L'ALTRA FACCIA DI CAPORETTO

              Prigionieri di noi stessi - 2a parte

              L'amara Vittoria

Art. 1- Il militare di qualsiasi grado, comunque liberato dalla prigionia di guerra, deve entro le 24 ore dal momento in cui entri nel territorio del Regno o in quello occupato dal R. Esercito, presentarsi ad una Autorità militare qualunque per essere avviato ai centri di raccolta di Castelfranco Emilia, Gossolengo, Rivergaro, Ancona, Bari.
Art. 2- Il militare di qualsiasi grado, comunque liberato dalla prigionia di guerra, che alla data della presente ordinanza si trovi già nel territorio del Regno o in quello occupato dal R. Esercito e non si sia ancora presentato ad una autorità militare, deve effettuare la presentazione entro il 20 Novembre 1918 per essere avviato ai centri di raccolta sopra indicati.
Art. 3- L’infrazione agli obblighi sanciti negli art. precedenti è considerata diserzione ed è punita con la pena indicata dall’art. 145 II parte C. P. Esercito. Essa si presume per coloro che, liberati dalla prigionia di guerra dopo il 1 Novembre 1918 si trovino posteriormente al 20 stesso mese, nel territorio al di qua della linea Tirano, Edolo, Vobarno, Ala, Schio, Bassano, Vidor, Priula, fiume Piave fino alla foce, sprovvisti di documenti attestanti la presentazione ad una autorità militare o l’assegnazione ad un reparto.
:

 

FABIO MONTELLA

Nato i1 6 giugno 1969, svolge attività giornalistica presso una Pubblica amministrazione e collabora come free lance con diversi periodici. Laureato in Scienze Politiche all’Università degli Studi di Bologna (indirizzo storico-politico), è iscritto all’Ordine dei Giornalisti di Bologna dal 12 settembre 1996 ed ha ottenuto la qualifica di giornalista professionista il l3 ottobre 1998. Ha lavorato in un quotidiano modenese e ha diretto diverse testate locali di storia e attualità. Ha collaborato con l’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia quale cultore di “Storia Contemporanea e con la redazione della rivista “Ricerche di storia politica” della società editrice “Il Mulino”. Ha curato la pubblicazione degli atti del volume “Francesco Salvioli e la prima Amministrazione socialista di Mirandola”. Suoi articoli sono apparsi su periodici nazionali quali Limes (rivista italiana di geopolitica), Aesse (Azione Sociale) e l’Unità.

     

Moneta per prigionieri a Katzenau

Moneta interna di prigionia

Mirandola ospedale C.R.I

Ospedale della Cri di Mirandola

 

PRIGIONIERI IN EMILIA

Libreria Spazio  - Piazza Mazzini 11 - 41037 - Mirandola (MO) - tel. 0535/21406

dal sito http://www.fabiomontella.it/  - Con l’armistizio firmato il 3 novembre 1918 a Villa Giusti, nei pressi di Padova, che poneva fine alle ostilità dalle ore 15 del giorno successivo, non si esaurì l’esperienza dei militari italiani nella Grande Guerra. Basti pensare che il 1 luglio 1919, cioè otto mesi dopo, risultavano ancora sotto le armi 110.000 ufficiai e 1.578.000 soldati, ci cui 876.000 in unità ancora mobilitate, per lo più nel Triveneto, ma con consistenti contingenti in Dalmazia, Albania Macedonia, Bulgaria, Libia, Russia e tra l’Egeo e il Medio Oriente. Per una particolare categoria di reduci, gli ex prigionieri, il rientro fu addirittura drammatico e costellato di nuove sofferenze, come dimostra il libro Prigionieri in Emilia, Il volume, che ha il patrocinio dell’Unione Comuni Modenesi Area Nord e il contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Mirandola, presenta una ricerca nell’Archivio Storico dello SME di Roma, oltre che in diversi archivi storici comunali. il volume ha la prefazione dl Giuliano Muzzioli, professore di Storia Economica all’Università di Modena e Reggio Emilia. La vicenda, che ha ampiamente coinvolto le province di Modena, Bologna e Piacenza, viene ricostruita nei dettagli in 88 pagine arricchite da una ventina di foto inedite. La storia descritta è quella dei soldati italiani che avevano trascorso mesi o anni nei campi di prigionia degli Imperi Centrali e che, al loro rientro, furono attesi da una nuova ed ingiusta forma di detenzione in centri, allestiti in tutta fretta, da quelle stesse autorità che li avevano mandati a morire nelle trincee.  Quasi 270.000 uomini furono trattenuti, per diverse settimane, nei Campi di concentramento di Mirandola, Castelfranco Emilia e Gossolengo. Grazie anche a testimonianze dirette si ricostruisce le condizioni di vita e i sentimenti di rabbia e di delusione del militari, ma anche le difficoltà quotidiane ci chi era chiamato ad organizzare la vita in questi campi. I soldati vissero per settimane a Bomporto, Carpi, Cento, Fiorenzuola d’Arda, Luzzara, Piacenza, Poggio Rusco, Ponte dell’Oglio, San Felice e Spilamberto e in tante altre località riportate nel libro. Si trovavano in Italia ma non potevano rientrare a casa. La loro esistenza trascorreva monotona dentro stalle, fienili, scuole requisite o sulle rive dei fiumi, in pessime condizioni igieniche. Come evidenziano lettere e articoli, la loro sorte andò migliorando soltanto a seguito delle denunce della   stampa, delle pressioni di alcune personalità politiche e delle lamentele  dello autorità locali. Due furono i principali motivi per i quali le autorità decisero di concentrare gli ex prigionieri in luoghi stabiliti, che assomigliavano a nuovi campi di concentramento, Il primo riguardava la necessità di interrogare i militari per accertare le cause della loro resa il secondo era che bisognava rieducare i soldati, evitando che, una volta rientrati in Patria, diffondessero le idee bolsceviche con le quali erano entrati in contatto nei campi di concentramento d’Oltralpe. Prima del libro di Montella, questa vicenda risultava praticamente dimenticata, almeno a livello locale, Non soltanto perché racconta di una storia ‘minore’ rispetto a quella delle grandi battaglie e delle eroiche controffensive, ma anche perché si tratta di una pagina controversa e presto rimossa della nostra storia, Per il Fasciamo, infatti, la prigionia era una esperienza disonorevole, sospetta e da passare sotto silenzio. Il prigioniero era un ‘vinto’. Una figura insomma da dimenticare per un Regime che cominciava a mostrare i muscoli, facendo presa sulle idee di rivincita diffuse nel Paese.

*. (Beffa delle Beffe a  funzionare era il tribunale del XXVII corpo d'armata di Badoglio ora sottocapo di S.M.. Se c'era un posto, un incarico da evitare era proprio quello di giudicare le vittima dei propri sbagli. Dei prigionieri diceva Badoglio - Gli ex prigionieri, in particolare delle classi più giovani dovevano essere mandati in zona di guerra (ndr. quale? quella contro la Jugoslavia che la stava facendo D'Annunzio). Ciò avrebbe dovuto sopperire al fabbisogno di personale ma avrebbe anche favorito il lavoro di ripreparazione morale e professionale cui tali elementi dovranno necessariamente essere sottoposti prima di essere reimpiegati nei reparti combattenti (l'Italia allora era impegnata in azioni di peace-keeping nel puzzle dell'Europa dell'Est e Balcanica e non eravamo neanche  tanto bene accetti)

L'applicazione delle norme di cui sopra sottostava a diverse condizioni, non tutte realmente riscontrabili. Non esisteva una frontiera nel termine che abbiamo conosciuto fino a qualche anno fa. Il territorio occupato era una entità geografica  discutibile, come poi verrà discusso e l'altra indicazione come il contesto lessicale richiedeva una istruzione superiore, se non analfabeti. C'erano poi fra i prigionieri quelli che abitavano al di la dal Piave, gli irredenti e non e quelli che erano stati fatti prigionieri dopo Caporetto. Il fatto che i manifesti fossero affissi ovunque contemporaneamente è aleatorio. L'ordinanza venne emanata il 12 novembre 1918 quando i prigionieri erano già liberi, alcuni, dal 2 (Branau). Le clausole armistiziali ne prevedevano la partenza a scaglioni di 20.000 dal 20 novembre. Si calcola che ca. 100.000 fossero ai confini con la Russia in campi lavoro e altrettanti in Germania (ceduti dagli austriaci o fatti prigionieri fra i nostri regolari o taif sul fronte occidentale) e Balcani. Gli unici che rispettarono le clausole furono i tedeschi che finirono la guerra 7 giorni dopo. Gli austriaci non avevano cibo per se figurarsi per gente che d'ora in poi erano estranei. C'erano motivi sufficienti per riprendere una guerra?. L'intendenza puntò nuovamente sulla vecchia struttura emiliana ma anche su altri centri come Milano e nel sud per un  lavoro che sembrava prefigurarsi lungo e difficile. Per molti la morte era già sopraggiunta nei lager ed era molto se erano arrivati in patria vivi.

Nei centri di raccolta e nei campi furono istituiti Uffici inquirenti e Tribunali di guerra, che funzionarono attivamente nei mesi successivi*. Un soldato era considerato disertore non solo per l’eventuale comportamento che lo aveva condotto alla cattura da parte del nemico, ma anche se non si presentava entro 24 ore dal suo arrivo. Oltre all’eventuale reato di diserzione, gli interrogatori dovevano accertare se i prigionieri avessero propositi di propaganda bolscevica. Lo si evince chiaramente da una lettera su una controversia sorta tra due uffici del Comando Supremo: «In seguito ad accordi intervenuti fra questo Servizio e S.E. Zuccari, Presidente della “Commissione interrogatrice dei prigionieri rimpatriati”, si era convenuto che mentre gli interrogatori della predetta Commissione dovevano riguardare soltanto i soliti argomenti generici, il Servizio informazioni del Comando Supremo doveva interessarsi, facendo all’uopo interrogatori separati, della raccolta delle notizie politiche militari e sociali che comunque potessero interessare il Servizio stesso, estendendo le indagini su argomenti di polizia militare ed eventuali propositi di propaganda bolscevica». L’ambito di attività dei ” Centri di raccolta dei militari italiani reduci da prigionia” (questo il loro nome ufficiale) di Mirandola, Castelfranco Emilia e Gossolengo venne stabilito il 19 novembre 1918 dall’Ufficio Ordinamento e Mobilitazione del Comando Supremo del Regio Esercito, al quale facevano direttamente capo. I tre centri emiliani vennero creati per raccogliere i militari italiani liberati dalla prigionia, o comunque restituiti dal nemico, affluiti ai posti di raccolta avanzati delle singole armate. Compito ufficiale dei centri (dai quali dipendevano numerosi sottocentri) fu quello di raccogliere, per arma, i militari reduci dalla prigionia, a mano a mano che affluivano gradatamente dai posti di raccolta di armata e di procedere celermente al definitivo loro riordinamento in reparti organici disarmati della rispettiva arma. Al Centro di raccolta di Gossolengo (capacità 65.000) fu assegnata la zona compresa fra Piacenza, Gossolengo e Rivergaro. Al centro di Castelfranco Emilia  (capacità 100.000) venne attribuita la zona fra Reggio Emilia, Nonantola, Crevalcore, Persiceto, Pavullo nel Frignano, Vignola e Scandiano. Al centro di raccolta di Mirandola (capacità 100.000) fu affidata la zona tra il fiume Po, Gonzaga, Carpi, San Felice sul Panaro e Finale Emilia, i comandanti di ciascun centro, in qualità di comandanti di grandi unità alla diretta dipendenza del Comando Supremo avevano piena giurisdizione sul territorio del rispettivo campo e dovevano provvedere all’ordine pubblico e alla salute. pag. 45

Ai prigionieri di qualsiasi grado sarebbe spettato il trattamento economico stabilito per le truppe, ma nessuna indennità speciale. Agli ufficiali reduci dalla prigionia era concesso un anticipo pari a 15 giorni di stipendio. Al personale di inquadramento di ciascun centro (ufficiali e truppa) sarebbe andata invece l’indennità di marcia ed ai militari di truppa anche la cosiddetta “razione viveri modificata”. Tutti gli interrogatori dei militari reduci da prigionia di qualunque grado, nonché tutte le notizie e pratiche relative al periodo della prigionia, erano di assoluta ed esclusiva competenza della Commissione interrogatrice dei prigionieri rimpatriati nominata dal Ministero della Guerra, mentre per il funzionamento dei servizi avrebbe provveduto, come abbiamo detto, l’Intendenza CD, che in seguito a speciali accordi col Ministero della Guerra era autorizzata a valersi anche di tutti i mezzi già esistenti nel territorio di giurisdizione dei Corpi d’armata territoriali di Bologna e di Genova, nonché a rivolgere direttamente al Ministero stesso le richieste del caso.
- Il 30 novembre 1918, al termine della sua prima ispezione ai campi emiliani, il generale Ugo Sani, inviato dal C.S. ad accertarsi della situazione, dovette ammettere non poche deficienze. Innanzitutto rilevò uno spreco generalizzato dei costosi materiali inviati ai campi. Alcune tende alpine, ad esempio, erano rimaste per molti giorni disabitate perché male impiantate; talvolta gli indumenti erano stati distribuiti
«a spizzico, anziché a serie complete»; in altri casi la distribuzione del rancio caldo era stata ritardata di qualche giorno solo perché mancavano le gavette per la sua consumazione. In qualche settore o frazione di campo, le razioni di pane e di carne non corrispondevano al peso dovuto. Sani si rammaricò inoltre della presenza di militari laceri e scalzi, perché mancavano le strutture per bonificarli. Il generale sollecitò il Comando Supremo ad accelerare e a migliorare l’organizzazione delle operazioni di sgombero di tutti quei militari che erano già stati interrogati e bonificati e che quindi erano pronti a partire. In alcuni casi i soldati se ne erano andati senza che fossero stati loro distribuiti i viveri per la giornata, mentre altri furono inviati alle stazioni di carico 24 ore prima della partenza della tradotta. A quasi un mese dalla fine delle ostilità, migliaia di soldati, stanchi, affamati e, in qualche caso, gravemente ammalati, non avevano ancora chiara la prospettiva di un rapido rientro a casa.
pag 48

(in parole povere si era nel caos più completo, era inverno !!!!, qui nevicava) Se non già applicate si trattava di imporre norme igieniche drastiche, dall'incenerimento degli abiti alla semplice rasatura ed una alimentazione adeguata per i primi giorni per un progressivo recupero fisiologico. Ricordo che l'esplosione della Spagnola si concentra in questo periodo.

 

                 Caserma di inizio secolo                                  Carpi o Mirandola località indefinita

   

caserma bersaglieri Asti

 

   
-…. Perché qui di notte è calmo, ma di giorno fra nebbia e freddo si sta male. Quanto al trattamento è quello dei prigionieri nemici e se non abbiamo le baionette alle reni non è merito dei superiori, ma di quei poveri 900 costretti a fare un turno (di guardia) di 24 ore fra il freddo e la stanchezza. E fanno male, perché (questi) covano un sentimento di odio e di rivolta che si sfogherà quando questa gente primitiva tornerà ai propri paesi. Senza contare che queste migliaia di persone (e ne arrivano tutti i giorni) a casa potrebbero produrre, mentre qui si poltrisce sotto la tenda.- In un’altra lettera, datata sempre 18 novembre e anch’essa bloccata dalla censura, un soldato raccontava che gli ex prigionieri vagavano per le campagne intorno ad Agazzano, per ovviare alla carenza di cibo. «Il Governo ha mandato nella Trebbia a Gossolengo una gran quantità di prigionieri ritornati dalla Germania e dall’Austria (e) invece di mandarli alle loro case li lascia andare in giro nelle case a cercare da mangiare. Capirai che in questi momenti si ha in casa appena il necessario, e doverne dare via tutti si lamentano, ma però tutti ce ne danno perché fanno compassione». Sotto la spinta delle sollecitazioni che provenivano dalle autorità locali e delle denunce della stampa, che aveva cominciato a pubblicare lettere sulla vera situazione dei centri, il generale Badoglio ordinò l’ispezione del generale Ugo Sani, comandante del XIII Corpo d’Armata. pag 52  
     
Sani aveva anche verificato che questa gente aveva in tasca moneta austriaca che non gli veniva cambiata (e nel tempo perdeva valore) e che la razione di pane giornaliera era di 400 gr, all'incirca la metà di quella che allora era la razione normale: si chiamava pane da munizione, perchè andava nel caffelatte, nella zuppa di verdure, nel brodo e anche da solo. Un altro problema era comunicare a casa il proprio arrivo, la propria salute con posta in franchigia (ci volevano le apposite cartoline) che tardavano ad arrivare. I campi dovevano essere dotati o avere nelle vicinanze forni fissi o mobili che cuocessero tonnellate di pane al giorno e lavanderie e docce in grado di saturare il primo interevento urgente e quello di routine dopo. La commissione giudicatrice intanto svolgeva il proprio lavoro (il tempo di compilare una scheda coi dati essenziali e poche annotazioni) e in molti casi i reduci potevano già essere smistati se non che mancava un timbro, mancavano i treni etc .. Più distanti erano i comandi superiori e più si era convinti che tutto funzionasse bene. Ad una lettera di un Prefetto che, sollecitato dai sindaci, affermava di aver visto sfamare con scorte civili del mese gli ex prigionieri (probabilmente perchè nessun al comando aveva provveduto) si rispondeva che il vettovagliamento era a cura dello stesso e non della popolazione civile o dei comuni e che i magazzini militari funzionavano regolarmente. La propaganda buonista della concordia nazionale e del "vedrete che tutto si sistema" faceva a pugni con la condizione dei rimpatriati, molti ridotti allo stato larvale per le cause già accennate nel capitolo. Il blocco navale degli alleati aveva ridotto gli approvvigionamenti alimentari, tanto che la Croce Rossa aveva dovuto renderne partecipi Francia Inghilterra e Italia,  dei pericoli connessi ai prigionieri, che subivano in egual modo o in peggio gli stessi razionamenti ((le calorie a disposizione non superavano le 1.000 !!) . ' E' l' orrore della prigionia che occorre ispirare ai soldati. Il Comando supremo ha ripetutamente insistito perché fossero soppressi ad eccezione che per i feriti i soccorsi inviati dal Paese. Ciò nell' intendimento di impedire il diffondersi fra le truppe della convinzione che presso il nemico sia possibile trovare condizioni di vita almeno tollerabili (o migliori)' .  L' opposizione del ministro degli Esteri Sonnino a che si provveda in favore dei prigionieri (e anche all' invio di aiuti collettivi da parte della beneficenza privata (Croce Rossa esclusa), - concorda pienamente con quella analoga più volte espressa dal Comando supremo come misura atta ad impedire la resa e la diserzione al fronte -. Sonnino continua cocciutamente a sostenere che i prigionieri devono essere mantenuti dagli Imperi centrali e se questi non ce la fanno (ormai anche gli austriaci e i tedeschi sono alla fame) peggio per i prigionieri. "Si giunge persino a sostenere che i prigionieri venivano consapevolmente affamati per inculcargli l' odio contro coloro che li avevano mandati a combattere e porre così le premesse della loro ribellione una volta tornati in Italia". Per non acuire ulteriormente il problema le altre nazioni si erano attivate anche con scambi di malati gravi. Nonostante gli appelli della C.R.I, il Governo non modificò la sua posizione. Al contrario si sarebbe dovuto migliorare la condizione dei nostri prigionieri austriaci per favorire si ora la loro diserzione !!!. Con Caporetto erano caduti in mano Austriaca circa 350.000 Italiani che si aggiunsero ai circa 150.000 precedentemente già prigionieri. Con l'ultimo anno di guerra la cifra raggiunse le 600.000 unità (di cui 8.000 ufficiali). Fra la truppa oltre 100.000 morirono però di stenti e malattia (100.000=1/6), mentre fra gli ufficiali si scendeva in proporzione a 1/15. Le morti in prigionia, anche per malattia che rientrerebbero in una normale casistica di decessi con alterazioni patologiche o incidenti, furono dovute in gran parte a denutrizione e debilitazione. Dopo Caporetto la situazione peggiorò per tutti, ufficiali compresi.

Il soldato sa che il desiderio di rivedere dopo lunga prigionia la propria famiglia, la sposa, i figli è impedito dalla necessità dell’interrogatorio, operazione che dura poi pochi minuti e per la quale egli deve aspettare, in ozio, qualche mese. Il colonnello dell’ufficio I su questo interrogatorio “... elencazione che non dava l’assoluta garanzia che il singolo fosse stato identificato". Nella sua nota del 9 dicembre indirizzata al Comando Supremo, l’Intendente Foschini mise in rilievo oltre il fatto, che con quel ritmo sarebbero occorsi tre mesi per liberare i campi, anche il malcontento nella popolazione: «L’Emilia è una regione agricola, ricca, fiorente e nella quale perciò l’accantonamento di centinaia di migliaia di uomini è duramente sentito. Le stalle sono ricche di bestiame, polli, ecc., i fienili di fieno, paglia, grano, la presenza di numerosi soldati, più o meno deficentemente inquadrati e inoperosi, disturba, inceppa e può essere causa di inconvenienti. Il generale Cottini mi accennò qualche giorno fa l’incendio di un fienile, escludendo il dolo, però. Vi è poi la delicata questione delle donne, in paesi dove gli uomini sono abituati ad allontanarsi dalle case molte ore del giorno per lavorare e per affari, si aggiunga che l’Emilia è regione nella quale il socialismo è assai diffuso e che crede di avere già fortemente pagato il suo tributo nel passato anno, allorché ivi fu inviato qualche centinaio di migliaia di sbandati per riordinarsi. Tutto ciò spiega il nervosismo delle autorità comunali e prefettizie per ogni più lieve inconveniente e la naturale tendenza ad addossare all’autorità militare la colpa di ogni più piccola deficienza». Di fronte a questi inconvenienti e ai fattori climatici avversi, il comandante dell’Intendenza propose di: aumentare sensibilmente l’opera delle commissioni interrogatrici; raddoppiare e, successivamente, triplicare il numero delle tradotte e accrescere la facoltà di servirsi dei treni ordinari; obbligare i comandi dei centri a sfruttare intensamente le tradotte stesse. Di fronte a una situazione che si aggravava giorno dopo giorno, Orlando intervenne presso il ministero della Guerra, affinché prendesse finalmente la decisione di chiudere definitivamente i campi. Gli avvocati militari avrebbero dovuto provvedere a trattenere solo i prigionieri condannati o nei confronti dei quali continuavano a sussistere gravi indizi di reato. Gli altri avrebbero dovuto essere inviati ai depositi o in licenza. pag.80

 

CARLO POKRAJAC (di Antonio) nato a Canfanaro d’Istria il 1° aprile 1896 soldato nell’I. R.  Esercito Austriaco dal 1914.  Fatto prigioniero dai russi ha seguito gli avvenimenti della rivoluzione e il trattato dello status di prigioniero amico accordato ai dalmati e Istriani, nonchè Giuliani in mano Russa. Ciò comportava libertà di movimento e il rimpatrio appena possibile attraverso terre sicure e in pace. http://www.grandeguerra.ccm.it/scheda_archivio.php?goto_id=1219
7 Novembre 1917 ( 25/10) Scoppiata la rivoluzione d'ottobre (Oktjobrskaja Revolucija) nessuno si è più curato di noi. …4 giugno 1919 Alla mattina siamo partiti per Leopoli. La polizia ci ha rilasciato un documento per ciascuno (pass). La mattina del 12 giugno ci è stato comunicato dove recarsi: noi istriani e della Venezia Giulia è stato detto che apparteniamo all’Italia e quindi dovevamo andare al comando della delegazione italiana a Vienna. Arrivati alla delegazione italiana, davanti a quel palazzo c’era un bersagliere di guardia. Ricevuto il biglietto tranviario per andare al centro prigionieri e fuggiaschi al Secondo Distretto. Abbiamo trovato tanta gente, famiglie di fuggiaschi di Trieste, dell’Istria. di Tolmino. Eravamo liberi di uscire. (...) Dopo di loro siamo partiti noi per Udine, scortati pure noi dai carabinieri. Abbiamo passato la notte per terra dormendo in una caserma senza nemmeno un po’ di paglia. Alla mattina partiti per Palmanova. Da Palmanova a piedi per Bagnaria Arsa, ultima tappa in campo di concentramento per prigionieri di guerra !!!!. Qui siamo stati sistemati in un prato sotto le tende. Di giorno non avevamo un po’ d’ombra e sotto le tende era troppo caldo, eravamo tre uomini sotto ogni tenda. Era proibito circolare per il campo, oltre a quel piccolo quadro di prato non c’era concesso di allontanarsi. Questo ci ha sorpreso molto, non sapevamo se è per ragioni igienico sanitarie o per qualche altro motivo. In terra .. nemica…abbiamo trascorso quasi 4 anni senza nessuna sorveglianza, altrettanto per i trasferimenti. In Austria, in attesa del trasporto, 3 giorni abbiamo girato Vienna. Ora nella nuova patria, eccoci fra il filo spinato! Il giorno dopo uno alla volta siamo stati accompagnati in un ufficio davanti ad un ufficiale e sottoposti all’interrogatorio. Ci domandava tutto, dal giorno che siamo andati sotto le armi, dove siamo stati fatti prigionieri, in che data, dove abbiamo trascorsi quei 4 anni. Più di tutto insisteva a sapere dove si era durante quei due anni della rivoluzione, dal '17 al '19. Se abbiamo fatto parte dell’esercito rosso o bianco. Bisognava stare attenti, bastava una parola per essere spediti al confino prima di andare a casa. Di questo siamo stati avvertiti da qualche buona persona appena entrati nel campo.

La carestia di viveri e di materie prime imperversava, soprattutto nelle grandi città dell'Impero Asburgico, e i soldati erano esausti e quasi alla fame dopo quattro anni di guerra.  Nel gennaio 1918 la razione di pane giornaliera diminuì fra i civili da 200 a 165 grammi, con la distribuzione di un'oncia di carne al giorno (poco più di 28 g !!! 200 grammi la settimana per i combattenti e 100 grammi per i complementi). E' acclarato che buona parte della sconfitta austro-ungarica  va addebitato al miserevole trattamento alimentare.

     
Corrispondenza fra prigionieri in Austria e le rispettive famiglie sul problema della fame: "Vi scrivo questa mia lettera per ripetervi che la vita che si fa da prigioniero ora, e che ci danno da mangiare, e quanti ne muoiono al giorno per fame, ne muoiono 40-50 al giorno, che ci danno da mangiare ogni mattina tre reghe con vermi e brodi di farina amara(..) si dorme come belve con un po' di coperte(..)". A questo si aggiunge l'ignominia di essere trattati ingiustamente da "traditori" come testimonia la lettera che un padre manda al figlio detenuto
"Tu mi chiedi il mangiare, ma a un vigliacco come te non mando nulla: se non ti fucilano quelle canaglie d'austriaci ti fucileranno in Italia. Tu sei un farabutto, un traditore; ti dovresti ammazzare da te. Viva sempre l'Italia, morte all'Austria e a tutte le canaglie tedesche: mascalzoni. Non scrivere più che ci fai un piacere. A morte le canaglie". E in risposta la lettera al padre: "Non mi degno chiamarvi caro padre avendo ricevuto la vostra lettera, dove lessi che ho disonorato voi e tutta la famiglia: perciò d'ora in poi sarò il vostro grande nemico e non più il vostro Domenico".

Nei primi giorni del '19  il problema sembrava avviarsi alla conclusione. Un centro veniva chiuso ma in arrivo c'erano ancora 40.000 soldati provenienti da Francia (Germania), Russia, Balcani. Continuavano a funzionare gli ospedali presso i quali erano stati curati 26.400 malati e spedalizzati 7.000. I decessi di questo periodo erano stati 861 per Spagnola su fisici "debilitati" (in genere) o Malarie, scabbia, tifo, difterite, varicella, vaiolo, meningite (altre gravi patologie presenti). Il 2/9/1919 l'amnistia a valere sulle condanne fino a 10 anni esclusa la diserzione in faccia al nemico (per quelli che si era potuto accertare). Alla fine della guerra furono circa 15.000 le condanne all'ergastolo, 4028 le condanne a morte (non eseguite per contumacia od altro 3.280) per reati vari, anche "civili" come il saccheggio, il furto e lo scasso (ma in zona di guerra). I Militari in carcere erano 60.000 ridotti poi a 20.000.

 

Torna

Vai alla 1a Parte

 http://digilander.libero.it/fiammecremisi/approfondimenti/plezzo-saga-prigionieri.htm