JESSIE MERITON WHITE MARIO “Hurricane Jessie”- “Miss Uragano” |
|
e il marito ALBERTO MARIO
Nata a Portsmouth il 9 maggio 1832 da una ricca famiglia di armatori, Jessie si scoprì presto una vocazione per il giornalismo. Recatasi a Londra per completare gli studi, conobbe dall’amica comune Emma Roberts, vedova ricchissima con prole (casa su Park Lane e villa nello Yorkshire), Giuseppe Garibaldi. A questi salotti progressisti interveniva fra gli altri Giuseppe Mazzini* che la spinse, per l’interesse che nutriva per il nostro paese e per la sua triste situazione, a tenere un ciclo conferenze nelle principali città Inglesi. Il capitano Garibaldi quando si era “fidanzato” con Emma Roberts aveva quasi deciso di piantare le tende in Inghilterra. Da buon chaperon Garibaldi la accompagnò con la figlia e Jessie in un viaggio sentimentale ed estremamente romantico a conoscere i suoi in Italia. Fecero tappa prima a Nizza alla casa avita, poi in Sardegna, per la caccia al cinghiale. Agli ospiti fece vedere anche l'isola di Caprera di cui s’era invaghito. Emma si rese però conto che non avrebbe mai potuto tenere in gabbia fra regole ed etichette, il "leone biondo di Nizza"e il suo regalo d'addio fu un cutter (imbarcazione), del papà, chiamato poi «Emma».
Accantonata Emma, il Leone si dichiara a Lei, Jessie “Ti amo. La mia terra è tua. La tua, la mia unica terra. Tornerò». E spariva. L'avrebbe, comunque andasse, sempre chiamata «sorella». Nel corso di un suo soggiorno in Italia Jessie conobbe molti altri patrioti tra cui Carlo Pisacane e Agostino Bertani. Pisacane le consegnò anche il suo testamento politico prima della spedizione finanziata con mille sterline che aveva raccolto. "Io sono convinto che nel Mezzogiorno dell'Italia la rivoluzione morale esiste: che un impulso energico può spingere le popolazioni a tentare un movimento decisivo [ ... [. lo sono persuaso, se l'impresa riesce, otterrò gli applausi generali: se soccombo, il pubblico mi biasimerà. Sarò detto pazzo, ambizioso. turbolento. e quelli, che nulla mai facendo passano la loro vita nel criticare gli altri, esamineranno minuziosamente il tentativo, metteranno a scoperto i miei errori [ ... [. Se non riesco disprezzo profondamente l'uomo ignobile e volgare che mi condannerà; se riesco, apprezzerò assai poco i suoi applausi».
Arrestata, rifiutò l’offerta fattale da Cavour di un uscita
in sordina. Portata sul banco degli imputati, in un processo-spettacolo, declamò
«la fine dell'età dei tiranni», ammettendo ogni cospirazione e guadagnando 4
mesi di detenzione. In carcere conobbe Alberto Mario che sarà suo marito (19
dicembre 1857). Garibaldi si scuserà poi con lei per aver rifiutato il comando
della spedizione di Pisacane, che riteneva estremamente pericolosa.
“….posso assicurarti che se fossi stato certo di essere seguito da un buon
numero di uomini, …. con anche la pur minima probabilità di successo - Jessie
mia, puoi dubitare che non sarei corso in avanti con gioia febbrile, per
realizzare l'ideale di una vita intera?“.
Se Garibaldi avesse aderito a tutte le maldestre insurrezioni
di Mazzini, gliene sarebbe bastata una per abbandonare questa vita terrena.
Jessie si mise a studiare medicina perché, se non poteva combattere come donna,
si sarebbe almeno potuta prendere cura dei feriti (Cosa che fece anni
dopo-1860-dopo essere arrivata in Sicilia a bordo del «Washington» con il
generale Medici). Jessie Meriton White, va aggiunto, tentò come prima donna di
iscriversi al Royal College of Surgeons ( a Medicina ) nel 1856 ma le venne
rifiutato l'ingresso. Da New York dove s’erano trasferitisi (1858), i coniugi
Mario si reimbarcarono per l'Italia quando giunse la notizia della guerra
intrapresa da Napoleone III contro l’Austria. L’11 maggio 1860 Jessie e Alberto
lasciano la Svizzera e arrivano in Sicilia per unirsi a Garibaldi. Jessie ebbe
già dei problemi nel 59 col governo piemontese e anche dopo, nell’imminenza
della spedizione. Gestiva dei fondi del Comitato di sostegno a Garibaldi di Lady
Shaftesbury (che facevano gola a molti), destinati a costruire un ospedale nella
vicina Barcellona (Sicilia) e, più tardi, 8 ospedali a Napoli. Visse nell'ombra
di Garibaldi regolandone anche i pasti e allontanandosene solo per incoraggiare
alcuni marinai britannici, che si trovavano li da spettatori, ad armare i
cannoni quando la situazione al Volturno si fece critica. Garibaldi aveva le sue
ragioni per ammirare (e Cavour per temere) Jessie White accorta manager e
traduttrice. Sua la traduzione in Inglese di «Le prigioni austriache d'Italia»,
di Felice Orsini del 1856 (35 mila copie). Nel
1861 a Jessie viene proposto di scrivere per il Morning Star. Nasce in questa
occasione l'inchiesta sulle condizioni del meridione italiano "La miseria di
Napoli".
http://www.liberliber.it/mediateca/libri/w/white_mario/la_miseria_in_napoli/pdf/la_mis_p.pdf
Fu poi con Garibaldi a Mentana nel 1867 e nel 1870 in Francia. In contrasto con il marito, passato su posizioni più moderate, accorre da sola in Francia scrivendone poi le memorie "I Garibaldini in Francia”. Nel 1882 porta a termine "La vita di Giuseppe Garibaldi" e nel 1887 dedica un ulteriore libro ad Agostino Bertani. Abbandonata la vita avventurosa si dedica a quella più tranquilla dei libri, almeno di carattere non rivoluzionario. Muore a Firenze all'età di 74 anni, il 5 marzo 1906, circondata dagli amici più cari del risorgimento che ebbero grande stima di lei. Tre anni dopo viene pubblicato postumo: “The Birth of modern Italy” La nascita dell’Italia moderna. Entrambi i coniugi dovrebbero essere sepolti a Lendinara di Rovigo.
Relativamente al disastro di Mentana narrato nella pagina di Mazzini (diatriba fra Mazzini e Garibaldi) la corrispondenza chiarificatrice scambiata con Augusto Elia per le memorie di Garibaldi (all'epoca già morto).
«
Lendinara, 14 novembre 1885.« Carissimo Amico« Spero di essere in tempo,
rubandolo per brev'ora al mio umile lavoro sulla «Vita» del nostro Maestro, a
regalare a Voi, fratello maggiore de'suoi discepoli, la seguente lettera da me
lungamente desiderata. Nessun vivente può parlare coll'autorità di Elia, il
ferito di Calatafimi, il comandante di 3000 romagnoli nel 1867, intorno alle
cause della disfatta di Mentana. Il mio Alberto, vicecapo di stato maggiore
durante la campagna del 1867, e sempre in giro per affari di servizio, mi diceva
parecchie volte di non sentirsi giudice competente nella materia. E avendo egli,
nella sua “Vita di Garibaldi “, accolta in certo modo l'affermazione di
Garibaldi stesso, fondata sul rapporto di suo figlio, che i Mazziniani, per
ordine di Mazzini stesso, disertarono il campo,stava assai impensierito sul vero
o sul falso, dopo una lunga discussione avvenuta a Milano in casa di Pietro
Bellini, con Ergisto Bezzi. E mi disse queste precise parole : « ho visto le
dichiarazioni di Fabrizi, ma anch'egli era occupatissimo nel servizio. Se Elia
comproverà colla sua testimonianza che il fatto delle diserzioni proveniva da
altre sorgenti, sarà mia prima cura,nella seconda edizione della «Vita di
Garibaldi», di chiarire questo fatto capitalissimo.« Abbiatemi sempre«Vostra
Jessie vedova Mario».
« Isole di Tremiti, 12 novembre 1885. Carissima
Signora,« Sono stato per qualche tempo poco bene in salute e non ho potuto
risponder subito alla gradita vostra.« Voi mi domandate se è mia opinione che la
catastrofe dì Mentana fosse causata dall'abbandono dei Mazziniani prima del
combattimento - abbandono ordinato da Mazzini? A me consta il contrario: la
verità è che - ritornati a Monte Rotondo dopo la ricognizione fin sotto le mura
di Roma – dei miei tre battaglioni, ognuno dei quali numerava più di
1000volontari e coi quali si era formata la sesta colonna da me comandata, non
ne rimasero che gli scheletri. Sparsosi frale file dei miei volontari il
Proclama del re Vittorio Emanuele, tutti quelli che temettero di esser
considerati ribelli,ed altri ancora che avevano abbandonato impieghi e famiglie—
convinti, dopo la ritirata, che a Roma non si andava - deposero le armi e si
ritirarono. E fu con vivissimo dolore che io vidi assottigliarsi le file dei
miei battaglioni in modo tale che, allorquando li riunii per farli marciare
secondo le istruzioni avute, dei 3000 e più volontari che li componevano non ne
rimanevano che setto od ottocento in tutti ! E dei rimasti,che fecero bravamente
il loro dovere, molti professavano principi repubblicani e pagarono di persona,
come il capitano Grassi (morto a Mentana), gli ufficiali Tironi, fratelli Zerti,
Occhialini, feriti gravemente, od altri volontari feriti e morti,i nomi dei
quali stavano inseriti nel rapporto sulla parte presa dai miei nel combattimento
trasmesso al capo dello stato maggiore, generale Nicola Fabrizi, la cui perdita
oggi deploriamo. « E non professavano principi repubblicani Canzio, Valzania,
Mayer, Frigyesi, Stallo, Missori, Burlando,'Bezzi e il compianto Mario, vostro
consorte, e tanti altri che condussero alla pugna i pochi volontari rimasti e
fecero pagare sì caro le meraviglie dei Chassepots del Generale De Failly ?«
Questa è la verità, che del resto è conosciuta da quanti si trovarono al, se non
fortunato, certo non inglorioso combattimento di Mentana, ed io non ho mai
inteso che si sia detto il contrario.« Le cause, secondo il mio avviso, che
fecero ritornare alle loro famiglie un numero sì forte di volontari, furono
diverse ; ma due ebbero grande prevalenza : la prima, la cre-denza che, dopo la
ritirata a Monte Rotondo, non si andava a Roma : la seconda, che a molti non
piaceva di essere considerati ribelli e temevano le conseguenze.« Vi prego
credermi sempre Devotissimo vostro A. Elia. »
ALBERTO MARIO
Patriota e scrittore italiano (Lendinara, Rovigo, 1825-1883). Studente
nell'università di Padova, partecipò alla manifestazione antiaustriaca dell'8
febbraio 1848 e poi alla prima guerra d'Indipendenza. Mazziniano, Collaborò
alla preparazione della spedizione del Pisacane a Sapri e al tentativo
insurrezionale repubblicano genovese del giugno 1857, in conseguenza del quale
fu arrestato (insieme alla futura fidanzata inglese Jessie
Meriton White), rimanendo poi in
carcere per alcuni mesi. Espulso dal Piemonte, si recò dapprima in Inghilterra
(dove si sposò con la White), e poi negli Stati Uniti, dove tenne insieme alla
moglie un ciclo di conferenze a favore della causa nazionale italiana. Tornato
in Italia nel luglio 1859, si trovò nuovamente esule a Lugano, dove collaborò
alla direzione della rivista mazziniana Pensiero e azione. Prese parte
con i garibaldini alla liberazione del Mezzogiorno con la moglie che fece
l'infermiera e la segretaria di Garibaldi. Passato su posizioni
federalistiche per l'influenza del Cattaneo, fu tra i collaboratori principali
della fiorentina Nuova Europa (1861-1864), prese parte alla campagna garibaldina
del 1867, svolgendo in seguito un'intensa attività giornalistica (diresse la
Provincia di Mantova, 1880, la Rivista repubblicana e la Lega della democrazia,
1880-1882). Tra i suoi scritti: Camicia rossa (1875), Teste e figure (1877) e le
raccolte pubblicate postume: Scritti letterari e artistici (1884), Scritti
politici (1901).
Sua la
traduzione in Inglese di «Le prigioni austriache d'Italia»,
di Felice Orsini del 1856 (35 mila copie). Orsini, come poteva non esserlo, cadde
preda del suo fuoco sacro. Diceva «Non è bella, ma è
degna di essere amata… forse è lei l'unica donna che potrebbe vivere con me».
*La miseria di Napoli in inglese http://faculty.ed.umuc.edu/~jmatthew/naples/white.html così Jessie descriveva Mazzini “Fanciullo gracile e precoce, fino a sei anni non potendo reggersi in piedi stava sempre o fra le braccia della madre o reclinato sopra una specie di sofà-sedia, ascoltando i discorsi che si facevano intorno a lui... meditando, sognando, con uno sguardo, nei suoi stupendi occhi bruni, di chi, col corpo in questa terra, ha lo spirito in un mondo lontano …. e se non poteva prender parte ai giochi della sua età, godeva della giocondità degli altri il suo riso era il più allegro e spontaneo di tutti”.
per
saperne di più
http://www.jourdelo.it/numeri/07_aprile_settembre_2007/hurricane_jessie.html