MATILDE DI CANOSSA
1046 - 1115
Matilde nasce a Mantova nel 1046 da Bonifacio di Canossa, discendente di Sigifredo (il bisnonno longobardo di Lucca) e Beatrice di Lorena. La casata si era trasferita dalla Toscana in Emilia e attraverso gli ascendenti Adalberto e Tedaldo (nonno di Matilde) aveva consolidato il potere sulle vicine terre parmigiane e sulle terre di qua e di la dal Po. I buoni rapporti del padre (985-1052) con l’imperatore Corrado II (il Salico) gli avevano fatto riacquisire anche la Toscana, ma la capitale restava a Mantova (detta l’infedele). Dopo il primo matrimonio fallito con Richilde, Bonifacio sposò Beatrice di Lorena, figlia del conte Federico I di Lorena ma soprattutto nipote dell’imperatore di Germania Corrado II. Beatrice resta presto vedova il 6 maggio 1052 per un agguato teso a Bonifacio. L’anno dopo i due fratelli maggiori di Matilde muoiono in tenera età. Beatrice si vede quindi costretta a governare contemporaneamente le terre italiane e quelle di Lorena e appena può si affianca la figlia Matilde.
- da Lezioni sulla
storia di Modena tenute all'Univ. Popolare nell'anno 1905-1906 da Tommaso
Casini - note raccolte a cura di Vittorio Franchini - tipo-lito-grafia Modenese.
Tommaso Casini (Crespellano 1859 - Bazzano 1917) ordinario di Letteratura
italiana presso l'Univ. di Padova e prima provveditore agli studi del Ministero. (da Wikipedia:
Tommaso Casini è antenato di Pierferdinando Casini)
Fu questo il tempo in cui anche il territorio Modenese fu organizzato secondo
quello che Arrigo Solmi ha felicemente battezzato come sistema curtense, poiché,
scomparse le antiche distinzioni di vici e di fundi, si formarono le corti
rurali centro ciascuna di grandi proprietà fondiarie ove i possessori a poco per
volta vennero acquistando ed esercitando diritti di vera signoria feudale.
Questo ordinamento corrisponde al governo dei conti che per Modena è documentato
abbastanza lungamente per tutta 1'età assai oscura dei Berengari e degli Ottoni.
È assai probabile cha su Modena (stendesse la sua autorità quel conte Didone che
nei primi anni del secolo X ci appare in conflitto d'interessi con l'arcivescovo
di Ravenna per terre della pianura già appartenute al ducato Persicetano. Ma più
certo è che la signoria comitale fosse esercitata sotto i Berengari da conti
della dinastia spoletina dei Supponidi tra i quali è specialmente da ricordare
Suppone III che nel 931 tenne un placito (consiglio, trattato) a Renno
nel Frignano qualificandosi per conte di Modena. Venuto in Italia Ottone I, la
signoria dell'Emilia fu per gran parte attribuita all'arcivescovo di Ravenna*
e
così si spiega il placito tenuto nel 973 a Marzaglia sotto la presidenza di quel
prelato; ma tale stato di cose durò pochissimo tempo, poiché Ottone stesso aveva
sin dal 972 creato conte di Reggio e di Modena. Azzo Adalberto per
compensarlo degli aiuti dati alla Regina Adelaide**
di Borgogna contro i Berengari; e con Azzo,
che fu il fondatore di Canossa, s'instaura fra noi la dinastia degli Attoni
(Ottoni). Ad Azzo Adalberto succede nel 988 Tedaldo, che estese la sua
giurisdizione sulle città di Ferrara e di Bologna, in ciascuna delle quali sorse
allora un castello col suo nome; poi intorno al 1010, Bonifazio che ai contadi
paterni aggiunse il marchesato di Toscana, ebbe in moglie Beatrice di Lorena e
morì nel 1052, lasciando la signoria alla figlia, la Contessa Matilde.
Dominio Matildico
La prima volta che Matilde ci appare nel Modenese è nel placito tenuto da lei a
Marzaglia nel 1076, ma per interessi reggiani; seguirono, dopo l'umiliazione di
Arrigo IV (Enrico IV) a Canossa, i grandi fatti della guerre contro
l'imperatore; durante la prima delle quali Modena tenne le parti dell' antipapa
che fu consacrato dal suo vescovo Eriberto e nella seconda abbiam notizia certa
che la contessa fortificò molte sue terre del contado modenese, preparativi non
inutili a giudicare dal vano assedio che Arrigo IV pose (mentre forse era
stanziato in Modena) alla rocca di Monteveglio nel 1092. Appare manifesto dal
complesso degli atti matildici che questa infeconda paolotta, come la chiamò il
conferenziere, non ebbe molta simpatia per Modena o, meglio forse, il popolo
Modenese non ne ebbe per lei, tanto che sin da quegli anni non manca qualche
lieve indizio di una primordiale costituzione comunale, probabilmente ristretta
a interessi economici. Comunque Matilde che tanto spesso risiedette nelle sue
corti rurali di S. Cesario, Mombaranzone, Panzano, Baggiovara, Fiorano, etc.,
solo tre volte venne in città, e fu sempre per motivi religiosi, la traslazione
di S. Geminiano e la consacrazione del suo altare nel Duomo, e per rendere
omaggio al Papa Pasquale II.
.
*Guiberto di Ravenna, nato Guiberto Giberti (Parma, 1025/1029 – Civita Castellana, 8 settembre 1100), è stato un arcivescovo cattolico italiano che fu antipapa con il nome di Clemente III dal 25 febbraio 1080 fino alla sua morte. Nel 1072 l'imperatore Enrico IV lo nominò arcivescovo dell'allora sede vacante di Ravenna. Sebbene Alessandro II (papa) fosse riluttante ad avallare la nomina, Ildebrando di Soana lo convinse ad accettare, forse come compromesso per mantenere la pace. Guiberto fece voto di obbedienza al Papa e si insediò nella sua sede di Ravenna nel 1073. Poco dopo Alessandro II morì ed il 29 aprile 1073 venne eletto Ildebrando di Soana col nome di Gregorio VII. Guiberto partecipò al primo sinodo quaresimale indetto da Gregorio a Roma nel 1074. In questo sinodo furono approvate importanti leggi contro la corruzione del clero, ma subito egli si dimostrò uno dei maggiori oppositori alle riforme gregoriane. Durante gli anni successivi, l'imperatore e il papa alternarono momenti di scontro e di riconciliazione finché, dovendo affrontare una ribellione interna di nobili tedeschi, Enrico IV minacciò di destituire Gregorio VII, e portò a termine le proprie minacce quando convocò i suoi sostenitori nel concilio di Bressanone (giugno del 1080), decretando la deposizione di Gregorio VII (atto che venne controfirmato dallo stesso imperatore). Il concilio elesse papa Guiberto, ma egli dovette attendere ben quattro anni prima di essere intronizzato e divenire "papa" a tutti gli effetti. Clemente III non ottenne mai, però, ampio riconoscimento al di fuori dei territori controllati direttamente dall'imperatore, dove fu considerato come un suo fantoccio privo di qualsiasi iniziativa politica autonoma
**Si tratta di Adelaide, figlia di Rodolfo II di Borgogna e di Berta d'Alemannia che sposò a 16 anni per motivi di alleanze politiche, Lotario II, re d'Italia (figlio di Ugo) nel 947. Nel 950 però Lotario fu avvelenato in seguito ad una congiura, organizzata da Berengario II, marchese d’Ivrea, che volle obbligare Adelaide a sposare il figlio Adalberto, perché divenisse il nuovo re d’Italia. La regina si rifiutò e per questo motivo venne fatta imprigionare nella Rocca del Garda. Le fonti sono ricche di dettagli e parlano di maltrattamenti inferti alla povera Adelaide dalla stessa moglie di Berengario, allo scopo di indurla ad acconsentire al matrimonio con il figlio: «Pugnis frequenter agitata et calcibus», scriverà il suo primo biografo, Odilone di Cluny, che la conobbe personalmente. La prigionia viene interrotta da una fuga provvidenziale organizzata dai poveri (semplici) che lei amava. Furono proprio un pescatore e un frate a liberarla dalla prigionia, quasi come fosse metafora di Gesù (pescatore) e S. Pietro (frate) che riuscirono con unno stratagemma a farla fuggire nella notte più profonda. Così raggiunse Canossa con la figlia Emma (che poi sposerà Lotario di Francia) e qui riuscirà, nonostante l’assedio posto da Berengario, ad incontrare Ottone I Imperatore del Sacro Romano Impero sceso in Italia. Ottone è vedovo (e mira alla corona italiana) ed è comunque colpito dalla tenacia e dal coraggio di questa donna colta (parlava 4 lingue) e sceso in Italia sconfisse Berengario II. La sposò la notte di Natale del 951 a Pavia. Ebbero in seguito ben 4 figli. Dopo il nuovo matrimonio il figlio primogenito (Liudolfo) che Ottone ha avuto dalla prima moglie Editha intuisce che nella successione saranno privilegiati i figli di Adelaide. La ribellione che ne segue si estende ad altri nobili tedeschi e per Ottone saranno necessari diversi anni di permanenza in Germania per superare questa crisi. Il viaggio a Roma seguirà quindi solo più tardi, nel 962. L’incoronazione in San Pietro riguarda non solo Ottone ma anche Adelaide “imperatrice”: un ruolo ed una dignità istituzionali attribuiti per la prima volta in Occidente ad una donna.
L'educazione di Matilde fu molto curata; il suo biografo, Donizone scrive: “ ben conosce il linguaggio dei Teutoni e sa anche parlare la garrula lingua dei Franchi “; che con lo scrivere è cosa abbastanza rara anche fra le nobildonne del suo tempo. Il Pontefice consigliò a Beatrice di risposarsi, per mettere fine ai problemi successori (senza figli maschi) e di governo. Il secondo matrimonio di Beatrice (1054) con Goffredo di Lorena detto il Barbuto (suo lontano parente e più vecchio di lei) venne però osteggiato dall’Imperatore. Dopo 15 anni di matrimonio Goffredo o Gotifredo IV, malato, si rifugiò nei suoi territori lorenesi, dove si fece raggiungere dalla famiglia in punto di morte. Qui pretese che il figlio di primo letto Goffredo detto il Gobbo e la figliastra Matilde si sposassero prima della sua morte, come era stato da tempo deciso. Alla vigilia di Natale del 1069 il marchese morì ed il figlio ne ereditò le ricchezze ed il potere. Beatrice quindi, rimasta nuovamente vedova, tornò in Italia ad occuparsi degli affari, lasciando la figlia Matilde presso il nuovo marito (il Gobbo). Prima di morire Goffredo il IV dispone anche di far fondare due monasteri per ordine di papa Alessandro II, che non aveva gradito il matrimonio dei due vedovi: in Lorena l’abbazia d’Orval ed in Italia quella di Frassinoro (Modena). La coppia di sposi (Matilde e Goffredo) ebbe presto una bambina, chiamata Beatrice come la nonna, che purtroppo morì ancora in fasce. Nel gennaio 1072 Matilde lasciò il marito nonostante la mediazione di Gregorio VII (Papa dal 1073 al 1085 succeduto ad Alessandro papa dal 1061 al 21 aprile 1073) e fece ritorno a Mantova. Il 26 febbraio 1076 anche Goffredo il Gobbo venne assassinato, ed il 18 aprile dello stesso anno morì anche la madre di Matilde, Beatrice. Matilde, trentenne, comincia così in solitario a regnare per un quarantennio su un territorio molto vasto dell'Italia centro-settentrionale (dal Lazio al Lago di Garda), dimostrando di essere un abile Capo di Stato.
Matilde non
era solo l'immagine femminile (in alto) e il lato rosa del Medioevo con Adealide.
I tempi come si diceva erano bui e la luce o l'avevi o te la procuravi. In
questo bisogna dire che Matilde non guardava in faccia a nessuno e in ferocia e
determinazione pochi la superavano.
Uccidere l'innocente è omicidio,
uccidere il colpevole è giustizia, uccidere il nemico è vittoria. Attribuita a Sant'Ambrogio da Milano
Quando, nel 1052, suo padre,
Bonifacio di Canossa, era stato assassinato, Matilde aveva solo otto anni.
Appena ne ebbe la forza, fu addestrata a combattere con lancia e spada, a piedi
e a cavallo, e, diciottenne, guidò per la prima volta le schiere del patrigno
Goffredo in una battaglia contro le truppe dell'antipapa Cadalo, nel 1062, ai
Campi di Nerone, appena fuori Roma. Insieme a un suo capitano, il fido Arduino
della Palude, la giovane contessa portò all'attacco i suoi armigeri,
sconfiggendo completamente l'esercito avversario, e ricevendone la resa il 14
aprile 1062 (aveva 16 anni). Era il primo di oltre sessanta combattimenti cui
Matilde partecipò, sempre in prima linea, con esiti alterni, ma con una tenacia
e con un acume tattico che non venne mai meno, seguendo l'esempio della madre
Beatrice, anch'ella comandante in capo dei suoi feudatari. D'altronde, la sua
figura di donna guerriera non mise mai in ombra la sua fama di bellezza (era
alta, forte, con denti splendidi e capelli biondo fulvo) né la sua leggendaria
umiltà, per la quale, fino alla morte, si firmò "Matilda, Dei gratia si quid
est" . Brani tratti dal
saggio di Alberto Leoni "Storia militare del Cristianesimo"-ed. Piemme:
L’imperatore
in quegli anni aveva scomunicato il pontefice (non eletto secondo le norme canoniche stabilite nel 1059) e questi aveva fatto altrettanto con lui e tutti i vescovi da lui nominati.
Solo il popolo di tutta Europa, che continuava a credere nel Papa di Roma, faceva la differenza. Matilde, che nonostante i digiuni mistici e le veglie, era una donna bella e decisa ebbe una parte fondamentale nei rapporti tra Papa Gregorio VII e il giovane Enrico IV
-1054-1106- (Re di Germania e imperatore dal 1084), suo cugino. Dopo alterne
vicende politiche, tra le quali il rapimento lampo del papa da parte di Cencio nella notte di Natale del 1075 (Gregorio VII celebrante la messa presso l'altare del Presepio di Santa Maria Maggiore venne preso, spogliato delle sue vesti pontificali, malmenato e imprigionato nella torre del quartiere del
Parione), Enrico scese
in Italia, per rilanciare la lotta al Papato, appoggiandosi proprio ai vescovi lombardi scomunicati ma ancora ben saldi nelle loro sedi.
Il Papa Gregorio VII si rifugiò allora nella rocca protetta e inespugnabile di
Canossa dove l'Imperatore portò l'assedio. Dopo
un incontrò tumultuoso con Matilde, decise però di vestire l’abito del penitente, presentandosi al Castello, scalzo e
coperto di soli stracci in una fredda giornata del gennaio
1077 per chiedere perdono. Fu quindi solo grazie alla cugina Matilde, che Enrico IV venne ricevuto dal Papa dopo 3 giorni a piedi nudi
nella neve. Negli anni successivi, anzi già 15 giorni dopo quel fatto, Enrico IV si scagliò nuovamente contro il Papato,
mentre Matilde continuò a schierarsi dalla parte di Gregorio rifugiatosi
nuovamente in extremis presso i Normanni di Roberto il Guiscardo a Salerno dove
morì anche nel 1085. Le incursioni in Italia di Enrico IV si fecero frequenti e in una di queste creò Antipapa l'arcivescovo di Ravenna Clemente III. Matilde potrà contare al suo attivo,
nella lotta all'imperatore, lo scontro vittorioso di Sorbara nei pressi di Modena (2 luglio 1084), contro le forze scismatiche capeggiate dai vescovi Everardo di Parma e Gandolfo di Reggio. A Lucca, nel luglio del 1081 intanto, Enrico proclamava Matilde “'rea di lesa maestà”, con la conseguenza immediata della decadenza da tutte le funzioni pubbliche e della confisca di tutti i suoi beni. Matilde si
arroccò a Canossa seguita dai suoi fedelissimi, mentre alcuni dei suoi conti passavano
dalla parte dell’imperatore. Mentre Matilde era sola, separata anche fisicamente dal pontefice, Enrico IV si appropriava di buona parte delle sue terre tranne i quattro castelli di Canossa, Monteveglio, Piadena e Nogara, che le rimasero fedeli.
LA BATTAGLIA DI SORBARA
….. Appena capì le vere
intenzioni del re, infatti, raccolse la maggior parte dei suoi uomini e, in
tutta segretezza, si arroccò nel castello di Sorbara, nella bassa modenese. Come
aveva previsto, con una deviazione improvvisa, l’esercito nemico si gettò su
quel castello. Si trattava di un’armata poderosa, la più potente che da anni e
anni avesse attraversato la Padania. La comandava forse il migliore capitano di
Enrico IV, il marchese Oberto, che era più che certo di spezzare in un colpo la
resistenza della rocca di Sorbara, per avventarsi poi su Canossa, dove credeva
che Matilde fosse rintanata — come aveva scritto Benzone — a torcersi le mani
disperata.
La sorpresa degli scismatici quando, accostatisi alle mura del castello, le
videro brulicare di armati, fu così grande che i canossiani, come invasati,
presero a colpirli con un temporale di frecce e pece bollente, respingendoli più
e più volte. Oberto allora decise di non lasciarsi alle spalle quel baluardo
così temibile e, accampatosi nei prati vicini, cinse d’assedio la fortezza. Un
assedio destinato a durare ben poco, perché adesso scattava la seconda parte del
piano di Matilde. Di notte infatti la contessa uscì dalle mura e con un esercito
silenzioso si avvicinò al campo nemico dove i soldati, spossati per le tappe
forzate e per la dura battaglia, dormivano profondamente. Alla riuscita del
piano, la sorpresa era indispensabile. Matilde, infatti, poteva contare solo su
duemila uomini che dovevano sconfiggerne circa quindicimila. (2 luglio 1084).
Mentre i canossiani si schieravano, acuendo la vista nel buio pesto, in ordine
di battaglia, un sacerdote espressamente delegato da Anselmo di Lucca li
benediceva e li assolveva dai peccati. Sui guerrieri del Mille, è stato notato,
quel lavacro spirituale prima della battaglia produceva sempre un’enorme
emozione. Quando tutto fu pronto e i corpi dei soldati eccitati furono tesi
all’attacco, dal silenzio della notte, limpida, forte e femminile si levò la
voce di Matilde nel grido di guerra dei Canossa: « San Pietro! A noi! ». In un
frastuono d’inferno mentre già spade e lance venivano sfoderate, duemila
gridarono in risposta: « A noi! San Pietro! ». Era un grido che i soldati
scismatici di stanza in Padania avevano imparato a temere.
Pronunciato ora da duemila bocche nel silenzio della notte fece letteralmente
accapponare la pelle alle scolte dell’accampamento. E Oberto,
svegliato di soprassalto all’udirlo, capì in un baleno che sul campo di
battaglia si trovava la contessa Matilde in persona. L’impatto dei canossiani
con l’esercito scismatico ancora mezzo addormentato fu terribile. Gli scismatici
sotto i fendenti furibondi dei soldati di Matilde cercarono invano di
organizzare una difesa: venivano infilzati uno dietro l’altro. La confusione era
enorme: i cavalli impazziti devastavano le tende, già erano stati appiccati i
primi incendi, quando dal lato opposto del campo si levò nuovamente il grido di
Canossa: « Pietro, combatti per i tuoi ». E la cavalleria della guarnigione di
Sorbara, balzando dal buio della notte, fu sopra ai soldati che cercavano di
mettersi in salvo nei macchioni. La più furente era lei, Matilde. In groppa al
suo cavallo menava fendenti tutti mortali. La gran dama di corte, l’elegante
fanciulla, era rimasta sui monti di Canossa.
Ora, sul campo di Sorbara, c’era un
capo guerriero. Alla testa dei canossiani sembrava tornato Bonifacio il
terribile, l’uomo che in guerra non conosceva prigionieri o moderazione. Era
tornato il tempo in cui dove passava un Canossa non un nemico restava vivo. «
San Pietro, San Pietro » urlava Matilde, mentre dal suo cavallo tagliava teste,
inseguiva e infilzava uomini nascosti nei cespugli. L’ultimo pensiero di Oberto
prima di essere trafitto da decine di colpi fu quello di essere stato attaccato,
senza sapersi spiegare come, da almeno trentamila uomini. Con la morte di
Oberto, il suo cadavere illuminato da una legione di torce, perché tutti i suoi
lo vedessero, lo sbandamento dell’esercito scismatico fu completo: i soldati di
Enrico, privi ormai di forza, disperati, stretti fra le rovine del proprio
campo, si lasciarono uccidere inermi.
Questa volta Matilde non risparmiò nessuno. All’alba, il sole illuminò uno
spettacolo orrendo: l’accampamento era divenuto una palude livida di sangue.
Pochissimi i superstiti. Fra questi, Gandolfo, vescovo di Reggio, che, nudo in
un pruneto, paralizzato dall’orrore, attese ben tre giorni prima di uscire dalla
sua tana. Era stata una strage e una strage di capi: vescovi, duchi, ufficiali
fra i più capaci giacevano sul campo; chi senza testa, chi con le budella in
mano, tutti avvoltolati miseramente nel fango e nel sangue. La furia di Matilde,
per tanti anni sordamente fomentata dal cugino Enrico, era lividamente esplosa. La notizia dell’entrata in Roma
del Guiscardo e della liberazione del Papa giunse a Matilde a Sorbara poche ore
dopo la vittoria. Il messo portava anche un avvertimento: Enrico IV se ne
fuggiva in Germania, ma al suo seguito c’era anche il cardinale cancelliere che
indebitamente deteneva il sigillo di Gregorio VII. Ancora eccitata dalla
battaglia, Matilde vergò allora una lettera di avvertimento ai principi
tedeschi: e qui la signora di Canossa mostrò, per chi sappia osservare con
sottigliezza i dettagli, il suo carattere non più monoliticamente feudale.
Questa lettera ai Tedeschi è, insieme ad un altro testo di data posteriore,
l’unico scritto rimastoci di Matilde e si apre, come era consuetudine a quel
tempo, con la firma (già logo da moderna carta intestata). Ma quella della contessa di Canossa è una firma
inusitatamente modesta, dove non sono elencati, come avrebbero dovuto essere, i
suoi titoli comitali, margraviali, granducali. Semplicemente vi è scritto:Mathilda Dei gratia si quid est: Matilde, che è qualcuno solo per grazia di Dio.
Il tutto diviso da una croce.
A quanti abitano il regno dei Tedeschi, salute. Vi facciamo noto che Enrico falso re, ha rubato segretamente il sigillo del signore papa Gregorio. Perciò, se udrete qualcosa che discordi dalla nostra ambasceria stimatelo falso, né lasciatevi convincere dalle sue menzogne. Inoltre egli conduce con sé il vescovo di Porto che fu un tempo confidente del signore Papa. Se pertanto a mezzo di lui egli vuole fare alcuna cosa con voi o contro di voi, non abbiate dubbio che egli è un teste falso. Non crediate mai a nessuno che osi dire diversamente da noi. Sappiate che il signore Papa ha già recuperato Sutri e Nepi, Barabba Ladro, ossia il papa di Enrico anche lui è fuggito. State bene e guardatevi dalle insidie di Enrico. Brani tratti dal saggio di Pier Damiano Ori e Giovanni Perich: "Matilde di Canossa"-ed. Rusconi pag. 140 e segg
Nel 1088 Enrico IV decise di scendere nuovamente in Italia e Matilde, forse proprio su suggerimento del nuovo Papa, Urbano II, decise di sposarsi nuovamente. La scelta cadde sul giovane rampollo dei duchi di Baviera, Guelfo IV (Il Pingue) figlio di Alberto Azzo II (Welf d’Este iniziatori della casata estense (castello di Calaone-Este-Pd) e nipote di Guelfo III (detto anche I dal 1070). I Welf (Guelfi e Ghibellini (in tedesco, Welfen u. Waiblingen) erano da sempre ostili all'Imperatore e ambivano al trono tedesco (i cattolici bavaresi già da allora si distinguevano comunque per la fedeltà a Roma) ed ogni alleanza era utile per unire le forze che lottavano contro l'odiato Enrico IV. Il secondo marito di Matilde, appena sedicenne, si trovò così sposo di una donna che avrebbe potuto essere sua madre (43). In una miniatura viene raffigurato l'incontro tra i due: il duca, che ha appena 15 anni, appare maturo e barbuto mentre al contrario è tanto grasso e imberbe che passerà alla storia proprio col nome di Guelfo il Pingue. Qualcuno si spinge a descrivere la prima notte di nozze quando lei in costume adamitico gli si presenta per il dovere coniugale. Il cronista dell'epoca riferì che “Guelfo non poteva conoscere la moglie carnalmente, né altra femmina, per naturale frigidità o altro perpetuo impedimento”, e continua narrando che il marito ragazzino fallì. A quel punto ella lo avrebbe scacciato. Dal "matrimonio" non nasceranno quindi figli. http://www.geocities.com/eurprin/brunswick.html
Matilda married Welf V of Bavaria, from a family (the Welfs) whose very name was later to become synomynous with alliance to the popes in their conflict with the German emperors (see Guelphs and Ghibellines). This forced Henry to return to Italy, where he drove Matilda into the mountains. But again he was humbled before Canossa, this time in a military defeat in October 1092, from which his influence in Italy never recovered. The House of Welf (or House of Guelph) is a European dynasty that has included many German and British monarchs from the 11th century until the 20th century. ... The Guelphs and Ghibellines were factions supporting, respectively, the Papacy and the Holy Roman Empire in Italy during the 12th and 13th centuries. Matilda's death of gout in 1115 marked the end of an era in Italian politics. She had no heirs and left her allodial property to the Pope, while Henry had promised some of the cities in her territory he would appoint no successor after he deposed her. In her place the leading citizens of these cities took control, and we enter the era of the city-states in northern Italy. In the 17th century her body was removed to the Vatican, where it now lies in St. Peter's Basilica. The story of Matilda and Henry IV featured in Luigi Pirandello's play Enrico IV.
Dai Welf discese anche la casa Hannover che diede all’Inghilterra nel 1714 il Re George-Louis (+1727) Giorgio I. Nel settembre 1092 Matilde respinge a Canossa l’ennesimo assalto delle forze imperiali. Tre anni dopo partecipa col Papa Urbano II al Concilio di Piacenza, indetto per bandire la prima crociata. Questo è anche l’hanno della definitiva separazione dal marito figlioccio, ora chiamato anche l’impotente, che torna definitivamente a casa. Matilde adotta come figlio, nel 1099, il conte fiorentino Guido Guerra e dona alla chiesa (alla sua morte) tutti i suoi beni. Anche Enrico IV ha le sue disgrazie familiari, che cominciarono con le ribellioni dei figli Corrado ed Enrico V, il quale giunse perfino ad imprigionare il padre, morto di crepacuore a Liegi nel 1106. Enrico V, imperatore dal 1105, giunse ad un accordo con Matilde, a Bianello, reintegrandola nei suoi possedimenti (eccetto la Toscana) e nominandola viceregina d'Italia e vicaria papale. Tra le clausole dell’accordo c'era anche la possibilità di riprendersi Mantova che cade nel 1114.
Ormai gravemente ammalata si ritira nei suoi castelli e muore a Bondanazzo di Reggiolo nel 1115, a 69 anni ormai entrata nella leggenda. Viene prima sepolta in San Benedetto in Polirone (San Benedetto Po) nella Abbazia da lei fondata poi nel 1633 per volere del papa Urbano VIII la sua salma viene traslata a Roma in Castel Sant'Angelo. Nel 1645 i suoi resti trovano definitiva collocazione nella Basilica di San Pietro in Vaticano. La sua tomba scolpita dal Bernini è detta "Onore e Gloria d'Italia".