Emil Limer prigionieri italiani

 

LA PRIGIONIA PIU' DURA

DOPO CAPORETTO

 

La detenzione nei lager tedeschi - lo scambio dei grandi invalidi

e il diario di Fausti Silvestro

Soldati italiani che calzano i caratteristici zoccoli o scarpe di legno contadine tipiche dell'Olanda e della Germania del nord

 

“….gelati del freddo e famati da lupo…” La Grande Guerra dei prigionieri - 

FAUSTI SILVESTRO

Nato il 2 Aprile 1881 a Brozzo di Marcheno,  Fausti Silvestro viene arruolato per il fronte ancora all’inizio della guerra, è fatto prigioniero dagli Austriaci sulla Bainsizza il 24 ottobre 1917; per Silvestro inizia quella che viene storicamente definita la Guerra dei prigionieri.  Si ringrazia la Signora Flavia Ruffini per la gentile concessione  del  testo  del diario del bisnonno qui a fianco.

Il testo completo   http://www.valtrompiastorica.it/tradizioni.php?cat=4e9a108d811b7

  .... .La sera del 30 ci diedero un mescolo d’orzo e cavoli poi ci caricarono sul treno su carri scoperti e stretti che si reggeva in piedi l’un l’altro come sardelle all’olio, e così bagnati come s’era viaggiare la notte che si serenò che freddo che batter di denti! Si viaggiò 2 giorni e due notti in treno. Ci diedero una pagnocca al giorno in 8 di kg 1.800. Il giorno dei Santi si arrivò a Ges sfiniti della fame. La si stette fino il giorno di San Martino 11 novembre. Il mangiare era caffè la mattina un mescolo di mezzo litro di boia il giorno e un altro mescolo di acqua sporca di farina la sera. Pane uno al giorno di kg 1,800 diviso in 10. Il giorno di San Martino si partì per Vorms (Lungo il Reno), Si viaggiò 3 giorni e 3 notti in treno sempre in carro bestiame stretti come sardelle e rinchiusi a chiave. I propri bisogni ci toccava farli nel carro, era una latrina. Ci davano da mangiare una volta al giorno un mescolo di farinata e una pagnocca in 10. Arrivati a Vorms si andò nelle baracche e vi si stette fino il 13 dicembre ci fecero fare la quarantina ci fecero 6 iniezioni ci fecero dei bagni e delle disinfettazioni in quanto a questo sarebbe stata opera buona, ma che sa se ci facevano delle iniezioni per preservarci di malattia o per rovinarci il sangue poiché con l’andar del tempo molti divennero tubercolosi e sen morivano. Si mangiava la mattina caffè ( ovvero acqua bollita) a mezzo giorno un mescolo di mezzo litro di acqua e carote, la sera un altro mezzo litro di acqua di carote o rape e una pagnotta di kg 1,800 in 12 al giorno (150 gr al giorno quando la razione del soldato ha sempre superato il mezzo kilo). Si dormiva su tavolacci sulle nude tavole con due coperte e carichi sempre di quella compagnia che marcia pian piano (pidocchi). Non si poteva stare in piedi dalla fame. Qui quanti pensieri alla cara famiglia e dicevo la ci sarà da mangiare e qui io men muoio di fame. Nemmeno ci facevano scrivere a casa solo un pacco di cartoline ai primi ma stampate da loro cosi: Sono prigioniero in Germania. Sono sano: Addio. Non c’era nemmeno il mio indirizzo per poter avere la risposta. Il giorno 13 dicembre si partì per il lavoro in treno sempre carri bestiame. Si andò sul fronte francese dell’Alsazia Lorena, si viaggiò 4 giorni e 4 notti e si arrivò a Landifai, si andò in baracche dormendo su tavolacci senza niente paglia con due coperte e il pastrano: Col Zanoletti Giovanni stavamo sempre vicini confortandosi incoraggiandosi l’un l’altro. Il giorno 19 dicembre si cominciò ad andare al lavoro. Si lavorava a far linee di strade ferrate che andavano al fronte francese. Qui freddo fame sotto la neve acqua vento sempre ogni giorno al lavoro e così sfiniti come si era molti svenivano e cascavano sul lavoro. Molti la mattina quando si alzavano per prendere il caffè si trovavano sui tavolacci belle cadaveri. Si mangiava un rancio al giorno un litro di miscuglio di rape carote qualche pezzetto di patate neanche pelate qualche fava selvatica un po' di farina cattiva e qualche volta qualche pezzetto di carne di cavallo che puzzava o baccalà o uova da ringa (aringa). Facevano una boia (pastone) che noi ai maiali e alle bestie non la diamo o la facciamo più fitta e più buona, eppure noi la si mangiava come manna.

L’Associazione culturale “Valtrompia Storica” nasce il 12 aprile 2007 dalla volontà di un gruppo di persone appassionate alla storia locale. L’Associazione non ha scopo di lucro. La finalità del nostro lavoro è la ricerca di documentazione, di fotografie, di fatti, avvenimenti, vicende  che  hanno caratterizzato la storia della Valle del Mella dagli albori fino ai giorni nostri, di spaccati di vita quotidiana,  di storie, leggende, tradizioni e canti popolari oltre che della lingua locale e delle tradizioni religiose  di ispirazione cristiana, al fine della  pubblicazione su internet del materiale raccolto.

Giovanni Re - Prigionieri dimenticati.  Cellelager (Germania) 1917-1918 - Mursia - dal testo -"Già dall'inizio del conflitto la Chiesa utilizzò tutti i suoi mezzi per evitare, prima, per far cessare, poi, «l'inutile strage», facendo leva sul buon senso e la buona volontà dei contendenti: nella speranza di un veloce «deponete le armi» (per il quale si dovrà invece attendere quattro anni), non mancò mai l'impegno personale di Benedetto XV, del Segretario di Stato vaticano Gasparri e anche del Segretario della Sacra Congregazione degli affari ecclesiastici straordinari Eugenio Pacelli (che ricoprì questo incarico prima di essere inviato «in prima linea» come nunzio  apostolico in Baviera), dei Nunzi apostolici e dei Vescovi nei vari paesi contendenti e neutrali.

 

La mattina caffè ( acqua bollita) con 200 grammi di pane nero cattivo e pesante come il ferro fatto con qualunque qualità di porcheria fuorché di farina. La sera di nuovo caffè con altri 200 grammi di pane. Così si passò l’inverno sempre pieni di pidocchi come le uova. Finalmente il giorno 20 gennaio 1918 ci diedero una cartolina per scrivere a casa onde dare e chieder notizie e pacchi. Da allora in poi ci davano 4 cartoline al mese per scrivere: Venne la primavera e ci davano invece di 400 grammi di pane al giorno ce ne davano 500, ma ci calarono il rancio, cioè più chiaro, un litro di acqua o cavoli sott’aceto o fagiolini sott’aceto o altra roba cattivissima con carote e rape. Queste erano tutti i giorni. Non si poteva più reggersi in piedi e si moriva di fame: Per la gran fame si mangiava erba di cicorie o ridighìs o altre erbe e si ingoiava così cruda e di nascosto delle guardie poiché se vedevano erano bastonate e schiaffi. Si mangiava topi, sorci scorze di patate e di rape che si trovava nelle immondizie, lumachine si dava a tutta la porcheria che si poteva trovare. Di paga si prendeva 30 centesimi al giorno quei giorni che si lavorava. Un giorno alla settimana si aveva riposo, ma era più tribulare che quando si andava fuori al lavoro poiché erano una quantità di riviste (appelli) c’era di cucirci addosso, c’era da far la barba volevano la pulizia esterna mentre non si curavano di cambiarci la roba sotto per ripulirci dai pidocchi. Per recarci sul lavoro ci mettevano per 4 e guai a chi si prendeva fuor di riga erano calciate di fucile o schiaffi: Sul lavoro sempre sorvegliati con baionetta in canna e guai a chi si allontanava solo qualche passo, avevano il coraggio di tirargli qualche fucilata. Quante bastonate quanti schiaffi quante calciate di fucile che davano e perché ?: Trovandoci noi così sfiniti della fame e dimagriti non si aveva più forza di lavorare, un lavoro poi così pesante portando rotaie di ferrovie e così picchiavano per farci andare avanti. Una vera crudeltà una barbarie. Agli 11 di febbraio poi ebbi la disfortuna per me, e sciagura per lui di perdere l’amico e compaesano Zanoletti Giovanni. In due giorni morì di polmonite. Che dolore per me ad avere un paesano insieme e perderlo. Mi restava un altro amico di Manerbio pure bresciano disgrazia volle anche questo morì lasciandomi così desolato. Mi ammalai pure anch’io per grande debolezza mi vennero le gambe gonfie e una rema addosso nelle midolla che non ero più buono neanche di camminare ero divenuto infermo. Marcai visita ma sempre mi davano servizio e la con gran fatica o andare a lavorare o rendere delle bastonate senza pane. Peggio che essere in galera condannato ai lavori forzati. Finalmente il 22 giugno venne un capitano medico a visitare la compagnia facendoci spogliare tutti ignudi e allora vedendomi le gambe così gonfie mi mandò subito al Lazzaretto. Quel giorno andammo all’ospitale in 42 della mia compagnia tutti per sfinimento organico per debolezza. Avevo appena cominciato a ricevere notizie di casa ala metà di giugno ricevetti 4 cartoline e un pacchetto di pane. Le cartoline portavano la data degli ultimi di marzo e dei primi di aprile 1918. Io tutto contento dicevo: Adesso che cominciano i pacchi ( dopo tanto desiderare e aspettare ) mi potrò tallonare un po’ e cavarmi la fame. Povero me! Fu per me un’illazione. Andato che fui all’ospitale ai 22 di giugno io non ricevetti più ne pacchi ne posta di casa. Stetti all’ospitale fino al 26 di luglio poi andai al convalicenziario a Sedan (Francia) ci stetti fino alla metà di ottobre. Allora un po ero guarito, proprio vero miracolo, poiché neanche all’ospitale e neppure al convalicenziario cura non ne facevano. Era lo stesso come se fossimo stati cani. Il signore mi volle bene e mi fece la grazia di guarire senza medicine. Il giorno 15 ottobre siccome i Francesi avanzavano venne l’ordine di sgombrare la città di Sedan dove ero al convalicenziario, allora mi mandarono in compagnia ma non più alla mia compagnia ma a un’altra e mi mandarono a Trasburch. questa compagnia era trattata più bene della mia che ero prima e poi a tutti arrivavano i pacchi e quindi molti il rancio che prendevano dai tedeschi non lo mangiavano e me lo davano a me, e così benché poco buono mangiavo a basta anch’io onde potei mettermi un pò in forza. L’11 Novembre avvenne l’armistizio e finalmente i Tedeschi dovettero sgomberare l’Alsazia e Lorena e allora tutti quei barbari se n’andarono e gettando le armi si diressero per l’interno della Germania dove impiantarono fra loro una grande rivoluzione. Fausti Silvestro

     

Sulla base del principio-chi li cattura se li tiene (i prigionieri) -, è presumibile che la Germania (che intrattiene buoni rapporti da non belligerante con l’Italia fino all’agosto del 1916 pur schierando uomini del DAK  (corpo alpino tedesco) in minori unità sul fronte italiano !!!, in parole povere ci sparavano e noi sorridevamo) non si sia tenuti per precauzione gli Italiani catturati. Ne avevano sicuramente in abbondanza per ora fra Francesi, Inglesi e Russi. Nell’ultimo anno di guerra quando fu firmata la pace con la Russia rivoluzionaria molti di questi, civili e militari, premevano per il ritorno in patria come viceversa, anche se i resoconti storici ci danno di questo scambio diverse difficoltà e ragioni di ordine politico perché non avvenisse nei modi e nei tempi usuali essendo in corso anche una guerra civile e per il predominio nel partito a Mosca. Con Caporetto invece in mano ai tedeschi erano finiti molti Italiani (esempio per tutti Rommel a Longarone che dichiara di aver catturato 8.000 italiani).

In Germania dopo Caporetto si segnalano 170.000 italiani impiegati sovente in fabbriche. Principali campi, Worms, Celle, Hannover Meschede, Ellwangen, Baviera, Baden Turingia etc…Lista completa e mappa

Werner - Le prisonniers de guerre “I prigionieri avrebbero dovuto ricevere il pagamento delle mercedi in regime di reciprocità. Tale regime (a partire dal 1/4/16) prevedeva in Austria il pagamento di 50 Heller ai sottufficiali, 25/30 ai caporali, 11/15 ai soldati. Secondo la Civ (la commissione sui crimini di guerra) tuttavia non sempre questi accordi furono rispettati. In Germania non avendo il governo italiano firmato nessun accordo, non veniva invece corrisposto alcun salario fisso (la testimonianza di Fausti smentisce il fatto).

Riassumiamo dalle pagine del libro di Giovanna Procacci – Soldati e Prigionieri italiani nella Grande Guerra alcune delle maggiori differenze fra la detenzione tedesca e quella austriaca al di à della testimonianza riportata e di quelle di altri autori citati.

……Nell’inverno 1917/18 il numero dei prigionieri aumentò  a dismisura..  Fu in quei mesi che le condizioni dei soldati e quelle degli ufficiali si differenziarono di più… Il tipo  di punizione  variava  a seconda dei campi;  in Germania,   nel campo di Stendal, ad esempio, i prigionieri...-. ..continua ....

 

Campi di prigionia austriaci e tedeschi riassunto e rielaborato da Paolo Antolini

Quanti furono i soldati, graduati e ufficiali italiani fatti prigionieri dagli austriaci? Secondo la "Commissione parlamentare d'inchiesta sulle violazioni del diritto delle genti commesse dal nemico" (in breve CIV che terminò i lavori nel 1920), i prigionieri italiani furono circa 600.000, di cui 19.500 ufficiali. Ma ancora più impressionante è la cifra dei morti: 100.000 italiani perirono nei campi di concentramento ed il numero è da considerare per difetto. Quali furono le cause della morte? la stragrande maggioranza perì per malattia, soprattutto la tubercolosi e l'edema per fame. Eppure la questione prigionieri era stata già affrontata nel trattato dell'Aja del 1907: l'art. 7 recitava che ai prigionieri doveva essere garantito un trattamento alimentare equivalente a quello riservato alle truppe del paese che li aveva catturati. (N.d.r. Lo svolgersi della guerra avrebbe pensionato ogni buon proposito e comma rendendo di fatto inapplicabile la convenzione. Sarà anche per questo che nessuno ricorse ai tribunali per crimini di guerra tanto usati nel secondo conflitto. Nessuna si sentiva l'animo in pace nemmeno da vincitore?)

A gennaio del 1915 in Germania vi erano già 600.000 prigionieri (delle nazioni belligeranti, Italia esclusa), divenuti 1.750.000 un anno dopo, proprio quando la situazione alimentare si faceva difficile anche per i civili, causa il perdurare del blocco navale. Gli osservatori svizzeri consigliarono allora l'invio diretto di aiuti ai prigionieri da parte delle varie nazioni in guerra, così nell'aprile del 1916 Germania, Francia ed Inghilterra si accordarono in tal senso, allargando l'accordo allo scambio di tutti i prigionieri malati o feriti appartenenti a determinate categorie (i Grands Blessés) e sani se oltre i 45 anni e con famiglie numerose a casa. In questo modo le tre nazioni poterono salvare un ragguardevole numero dei loro soldati. Una briciola comunque nel mare.

E l'Italia?

Il Governo italiano, in perfetta sintonia col Comando Supremo dell'esercito che ne guidava gli atti, rifiutò sempre ogni tipo di intervento statale, tollerando appena l'invio di aiuti da parte dei privati e dei comitati (con una serie impressionante di disguidi e qui pro quo umanamente ingiustificabile come quando si disse per lo scambio di ammalati che non avevamo un pari numero di prigionieri austriaci da scambiare). Per coordinare l'invio dei soccorsi, già nel 1915 era stata creata all'interno della Croce Rossa Italiana la Commissione prigionieri di guerra con a capo il senatore Giuseppe Frascara, che si affiancava ad un analogo istituto militare per la gestione del problema dei prigionieri di guerra austro-ungarici presenti sul territorio italiano !!!, al comando della quale era stato messo il generale Paolo Spingardi. Un’altra preoccupazione (di tutti i paesi belligeranti) era il diffondersi di notizie false e tendenziose (o vere che smentissero la propaganda bellica), diffuse attraverso la posta , ma anche la stampa. Il C.S.I, per evitare il diffondersi di notizie considerate “pericolose” ed il conseguente diffondersi del malcontento tra le famiglie nel 1917 avocò a sé il totale controllo della corrispondenza attraverso la censura militare. Il mancato aiuto governativo ai prigionieri doveva servire come deterrente per coloro che avessero intenzione di sfuggire alla durezza della vita al fronte con la resa al “nemico”.

(NDR: in pratica si verificò che bloccando la falsa notizia di una prigionia dorata quando questa divenne evidente che era fame al massimo coefficente (50% di morti fra i detenuti !!), non si poté per evidenti motivi lasciare trapelare la verità che avrebbe sconfessato una bugia. Se cominci con una bugia non puoi che chiudere con una bugia più grande. Le bugie sono come le ciliege, una tira l'altra)

Quando si cercò anzi di spacciare che l'Austria avrebbe comunque trattato male i prigionieri con pesanti e capillari mezzi di propaganda mirata il risultato fu una irritazione del governo austriaco che minacciò per ritorsione di chiudere le frontiere ad ogni aiuto proveniente dall'Italia (anche non alimentare) e dalla C.R., e fu solo per l'opera di mediazione svolta dalla C.R.I. se l'incidente fu chiuso. Lo stato toglieva anche il sussidio alle famiglie dei prigionieri considerati disertori (il numero aumentò con la Strafexpedition del maggio giugno 1916 poi a Caporetto e ancora nel giugno 1918), di fatto mettendo queste nell’impossibilità di aiutare un congiunto, specialmente se contemporaneamente condannato in contumacia. Non restava quindi che l’opera dei comitati che non ebbero come detto vita facile. 

Alla fine del conflitto i processi per diserzione all'interno del paese, cioè per il militare che si allontanava dalle retrovie del fronte o non tornava dalla licenza, furono 150.429 su un totale di 162.5263; quelli per passaggio al nemico 2.662, in presenza o in faccia al nemico 9.472 (passibili di pena di morte). Nel 1918, alle violente proteste delle famiglie contro l'abbandono dei prigionieri italiani in suolo nemico da parte dello stato, si aggiunsero le accuse di varie nazioni anche alleate: l'assenteismo italiano stava assumendo l'aspetto di uno scandalo internazionale. Il conte Guido Vinci, delegato generale della C.R.I. a Ginevra, aveva inviato al capo del governo Vittorio Emanuele Orlando una relazione in cui tra l'altro era scritto: "La differenza tra quanto si fa all'estero ed in Italia è stridente; in Francia e Inghilterra si è organizzato un servizio che permette l'invio di 2 chilogrammi di pane la settimana per ogni ufficiale e soldato, la Francia ha deciso di provvedere anche per i Serbi prigionieri. L'America non aveva ancora un prigioniero che già costituiva a Berna immensi depositi per soccorrere la truppa che fosse catturata dal nemico. Nei campi di prigionieri italiani il morale vi è depresso ed eccitato sino alla rivolta: non contro Austria o Germania, ma contro la patria lontana ed immemore dei suoi figli.".

Nell'agosto del 1918, per mitigare le accuse internazionali, V.E. Orlando chiese all'onorevole Leonida Bissolati di organizzare soccorsi governativi da affiancare a quelli della Commissione prigionieri della C.R.I.; fu predisposta la spedizione di vagoni di gallette fornite dai privati e dallo Stato italiano: cinque vagoni di pane e gallette, circa 500 quintali, partirono il 16 agosto per i campi di Mauthausen e Sigmundsherberg: un semplice palliativo al problema, come fece notare il giornale “L'Avanti”.

Le condizioni

I prigionieri (parliamo di soldati) erano stipati in stanzoni senza riscaldamento, con pagliericci infestati da pidocchi; dovevano obbligatoriamente lavorare all'esterno, impegnati in agricoltura o nelle fabbriche, per 12 - 14 ore giornaliere. Le mancanze più lievi erano punite con pane e acqua, le bastonate erano considerate una punizione leggera. I campi di concentramento negli Imperi centrali furono definiti, nel 1918, "le città dei morenti". Per lenire la fame i prigionieri ingerivano grandi quantità di acqua, ingoiavano erba, terra, pezzetti di legno e carta, anche sassi. Le conseguenze erano morte per dissenteria acuta, o per polmonite, se si gettavano in inverno dentro ai canali di scolo o latrine per raccattare la spazzatura delle cucine del campo.  Scriveva nel suo diario Carlo Salsa, ufficiale d'artiglieria e prigioniero dopo Caporetto a Theresienstadt: "Al campo della truppa, prossimo al nostro, sono concentrati 15.000 soldati: ne muoiono circa 70 al giorno per fame. Spesso questi morti non vengono denunciati subito per poter fruire della loro razione di rancio, i compagni li tengono nascosti sotto i pagliericci.  Il 31 ottobre 1918, a seguito dello sfondamento del fronte da parte dell'esercito italiano a Vittorio Veneto, la sorveglianza austriaca nei campi di concentramento venne quasi a cessare. I soldati di sorveglianza (in genere non austriaci e molto sadici) buttarono il fucile e si incamminarono per tornare a casa, verso i loro paesi della galassia austroungarica, mentre i prigionieri, ufficiali e soldati, assunsero il comando nei campi e per prima cosa cercarono di placare la fame, per seconda di cercare un treno verso la linea del fronte ancora attivo (la Guerra finisce il 4 novembre). Diversa fu la situazione in Germania, dove i campi di internamento non furono abbandonati dalle guardie tedesche, permettendo così al governo italiano di organizzare il rientro in treno degli ex prigionieri, anche se con colpevole ritardo, perché i primi rientri iniziarono solo verso la metà di dicembre. (n.d.r.: appena arrivati a  casa i sorveglianti negarono di essere sudditi dell'imperatore e rivendicarono i diritti nazionali in questo spalleggiati dalla nostra politica estera. Si capisce così perché noi la guerra la perdemmo e non il contrario come si racconta ancora sui libri di scuola)

Abbiamo notizia da un ritrovamento negli archivi di stato di una comunicazione di servizio relativa al campo di Sigmundsherberg del 25 aprile 1918 che trascriviamo qui sotto per quanto comprensibile

 

I GRANDI INVALIDI o Grands Blessés

In seguito a comunicazione telefonica del sig. Capitano von Kaschiniz del Min. della guerra (Rif. 10 prig. Guerra), il treno di tubercolosi non parte il 27 (1)corrente perché il governo italiano rifiuta l’accettazione dei propri ammalati (2). Sono in corso trattative per un treno di malati fermo a Dornbirn (confine Austro-Svizzero sul Lago di Costanza) che il governo italiano non vuole prendere in  consegna. La croce Rossa italiana ha comunicato al Col. svizzero Deponis che è triste il vedere quanto poco faccia il governo italiano pei propri ammalati. Quanto sopra è da comunicare a ogni parte interessata. m.p Colonnello Buresch.
L’originale è stato affidato al Capitano Monteverde sul treno

Le note aggiunte dal verbalizzante italiano poco leggibili  perché "sporcate" da un timbro sovrapposto fanno comunque capire che il treno  raggiungerà l'Italia il 18 maggio. Alla nota due e alla località di Dornbirn (Voralberg) ....  Un treno di scambio non ..... era fermo alla data .... a Dornbirn, vi rimase 16 giorni per chiusura frontiera. Giunse a Como ove scaricò il 5 maggio 1918.  Cap. medico Cav. Giuseppe Maggiore.

Aumento dei decessi a Sigmundsherberg  alla data in cui viene stilato questo verbale:

Anno 1917
Novembre morti  123
Dicembre            142
Anno 1918
Gennaio             363
Febbraio           390
Marzo                355
Aprile               210

 

Sunti e spunti da Giovanna Procacci pag 233 2a ed.  La nostra politica su questi temi (dei prigionieri) sembrava andare a ruota dei nostri alleati, salvo poi scoprire che per un motivo o l'altro da noi non si faceva o si faceva diverso. I nostri stessi alleati ne erano sorpresi e sconcertati, tanto che i francesi si offersero anche di provvedere loro (ce lo avrebbero poi messo in conto).  Inglesi e francesi avevano raggiunto già dal 1915 un accordo per lo scambio dei grandi invalidi. Noi lasciammo passare un anno dalla nostra entrata in guerra poi ci sedemmo a un tavolo e non se ne fece nulla. Solo l'insistenza di C.R. e Vaticano aveva fatto si che alla fine del 1916 avessero inizio gli scambi tramite la Svizzera, come vedremo nell'approfondimento a fianco. I numeri non furono mai grandi nonostante si aggiungessero agli invalidi i tubercolotici. Il deperimento organico che portava la gente a dimezzare il peso non era previsto. Al 31 ottobre 1917 erano stati scambiati fra ufficiali e soldati ca 2900 uomini  sui 16.000 che si conteranno a  fine conflitto.  Gli scambi si concentreranno quindi nell'ultimo anno di guerra, scambiando anche persone che di malato non avevano nulla, se non essere raccomandati. Si evitò anche un'altra clausola applicata dai nostri alleati che prevedeva l'internamento in Svizzera (pagando) dei malati minori. Nell'aprile 1918 fu raggiunto un accordo per lo scambio  di un convoglio di tubercolotici a settimana  e di invalidi ogni 15 giorni.

Dopo Caporetto le pressioni nei confronti dell'Italia divennero assai più numerose e insistenti. Oltre che dai paesi neutrali, e in particolare dal Vaticano - che già dal gennaio I915 si era preoccupato di facilitare le trattative esse giunsero soprattutto dagli stessi paesi interessati. La Germania - dove, dopo Caporetto, erano stati concentrati circa 150000 prigionieri, secondo quanto comunicava Sonnino a Orlando -, in occasione della conferenza internazionale che stava svolgendosi a Berna tra tutti i governi belligeranti, cercò di raggiungere un accordo; ma, a causa dell'esiguo numero di prigionieri tedeschi in Italia - 250 -, esso fu rifiutato. Poiché tuttavia la delegazione tedesca aveva nel frattempo firmato convenzioni in tal senso con le altre potenze dell'Intesa, il governo italiano cercò di rinviare la questione, accettando, dietro alcune garanzie - età superiore ai 45 anni, o ai 40 se con tre figli -, uno scambio parziale dei prigionieri validi (I20 soldati e 4 ufficiali). Le trattative proseguirono nei mesi successivi, ma senza esito, bloccando anche lo scambio dei feriti e malati gravi: il governo italiano rifiutava infatti di inserire nell' accordo una clausola, in base alla quale si sarebbe impegnato a non confiscare i beni tedeschi in Italia....
N.d.r.: La Germania dal canto suo, con o senza accordo ci fece avere un treno di grandi invalidi. Nei campi che contenevano varie nazionalità vedendo partire gli altri il malcontento verso la patria non poteva che aumentare e tutto si sarebbe poi regolato a fine conflitto. 

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