libri
degli altri
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Uno che scrive è anche uno che legge. Anzi, certamente, legge
molto più di quanto non scriva ed esercita la sua creatività anche nella
lettura. Io personalmente ho autori di culto, compagni di viaggio che nel corso
degli anni sono cambiati, come tutte le cose della vita. Alcuni sono scomparsi,
altri alternano periodi di vicinanza ad altri di allontanamento.
Degli autori letti a scuola mi sono rimaste alcune memorie indelebili. I
classici greci, per esempio. Omero, a dire il vero, lo conoscevo anche da
bambino. I miei mi raccontavano le storie di Ettore e Achille prima di
addormentarmi e il cozzare delle armature greche all’interno del cavallo di
Troia è un suono che mi accompagna da mezzo secolo. L’incontro di Ettore e
Andromaca alle porte Scee chi potrà mai dimenticarlo, anche se soffocato da
certe noiosissime mattinate a scuola? E i canti dell’Inferno imparati a memoria?
Il conte Ugolino e questi è l’arcivescovo Ruggirei or ti dirò perché son tal
vicino… Lo maggior corno della fiamma antica… Dante me lo fece amare un prete –
frére Ugo – che insegnava letteratura alle medie.
Al ginnasio – al liceo Mameli di Roma – ho avuto come professore di lettere un
singolare personaggio d’altri tempi, il marchese Pietro Bottini di Lucca. Amava
follemente Montale ma soprattutto Thomas S. Eliot. E organizzava una bellissima
biblioteca scolastica dove ho cominciato a leggere anche autori italiani
contemporanei. Ricordo Cronaca familiare di Vasco Pratolini e le lacrime
suscitate da quella lettura. Ma soprattutto un autore poco conosciuto, il
novarese Mario Bonfantini e il suo splendido Salto nel buio, libro che vinse nel
1960 il Premio Bagutta Opera Prima. Quando nel 1991 capitò anche a me di vincere
quel premio, confesso che la cosa mi fece un certo effetto.
Letture appassionate di quegli anni erano anche i racconti di E.A. Poe, nella
mitica edizione della B.U.R., le Confessioni di Rousseau, i frammenti di
Eraclito, l’Alcesti di Euripide e soprattutto il Fedone di Platone, nelle
altrettanto mitiche edizioni Laterza.
Poi è venuto il tempo dei classici dell’ottocento: Tolstoi più di Dostojevski,
Flaubert più di Balzac. Il Melville di Moby Dick su tutti. Stevenson e Conrad e
l’antesignano della narrativa inglese: Henry Fielding e il suo magico Tom Jones.
E i grandi del novecento, Proust, Kafka e Mann. Ma come non ricordare quel
gioiello di Joyce che è I morti?
Col tempo ho percorso strade meno ovvie e adesso leggo molta meno narrativa di
quanta dovrei forse, facendo il mestiere che faccio.
Butto lì tre o quattro nomi di autori quasi contemporanei che mi emozionano ogni
volta che sfoglio le loro pagine. Eliot, come sempre. Ezra Pound, davvero il
miglior fabbro. Ernst Jünger. Julien Green. W.G. Sebald. E tra gli italiani
almeno due nomi: Primo Levi e Goffredo Parise.
Un po’ alla volta tornerò a scrivere di questi libri e di altri che ancora non
ho letto e che aspettano che me ne innamori.
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