PLEZZO - L'ALTRA CAPORETTO

24 ottobre 1917 ore 2 - la stretta di Saga

Dal Rombon al Vippacco (foce del fiume a Gorizia) la zona è di competenza della II Armata (gen. CAPELLO), costituita dai Corpi IV (CAVACIOCCHI divisioni 50a, 43a e 46a) tra la conca di Plezzo e la costa Raunza, XXVII (BADOGLIO) dalla costa Raunza alla Bainsizza sup., XXIV (CAVIGLIA) sulla Bainsizza, II (Albricci) dalla Bainsizza inf. a Gorizia, VI (Gatti O LOMBARDI), XVIII (Grazioli) da Gorizia al Vipacco:

il VII Bongiovanni, XIV Sagramoso e XXVIII Saporiti stanno in 2° linea ma molto spostati verso Sud come per fronteggiare  uno sfondamento a Gorizia o attuare, come diceva Capello,  una controffensiva sulla Bainsizza:

  Il generale von BELOW (tedesca) divise la sua 14a Armata del settore Giulio Carnico in quattro gruppi: il 1° (KRAUSS, austriaco) composto di tre divisioni austriache (3a Edelweiss, 22a Schutzen e 55a) e di una germanica (JÀGER) disteso dal Rombon al Vrata; il 2° (STEIN), composto di una divisione austriaca (50a) e di due germaniche (12a Assiana ed Alpenkorps), dal Vrata a Volzana (testa di ponte di Tolmino); il 3° (BERRER), composto di 3 divisioni germaniche (200a, 5a e 26a) da Volzana a S. Lucia; il 4° (SCOTTI), costituito da tre divisioni austriache (la 33a e 35a) da S. Lucia al Lom di Tolmino. In totale 12 divisioni x c.a 180 battaglioni le cui ultime 6 su un fronte molto corto (questa zona era servita dalla ferrovia transalpina o Wocheinerbahn da Trieste a Vienna via Gorizia-Jesenice). In quest'ultimo tratto ricco di gallerie i tedeschi riuscivano a mettere in opera treni armati che colpivano tutto il versante del Monte Nero. Nella notte sul 24 ottobre il fronte dal Rombon a Tolmino era così difeso: Il IV C.d.A presidiava il tratto Romboncino-Cabria (Gabrje) con le divisioni 50a, 43a e 46a. La 50a divisione, comandata dal generale ARRIGHI, difendeva la parte superiore di questo tratto dal Rombon (escluso) alla borgata di Plezzo inclusa, tenendo a sinistra sul Romboncino (la quota di massina penetrazione), i battaglioni alpini Dronero, San Dalmazzo, Saluzzo e un battaglione dell'88° fanteria (brigata Friuli), al centro, lungo l'Isonzo, l'87° fanteria e gli altri battaglioni dell'88°, a destra, sulle alture di Ceszoca (Oltresonzia), i battaglioni alpini Mondovì e Monviso; al quartiere divisionale, in Saga, erano i battaglioni alpini Ceva e Argentara e il 28° della Foggia, la quale aveva a Caporetto gli altri due reggimenti (281° e 282°).

Skoda 305

  La 43 a divisione, al comando del generale FARISOGLIO, guarniva le trincee dal Poulonik al Monte Nero, avendo in linea la brigata "Genova" (97° e 98° reggimenti) e il 223° della brigata "Etna", e di riserva nella conca di Drezenca il 9° bersaglieri e il 5° gruppo alpino (battaglioni "Albergian, Valchiusone e Belluno). La 46a divisione, comandata dal generale AMADEI, aveva nelle trincee dallo Sleme al Mrzli la brigata "Caltanissetta" (147° e 148° reggimenti) e il 224° dell'"Etna", dal Mrzli a Gabria e sul fondo valle la brigata "Alessandria" e il 2° bersaglieri: L'"Alessandria" in prima linea con un battaglione del 155° e due del 156°, il 2° con due battaglioni sul Pleka e uno a Vrino.
Nella linea avanzata del tratto Volzano-Selo e nella successiva di resistenza stava l'estrema sinistra del XXVII Corpo, formata dalla 19a divisione del generale VILLANI (brigate "Spezia", 125° e 126°, e "Taro", 207° e 208° e battaglione alpino "Val d'Adige"). A rinforzo della divisione il 22 ottobre era stata, inviata la brigata "Napoli" che aveva un battaglione del 76° fra M. Plezia (Pleče) e l'Isonzo e gli altri due al passo di Zagradan e il 75° e le due compagnie mitragliatrici a Case Ardielh, presso Casoni Solarie. Per un totale di 4 divisioni x 70 battaglioni (34 div. Compresa del VIII C.d.A). A prolungare la destra della 19a divisione era stato messo sul Krad- Vhr il 10° gruppo alpino (battaglioni Vicenza, M. Berico e Morbegno), che aveva dietro di sé la brigata "Puglie".

Sono in totale 25 divisioni, 353 battaglioni (anche se incompleti facevano sempre col personale delle retrovie almeno 4/450.000 uomini, molti più di quello che poteva schierare il nemico e qualche storico si spinge molto oltre), 6198 cannoni, 725 bombarde.

Dal Vipacco al mare la III Armata del DUCA D'AOSTA, piu ridotta e composta dai Corpi d'Armata XI, XIII, XXIII, XXX e XXV e fronteggiata per l'occasione da poche truppe austriache concentrate per l'occasione contro la II armata

  La notte del 24 ottobre la brigata "Potenza" marciava lentamente da Faedis a Sedula per la mulattiera di Conebola; la brigata "Massa e Carrara", giunta appena dopo un giorno di marcia a Brischis, riceveva l'ordine di difendere insieme con la 53a divisione (brigata "Vicenza", reggimenti 177°, 178° e 179°) Stupizza; nella conca di Drenehia con la 3a divisione (brigate Elba, Arno e Firenze") e a Polava con la 62a divisione giunta senza artiglierie dal Trentino si trovava il VII Corpo d'Armata, rimasto privo della 34a divisione ch'era stata ceduta al IV Corpo. A portata di questo Corpo e della 19a divisione stavano, a Podresca la 1a brigata bersaglieri, a Loga la 5a, a Canale la Brigata "Palermo", a Gorenie la "Treviso", e a Dresca la "Livorno". Da Cronologia.it

L'OFFENSIVA TEDESCA O XII BATTAGLIA ITALIANA DELL'ISONZO

La linea del fronte della conca di Plezzo era ancora (nel '17) quella passante per la collina di Rabeljk che coi suoi 519 m d'altezza proteggeva la strada da Soca in Val Trenta (Triglav-Tricorno Sorgenti Isonzo) alla Val Coritenza per il Predil. Il Rabeljk o Rabelnjk è sovrastato dalla boscosa altura dello Svinjak vero nido di vespe dell'artiglieria austriaca. All’incrocio della biforcazione per Soca in Val Coritenza c’è ancor oggi il cimitero di guerra austroungarico. Il gruppo Krauss ebbe l'ordine di irrompere tra Plezzo e Monte Nero, superare la stretta di Saga, risalire con parte delle sue truppe la valle Uccea (passo di Tanamea) aggirando il Monte Stol e col resto scendere a Caporetto, in val Resia e nel piano dove confluivano gli altri gruppi.

 

           

   

IL GAS

L'operazione, condotta dal battaglione lanciagas tedesco dislocato sui terrazzi alluvionali a sud del Rabeljk (cartina sopra), fu rapidissima ed ebbe azione decisiva contro i difensori della conca. Non durò che trenta secondi, il tempo necessario perché le novecento granate lanciate contemporaneamente mediante un dispositivo elettrico d'accensione (altre cento bombe saranno lanciate mezz'ora più tardi) scoppiassero in aria e la nuvola tossica iniziasse a calare sulle linee italiane tenendo ben presente la conformazione del campo di battaglia e la direzione del vento dominante. Subito dai 600 agli 800 uomini morirono «in silenzio, come se fossero stati colpiti dal pugno di un fantasma, senza che nessuno di essi si rendesse conto di quello che avveniva». L'effetto dei gas fu terribile nella conca di Plezzo, dove l'87° fanteria perse due terzi dei suoi effettivi. Era prassi corrente indossare la maschera quando si ravvisasse un concentramento d'artiglieria (diversi minuti di seguito di più armi), ed eventualmente levarla quando il tiro non faceva presagire un'ondata d'attacco ma solo aggiustamenti. Ma alla routine il nemico a volte introduceva varianti che venivano segnalate: dal diario di Oscar Bonomi - Dalla Val Raccolana alla Carnia - 23 OTTOBRE 1917 - "Mentre stavamo a cenare nel baracchino arrivò un fonogramma. - " E’stato provato che prima dell’assalto il nemico adopera l’emissione di gas non tossici che sono molto insopportabili anche con l’uso della maschera, ragione per cui il soldato è spinto a togliersela. Bisogna raccomandare ai soldati di non togliersi la maschera perché dopo l’emissione dei gas non tossici il nemico lancia subito quelli asfissianti, i quali trovando i soldati privi di maschera producono istantaneamente l’avvelenamento. Si prega di portare il seguente ordine a conoscenza della truppa" !!!! e forse così era andata.

Zeljko Cimpric parlando del Rombon scrive: qui si deve rivolgere un pensiero ai difensori italiani che nell'ultima offensiva sono retrocessi, affondando nella neve, dal monte Rombon verso sella Prevala per resistervi anche dopo che Udine era già caduta in mano nemica. In seguito alla rotta di Caporetto, dal monte Rombon sopra Plezzo attraverso la sella Prevala una colonna avversaria scese a Sella Nevea ed in val Raccolana raggiungendo Chiusaforte. Le vittime del gelo e delle asperità ambientali furono certamente più numerose dei caduti sotto i proiettili nemici.

 

I battaglioni alpini S. Dalmazzo, Dronero, Saluzzo e un battaglione dell'88° fanteria, situati sul Rombon, per tutta la giornata resistettero energicamente al nemico, contrattaccandolo e respingendolo più volte. Verso sera, separati dalle altre truppe della loro divisione, danneggiarono i pezzi e ripiegarono verso sella Prevala del Canin procedendo per tutta la notte fra la tormenta e le difficoltà immense del cammino, finché furono raccolti dalla 36a divisione del Gruppo Carnico.

     

Isonzo

  La battaglia di Caporetto nell'alta Val d'Isonzo isola quella parte del Gruppo del Canin che sovrasta Plezzo e che ha nel Cukla e Rombon le sue principali cime. Se a queste eravamo arrivati in primavera passando prima dalle cime (Sella Nevea, Canin, Sella Prevala) ora i suoi sentieri invernali sono stati abbandonati e gli uomini che sapevano riconoscere sul terreno i segni, non sono più gli stessi. In bella e brutta stagione dalla valle dell’Isonzo era più semplice salire in quota. I reparti che si avviarono per i vecchi sentieri marciarono affondando nella neve fino al ginocchio, attraverso canaloni e speroni di roccia. Alcune compagnie non ricevettero in tempo l’ordine di ritirata e furono catturate, altre, nel buio della notte, perdettero l’orientamento e si attardarono lungo i costoni del monte Cergnala. I primi Alpini giunsero a Sella Prevala prima dell’alba; gli ultimi alle 11 del 25. Qui venne costituita una linea di difesa nell’eventualità che altre compagnie alpine scegliessero questa via di fuga. Ma il tempo stringeva, ora o mai più erano gli ordini mozzicati che arrivavano: scendere a quello che è ora il rifugio Giliberti (oggi arrivo Funivia) e quindi a Sella Nevea (testa della Val Raccolana) già sotto attacco dalla valle del Rio Lago (Predil). Otto sono i battaglioni alpini che operano su questa catena e il pomeriggio del 26 hanno anch'essi l’ordine di ripiegare. La mattina del 27 vengono rinnovati gli attacchi contro Sella Prevala e Nevea . A sera anche i difensori della Nevea debbono ripiegare. Isolati, senza più viveri nè munizioni, con la valle preclusa, debbono ripiegare con una lunga marcia nella neve fresca attraverso tutto l'acrocoro del Canin per cercare di scendere in Val Resia  (pure essa già sotto occupazione). All'appello manca però un reparto di alpini che non è mai giunto alle Forchie di Terra Rossa e all'appuntamento in Sella Buia".  Il Battaglione Fantasma. Se nelle notti di tempesta e bufera senti il passo cadenzato delle truppe alpine è il "Battaglione Fantasma" che cerca la via. Molte persone che frequentano il Canin giurano di aver visto i fantasmi di quei soldati, mentre altri sostengono di averli sentiti nella notte o nella nebbia".

«Ai soldati si dica e si ripeta tutti i giorni che la nostra maschera è la migliore in uso in tutti gli eserciti, che nessun gas venefico può essere di danno se la maschera viene bene impiegata, che essa è di durata di più di 24 ore» cosi gli si diceva dal comando italiano e si aggiungeva in un telegramma-relazione della 50a div. (i reparti maggiormente colpiti dal gas) che «le maschere si sono dimostrate efficacissime» 

  Maschera polivalente M. Z. La maschera era costituita da un tampone di 32 strati di garza, ricoperti da un facciale in tela gommata con le lenti. La maschera era contenuta in un astuccio di metallo con tracolla. Sull'astuccio era riportata la frase: "chi leva la maschera muore, tenetela sempre con voi". Purtroppo non fu efficace il 24 ottobre 1917, quando i nostri nemici adoperarono il gas "Croce Azzurra" a base di cloro-arsine, che passando gli strati di garza portavano il soldato a starnutire e quindi a levarsi la maschera e a subire il gas mortale che cadeva subito dopo. La maschera non era comunque adatta anche ai gas vescicanti tipo Yprite. Fritz Weber «gli italiani non disponevano ancora di una maschera contro i gas nel nostro senso; avevano soltanto delle maschere polivalenti, ma anche queste in quantità assai scarsa». Era passato un anno dal primo impiego dei gas e questo era ormai parassi anche da parte nostra. Tant'è che a gas si rispondeva gas. Qualcosa quindi doveva essere andata storta nella conduzione e addestramento degli uomini e degli ufficiali. Gli errori del Comando sono da attribuire in buona parte al precario stato di salute di Capello, ammalato e costretto in clinica, dal 4 al 18 ottobre, poi, dal 22 al 24.
     

Dall'altra parte, il generale Krauss era alquanto nervoso. Dal suo comando tattico dettava rapporti in cui si leggevano tra le righe, l'impazienza e il dispetto. «Alle due è incominciato l'attacco in Conca di Plezzo. Nevica. I proiettori si sforzano indarno di squarciare con la loro luce spettrale il fitto della nebbia. Sul mattino le condizioni atmosferiche sono andate sempre più peggiorando. Più tardi giungono buone notizie dalla vallata, ma sfavorevoli dall'alto dei monti... Le truppe della difesa resistono sempre validamente.... Il tempo è veramente orribile. La bufera è cessata, ma un vento gelido spazza le creste e fa turbinare la neve sui valichi. Le sofferenze della truppa sono spaventose. Ogni tanto qualcuno stramazza al suolo , fulminato da un colpo di freddo....»

 

I FORTI A NORD DI PLEZZO

   

Kluze di Bovec

  The main attack came in the direction anticipated, between Monte Rombon and S. of Tolmino, and was conducted by a mixed German and Austrian army under Gen. Otto von Below. The army, which was known as the XIV. Army, consisted of nine Austrian divisions and seven German, divided into four " groups." The northern group of four divisions (three Austrian and one German Jager) was commanded by Krauss, who had been called back from the Bukovina. Next came a group of three divisions (one Austrian and two German) under the German von Stein, and a group of two German divisions under the German von Berrer. South of these two central groups was a mixed group under the Austrian von Scotti (commander of the Austrian XV. Corps). This group consisted of one German and two Austrian divisions. Behind these, E. of Tolmino, lay four divisions in reserve, at Below's immediate disposal.
     

Hermann di Bovec/Plezzo

  Boroevic had 20 divisions in his two " Isonzo " Armies between Auzza and the sea. Below and Henriquez (II. Isonzo Army) had some 2,500 guns and 500trench mortars. Group Krauss and his I. Corps was one of the key fighting arms that smashed through the Italians at Caporetto on 24 October 1917. By this time, he was ranked General der Infanterie. In May 1918, he replaced General Böhm-Ermolli as commander of the II. Army and this force was redesignated the Ost Armee. GdI Ferdinand Kosak took command of the I. Corps. Ostarmee was assigned as an occupation force in the Eastern Ukraine. Krauss was to remain in this command until well after the armistice; he helped supervise the evacuation of German and Austrian troops not only from the Ukraine but also from Turkey.
*Saga è un paese sulla sinistra dell'Isonzo, alla confluenza con il torrente Uccea, dalla rotabile omonima che porta in Italia attraverso il passo di Tanamea. Immediatamente a monte di Saga la valle si restringe, sopratutto ad un chilometro verso Plezzo, in corrispondenza con il rio Boka, che scende dai nevai ad est di monte Canin in una valle ripida e incisa. Qui la strada corre a mezza costa, sulla riva sinistra dell'Isonzo molto scoscesa, e attraversa il rio Boka sul ponte di Podcelom non aggirabile. La percorribilità fuori strada a breve e medio raggio è quindi estremamente  difficoltosa anche per truppe appiedate e da Montagna. Nel 1917 Saga costituiva la più forte posizione di sbarramento. Qui gravitò lo sforzo principale della 14^ armata austriaca.  
     

Below

 

Scotti

Hermann Freiherr von Stein

Berrer, che muore a Udine ucciso da un Bersagliere

Krauss

     
Terminato il cannoneggiamento gli Austro tedeschi si fecero sotto ma non sulla intera linea come si poteva ipotizzare bensì su due punti precisi:
1
- la testa di ponte di Tolmino che dava accesso a sinistra lungo l’Isonzo costeggiando la Bainsizza verso Gorizia venne scartato a favore della parte destra che portava al Kolovrat verso Caporetto.
2 - da Plezzo anziché salire al Predil o sul Canin si scelse la più facile via per Saga imbottigliata fra la Montagna e l’Isonzo. Qui con un po’ di uomini il nemico si poteva fermare a condizione che non si perdesse Lo Stol, il Monte Maggiore, Il Mia, Il Matajur e oltre Kuk Vodice e Sabotino.
  La sera del 24 i resti della 50a divisione si ritiravano da Saga (vedi testimonianza più sotto del maresciallo Cartelli della Guardia di Finanza all’epoca li in servizio che fa partire la ritirata alle 16 del pomeriggio !!!) verso Projhum e sbarramento di Valle Uccea; sul Monte Stol si posizionava il 271° fanteria della B. Potenza, i battaglioni alpini Belluno e Valchiusone, una parte del 9° bersaglieri e parte della 46a divisione che non era sul Monte Nero (Caltanissetta e 224 ft (Etna) Genova con l’altro 223° della B. Etna, un battaglione del 9° e due del 2° bersaglieri e gli alpini dell’Albergian: Numerosi battaglioni alpini appena giunti dal trentino stavano per entrare sulla nuova linea di difesa improvvisata dalla testata della Resia a Caporetto. La B. Potenza aveva due reggimenti (272 e 273°) in corrispondenza della stretta Creda-Robic (Caporetto); a Stupizza era la 53a divisione la "ferrea" del Principe Maurizio Gonzaga e a Purgessimo la brigata Ferrara. Il VII corpo si posizionava oltre dove andavano anche due brigate Bersaglieri la la (6° e 12°) e 5a (4° e 21°) che difendevano la linea Monte Xum-Pusno-Globocak-Cicervik. Sempre nella stessa giornata Cadorna aveva disposto l’arretramento oltre l’Isonzo dei reparti della Bainsizza sanguinosamente conquistata. Naturalmente di tutti i reparti che si parla e si parlerà di trasferire dal trentino il giorno 24 nessuno arriverà in meno di 48 ore. Il tempo necessario di farli affluire al Tagliamento dove si vorrebbe imbastire una resistenza. Altri ordini furono concepiti nella notte fra il 24-25, ma emanati solo all'alba del 26 per la III Armata: mandar subito oltre il Piave le artiglierie di grosso calibro meno mobili e arretrare tutte le altre artiglierie di medio e grosso calibro più mobili ad est del Vallone carsico presidiandone la linea difensiva con due divisioni.
Gli uomini della piana di Plezzo (non quelli sullo Vrsic e Javorcek), che si erano salvati dai gas, arretrarono verso Saga mentre quelli della 43 Div. del generale Angelo Farisoglio (fatto prigioniero a Caporetto alle 15 del 24 ottobre e a cui era stato aggregato il 9° Bersaglieri), continuarono a combattere con le loro truppe sulle pendici del Monte Nero per altre 24 ore, cercando di rompere e sfuggire all'accerchiamento. Chi scese a Caporetto la trovò dalle 15 del 24 già occupata dalla Slesiana che aveva fatto 27 km in tutta scioltezza. Più a sud … La 19a div. (gen. Villani) del XXVII C.d.A era schierata su un fronte ampio oltre 10 km, lungo le pendici dei monti Jeza, Varda e Krad Vrh, sovrastanti la conca di Tolmino. Fu attaccata dall' Alpenkorps della 200a divisione tedesca e della Ia austro-ungarica. L'Alpenkorps ottenne fra i reparti il maggior successo, impadronendosi, con un suo battaglione, prima di sera, della forte posizione del Podklabuk (q. 1114). A sera nemici sbucavano già in val Judrio.

Il generale Giovanni Villani
Il gen. Villani (alpino), comandante della 19a Div. era nato a Milano nel 1864, promosso Sottotenente di fanteria nel 1883, fu in Eritrea nel 1887 per transitare quindi negli alpini. Colonnello nel 1915, ebbe il comando del 4° fanteria con il quale entrò in guerra. Nello stesso anno fu promosso Maggior Generale assumendo il comando della Brigata Livorno. Nel luglio del 1917 ebbe il comando della 19a che tenne fino al volontario sacrificio personale (alla sua memoria venne concessa la medaglia d’argento). La 19a rappresentava l’ala sinistra del XXVII C.d.A. di Badoglio. Alla Divisione era stato affidato il mantenimento del Monte Jeza, ritenuto così importante che Badoglio, in un rapporto, ebbe a dire: “il possesso del caposaldo di Jeza è un pegno d’onore per la 19a …”, impegnando oltre misura il gen. Villani che a sua volta rivolgendosi ai suoi Comandanti subordinati, ebbe a dire: “... se occorre, qui morremo tutti …” segue a fianco

  Si avvertì il Comando del Gruppo Carnico che, nell'eventualità di una ritirata delle armate dalla fronte Giulia, il XII Corpo avrebbe dovuto ripiegare sulle Prealpi Carniche, mantenendo il collegamento con la II Armata a Monte Maggiore e con la IV cadorina a Forcella Razzo (Mauria). Cadorna dopo aver comunicato a Roma la gravità della situazione cerca ancora di costruire una seconda linea sulle cime del Monte Maggiore-Monte Joanes-Monte Madlessena-Monte Purgessimo-Castel del Monte- Corad-Monte Kuk-Vodice-Monte Santo-Sella di Dol-Salcano. In una sequenza di sfortune spesso uno sprazzo di luce si accende: ma non fu questo il caso. La prelinea Monte Mia-Stupizza-San Martino-Monte Xum che chiudeva i valichi di Luico* e Caporetto minacciati già dal giorno 25 dovette essere abbandonata in fretta. Cadono il Monte Maggiore, il Madlesena, il Korada, il Kuk, il Vodice sulla Bainsizza, il Monte Santo e soprattutto la posizione chiave del Matajur, conquistato dal tenente Rommel il giorno 26 alle 11,40. La stretta di Stupizza era stata (26) difesa strenuamente e perfino con qualche successo dalla 53a divisione comandata dal Generale Maurizio Gonzaga che poi dovette desistere e mettersi in salvo perchè ferito. Nel pomeriggio del 27 ottobre una colonna tedesca occupò Cividale a 14 Km da Udine. http://www.centroricerchearcheo.org/03gm1/battaglie/caporetto_bat3.htm 
Gli Austro tedeschi non avevano da subito grandi ambizioni e si aspettavano un contrasto forte da parte nostra. Non potevano prevedere che dietro il IV Cda ci fosse ancora il vuoto. Di movimenti di truppe infatti ne vennero disposti molti e la notte del 24 colse reparti che andavano verso linee sorpassate dal nemico o arretravano su posizioni che il nemico saltava. Il caos era generale anche da quando le comunicazioni via filo (steso a terra o sopra ) dal comando Generale di Udine erano saltate verso i sottoposti comandi. Nella conca di Plezzo nonostante allungassero il tiro non impedirono ai nostri di avviarsi lungo l’Isonzo verso Saga. Qui, insieme con il 280° fanteria e con i battaglioni alpini Ceva, Mondovì e Argentera, si opposero il 25 con coraggio all'avanzata del nemico. In questa lotta si distinse la 4a compagnia del battaglione Ceva, che da Pluzue, dov'era stata mandata a rincalzo della brigata Friuli, respinse eroicamente e disperatamente per due volte l'avversario, ma lasciando poi sul terreno quasi tutti i suoi uomini. Questa la versione ufficiale. (vedi sotto un'altra testimonianza)

.segue ... Le cose andarono come sappiamo e alle alle 20 Villani raggiunse a Clabuzzaro i resti della Brigata Taro da dove inviò il suo ultimo messaggio: “Dopo aver opposto tutta la resistenza possibile, le truppe della 19a Divisione verso le ore 17 sono state sopraffatte su tutta l’estensione del fronte. I resti della Brigata Spezia, col proprio Comandante, ridotti a pochissime forze trovansi a Lombaj. I resti della Brigata Taro a Clabuzzaro insieme allo scrivente. Si tratta nel complesso di poche centinaia di uomini. Le artiglierie, per la maggior parte smontate e perduto quasi tutto il loro personale, sono interamente distrutte. Appena giunto a Clabuzzaro ho preso contatto e ordini dal Comando del VII Corpo, in appoggio del quale, dopo recuperati i resti delle truppe stanchissime, mi trovo. Gravissime furono le circostanze di offese avversarie e di nebbia che hanno favorito l’attacco.”, Di lì a poco si toglieva la vita.
 

“…Allorché il nemico progredendo fu quasi giunto sul Monte Jeza, egli rimase sul posto per attendervi l’arrivo dell’ultima riserva, il battaglione alpino val d’Adige, e cogli alpini, egli vecchio alpino, entrò e stette in linea per assicurare la valida difesa dell’ultimo baluardo che guardava l’accesso in val Judrio. Solo allorché la morte serenamente affrontata nella intera giornata e nel pomeriggio cercata presso i suoi alpini, non lo volle, riprese la via di Clabuzzaro, ove giunse nella notte e dove il 25 compie gli estremi doveri, raccogliendo e disponendo per l’impiego i pochi superstiti della divisione, circa 1.300 uomini. Ceduti poi questi alla 3a divisione, dato conto del proprio operato ai superiori, egli, dopo che ogni estrema energia fisica e morale aveva prodigata per adempiere al suo obbligo di onore, teneva fede al suo voto e scompariva dalla vita, come sommersa sotto il gran flutto era scomparsa la sua 19a divisione.” Col. Maurizio RUFFO Capo Ufficio sanità della Divisione
 

     

  * Il tenente Erwin Rommel riuscì ad aggirare la brigata Arno e ad impossessarsi della sella di Luico (Livek), rotabile che porta a Cividale, 30 km da Udine sede del comando Supremo.  Restava il Matajur. Rommel al comando di un sceltissimo reparto würtemburghese da montagna  «Senza sostare proseguo l’attacco contro la vetta del Matajur. Questa dista ancora 500 metri ed é 200 metri piú elevata di noi. Sulla cresta rocciosa si scorge benissimo con il binocolo il presidio nemico nelle sue posizioni. A quanto pare, questi soldati non hanno alcuna intenzione di seguire l’esempio dei camerati dislocati sul pendio meridionale del Matajur che si sono arresi e si trovano giá in marcia. Il tenente Leuze appoggia con il fuoco di alcune mitragliatrici l’attacco che tentiamo di lanciare per la via piú breve da sud. Ma il fuoco nemico é molto molesto nel punto in cui ci troviamo, e le possibilità  di avvicinamento sono talmente sfavorevoli a noi che preferisco piegare verso est sul pendio arcuato, senza essere visto dal presidio sulla vetta, per attaccare la posizione in vetta da Quota 1467. Mentre stiamo effettuando questa manovra, piccoli gruppi di italiani con e senza armi continuano a dirigersi verso il posto dove un quarto d’ora prima il secondo reggimento della brigata Salerno ha deposto le armi. Sul tagliente crinale orientale del Matajur, 500 metri a est della vetta, sorprendiamo un intera compagnia italiana. Questa, ignara di quanto é accaduto alle sue spalle, é schierata, fronte a nord, sotto la cresta che da Quota 1467 raggiunge Quota 1643, ed é impegnata in uno scontro a fuoco con pattuglie della 12. divisione che dal monte della Colonna sta salendo verso il Matajur. La nostra improvvisa comparsa con le armi puntate alle loro spalle sul pendio sovrastante costringe anche questi nemici ad arrendersi rapidamente, senza reagire. Altre mitragliatrici pesanti vengono da me appostate sulla cima di un roccione situato quattrocento metri a est della vetta per proteggere con il loro fuoco la squadra d’assalto che ho fatto entrare in, azione sul pendio meridionale. Prima peró che queste mitragliatrici aprano il fuoco, il presidio della vetta segnala di volersi arrendere. Altri centoventi uomini aspettano pazientemente finché possiamo occuparci di loro nei pressi della semidiroccata casermetta confinaria del Matajur (Quota 1641). Una pattuglia di ricognizione del 23. reggimento fanteria, composta da un sottufficiale e sei uomini e proveniente da nord, ci raggiunge. Alle ore 11,40 del 26 ottobre 1917, tre razzi verdi e uno bianco annunciano che il massiccio del Matajur é caduto. Per il mio distaccamento dispongo un’ora di sosta sulla vetta. E una sosta ben meritata» (p. 307).
     

  Matajur una delle cime della 3a linea affidata alla IV brigata cosi da una relazione del Cai Cividale Natisone.
 Per la difesa del Matajur era stata destinata dal Comando Supremo Italiano la Brigata di Fanteria “Salerno” del generale Zoppi. La Brigata era partita da Bassano il 22 ottobre 1917 ed era giunta a Savogna in autocarro la sera del 23 da dove, a causa di ingorghi stradali, il reparto doveva proseguire a piedi per raggiungere marciando per un’intera giornata il paese di Luico (Livek). Da questa località, senza riposare, l’unità incominciava a salire il monte la cui cresta venne raggiunta dai primi reparti all’alba del giorno 24 e dagli ultimi soltanto alla sera.  Il Matajur era però privo di trincee, reticolati e di qualsiasi altra opera di difesa. L’unica opera militare risultava essere la strada, tra l’altro incompiuta, che saliva da Luico. Appare quindi subito evidente che le condizioni in cui la Brigata “Salerno” avrebbe dovuto difendere il monte non erano certo le migliori. Inoltre va ricordato che i comandanti dei reparti facenti parte della brigata, proveniente da altro teatro operativo, non erano pratici della zona in ci si accingevano a combattere: ciò fece si che lo schieramento dei reparti fosse completato solamente nella mattinata del 25. I reparti, erano così posizionati: 90° Reggimento sulla cresta; 89° Reggimento a mezza costa a quota 700 circa però completamente isolati essendo privi di collegamento con altri settori di difesa sia desta che a sinistra. Questo comportò che, quando la Brigata Bersaglieri, la quale difendeva il passo di Luico, cedette alle preponderanti forze della 12a Divisione Slesiana e dell’Alpenkorps Bavarese con in avanguardia il Distaccamento del Wurttemberg del Tenente Rommel, anche le sorti della Brigata “Salerno” fossero ormai segnate. La manovra d’attacco tedesca per la conquista del Matajur si sviluppò frontalmente da parte dell’Alpenkorps che penetrò fra le due linee difensive in cui la brigata era schierata, mentre i reparti della 12a Divisione Salesiana con una manovra aggirante da nord, salivano dalle valli del Natisone, giungendo alle spalle della linea di difesa principale tenuta sulla cima dal 90° Reggimento.
     

 

 

Successivi ordini, sembra confusi dal comando di corpo d’armata e da Montuori stesso che sostituiva Capello o falsati (le comunicazioni non funzionavano) indussero il generale Arrighi della 50° ad abbandonare la stessa stretta di Uccea, mantenendo il controllo dello Stol e del ponte di Ternova che permetteva ad alcuni reparti del Monte Nero di mettersi ancora in salvo. Nella notte del 25, reparti della divisione Edelweiss attaccavano e respingevano da Monte della Guardia il battaglione Alpini Ceva, quindi avanzavano per Valle Uccea e per la sella di S. Anna di Carnizza, affacciandosi in Val Resia.

Da Uccea (confine) a Udine sede del comando supremo di CADORNA ci sono 50  Km. Da (Robic) Caporetto 40 e più comodi

  La 22a divisione austriaca raggiunse il ponte sul rio Boka alle 18 del 24 a buio ormai calato e si arrestò fino al mattino successivo non per la difesa italiana che, come si vedrà, a quell’ora era già stata ritirata, ma per l’impossibilità di aggirare l’ostruzione stradale dovuta al brillamento delle cariche che avevano distrutto il ponte. Secondo la Relazione ufficiale dell’ufficio storico dello S.M.E. il nemico, che era dilagato oltre le prime linee, alle ore 12 fu fermato innanzi alla stretta di Saga, presidiata da tre battaglioni alpini e da due battaglioni del 280^ rgt. fanteria appoggiati da una batteria e mezza da 149, da una autobatteria da 102 e da due batterie da 105. Una forza così consistente era presente solo sulla carta. E’da ricordare che il gen. Cadorna aveva disposto fin dal 22 ottobre che la stretta di Saga fosse presidiata da un’intera divisione, ma i suoi ordini non erano stati eseguiti. Il comandante del IV C.A., responsabile del settore, resosi conto delle gravissime conseguenze derivanti dal mancato ottemperamento all’ordine del Comandante Supremo, in quanto si era limitato soltanto ad orientare per la difesa della stretta il battaglione alpini Monviso, un battaglione di fanteria ed una compagnia mitragliatrici, avviò in tutta fretta verso la posizione, soltanto alle 10,30 del 24 ottobre, il 282 rgt. fanteria, che in effetti non raggiunse mai Saga secondo la testimonianza del maresciallo Cartelli della Guardia di Finanza all’epoca li in servizio che rilascerà UNA SCOMODA TESTIMONIANZA http://www.gdf.it/repository/ContentManagement/information/N162037992/Abbandono_della_Stretta_di_Saga.pdf
     

 

Verso le 14 del 24 il caos nei comandi di divisione ed in quelli superiori aveva raggiunto il culmine. Gli ordini si succedevano ai contrordini e nessuno conosceva la reale situazione sul terreno. Il gen. Montuori, che su designazione del Comando Supremo aveva assunto il comando delle truppe dell'ala sinistra della 2a armata, responsabile del settore, appreso che Caporetto era caduta nelle mani degli austro-tedeschi, ritenendo a torto che Saga fosse minacciata di aggiramento, ordinò alle 16 l'evacuazione delle truppe che presidiavano la stretta. L'ordine esecutivo fu emanato dalla 50a divisione alle 18 (Si può ritenere che passi da qui un'altra ora).

Il maresciallo Cartelli della Gdf indica con precisione che l’ordine di sgombrare Saga (ed ovviamente anche la stretta) fu emanato nel pomeriggio. Infatti il sottufficiale specifica che “fui avvertito dal sig. Capo di S.M. della divisione magg. Ferraro sig. Carlo che il comando della divisione si sarebbe portato sul monte Stol e che affidava al mio plotone l’arduo compito di proteggere la ritirata della truppa. Ciò venne eseguito da tutta la truppa alla mia dipendenza con zelo e coraggio ed alle ore 19 circa, dopo il nostro ripiegamento, il Genio fece saltare i due ponti posti sull’Uccea”. L’ordine di ritirata, quindi, pervenne ben prima delle 18, perché se così non fosse, in soli 60 minuti si sarebbe dovuto abbandonare le posizioni di prima linea, ubicate un chilometro oltre Saga, sgomberare l’abitato, percorrere il tratto di rotabile fino al rio Uccea, dar corso alle operazioni di brillamento dei ponti, il tutto al buio,sotto la pioggia battente ed il fuoco di artiglieria avversario e senza poter comunicare con i vari elementi della difesa se non a mezzo staffette appiedate. L’insieme di queste considerazioni fanno presumere che il Cartelli ricevette l’ordine di ritirarsi tra le 16 e le 17.

   

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