscì di guardarsi intorno. Circondata dalla fanghiglia di uno sporco marciapiedi, era immersa dentro una pozzanghera scura mentre il mare ondeggiava lontano, quasi beffardo, dall’altra parte della strada.

La strana impressione di aver già vissuto un simile dispiacere, le strinse il cuore fino a farla piangere. Non si trattenne e cominciò a singhiozzare.

<< Cos’avrà mai...? >> chiese tra sé un mozzicone abbandonato. << Ma perché fa tante ciance?! >> sbuffò acida una cartaccia. Solo una voce dolce e serena le rivolse la parola per consolarla. Era la pozzanghera, una vecchia pozzanghera su cui si specchiava il sole ormai spuntato tra le nuvole.

<< Non ti angustiare, piccola. >>, disse senza increspare la superficie. << E’ inutile dispiacersi.... >> Plic si scosse un poco. <<...Io...io volevo raggiungere il mare...e invece sono qui... e ora? Non Ë questa la fine del viaggio che volevo... >>

<< Sta’ tranquilla, ti dico. Alle volte capita di perdersi, ma il viaggio ricomincia, ricomincia sempre. Lasciati andare e vedrai. >>

Il giorno scorreva ed il caldo cominciava a farsi più forte. Alcune gocce sparse lì vicino si erano seccate per scomparire del tutto dal selciato.

La vecchia si distese. I suoi bordi sbiadivano asciugandosi e Plic, afferrata da una spinta che la chiamava in alto irresistibilmente, d’un tratto ricordava tutto.

<< Allora è questo che ci succede... È per questo che ...>>

<< Shh. Sii paziente, Ë il momento... >> rispose la pozzanghera sorridendo.

Plic capì, fermandosi ad aspettare.

E piena di gioia, come tante e tante altre volte, evaporò.

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