I BERSAGLIERI E LO SPORT
SANTE CECCHERINI
Sante Ceccherini nasce a Incisa Valdarno il 15 novembre 1861 da Venanzio e Assunta Bellacci. Entra nel collegio militare di Firenze a 15 anni, poi alla Accademia di Modena. Sottotenente nel 1884, entra da questo momento nel corpo dei Bersaglieri, in cui militerà ininterrottamente fino alla Grande Guerra. Valente schermidore, campione italiano, fu promosso Capitano nel 1897 e maggiore nel 1910. Nel frattempo aveva partecipato ai Giochi olimpici di Londra del 1908 in squadra con Pirzio Biroli aggiudicandosi la medaglia d’Argento. Non avendo fra i titoli della carriera la scuola di guerra, la sua promozione agli alti gradi era compromessa. Ormai anziano (48) partecipa alla conquista Libica guadagnandosi nel'estate del 1912 una medaglia d’argento e una di bronzo alla testa di un battaglione dell'11°. Nel 1915 è tenente colonnello e sul S. Michele perviene alla sua seconda d’argento. Promosso colonnello passa a comandare il 12° Bersaglieri che guida sull’Isonzo e sul Carso alla volta della sua terza d’argento sul Pecinka. Nella primavera del 1917 è Colonnello di Brigata alla sua III Brigata Bersaglieri nella III armata di cui copre a Caporetto gli spostamenti di retroguardia al ponte di Madrisio. Promosso a fine anno al grado di Maggior Generale comanda la Brigata sul Piave e nei giorni di Vittorio Veneto. Con la fine delle ostilità la sua carriera (tre argenti) sembra chiusa, fra la riduzione delle forze e il soprannumero di Generali.
CECCHERINI, Sante dal profilo per il Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 23 (1979) di Giorgio Rochat … Servì un anno in Eritrea nel 1889-90, fu promosso capitano nel 1897 e maggiore nel 1910, ormai quasi cinquantenne; aveva infatti rinunciato a frequentare la Scuola di guerra, che in tempo di pace rappresentava l'unica possibilità di accelerare la carriera. Comandante di battaglione in Libia nell'11º reggimento bersaglieri, ottenne nei combattimenti dell'estate 1912 una medaglia d'argento e una di bronzo. … La fine delle ostilità segnò in pratica anche la fine della carriera nell'esercito del C. che, in una situazione caratterizzata dal sovrannumero di generali, era destinato ad essere inevitabilmente scavalcato dai colleghi più giovani, nonostante le sue tre medaglie d'argento. Accettò quindi la chiamata che D'Annunzio (da lui conosciuto sul Carso) e il figlio, giovane ufficiale di marina e valoroso pilota d'aviazione, gli rivolgevano da Fiume a fine settembre e, dopo aver diramato alla stampa una lettera in cui diceva che il tradimento del governo Nitti gli permetteva di venir meno al suo giuramento di fedeltà alle istituzioni, raggiunse Fiume il 6 ott. 1919. Badoglio, che lo riconosceva "ottimo ufficiale e valorosissimo combattente", oltre che vecchio amico, gli scriveva il 26 ottobre chiedendogli di adoperarsi per difendere la disciplina militare e la monarchia, onde non aggravare la frattura verificatasi all'interno dell'esercito e del paese; e analoghi suggerimenti gli faceva pervenire Nitti tramite la massoneria. In questo non facile compito il C. si logorò, da una parte accompagnando e sostenendo D'Annunzio in tutte le trattative e cerimonie, dall'altra facendo il possibile per mantenere l'ordine ed evitare scontri tra reparti contrapposti. Il 6 maggio 1920 solo il suo intervento diretto permise a trecento tra carabinieri, soldati ed ufficiali di lasciare Fiume; ma a Cantrida i legionari fiumani uccisero due carabinieri e provocarono un incidente, in cui lo stesso C. venne travolto e ferito da un cavallo mentre si interponeva tra reparti contrapposti. Nuovamente a metà novembre 1920 il suo tempestivo intervento prevenne uno scontro tra le truppe del generale Ferrario, comandante della 45ª divisione, e gli arditi di D'Annunzio...Il collocamento in posizione ausiliaria lo lasciava libero di riprendere apertamente l'attività politica; si schierò quindi con il - fascismo e il 16 ott. 1922 prese parte con Mussolini, i generali De Bono e Fara e i gerarchi Balbo, De Vecchi e Igliori alla riunione milanese che decise e preparò la marcia su Roma. Il C. ebbe l'incarico di assistere Dino Perrone nel comando della colonna di fascisti toscani destinata a concentrarsi a Santa Marinella; la sua attività fu però assai limitata perché la colonna fu bloccata tra le stazioni ferroviarie di Santa Marinella e Civitavecchia fino al 31 ottobre, quando, concluse ormai le trattative per la formazione del nuovo governo, poté essere avviata a Roma per la sfilata conclusiva (sulle squadre toscane, cfr. del C. Le legioni toscane, in Gerarchia, VII [1927]., pp. 978-85).
Quando nel 19 D’Annunzio lo chiamò per l’avventura fiumana non frappose termini e si unì al figlio che già combatteva a Fiume. L’inosservanza del trattato di Londra, sulle terre irredente, lo esonerava di fatto, come diceva lui, dal Giuramento ad uno Stato italiano che lo aveva imbrogliato, tradito e buggerato. Come massima autorità militare ebbe l’ispettorato delle forze armate e un incarico di mediazione con l’Italia, per non aggravare la crisi fiumana sia all’interno che all’esterno. Il paese e le forze armate in pratica si erano spaccate in due. Suoi gli interventi, quando venne la stanca nella primavera del 20, di permettere a chi lo desiderava di lasciare Fiume. La sua mediazione fra animi esacerbati gli procurò anche una ferita. L’impossibilità di negoziare il futuro di Fiume e l’anarchia che imperava in quel posto lo fecero piano piano eclissare dalle responsabilità di comandare dei soldati, che non accettavano ordini da nessuno. A fine novembre lascia definitivamente Fiume. A disposizione nella riserva, Ceccherini ha ormai 60 anni. Solo un miracolo gli può permettere di rimettere piede nella vita politica italiana e questo avviene con la Marcia su Roma a cui aderisce con la Legione Toscana. Nel 1924 viene promosso Tenente Generale, restando comunque senza comando attivo. Comandò la milizia Toscana e infine l’ispettorato nazionale. Suo figlio nel frattempo era morto in un incidente aereo e la sua salute peggiorava con una paralisi progressiva che lo porterà alla morte nel 1932.