IL LIBRO DELL'ANNO

Recensione di Paul Simon

(una rivista, marzo anno zero)

1.
Politica. Volume I: Teoria Generale è stato definito a torto il libro dell'anno; a torto perchè delle sue tesi, a mio avviso, dicuteremo non per uno ma per molti anni, forse per decenni. Proverò dunque a sintetizzare le principali tesi sulla politica elaborate da Jonathan Powell. Compito certo non facile, ma sicuramente appassionante; la filosofia, o è passione o non è nulla.
E' politico ogni processo soggettivo di trasformazione delle regole che ordinano l'esistente; la politica, ci spiega Powell, è il primo di tre grandi principi filosofici che ci aiutano a comprendere e spiegare ogni trasformazione, ogni movimento che avviene attorno a noi. Gli altri due principi sono il caso e la necessità: le modificazioni che avvengono nell'esistente possono corrispondere a fenomeni probabilistici (il caso), oppure essere riconducibili a leggi, norme o regole spiegabili scientificamente (la cosiddetta "necessità").
Il principio politico, invece, si applica a tutti quei cambiamenti che non sono nè probabili, nè riconducibili a leggi o regole di qualche tipo; il principio politico, più precisamente, si applica a tutti quei fenomeni di mutamento la cui incertezza non è prevedibile perchè soggettiva.
La rivoluzione che la Terra compie attorno al sole è un fenomeno necessario, regolato da leggi gravitazionali; il modificarsi del codice genetico di una specie animale o vegetale con il trascorrere delle generazioni è un fenomeno in buona parte casuale; la creazione dell'universo è un fenomeno politico.
I tre principi (caso, necessità, politica) spiegano le origini di ogni possibile trasformazione delle "cose" (materia, energia e tutto ciò che ne deriva, compresa la vita e l'uomo) ma anche di ogni possibile cambiamento nelle "regole", che possiamo immaginare come l'informazione contenuta nelle cose, ciò che fa sì che le cose siano così come le percepiamo e non diversamente.
L'oggetto della politica è sempre una "regola"; il fenomeno politico consiste nell'opera di un ente (il soggetto politico) che trasforma regole (l'oggetto politico); soggetto ed oggetto sono in relazione reciproca attraverso il concetto di "trasformazione": il fenomeno politico consiste in un processo nel corso del quale il soggetto trasforma l'oggetto.
Il principio politico richiede perciò sempre l'esistenza sia di un soggetto che di un oggetto, e questo a differenza degli altri due principi che spiegano il mutamento (il caso e la necessità) per i quali è essenziale la sola esistenza dell'oggetto, che può essere volta per volta una "regola" (informazione) o una "cosa" (materia più energia).
Ma chi sono, si chiede Jonathan Powell, i soggetti della politica?
Supponendo che non esistano civiltà extraterrestri, di cui non siamo a conoscenza, solo due enti possono essere ritenuti capaci di agire politicamente: uno è l'uomo, l'altro è Dio; uomo e Dio sono i soggetti del fenomeno politico, gli unici soggetti che conosciamo. La cui azione politica, peraltro, si sviluppa su piani e con intensità completamente diverse (e perciò Powell distingue sostanzialmente i due enti, negando ad esempio all'"uomo" la dignità della lettera maiuscola).
Il fenomeno politico, come processo soggettivo di trasformazione delle regole che ordinano l'esistente, è stato studiato da Powell nella sua Teoria Generale della Politica; a fianco della Teoria Generale, ed in un certo senso derivate da essa, troviamo altre teorie applicate a casi particolari, o "Teorie Ristrette":
1) la Teoria Antropologica della politica, che studia l'uomo in quanto "unico animale politico";
2) la Teoria Teologica della politica;
3) la Teoria della Conoscenza politica e quella della Logica politica (che è logica paradossale).
Di stretta derivazione dalla Teoria Antropologica della politica, Powell ci illustra poi la "Teoria antinomica" della politica, o teoria della conflittualità; la "Teoria della neutralizzazione della politica", o teoria dei fenomeni totalitari; la teoria delle "Relazioni" tra il fenomeno politico e le diverse attività umane che, a certe condizioni, possono caricarsi di significato politico (morale, diritto, economia, cultura, istituzioni, eccetera).

2.
La Teoria Antropologica della politica occupa uno spazio molto importante nella "Teoria Generale" di Powell.
L'uomo è l'unico animale dotato di immaginazione; la capacità specificamente umana di immaginare una realtà diversa da quella esistente, di produrre un reale-inesistente da contrapporre al reale-esistente, gli permette di conseguire risultati e di raggiungere obiettivi che sarebbero altrimenti impensabili per un essere che fosse semplicemente intelligente e razionale.
La fantasia è il primo stadio, il livello più immediato col quale si esprime l'immaginazione dell'uomo; la creatività, la capacità di trasformare le cose, è il secondo livello di espressione immaginativa, che trascende i confini mentali ed astratti in cui è costretta la fantasia, e produce cambiamenti materiali. Ma esiste anche un terzo stadio, un livello espressivo tanto importante quanto inesplorato, che è il motore delle civiltà umane ed il presupposto di ogni conquista fatta dalla nostra specie: questo stadio o livello superiore dell'immaginazione dell'uomo è la politica.
Nella Teoria Antropologica di Powell la politica è, precisamente, il processo di trasformazione delle regole che ordinano l'esistenza collettiva degli individui; è quell'insieme infinito di decisioni che gli uomini (ma in verità solo alcuni tra essi) hanno potere di prendere per scegliere di volta in volta quali valori e quali norme regoleranno il loro agire nel mondo.
La politica è un'attività eminentemente creativa: come la fantasia crea nuove visioni mentali, come la creatività produce nuove cose, oggetti, strumenti, eccetera, allo stesso modo la politica crea le molteplici regole che ordinano la complessità della condotta umana, dai gruppi ai singoli individui, nel quotidiano come nel lungo periodo, giorno per giorno e nei millenni.
La fantasia si situa nella categoria filosofica dell'ideale, del prodotto mentale, astratto; la creatività si situa nella categoria del reale, della trasformazione delle cose, dei prodotti, della materia e dell'energia esistenti. La politica si situa nella categoria del possibile, di ciò che ancora non è ma che tuttavia, date le attuali condizioni reali, potrebbe essere in funzione dell'elaborazione ideale e dell'azione umana nel contesto storico.
L'essenza della politica è la messa in causa continua dello stato di cose esistente, è critica allo status quo, alla realtà attuale: il reale, nel processo politico, appare come illusione (o, se preferite, delusione), quindi irreale e perciò "ideale", sia pure in senso negativo (disvalore, distopia, ecc.); l'ideale invece, in quanto possibile, in quanto non-ancora, appare come qualcosa di reale nel corso del processo politico, appare come qualcosa di realizzabile concretamente: il reale diviene ideale, l'ideale diventa reale.
Il concetto di politica come processo di trasformazione delle regole che ordinano l'esistenza collettiva è, in sè, un concetto avalutativo; la politica consiste in un processo soggettivo di trasformazione di regole: in quanto soggettivo, tale processo può essere riempito dai contenuti -norme e valori- più svariati. Le regole ideali possono essere completamente diverse da quelle reali, oppure possono scostarsi di poco da quanto già esiste; nel primo caso il tipo di società o di civiltà prefigurata dal soggetto politico è qualitativamente differente (spesso opposta) da quella concretamente esistente; nel secondo caso la società o civiltà prefigurata è una correzione o un miglioramento di quella data. Le regole ideali possono essere imposte subito e con la forza o possono essere introdotte gradualmente e per via pacifica: nel primo caso il processo politico produce rivoluzioni, guerre, conflitti, ecc.; nel secondo caso produce riforme, accordi, contratti, trattati, ecc.
Il processo politico si svolge ordinariamente in due tempi (non sempre conseguenti), il tempo dell'elaborazione teorica, della filosofia politica, e il tempo della trasformazione pratica, dell'azione politica. A volte la filosofia precede l'azione, altre volte ne consegue; non esiste un ordine costante e coerente nello svolgimento di un processo politico (che infatti è caratterizzato da una logica che Powell definisce "paradossale"), tutta via entrambi i momenti -quello teorico e quello pratico- sono ricorrenti e possono essere individuati e distinti.
Laddove la teoria è molto sviluppata e la pratica no, siamo soliti parlare di utopie, descrizioni di società tanto felici quanto inesistenti. Le ragioni per le quali la teoria si sviluppa senza dar luogo a mutamenti storici possono essere le più diverse: può essere che la teoria sviluppata sia un puro prodotto della fantasia e che non sia realizzabile nel contesto della situazione esistente; ma può anche darsi il caso di un'utopia che non è divenuta realtà semplicemente perchè non ha ottenuto un consenso sufficiente. Nel primo caso parliamo di utopie pure, irrealizzate perchè irrealizzabili; nel secondo caso parliamo di utopie concrete, irrealizzate perchè l'azione politica necessaria è rimasta intentata.
Abbiamo associato il concetto di politica a quello di cambiamento: secondo la teoria di Powell, dunque, solo chi vuole cambiare l'assetto di una società sembrerebbe agire politicamente. E' bene però puntualizzare la questione, chiarendo che il concetto di cambiamento non è meno avalutativo del concetto di politica; cambiamento e progresso non sono termini equivalenti: il cambiamento derivante da un processo politico può essere positivo, negativo, costruttivo, distruttivo, progressivo, regressivo, pacifico, conflittuale, violento, eccetera. Più probabilmente, volta per volta, positivo per alcuni individui e negativo per altri.

3.
La politica, ci spiega Powell, non è un'attività umana particolare: nessuna attività umana è essenzialmente politica (è politica in quanto tale), ma ogni attività può assumere significato politico se produce mutamenti significativi nell'ordine collettivo; tanto più evidenti saranno questi mutamenti, tanto più il processo politico sarà intenso. Parliamo perciò di processi specificamente politici, più che di attività specificamente politiche: ogni attività umana può o non può produrre effetti politici a seconda delle circostanze, delle volontà soggettive, dello stato della conoscenza e di mille altri fattori; laddove riscontriamo trasformazioni radicali nel modo di condurre l'esistenza collettiva (o parte significativa di essa), dovute a ragioni le più diverse (economiche, religiose, tecnologiche, militari, ideologiche, ecc.) possiamo individuare l'esistenza di fenomeni di tipo politico, possiamo cioè individuare attività umane e soggetti umani che hanno, in quel contesto e in quel momento, modificato le regole dell'azione collettiva.
L'idea di politica che Powell ci propone, in altre parole, è strettamente connessa ai concetti di riforma e di rivoluzione: possiamo avere riforme o rivoluzioni economiche, religiose, ideologiche, istituzionali, giuridiche, sociali, culturali, tutte cariche di significato politico; laddove però non riscontriamo riforme o rivoluzioni e, nel caso limite, laddove le riforme e le rivoluzioni non sono possibili (laddove il processo politico è "neutralizzato", come avviene nello stato totalitario), non troviamo fenomeni di tipo politico ed ogni attività umana sarà, nel suo genere specifico (attività istituzionale, sociale, economica, ecc.), volta ad amministrare le regole esistenti, piuttosto che a cambiarle.
Ma è il mutamento, e non l'amministrazione, ciò che produce politica; almeno, questa è la tesi che Powell intende sostenere.
Parliamo infatti di fenomeni politici solo allorchè l'ordine viene meno: il disordine, l'incertezza, l'eccezione, il caso-limite sono i concetti a partire dai quali possiamo cominciare a pensare in termini politici.
Se tutta l'esistenza umana fosse sempre perfettamente regolata, ordinata, disciplinata, la politica non avrebbe più alcuna ragione di esistere, nè le società umane sarebbero differenti dalle società delle api o delle formiche. Ciò che invece le rende caratteristiche, ciò che le rende diverse tra di loro, ciò che più in generale permette il sorgere, lo svilupparsi, il progredire e talvolta il declinare di quelle strutture storico-sociali che chiamiamo "civiltà" è, precisamente, il fenomeno politico, e cioè la capacità tipicamente umana di modificare il corso degli eventi, delle azioni, delle regole; in due parole, di "fare" la "storia".
La storia umana è, almeno in parte, costruita dall'uomo: non è del tutto un prodotto umano razionale e consapevole; ma quello che vi è di soggettivo, di umano, di consapevole (anche se non sempre razionale) è il fenomeno politico, e cioè la capacità specificamente umana di produrre attività trasformatrici di regole (oltre che di cose): l'uomo non solo trasforma l'ambiente naturale che lo circonda, ma nel fare ciò trasforma anche se stesso, producendo quegli effetti storico-sociali unici che chiamiamo civiltà.
Il produrre (e il distruggere) civiltà è la conseguenza più generale dello sviluppo di fenomeni di tipo politico nei comportamenti umani: il concetto di civiltà presuppone quello di politica.


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