L'ALTRA FACCIA DI CAPORETTO
Prigionieri di noi stessi - 2a parte
L'amara Vittoria
Art. 1- Il
militare di qualsiasi grado, comunque liberato dalla prigionia di
guerra, deve entro le 24 ore dal momento in cui entri nel territorio del
Regno o in quello occupato dal R. Esercito, presentarsi ad una Autorità
militare qualunque per essere avviato ai centri di raccolta di
Castelfranco Emilia, Gossolengo, Rivergaro, Ancona, Bari. |
FABIO MONTELLA Nato i1 6 giugno 1969, svolge attività giornalistica presso una Pubblica amministrazione e collabora come free lance con diversi periodici. Laureato in Scienze Politiche all’Università degli Studi di Bologna (indirizzo storico-politico), è iscritto all’Ordine dei Giornalisti di Bologna dal 12 settembre 1996 ed ha ottenuto la qualifica di giornalista professionista il l3 ottobre 1998. Ha lavorato in un quotidiano modenese e ha diretto diverse testate locali di storia e attualità. Ha collaborato con l’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia quale cultore di “Storia Contemporanea e con la redazione della rivista “Ricerche di storia politica” della società editrice “Il Mulino”. Ha curato la pubblicazione degli atti del volume “Francesco Salvioli e la prima Amministrazione socialista di Mirandola”. Suoi articoli sono apparsi su periodici nazionali quali Limes (rivista italiana di geopolitica), Aesse (Azione Sociale) e l’Unità. |
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Moneta interna di prigionia |
Ospedale della Cri di Mirandola |
PRIGIONIERI IN EMILIA Libreria Spazio - Piazza Mazzini 11 - 41037 - Mirandola (MO) - tel. 0535/21406 dal sito http://www.fabiomontella.it/ - Con l’armistizio firmato il 3 novembre 1918 a Villa Giusti, nei pressi di Padova, che poneva fine alle ostilità dalle ore 15 del giorno successivo, non si esaurì l’esperienza dei militari italiani nella Grande Guerra. Basti pensare che il 1 luglio 1919, cioè otto mesi dopo, risultavano ancora sotto le armi 110.000 ufficiai e 1.578.000 soldati, ci cui 876.000 in unità ancora mobilitate, per lo più nel Triveneto, ma con consistenti contingenti in Dalmazia, Albania Macedonia, Bulgaria, Libia, Russia e tra l’Egeo e il Medio Oriente. Per una particolare categoria di reduci, gli ex prigionieri, il rientro fu addirittura drammatico e costellato di nuove sofferenze, come dimostra il libro Prigionieri in Emilia, Il volume, che ha il patrocinio dell’Unione Comuni Modenesi Area Nord e il contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Mirandola, presenta una ricerca nell’Archivio Storico dello SME di Roma, oltre che in diversi archivi storici comunali. il volume ha la prefazione dl Giuliano Muzzioli, professore di Storia Economica all’Università di Modena e Reggio Emilia. La vicenda, che ha ampiamente coinvolto le province di Modena, Bologna e Piacenza, viene ricostruita nei dettagli in 88 pagine arricchite da una ventina di foto inedite. La storia descritta è quella dei soldati italiani che avevano trascorso mesi o anni nei campi di prigionia degli Imperi Centrali e che, al loro rientro, furono attesi da una nuova ed ingiusta forma di detenzione in centri, allestiti in tutta fretta, da quelle stesse autorità che li avevano mandati a morire nelle trincee. Quasi 270.000 uomini furono trattenuti, per diverse settimane, nei Campi di concentramento di Mirandola, Castelfranco Emilia e Gossolengo. Grazie anche a testimonianze dirette si ricostruisce le condizioni di vita e i sentimenti di rabbia e di delusione del militari, ma anche le difficoltà quotidiane ci chi era chiamato ad organizzare la vita in questi campi. I soldati vissero per settimane a Bomporto, Carpi, Cento, Fiorenzuola d’Arda, Luzzara, Piacenza, Poggio Rusco, Ponte dell’Oglio, San Felice e Spilamberto e in tante altre località riportate nel libro. Si trovavano in Italia ma non potevano rientrare a casa. La loro esistenza trascorreva monotona dentro stalle, fienili, scuole requisite o sulle rive dei fiumi, in pessime condizioni igieniche. Come evidenziano lettere e articoli, la loro sorte andò migliorando soltanto a seguito delle denunce della stampa, delle pressioni di alcune personalità politiche e delle lamentele dello autorità locali. Due furono i principali motivi per i quali le autorità decisero di concentrare gli ex prigionieri in luoghi stabiliti, che assomigliavano a nuovi campi di concentramento, Il primo riguardava la necessità di interrogare i militari per accertare le cause della loro resa il secondo era che bisognava rieducare i soldati, evitando che, una volta rientrati in Patria, diffondessero le idee bolsceviche con le quali erano entrati in contatto nei campi di concentramento d’Oltralpe. Prima del libro di Montella, questa vicenda risultava praticamente dimenticata, almeno a livello locale, Non soltanto perché racconta di una storia ‘minore’ rispetto a quella delle grandi battaglie e delle eroiche controffensive, ma anche perché si tratta di una pagina controversa e presto rimossa della nostra storia, Per il Fasciamo, infatti, la prigionia era una esperienza disonorevole, sospetta e da passare sotto silenzio. Il prigioniero era un ‘vinto’. Una figura insomma da dimenticare per un Regime che cominciava a mostrare i muscoli, facendo presa sulle idee di rivincita diffuse nel Paese. *. (Beffa delle Beffe a funzionare era il tribunale del XXVII corpo d'armata di Badoglio ora sottocapo di S.M.. Se c'era un posto, un incarico da evitare era proprio quello di giudicare le vittima dei propri sbagli. Dei prigionieri diceva Badoglio - Gli ex prigionieri, in particolare delle classi più giovani dovevano essere mandati in zona di guerra (ndr. quale? quella contro la Jugoslavia che la stava facendo D'Annunzio). Ciò avrebbe dovuto sopperire al fabbisogno di personale ma avrebbe anche favorito il lavoro di ripreparazione morale e professionale cui tali elementi dovranno necessariamente essere sottoposti prima di essere reimpiegati nei reparti combattenti (l'Italia allora era impegnata in azioni di peace-keeping nel puzzle dell'Europa dell'Est e Balcanica e non eravamo neanche tanto bene accetti) |
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L'applicazione delle
norme di cui sopra sottostava a diverse condizioni, non tutte realmente
riscontrabili. Non esisteva una frontiera nel termine che abbiamo
conosciuto fino a qualche anno fa. Il territorio occupato era una entità
geografica discutibile, come poi verrà discusso e l'altra
indicazione come il contesto lessicale richiedeva una istruzione superiore, se non
analfabeti. C'erano poi fra i prigionieri quelli che abitavano al di la dal
Piave, gli irredenti e non e quelli che erano stati fatti prigionieri dopo Caporetto. Il
fatto che i manifesti fossero affissi ovunque contemporaneamente è aleatorio. L'ordinanza
venne emanata il 12 novembre 1918 quando i prigionieri erano già liberi,
alcuni, dal 2 (Branau). Le clausole armistiziali ne prevedevano la partenza
a scaglioni di 20.000 dal 20 novembre. Si calcola che ca. 100.000 fossero ai
confini con la Russia in campi lavoro e altrettanti in Germania (ceduti
dagli austriaci o fatti prigionieri fra i nostri regolari o taif sul
fronte occidentale) e
Balcani. Gli unici che rispettarono le clausole furono i tedeschi che
finirono la guerra 7 giorni dopo. Gli austriaci non avevano cibo per se
figurarsi per gente che d'ora in poi erano estranei. C'erano motivi
sufficienti per riprendere una guerra?. L'intendenza puntò
nuovamente sulla vecchia struttura emiliana ma anche su altri centri
come Milano e nel sud per un lavoro che sembrava prefigurarsi
lungo e difficile. Per molti la morte era già sopraggiunta nei lager ed
era molto se erano arrivati in patria vivi.
Nei centri di raccolta e nei campi furono istituiti Uffici inquirenti e Tribunali di guerra, che funzionarono attivamente nei mesi successivi*. Un soldato era considerato disertore non solo per l’eventuale comportamento che lo aveva condotto alla cattura da parte del nemico, ma anche se non si presentava entro 24 ore dal suo arrivo. Oltre all’eventuale reato di diserzione, gli interrogatori dovevano accertare se i prigionieri avessero propositi di propaganda bolscevica. Lo si evince chiaramente da una lettera su una controversia sorta tra due uffici del Comando Supremo: «In seguito ad accordi intervenuti fra questo Servizio e S.E. Zuccari, Presidente della “Commissione interrogatrice dei prigionieri rimpatriati”, si era convenuto che mentre gli interrogatori della predetta Commissione dovevano riguardare soltanto i soliti argomenti generici, il Servizio informazioni del Comando Supremo doveva interessarsi, facendo all’uopo interrogatori separati, della raccolta delle notizie politiche militari e sociali che comunque potessero interessare il Servizio stesso, estendendo le indagini su argomenti di polizia militare ed eventuali propositi di propaganda bolscevica». L’ambito di attività dei ” Centri di raccolta dei militari italiani reduci da prigionia” (questo il loro nome ufficiale) di Mirandola, Castelfranco Emilia e Gossolengo venne stabilito il 19 novembre 1918 dall’Ufficio Ordinamento e Mobilitazione del Comando Supremo del Regio Esercito, al quale facevano direttamente capo. I tre centri emiliani vennero creati per raccogliere i militari italiani liberati dalla prigionia, o comunque restituiti dal nemico, affluiti ai posti di raccolta avanzati delle singole armate. Compito ufficiale dei centri (dai quali dipendevano numerosi sottocentri) fu quello di raccogliere, per arma, i militari reduci dalla prigionia, a mano a mano che affluivano gradatamente dai posti di raccolta di armata e di procedere celermente al definitivo loro riordinamento in reparti organici disarmati della rispettiva arma. Al Centro di raccolta di Gossolengo (capacità 65.000) fu assegnata la zona compresa fra Piacenza, Gossolengo e Rivergaro. Al centro di Castelfranco Emilia (capacità 100.000) venne attribuita la zona fra Reggio Emilia, Nonantola, Crevalcore, Persiceto, Pavullo nel Frignano, Vignola e Scandiano. Al centro di raccolta di Mirandola (capacità 100.000) fu affidata la zona tra il fiume Po, Gonzaga, Carpi, San Felice sul Panaro e Finale Emilia, i comandanti di ciascun centro, in qualità di comandanti di grandi unità alla diretta dipendenza del Comando Supremo avevano piena giurisdizione sul territorio del rispettivo campo e dovevano provvedere all’ordine pubblico e alla salute. pag. 45 Ai
prigionieri di qualsiasi grado sarebbe spettato il trattamento economico
stabilito per le truppe, ma nessuna
indennità speciale. Agli ufficiali reduci dalla prigionia era concesso un
anticipo pari a 15 giorni di stipendio. Al personale di inquadramento di
ciascun centro (ufficiali e truppa) sarebbe andata invece l’indennità di
marcia ed ai militari di truppa anche la cosiddetta “razione viveri
modificata”. Tutti gli interrogatori dei militari reduci da prigionia di
qualunque grado, nonché tutte le notizie e pratiche relative al periodo
della prigionia, erano di assoluta ed esclusiva competenza della
Commissione interrogatrice dei prigionieri rimpatriati nominata dal
Ministero della Guerra, mentre per il funzionamento dei servizi avrebbe
provveduto, come abbiamo detto, l’Intendenza CD, che in seguito a
speciali accordi col Ministero della Guerra era autorizzata a valersi
anche di tutti i mezzi già esistenti nel territorio di giurisdizione dei
Corpi d’armata territoriali di Bologna e di Genova, nonché a rivolgere
direttamente al Ministero stesso le richieste del caso. (in parole povere si era nel caos più completo, era inverno !!!!, qui nevicava) Se non già applicate si trattava di imporre norme igieniche drastiche, dall'incenerimento degli abiti alla semplice rasatura ed una alimentazione adeguata per i primi giorni per un progressivo recupero fisiologico. Ricordo che l'esplosione della Spagnola si concentra in questo periodo. |
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Caserma di inizio secolo Carpi o Mirandola località indefinita |
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-…. Perché qui di notte è calmo, ma di giorno fra nebbia e freddo si sta male. Quanto al trattamento è quello dei prigionieri nemici e se non abbiamo le baionette alle reni non è merito dei superiori, ma di quei poveri 900 costretti a fare un turno (di guardia) di 24 ore fra il freddo e la stanchezza. E fanno male, perché (questi) covano un sentimento di odio e di rivolta che si sfogherà quando questa gente primitiva tornerà ai propri paesi. Senza contare che queste migliaia di persone (e ne arrivano tutti i giorni) a casa potrebbero produrre, mentre qui si poltrisce sotto la tenda.- In un’altra lettera, datata sempre 18 novembre e anch’essa bloccata dalla censura, un soldato raccontava che gli ex prigionieri vagavano per le campagne intorno ad Agazzano, per ovviare alla carenza di cibo. «Il Governo ha mandato nella Trebbia a Gossolengo una gran quantità di prigionieri ritornati dalla Germania e dall’Austria (e) invece di mandarli alle loro case li lascia andare in giro nelle case a cercare da mangiare. Capirai che in questi momenti si ha in casa appena il necessario, e doverne dare via tutti si lamentano, ma però tutti ce ne danno perché fanno compassione». Sotto la spinta delle sollecitazioni che provenivano dalle autorità locali e delle denunce della stampa, che aveva cominciato a pubblicare lettere sulla vera situazione dei centri, il generale Badoglio ordinò l’ispezione del generale Ugo Sani, comandante del XIII Corpo d’Armata. pag 52 | |||
Sani aveva anche
verificato che questa gente aveva in tasca moneta austriaca che non gli
veniva cambiata (e nel tempo perdeva valore) e che la razione di pane
giornaliera era di 400 gr, all'incirca la
metà di quella che allora era la razione normale: si chiamava pane da
munizione, perchè andava nel caffelatte, nella zuppa di verdure, nel
brodo e anche da solo. Un
altro problema era comunicare a casa il proprio arrivo, la propria
salute con posta in
franchigia (ci volevano le apposite cartoline) che tardavano ad
arrivare. I campi dovevano essere dotati o avere nelle vicinanze forni
fissi o mobili che cuocessero tonnellate di pane al giorno e lavanderie
e docce in grado di saturare il primo interevento urgente e quello di
routine dopo. La commissione giudicatrice intanto svolgeva il proprio
lavoro (il tempo di compilare una scheda coi dati essenziali e poche
annotazioni) e in molti casi i reduci potevano già essere smistati se
non che mancava un timbro, mancavano i treni etc .. Più distanti erano i
comandi superiori e più si era convinti che tutto funzionasse bene. Ad una lettera di un Prefetto che,
sollecitato dai sindaci, affermava di aver visto sfamare con scorte civili del mese gli
ex prigionieri (probabilmente perchè nessun al comando aveva
provveduto) si rispondeva che il vettovagliamento era a cura dello
stesso e non della popolazione civile o dei comuni e che i magazzini
militari funzionavano regolarmente. La propaganda buonista della
concordia nazionale e del "vedrete che tutto si sistema" faceva a pugni
con la condizione dei rimpatriati, molti ridotti allo stato larvale per
le cause già accennate nel capitolo. Il blocco navale degli alleati
aveva ridotto gli approvvigionamenti alimentari, tanto che la Croce
Rossa aveva dovuto renderne partecipi Francia Inghilterra e Italia, dei pericoli connessi
ai prigionieri, che subivano in egual modo o in peggio gli stessi
razionamenti ((le calorie a disposizione non superavano le 1.000 !!)
.
' E' l' orrore della prigionia che occorre ispirare ai soldati. Il
Comando supremo ha ripetutamente insistito perché fossero soppressi ad
eccezione che per i feriti i soccorsi inviati dal Paese. Ciò nell'
intendimento di impedire il diffondersi fra le truppe della convinzione
che presso il nemico sia possibile trovare condizioni di vita almeno
tollerabili (o migliori)' .
L' opposizione del ministro degli Esteri Sonnino a
che si provveda in favore dei prigionieri (e anche all' invio di aiuti collettivi da parte della
beneficenza privata (Croce Rossa esclusa), - concorda pienamente con
quella analoga più volte espressa dal Comando supremo come misura atta
ad impedire la resa e la diserzione al fronte -. Sonnino continua
cocciutamente a sostenere che i prigionieri devono essere mantenuti
dagli Imperi centrali e se questi non ce la fanno (ormai anche gli
austriaci e i tedeschi sono alla fame) peggio per i prigionieri. "Si
giunge persino a sostenere che i prigionieri venivano consapevolmente
affamati per inculcargli l' odio contro coloro che li avevano mandati a
combattere e porre così le premesse della loro ribellione una volta
tornati in Italia". Per non acuire
ulteriormente il problema le altre nazioni si
erano attivate anche con scambi di malati gravi. Nonostante gli appelli della C.R.I, il Governo
non modificò la sua posizione. Al contrario si sarebbe dovuto migliorare
la condizione dei nostri prigionieri austriaci per favorire si ora la
loro diserzione !!!. Con Caporetto erano caduti in mano Austriaca circa
350.000 Italiani che si aggiunsero ai circa 150.000 precedentemente già
prigionieri. Con l'ultimo anno di guerra la cifra raggiunse le 600.000
unità (di cui 8.000 ufficiali). Fra la truppa oltre 100.000 morirono
però di stenti e malattia (100.000=1/6), mentre fra gli ufficiali si
scendeva in proporzione a 1/15. Le morti in
prigionia, anche per malattia che rientrerebbero in una normale
casistica di decessi con alterazioni patologiche o incidenti, furono dovute in gran parte a denutrizione e debilitazione. Dopo Caporetto la situazione peggiorò per tutti, ufficiali compresi.
Il soldato sa che il desiderio di rivedere dopo lunga prigionia la propria famiglia, la sposa, i figli è impedito dalla necessità dell’interrogatorio, operazione che dura poi pochi minuti e per la quale egli deve aspettare, in ozio, qualche mese. Il colonnello dell’ufficio I su questo interrogatorio “... elencazione che non dava l’assoluta garanzia che il singolo fosse stato identificato". Nella sua nota del 9 dicembre indirizzata al Comando Supremo, l’Intendente Foschini mise in rilievo oltre il fatto, che con quel ritmo sarebbero occorsi tre mesi per liberare i campi, anche il malcontento nella popolazione: «L’Emilia è una regione agricola, ricca, fiorente e nella quale perciò l’accantonamento di centinaia di migliaia di uomini è duramente sentito. Le stalle sono ricche di bestiame, polli, ecc., i fienili di fieno, paglia, grano, la presenza di numerosi soldati, più o meno deficentemente inquadrati e inoperosi, disturba, inceppa e può essere causa di inconvenienti. Il generale Cottini mi accennò qualche giorno fa l’incendio di un fienile, escludendo il dolo, però. Vi è poi la delicata questione delle donne, in paesi dove gli uomini sono abituati ad allontanarsi dalle case molte ore del giorno per lavorare e per affari, si aggiunga che l’Emilia è regione nella quale il socialismo è assai diffuso e che crede di avere già fortemente pagato il suo tributo nel passato anno, allorché ivi fu inviato qualche centinaio di migliaia di sbandati per riordinarsi. Tutto ciò spiega il nervosismo delle autorità comunali e prefettizie per ogni più lieve inconveniente e la naturale tendenza ad addossare all’autorità militare la colpa di ogni più piccola deficienza». Di fronte a questi inconvenienti e ai fattori climatici avversi, il comandante dell’Intendenza propose di: aumentare sensibilmente l’opera delle commissioni interrogatrici; raddoppiare e, successivamente, triplicare il numero delle tradotte e accrescere la facoltà di servirsi dei treni ordinari; obbligare i comandi dei centri a sfruttare intensamente le tradotte stesse. Di fronte a una situazione che si aggravava giorno dopo giorno, Orlando intervenne presso il ministero della Guerra, affinché prendesse finalmente la decisione di chiudere definitivamente i campi. Gli avvocati militari avrebbero dovuto provvedere a trattenere solo i prigionieri condannati o nei confronti dei quali continuavano a sussistere gravi indizi di reato. Gli altri avrebbero dovuto essere inviati ai depositi o in licenza. pag.80 |
CARLO POKRAJAC (di Antonio) nato a Canfanaro
d’Istria il 1° aprile 1896 soldato
nell’I. R. Esercito Austriaco dal 1914.
Fatto prigioniero dai russi ha seguito gli
avvenimenti della rivoluzione e il trattato dello status di prigioniero
amico accordato ai dalmati e Istriani, nonchè Giuliani in mano Russa.
Ciò comportava libertà di movimento e il rimpatrio appena possibile
attraverso terre sicure e in pace.
http://www.grandeguerra.ccm.it/scheda_archivio.php?goto_id=1219 La carestia di viveri e di materie prime imperversava, soprattutto nelle grandi città dell'Impero Asburgico, e i soldati erano esausti e quasi alla fame dopo quattro anni di guerra. Nel gennaio 1918 la razione di pane giornaliera diminuì fra i civili da 200 a 165 grammi, con la distribuzione di un'oncia di carne al giorno (poco più di 28 g !!! 200 grammi la settimana per i combattenti e 100 grammi per i complementi). E' acclarato che buona parte della sconfitta austro-ungarica va addebitato al miserevole trattamento alimentare. |
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Corrispondenza fra prigionieri in
Austria e le rispettive famiglie sul problema della fame:
"Vi scrivo questa mia lettera per ripetervi che la
vita che si fa da prigioniero ora, e che ci danno da mangiare, e quanti
ne muoiono al giorno per fame, ne muoiono 40-50 al giorno, che ci danno
da mangiare ogni mattina tre reghe con vermi e brodi di farina amara(..)
si dorme come belve con un po' di coperte(..)". A questo si
aggiunge l'ignominia di essere trattati ingiustamente da "traditori"
come testimonia la lettera che un padre manda al figlio detenuto "Tu mi chiedi il mangiare, ma a un vigliacco come te non mando nulla: se non ti fucilano quelle canaglie d'austriaci ti fucileranno in Italia. Tu sei un farabutto, un traditore; ti dovresti ammazzare da te. Viva sempre l'Italia, morte all'Austria e a tutte le canaglie tedesche: mascalzoni. Non scrivere più che ci fai un piacere. A morte le canaglie". E in risposta la lettera al padre: "Non mi degno chiamarvi caro padre avendo ricevuto la vostra lettera, dove lessi che ho disonorato voi e tutta la famiglia: perciò d'ora in poi sarò il vostro grande nemico e non più il vostro Domenico". |
Nei primi giorni del '19 il problema sembrava avviarsi alla conclusione. Un centro veniva chiuso ma in arrivo c'erano ancora 40.000 soldati provenienti da Francia (Germania), Russia, Balcani. Continuavano a funzionare gli ospedali presso i quali erano stati curati 26.400 malati e spedalizzati 7.000. I decessi di questo periodo erano stati 861 per Spagnola su fisici "debilitati" (in genere) o Malarie, scabbia, tifo, difterite, varicella, vaiolo, meningite (altre gravi patologie presenti). Il 2/9/1919 l'amnistia a valere sulle condanne fino a 10 anni esclusa la diserzione in faccia al nemico (per quelli che si era potuto accertare). Alla fine della guerra furono circa 15.000 le condanne all'ergastolo, 4028 le condanne a morte (non eseguite per contumacia od altro 3.280) per reati vari, anche "civili" come il saccheggio, il furto e lo scasso (ma in zona di guerra). I Militari in carcere erano 60.000 ridotti poi a 20.000. |
Vai alla 1a Parte http://digilander.libero.it/fiammecremisi/approfondimenti/plezzo-saga-prigionieri.htm |