Ettore Marchand - 2a parte ...... vai alla 3a parte

21 dicembre 1894 - 28 ottobre 1918

LA BATTAGLIA DEI TRE MONTI - Col del Rosso, Col d’Echele, Cima Val Bella (28/31 gennaio 1918) torna alla 1a parte 
L’azione fu condotta il 28 e 29 gennaio 1918 ed è più nota come battaglia dei Tre Monti: la riconquista dopo un mese dall'ultima offensiva austroungarica di Natale avrebbe ridato respiro alla difesa. Gli italiani impiegarono unità di élite come bersaglieri e alpini, numerosi nuclei di arditi e la brigata Sassari, già distintasi nei mesi precedenti sugli altipiani. Comandava le truppe dell’altopiano il Gen. Gaetano Zoppi: XXII cda con i corpi laterali XXVI e XX. Al comando del generale d'artiglieria Renzo Garrone si schieravano 420 cannoni campali, 424 pesanti, 12 batterie di bombarde, 15 obici pesantissimi, su un fronte di circa 6 km, impiegati in tiri di controbatteria, distruzione degli ostacoli passivi, interdizione poi copertura e appoggio all’azione delle fanterie. Ordini chiari, comando e controllo aderente agli sviluppi dell’azione ed esecuzione intelligente da parte delle unità caratterizzarono l’impiego dell’artiglieria che in questa battaglia diede ben altra prova se confrontata a Caporetto dove non intervenne per ordine di Badoglio. L’azione offensiva che portava alla riconquista dei tre monti si rendeva inoltre necessaria per ovvie ragioni morali in quanto, in 3 mesi di sanguinosa ritirata, il soldato italiano avvertiva il peso della perdita dell’iniziativa e il pericolo d'una difesa sempre più sbilanciata e precaria.
Naturalmente l'attacco, "a tre punte col centravanti di sfondamento", era la teoria e di pratica si fece poi di necessità virtù. L’offensiva non era limitata solo a questo settore in cui gli austriaci erano ben vigili, ma a tutto l’altopiano. A ovest di quel solo piccolo settore il 5° Bersaglieri ed il II Reparto d’Assalto, incaricati dell’attacco a Cima o Monte Val Bella a Est la Brigata “Sassari” e il I Reparto d’Assalto, incaricati dell’attacco a Col del Rosso (151°) e Col d’Echele (152°). In rincalzo i reggimenti delle Brigate Bisagno (209° - 210°) e “Liguria” (157° - 158°), con il compito di presidiare le trincee di partenza e occupare le tre cime una volta conquistate. Sulla destra del 152° avrebbero agito anche alcune compagnie d'Alpini con il compito di aggirare il Col d’Echele da Est e puntare su q. 1039 strapiombante in Val Frenzela.
 

LA CLASSE UFFICIALI DELLA SASSARI  

Ettore Marchand Tenente presso la Brigata Sassari -estate 1917 località non identificata

dal sito centaurochirone spezzoni.... Dobbiamo ad Emilio Lussu, in “Un anno sull’Altipiano”, l'analisi dell’esperienza di tanti ufficiali della “Sassari”, la progressiva scoperta delle atroci assurdità di una guerra nella quale può accadere anche di morire per errore di tiro delle tue stesse artiglierie (15/8/1916).
“Il gran segreto della Sassari – scrive invece Alfredo Graziani – sta tutto nell'affiatamento tra ufficiali e soldati. Uno per tutti, tutti per uno”. (di Graziani ufficiale di cavalleria che aveva ottenuto di combattere nella “Sassari”, le note caratteristiche dicono: “È idolatrato dai suoi uomini”. firmato capitano Emilio Lussu). La disciplina interna nasceva soprattutto sul consenso che nasce dal prestigio degli ufficiali, su questo loro rapporto “di fiducia” con i fanti (qualcuno azzarda a dire che non riconoscessero veramente i gradi ma solo la persona). Non sorprende che dopo Caporetto la disgregazione non investa la brigata con gli stessi effetti devastanti che si verificano nel resto dell’esercito. Nel disastro generale - scriverà inoltre Aldo Andreoli in “Milizia” - la brigata è compatta, non manca un uomo né un fucile”.
E Tommasi: “Quando il battaglione Musinu dei complementi del 152° (classe 99), ultimo della brigata a passare il Piave il 9 novembre 1917, giunse a Susegana, e fu in vista del fiume, il comandante, pur sotto il fuoco delle mitragliatrici nemiche mise per quattro gli uomini e gli fece passare il ponte a passo cadenzato e col fucile a bilanci’arm” mentre le prime arcate cominciavano a saltare.
Ha scritto infine l’antropologo Michelangelo Pira: “La grande guerra fu vissuta dalla Brigata “Sassari” come una guerra dell’etnia sarda in concorrenza con tutte le altre. Da una parte stavano i sardi de “su Forza Paris”: omogeneizzati per la prima volta da una parola d’ordine, da una divisa, da un rancio un fucile, un nemico, una provenienza e una koiné linguistica e forse un avvenire. Dall’altra parte stava non tanto l’impero austro-ungarico, quanto il cecchino bavarese”. Da questo richiamo alla “piccola nazione sarda” deriverà più tardi, nel dopoguerra, la grande stagione della coscienza autonomistica. Nasce in trincea la coscienza collettiva di un popolo che, proprio nel confronto con altre culture regionali e con la cultura nazionale dell'esercito riscopre la propria identità storica. 
 

MEDAGLIE D’ORO 151°-152° REGG. FANTERIA BRIGATA " SASSARI "
data conferimento: 3-8-1916: motivazione Conquistando sul Carso salde posizioni nemiche e fortissimi trinceramenti, detti delle Frasche e dei Razzi, che sotto nutrito fuoco rafforzò a difesa; riconquistando sull’Altipiano dei Sette Comuni posizioni dalle nostre armi perdute (Monte Castelgomberto, Monte Fior e Casera Zebio), sempre non curante delle ingenti perdite, diede ripetute prove di sublime audacia e di eroica fermezza. 25 luglio – 15 nov. 1915; giugno 1916

  La leva fino al momento dell’entrata in guerra non era (obbligatoria) per tutti essendo i giovani in numero elevato. La scrematura iniziale poi serviva anche ad esentare quelli che non avevano il fisico adatto alle fatiche del servizio, anche solo in tempo di pace, che allora non erano poche. Fatto questo il monte coscritti si divideva in tre e si facevano estrazioni con la risultanza di 3 categorie di cui la 2a entrava nell’Esercito Permanente (E.P cioè gli ufficiali e i soldati in ferma breve o lunga) poi nella Milizia Mobile o Riserva (M.M. tutti gli abili già di leva compiuta dai 29 ai 32, richiamati periodicamente in caserma per alcuni giorni di addestramento in tempo di Pace e quelli dai 20 fino ai 28 non idonei al servizio di leva, cioè di I° o III° categoria) e la Milizia Territoriale (M.T. uomini dai 33 ai 39 anni, con compiti di terza linea e retrovie in caso di mobilitazione e in tempo di Pace non più sottoposti ad addestramenti). All’inizio del 1915 gli uomini della classe del ’94 che stavano già prestando servizio militare si videro rinviare a tempo indeterminato il congedo e la classe 1895 fu chiamata a visita di leva anticipatamente in un sol blocco. Subito dopo cominciò il sistematico richiamo alle armi degli uomini in congedo illimitato tramite una cartolina-precetto, prime tra tutte le classi 1889/ 90/ 91, 92, 93, (solo però quelli che a loro tempo erano stati giudicati di 2a categoria ed arruolati nell’E.P). Dal maggio 1915 scattò poi la Mobilitazione Generale, e tutti gli uomini dovettero ripresentarsi a visita militare. Dovettero così presentarsi tutte le altre classi, fino a quella del 1874: da destinare alla M.M. (dal 1882 al 1885) e alla M.T., che arruolò nei suoi ranghi gli uomini dalla classe 1874 alla 1881. Le distinzioni fra le milizie venne ben presto a cadere trovandosi gente anziana coinvolta nei combattimenti ravvicinati. Anche disabili e ritardati di mente finirono in trincea, tanto che si dovettero prendere dei provvedimenti seri sia nei confronti dei selezionatori che dei comandi che non fossero attenti a questi uomini (venivano rispediti indietro coi carabinieri) . A questo si aggiungeva che molti dei coscritti erano avanzi di galera con quel che ne consegue .http://www.cimeetrincee.it/caporett.htm  Caporetto
     
Dopo la preparazione d’artiglieria (a gas in Frenzela e Val Miela), nella previsione che il nemico avesse avuto sentore dell’attacco e concentrato qui molti dei suoi, iniziano a muovere tutti i reparti del XXII C.d.A secondo le direttive e gli obiettivi assegnati. La zona d’attacco è una serie di vallate e colline in sequenza dove le cime sono tenute dagli austriaci che hanno avuto tutto il tempo per trincerarsi. La nostra artiglieria è stata integrata con pezzi francesi e per avere una possibilità di successo secondo i principi tattici dovremmo essere numericamente almeno il doppio degli austriaci che si difendono. Ma non è così. Non possiamo sguarnire le altre linee dell’altopiano o portare in battaglia vecchi territoriali e ragazzi del '99. Iniziano varie azioni di disturbo che non hanno molto successo. Il Valbella regge ai bersaglieri, poi a quelli di rincalzo che ci riprovano. E’ un po’ ancora un gioco al massacro: giù un reparto a leccarsi le ferite su un altro poi di nuovo il primo. Il Valbella ripetutamente attaccato cederà solo il il 29 pomeriggio con l’arrivo della IV brigata Bersaglieri (14° - 20° reggimento). Sono impegnati su questo fronte il I-II-IV e XVI reparto d’assalto con i loro "usi e costumi" e le brigate Bisagno e Liguria. Quando al Col del Rosso alle 9,30 parte l’attacco della Sassari tutto sembra andare per il meglio: in meno di un’ora i reparti hanno raggiunto tutti gli obiettivi. Ma la reazione austriaca non si fa attendere oltre e tutti i reparti vengono ributtati alla linea di partenza. Il Comandante di Reggimento, Ten.Col. Giovanni Antonio Aprosio, accorso per riorganizzare i reparti, cade eroicamente sul campo. Il II/151° è costretto a ripiegare sulle pendici N-O di Col del Rosso, lasciando isolato un plotone a Case Melaghetto. Sono 43 novizi della classe '99 che, completamente accerchiati e a corto di munizioni, resistono per un giorno intero. Quando a tarda sera verrà ristabilito il contatto, solo 19 di essi saranno ancora vivi. Le due Compagnie Alpine, incaricate di aggirare il Col d’Echele da est, sono intanto respinte anche loro dal fuoco di mitragliatrici e di gas a Case Ruggi. Alle 11 la q. 1039 è ripresa dagli alpini del Bassano, Baldo e Tirano. Si ricomincia con il controtiro d’artiglieria e al termine i sassarini si rifanno sotto. Alle 14.15 il Col del Rosso e Col d’Echele sono nostri mentre ricomincia dall’altra parte l’ennesima reazione non domata dalle artiglierie sulle basi di partenza. Incuranti del fuoco italiano che apre vuoti spaventosi tra gli attaccanti questi continuano ad avanzare. La situazione di stallo o di alternanza sta solo logorando i reparti. A questo si aggiungono segnalazioni di razzi interpretate male che fermano il nostro tiro di artiglieria proprio nel momento cruciale. Ancora a sera fallisce l’attacco della Sassari a Case Caporai. Il momento è tragico, ci si difende anche con i sassi. Dalle file della Brigata si leva ora alto il grido“Avanti Sardegna!”, prima isolato, poi sempre più frequente “Avanti Sardegna!” “Avanti Sardegna!” “Forza Paris”, rispondono all’unisono gli uomini che baionetta inastata vanno al corpo a corpo.
Il 29 gennaio 1918 Piola Caselli ordina l’ennesimo attacco al maledetto Valbella su tre colonne: a sinistra la colonna Mozzoni (una comp. del IV d'assalto con il 61 bersaglieri. reparti del 14º btg. bers. e due comp. mitr. Al centro la colonna Besozzi (il XVI rep. ass. con parte del 66° bers. A destra la colonna Ricciardi (una comp. del IV ass., il 54° bers. e nuclei dei btg. 24 e 72). Alle 13 il Valbella cade nonostante la reazione austriaca. A sera si conclude la battaglia dei "Tre monti" con la riconquista delle posizioni perse a natale. Il 30 gennaio, all'alba due cp. del 157° Liguria partendo da Col del Rosso prendono anche Case Caporai. Manca la Casera Melaghetto che viene presa il 31.
 

     

   
 

Bollettino di Guerra n. 981 (30/1/1918, ore 13) “Valorose truppe della zona altopiani hanno felicemente coronato l’azione da esse iniziata il giorno 27 ad est di Asiago, strappando al nemico munite posizioni ad occidente della Val Frenzela. Conquistati fin dal giorno 28 e mantenuti con grande valore il Col del Rosso ed il Col d’Echele, premuto e sospinto l’avversario nella regione di Sasso Rosso, ributtati all’arma bianca i numerosi suoi contrattacchi, nella giornata di ieri il successo venne ampliato con l’espugnazione del Monte di Valbella. Fortissime furono le perdite inflitte al nemico che ebbe due divisioni quasi completamente distrutte; notevole il bottino di guerra, non del tutto calcolato ma comprendente finora: oltre 100 ufficiali e 2500 uomini di truppa prigionieri; 6 cannoni di vario calibro; circa 100 mitragliatrici; numerose bombarde; parecchie migliaia di fucili; ingentissima quantità di munizioni e materiale di varia specie. Violenta fu la reazione dell’artiglieria nemica sulle posizioni conquistate, rapidi e potenti i concentramenti del nostro fuoco fin sui più lontani obiettivi. Numerosi i tentativi di ricognizione e d’offesa dei velivoli nemici; pronta l’aggressività dei nostri ed aggiustato il tiro antiaereo, che nelle due giornate abbatterono 17 apparecchi avversari. Durante le azioni dei giorni 28 e 29 l’eroica brigata Sassari (151° - 152°), ed in particolar modo il 151° reggimento fanteria riconfermò il valore della sua gente e la gloria delle sue bandiere; i reparti d’assalto I, II e III, la IV brigata bersaglieri (reggimenti 14° e 20°), col suo reparto d’assalto (IV), il 5° reggimento bersaglieri, i battaglioni alpini Val d’Adige, Stelvio, M. Baldo e Tirano, assolsero magnificamente il loro compito e furono all’altezza del loro nome e delle proprie fulgide tradizioni”.

Si contano fra gli austriaci gravi perdite - la 106ª div. Landsturm (Ls=territoriali) fuori combattimento (morti 122 uff. 1425 uom.), la 43ª brig. Schutzen ridotta a 800 soldati. I reggimenti  Ls. 6 e 25° rimasero ciascuno con 50 fucili. Catturati dagli italiani 100 uff. e 2500 soldati, 6 cannoni, circa 100 mitragliatrici e materiale. ITALIANI - 5240 uomini (268 uff. di cui morti 45 feriti 185 e dispersi 38 - 4972 soldati di cui m. 534 f. 3152 d. 1286). Il bollettino austriaco dà come prigionieri 20 uff. e 790 soldati italiani. A giustificazione della sconfitta gli austriaci diedero la colpa agli anziani dei reparti territoriali che avevano sostituito i Kaiserjaeger. Non è stata l'Ortigara ma c'eravamo andati vicini.

Il 3 febbraio la brigata Sassari con i feriti in testa sfilò per le vie di Vicenza acclamata dalla popolazione; dopo pochi giorni furono protagonisti di un’analoga cerimonia i bersaglieri della IV brigata. Erano i segni esteriori della rinascita dell’esercito.

 

Dal bollettino di Guerra del 1° febbraio 1918:

"Il 31 gennaio, dopo ripetuti e sempre vani tentativi di ritoglierci i progressi conseguiti nella regione di Sasso Rosso, il nemico iniziò un'azione più intensa per ributtarci dal Monte Valbella, donde nelle prime ore del giorno nostri reparti avevano raggiunto di slancio la testata della Val di Melago. Prima però che l'attacco riuscì a toccare le nostre linee, grazie all'efficace cooperazione dell'artiglieria, gli assalitori furono presi sotto un fulmineo e potente fuoco di sbarramento, che li costrinse a ripiegare sulle posizioni di partenza".

     
Quei due giorni di inferno sull'altopiano di Asiago, il ripetuto intervento di reparti d'assalto riteniamo siano stati decisivi per il percorso bellico di Ettore Marchand. I reparti d'assalto erano costituiti con la numerazione romana e il I traeva origine dal I C.d.A. come il II dal II C.d.A.. Poi ognuno, come si dice, per la strada più lunga verso la morte. La specialità o corpo degli assaltatori era stata costituita nell'estate del '17 ma non aveva veramente funzionato fino a Caporetto dove le gesta di questi uomini passarono inosservate se confrontate con le pari Sturmtruppen tedesche responsabili della rotta di Caporetto. La primavera del 1918 portò consiglio e portò idee sul'impiego, in particolare, sul fronte del Piave. Riteniamo che Ettore Marchand abbia chiesto, ancora col suo grado di tenente, di essere ammesso in uno di questi reparti e abbia passato la maggior parte dei mesi primaverili all'addestramento e a prove pratiche in colpi di mano sui greti o Grave (isole) del Piave. La battaglia del solstizio in Giugno, favorì sicuramente il suo passaggio al Grado superiore che citiamo per averlo appreso dall'Istituto del Nastro AZZURRO. I vuoti formatisi (bastava rompersi una gamba in addestramento, o ferirsi o morire, per essere fuori dai ranghi) e la sua fortuna che finora lo aveva sorretto, gli aprirono la strada prima a un comando di plotone  poi a quello di compagnia d'assalto alla vigilia della cavalcata della Vittoria. E questa cavalcata incominciò il 24 ottobre 1918 quando con il Piave imprevedibilmente in piena le truppe d'assalto cominciarono a guadare il fiume preparando il terreno alle ondate alleate che si riversavano sulla sponda orientale per il colpo di grazia all'Impero.    

CAP. ETTORE MARCHAND - Medaglia d'Argento al V.M. alla memoria. B.U. del Minstero della Guerra del 26/3/1920

Splendido campione di comandante, di soldato e di organizzatore, dedicava tutta la sua intelligente ed appassionata attività alla riuscita del tentativo di passaggio del Piave dal saliente di C. De Faveri. Trasfondeva nei suoi dipendenti tutto l’ardore della sua fede e l’irresistibile impulso della sua volontà tenace. Nel passaggio del Piave, effettuato il mattino del 28 sotto l’intenso tiro di grossi calibri nemici. Slanciavasi primo alla testa dei suoi incontrando serenamente e coscientemente morte gloriosa. Piave 28 ottobre 1918. “

IL SOGNO DELLA VITTORIA    
Quando chiamarono il Bersagliere Gen. Gaetano Giardino dell’Armata del Grappa o IV armata (9°, 6°, 30° CdA) per dirgli che da lassù doveva muovere all’attacco degli austriaci gli ci volle un minuto per riprendersi. A fatica aveva uomini per difendersi e quello che era stato in quell'anno disperato era già entrato nella leggenda. Ma da li partiva la riscossa secondo il Comando Supremo di Diaz. Non doveva vincere, doveva attirare su di se, sulle falde del Grappa tutte le riserve nemiche per far si che sul Piave venissero gettati ponti e teste di ponte e la strada per Vittorio (Veneto) fosse meno affollata possibile. Diviso l’esercito della pianura da quello dei monti dalla lancia penetrante dell'8a (VIII) armata la vittoria era in pugno. Gli austriaci non avevano quasi più capacità di reazione ma potevano difendersi coi denti anche se su questo punto nutrivamo forti dubbi. Serpeggiava già fra i soldati il tarlo della sconfitta, specialmente fra i soldati delle tante nazionalità dell'impero che guardavano ormai alla loro incerta e oscura indipendenza. Avevano vinto contro la Russia zarista ma la nuova Russia rivoluzionaria stava corrompendo Vienna (e non solo). Giardino lanciò allora il seguente proclama: "È l'ora della riscossa. È l'ora nostra. I fratelli schiavi aspettano i soldatini del Grappa liberatori! Chi di voi non si sente bruciare di furia e d'amore? Il nemico traballa. È il momento di dargli il tracollo che può essere l'ultimo se glielo date secco. Ognuno di voi valga per dieci e per cento. Il vostro Generale sa che varrete per 10 e per 100. L'Italia vi guarda ed aspetta da ciascuno di voi la liberazione e la vittoria. Soldati miei, avanti!". Alle 3 a.m. del 24 ottobre l’artiglieria italiana aprì qui il fuoco e il nemico stupito si chiese se a qualche generale italiano non fosse saltato il cervello. Le migliori unità ungheresi e tedesche di Boroevic, erano saldamente attestate sul Grappa e una delle strade di casa, per la Pusteria, passava proprio la sotto nella valle del Piave. 

- LXXII (72°) reparto d'assalto - Si costituisce nel giugno del '18 per il XXII Corpo d'Armata in sostituzione del XXII reparto d'assalto assegnato alla Divisione d’assalto "A".  Il nuovo Reparto entrò subito in azione con la controffensiva del Solstizio, raggiunse Selva (sul rovescio del Montello) e dopo diversi sbalzi e accaniti combattimenti (che videro l’olocausto di 3 ufficiali fra i quali il Ten. Gattu Remigio), occupò Casa Pia. Successivamente, seguendo l’argine del Piave, si avvicinò a Nervesa che fu conquistata e tenacemente mantenuta fino ad Ottobre tagliando la testa di ponte del Montello. Nell'autunno viene assegnato al Comando 8a Armata Caviglia. E' decorato di Med. d'Argento. Il reparto come tutti sarà sciolto nel febbraio 1919.

La costruzione di ampie caverne e di postazioni ben protette di mitragliatrici e di cannoni rendeva ogni assalto da parte della 4a Armata estremamente arduo, pericoloso e mortale ma ora in linea c’erano anche tanti "austriaci" sloveni, austriaci ungheresi, austriaci polacchi, austriaci romeni, austriaci bosniaci…etc affamati e delusi: di austriaci veri a difendere la "patria" non c'era più nessuno. La loro resistenza accanita non cambiò comunque i propositi del nostro C.S., che ordinò di insistere con i morti che si ammucchiavano davanti alle trincee austriache. Il piano di invasione programmato per il 25 ottobre venne rinviato di un giorno per per l'acqua del Piave che s'era alzata con la pioggia. Dalla Svizzera al Grappa erano schierate le armate VIIa (gen. Giuseppe Pennella), la Ia (10°, 5°, 19° CdA), la VIa (14°, 12°, 13° e 20 CdA) e la IVa del Grappa e sotto le altre fino all’ultima, la IIIa, del Duca d'Aosta nella laguna veneta (da Fagarè al mare lungo il Piave vecchio vedi piantina) con il 26°, 28°, 23° CdA (e in Riserva d'Armata la 23a Divisione (Generale dei Bersaglieri Gustavo Fara) composta dalla Brigata "Pallanza" e V Br. Bersaglieri). Non citerò semplici reparti o reparti minori, per non addentrarmi nel piano d’azione e coprire un interesse estraneo al navigatore tradizionale, ma solo il settore interessato dal 72° (LXXII) reparto d’assalto Fiamme Cremisi che passa il Piave a Falzè ai piedi settentrionali del Montello. Nel settore della XII armata, che affianca e sostiene a sinistra (con la X a destra) lo slancio dell'VIII armata,  i francesi (e gli italiani) non ebbero eccessive difficoltà a raggiungere la linea Osteria Nuova- S.Vito - Madonna di Caravaggio- Funer- Cà Settolo. Nel settore della VIII armata schierata sul Piave da Cornuda a Nervesa per compiere l’azione di sfondamento attraverso il fiume ormai Sacro alla patria invece le cose si complicarono. L'8a aveva ben 5 Corpi d’Armata di cui il 27° Cda, (Gen. Di Giorgio), che occupava il settore nord tra il ponte di Vidor e Ciano, il 22° Cda (Gen. Vaccari), a cavaliere del Montello, dinanzi la foce del Soligo e, alla sua destra l’8° Cda (Gen. Gandolfo), schierato fronte ad est. Prima a passare fu la 1a Divisione d'Assalto (metà del corpo d'armata d’assalto punta delle punte coi suoi reparti di arditi), che con impeto occupò la Linea dei Molini e proseguì per Falzè (ma alle spalle i ponti venivano sistematicamente distrutti o travolti dalla piena).

I ponti attraverso il Piave dovevano essere 11: uno a Molinello (Pederobba) sul fronte destro della XII Armata (Gen. Jean Cesar Graziani francese qui sotto), gli altri, 7, tra Fontana del Buoro (Montello) e i Ponti della Priula (sul fronte dell'VIIIa armata), 3 alle Grave di Papadopoli, sul fronte della Xa. Ma di 5 non si poté fare nulla. Jean Cesar Graziani comandante franceseSul fronte d’attacco erano stati infatti identificati tre tipi di rive (da Pederobba a Falzè competenza VIIIa) facilmente accessibili anche ai veicoli. Da Falzè a Nervesa vi erano invece scarpate ripide e non accessibili ai carreggi. A sud della Priula (10a) il Piave si allargava infine oltre i 1.000 metri e si divideva in canali alle Grave di Papadopoli con minore profondità e velocità dell'acqua e quindi era possibile il lancio di ponti, più realizzabili che altrove e guadi o passerelle ma ben più lunghe. Si riuscì a passare a Papadopoli (3 ponti Xa), a Falzè, Buoro e a Nord a Molinello (XIIa).

L'ISOLA DEI MORTI
Moriago: Porta della Vittoria o Via degli Arditi così venne chiamata l'isola ghiaiosa (grave) del Piave di fronte al Montello. L'isola deve poi il suo ultimo nome allo spiaggiamento dei corpi dei soldati caduti (decine) che la corrente del Piave vi trascinava. Nel dopoguerra col continuo emergere di corpi Il luogo fu poi deputato alla memoria ed alla pietà popolare. Qui passarono gli arditi dal 27 al 29 ottobre e qui molti restarono. Se passate di la sostate alla piramide che ricorda i caduti. Nel vicino santuario una lapide celebra E.A.Mario, autore della canzone "La leggenda del Piave", ed un soldato, con l'elmo rovesciato in mano, vi farà da acquasantiera.

 

La sera del 26 vennero quindi lanciati i ponti e le passerelle nel settore dell’VIII armata (27, 18, 22, 8° CdA e il C.d. d’Assalto generale GRAZIOLI, ch'era composto della la Divisione d'Assalto generale ZOPPI e 2a generale DE MARCHI) e della Xa mini armata inglese di Frederic Rudolph Lambart (1865-1946) Earl of Cavan (qui sotto) con il 14°, 11° CdA), da Vidor a Fagarè dove si saldava con la III armata del Duca d'Aosta. Già dal 23 ottobre utilizzando piccole imbarcazioni gli inglesi (con l'appoggio del genio Italiano), Cavanavevano attraversato il corso principale del fiume occupando la parte nord della Grave* (isola) di Papadopoli, e due sere dopo una forza congiunta Anglo-Italiana completò l’occupazione. Il passaggio del Piave da parte delle forze di Lambart ha poi consentito ad alcuni studiosi inglesi di mettere in dubbio l’importanza decisiva svolta dall’8aArmata di Caviglia. (*Grave: isola dove i contadini e le famiglie povere facevano legna in tempo di pace)

Dalla relazione del comando della 8a armata Caviglia trasmessa al Comando Supremo all’indomani della vittoria
«Occorreva forzare il Piave con forti masse, poi puntare rapidamente su Vittorio per tagliare le retrovie nemiche della 6ª armata e separarla dalla 5ª. Lo svolgimento della battaglia corrispose in tutto alle previsioni e gli avvenimenti si svolsero, nell’ambito del piano stabilito, secondo le manovre preordinate, non affidate alla fortuna degli eventi, ma guidate e condotte dalla volontà dei capi. «Nella prima fase: a sinistra il XXVII corpo (27°) (8a), come si prevedeva, non poté forzare il fiume con passaggi propri. Lanciò allora le sue truppe ai ponti delle grandi unità laterali; rotti anche questi dalla violenza della corrente e dalle artiglierie nemiche si trovò al mattino del 27 con due soli reggimenti sulla sinistra separati dal resto del corpo d’armata. « Il XXII corpo (22° sempre della 8a) al centro riuscì a gittare due ponti; distrutti e travolti, li rifece, e all’alba aveva sulla sponda sinistra la 1ª divisione d’assalto e parte della 57ª divisione. Queste truppe, in unione alla brigata Cuneo del XXVII corpo, si slanciarono sulle linee nemiche, le conquistarono, ma dovettero fermarsi, costituendo testa di ponte nella piana di Sernaglia, perché col giorno i ponti furono completamente stroncati e fu impossibile far passare al di là nuove forze per alimentare l’azione. « A destra l’VIII (8°) corpo era inchiodato sulla destra del fiume dai tiri implacabili delle mitragliatrici e precisi concentramenti delle artiglierie e più di tutto dalla violenza della corrente. « Per tutto il giorno 27 le truppe che costituivano le tre teste di ponte di Valdobbiadene, di Sernaglia e di Cima d’Olmo, flagellate dalla pioggia, tagliate fuori dalle acque torbide e impetuose del fiume in piena, si batterono con indomabile tenacia opponendosi con disperata energia ai violenti ritorni offensivi del nemico. In questa situazione il comando della 8ª armata ordina al XVIII (18° - 8a armata corpo di passare il fiume alle Grave di Papadopoli (ponti della 10ª armata) e di puntare su Susegana per aprire la strada all’VIII corpo. La dislocazione del XVIII corpo era già stata fatta in previsione di questa eventualità. « Nella notte fra il 27 e il 28 si rinnovarono i tentativi per gittare i ponti sul fronte di tutta l’armata. Essi furono vani davanti al XXVII e VIII corpo, riuscirono in parte davanti al XXII che poté rinforzare le truppe di testa di ponte di Sernaglia con nuovi battaglioni. « La 10ª armata poté ampliare la sua occupazione sulla riva sinistra sebbene i suoi ponti fossero saltuariamente interrotti dalla corrente, ma il XVIII corpo non poté iniziare il passaggio se non nella notte sul 28 e a mezzogiorno solo la brigata Como e parte dalla Bisagno erano al di là del Piave. La felice scelta della direzione d’attacco unita allo slancio delle truppe (brigata Como) diede il tracollo alla resistenza nemica. Nel pomeriggio l’ostinata difesa davanti all’VIII corpo era crollata.

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Alle 8.30 del mattino del 28 ottobre, il comando della 6a Armata Austro-ungarica ordinava il ripiegamento su una 2a linea di difesa a 7 km. a nord del Piave. Le teste di ponte italiane si stavano rafforzando e presto si sarebbero congiunte formando una linea continua oltre il Piave. Oltretutto mentre alcune Divisioni austriache si battevano ancora con estremo vigore sia sul Grappa che sul Piave, alcune grosse unità - soprattutto ungheresi e croate - avevano deciso di ammutinarsi e chiedevano di essere rimpatriate (già il 24 ottobre, alcuni reggimenti ungheresi appartenenti all’Armata degli Altipiani (11a) si erano ammutinati. Due giorni dopo, questa situazione era peggiorata al punto che su quel fronte praticamente il 13° Corpo d’Armata non era più utilizzabile e si ordinò quindi un arretramento della linea). Già il 27 ottobre questa situazione si era così diffusa (da notarsi che sul fronte dall’Astico al mare erano dislocate ben 10 Divisioni ungheresi) tanto che il Generale Boroevic consigliava o di abbandonare il Veneto e ritornare al Carso rifacendo un improbabile viaggio a ritroso o la pace separata che l’amico e alleato, Guglielmo II di Germania non gradiva di certo. Il 28 ottobre intanto, il Generale Arz, C.S.M. Austroungarico, da Baden autorizzava il Generale Viktor Weber a Trento ad avviare al più presto (29)  trattative con gli Italiani ma questa non era una novità perche un dispaccio segreto già aveva previsto questo 20 giorni prima e la realtà era già andata oltre la diplomazia. Era l’inizio delle trattative armistiziali, ma passeranno ancora 8 giorni per la parola FINE.   

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