IL CONTRIBUTO MILITARE DEGLI EBREI ALLE GUERRE  RISORGIMENTALI E ALLA GRANDE GUERRA

 

La grandezza dell'Italia: gli schiavi libici Ebrei

     

Il nostro racconto sulla emancipazione degli ebrei era cominciato molti capitoli fa quando nel 1848 Carlo Alberto Re di Sardegna .....

per grazia di Dio aveva emancipato i Valdesi ......

e per essere più precisi dopo lo statuto Legge Sineo n. 735

(19 giugno 1848) - Volendo togliere ogni dubbio sulla capacità civile e politica dei cittadini, che non professano la Religione cattolica, Il Senato, e la Camera dei Deputati hanno adottato, Noi in virtù dell’autorità delegataci abbiamo ordinato ed ordiniamo quanto segue:

Art. unico. La differenza di culto non forma eccezione al godimento dei diritti civili e politici, ed all’ammissibilità alle cariche civili e militari.

 

.... Prendendo in considerazione la fedeltà ed i buoni sentimenti delle popolazioni Valdesi, i Reali Nostri Predecessori hanno gradatamente e con successivi provvedimenti abrogate in parte o moderate le leggi che anticamente restringevano le loro capacità civili. E Noi stessi, seguendone le tracce, abbiamo concedute a que' Nostri sudditi sempre più ampie facilitazioni, accordando frequenti e larghe dispense dalla osservanza delle leggi medesime. Ora poi che, cessati i motivi da cui quelle restrizioni erano state suggerite, può compiersi il sistema a loro favore progressivamente già adottato, Ci siamo di buon grado risoluti a farli partecipi di tutti i vantaggi conciliabili con le massime generali della nostra legislazione. Epperciò per le seguenti, di Nostra certa scienza, Regia autorità, avuto il parere del Nostro Consiglio, abbiamo ordinato ed ordiniamo quanto segue:
I Valdesi sono ammessi a godere di tutti i diritti civili e politici de' Nostri sudditi; a frequentare le scuole dentro e fuori delle Università, ed a conseguire i gradi accademici. Nulla è però innovato quanto all'esercizio del loro culto ed alle scuole da essi dirette.
Date in Torino, addì diciassette del mese di febbraio, l'anno del Signore mille ottocento quarantotto e del Regno Nostro il Decimottavo.

 

Venne poi lo Statuto Albertino promulgato il 4 marzo 1848

l'articolo 1 recitava che "la Religione Cattolica, Apostolica e Romana è la sola Religione dello Stato", precisando però che "gli altri culti ora esistenti sono tollerati conformemente alle leggi". Al successivo art. 24 si stabiliva: "Tutti i regnicoli, qualunque sia il loro titolo o grado, sono eguali dinanzi alla legge. Tutti godono egualmente i diritti civili e politici, e sono ammissibili alle cariche civili, e militari, salve le eccezioni determinate dalle leggi".

     

Con questo si mettevano sullo stesso piano Valdesi, Ebrei ed altre confessioni religiose come potevano essere gli ortodossi o i protestanti. La risposta immediata fu una larga partecipazione dei cittadini ebrei in età di servizio militare alla causa nazionale risorgimentale.  Prima a

  Dall'unità d'Italia in poi molti ebrei entrarono nei ranghi dell'Esercito (oltre la loro percentuale sul totale della popolazione) e negli impieghi pubblici di cui il servizio militare era comunque una branca. Nel 1869 l’esercito italiano aveva già 87 ufficiali e più di 300 soldati israeliti", ossia lo 0,6% degli ufficiali e lo 0,2% dei soldati, rompendo ogni proporzione, se si considera una media nazionale di 0,1% ebrei sull’intera popolazione. L'estrazione borghese e l'istruzione li privilegiavano rispetto ai ranghi minori per il ruolo di ufficiali. Solo nel 1860 entrarono nelle Scuole Militari 28 ebrei, fra i quali Giuseppe Ottolenghi, che raggiungerà i massimi gradi ed immediatamente prima di morire l’incarico di Ministro della Guerra tra il 1902 ed il 1903. L’Annuario del 1895 dell’Esercito Italiano conteneva circa 700 ufficiali ebrei.

La Prima Guerra mondiale conterà 21 generali ebrei.

 insorgere in quel marzo del 1848 è Milano (18-22); sulle barricate combatte  un  ragazzo di 15 anni: il mantovano Ciro Finzi, ebreo, che con ardimento si mette a capo dei rivoltosi, mentre Giuseppe Finzi di Rivarolo ha un comando militare (in seguito organizzerà i bersaglieri volontari mantovani), e giornalisti ebrei, tra cui il triestino Giuseppe Revere, scrivono articoli infiammati per esortare i giovani alla lotta. A Torino i giovani, ebrei partono per il fronte, esortati dal rabbino stesso; e insieme ad ebrei provenienti da altre città, formano la VII Compagnia bersaglieri ebrei, che prende parte alla battaglia della Bicocca nella prima guerra d’Indipendenza

(A partire dal 1848 si arruolarono nell'esercito sardo come volontari 235 ebrei, saliti a 260 nella campagna del 1859).

' Estrapolo da "Il contributo militare degli Ebrei italiani alla Grande Guerra Conferenza tenuta al Circolo Ufficiali di Bologna dal Dott. Pierluigi Briganti il 9 dicembre 2010.  Monte Grappa 15 giugno 1918

.....Le armate austriache, sebbene validamente contrastate dalle nostre artiglierie comandate dal Brigadiere Roberto Segre, avanzano su tutto il fronte e sul Monte Grappa conseguono insperati successi. A fine mattinata del 15 le colonne austriache occupano il Col del Miglio, il Col Moschin, il Col Fenilon ed il Col Fagheron, capisaldi della linea di resistenza italiana. Nel volgere di meno di 24 ore la vitale linea di resistenza sul versante occidentale del Grappa è persa dalle truppe italiane ma riconquistata dal IX Reparto d'Assalto del maggiore Giovanni Messe. Di questo glorioso reparto di Arditi facevano parte due ebrei: il Tenente Umberto Beer di Ancona decorato 4 volte di medaglia d'Argento e la medaglia d'Oro Dario Vitali, unico dei cinque ebrei insigniti di questa ricompensa a sopravvivere al conflitto. Beer dopo la guerra entrò in servizio attivo. Nominato maggiore nel 1934 per meriti eccezionali, fu nominato addetto militare a Tangeri presso il locale consolato (In questa sede rinvenne copie di dispacci concernenti il soggiorno di Giuseppe Garibaldi che pubblicò sul periodico di Ezio Garibaldi “Camicia Rossa” nel novembre 1938, mese in cui il gran consiglio del fascismo emanò le disposizioni per la rimozione dal pubblico impiego anche degli ufficiali dell’esercito) e, nel 1935, trasferito al 6° Reggimento Bersaglieri nella vostra Bologna. Nominato aiutante di campo onorario del Re, partecipò alla Guerra di Spagna come tenente colonnello nel Servizio Informazioni (con il nome di copertura Ugo Bencini) ricevendo altre decorazioni. Posto in congedo assoluto a seguito delle leggi razziali, emigrò in Brasile dove morirà nel 1980. Allo scoppio della grande Guerra nel 1915, la popolazione ebraica italiana ammontava a circa 35.000 individui su una popolazione totale di approssimativamente 38 milioni di persone. In tutti gli scritti che parlavano di ebrei e Grande Guerra si riportava 261 caduti, un migliaio di decorati e due medaglie d'Oro, concesse a due Caduti: Giulio Blum*, il più vecchio decorato di medaglia d'Oro tra tutti i combattenti con i suoi 62 anni ed il 17enne Roberto Sarfatti, figlio di Margherita Sarfatti, il più giovane. Approssimativamente, come detto, la popolazione ebraica in Italia allo scoppio della guerra ammontava a 35.000 individui, contro circa i 38 milioni della popolazione italiana nel suo complesso. Con grande approssimazione quindi, la proporzione era di un ebreo ogni mille e cento italiani. Tenuto conto allora che gli italiani che parteciparono al conflitto furono durante tutta la sua durata circa 5 milioni duecento mila e che gli ebrei erano perfettamente equiparati a tutti gli altri cittadini italiani, rispettando questa proporzione, dobbiamo dedurne che gli ebrei partecipanti furono più o meno 4.800. A questo numero però bisogna aggiungere gli irredenti** ebrei giuliani che, a somiglianza degli altri irredenti italiani, anziché accettare di combattere sotto l'Austria, disertarono ed accorsero volontari nell'esercito italiano.

     

*Ten. BLUM GIULIO nato a Vienna Comandante 1ª compagnia della brigata "Salerno" M.O.V.M. alla memoria. Già Decorato dell’argento al V.M. nel 1915 sul monte Fortin venne promosso al grado di sottotenente per meriti di guerra. Fu tenente poi  del 32° regg. artiglieria da campagna e quindi decorato dell’oro.
 

"Soldato volontario di guerra a 62 anni, in breve raggiunse per la costante  devozione al dovere, per l’inestinguibile entusiasmo, per la prova di valore offerta e  per il sangue due volte eroicamente versato, il grado di tenente. Fremente per patriottismo, del più alto spirito guerriero, chiese ed ottenne di partecipare  all’assalto con  i fanti di una brigata. Postosi alla testa di un forte gruppo di valorosissimi da lui nobilmente arringati e che lo avevano con entusiasmo acclamato degno di guidarli alla contrastata vittoria, egli  li precedette con  la bandiera in pugno, incitatore magnifico ed eroico. Cadde colpito  a morte, al grido di: Savoia !." Q. 145 sud, pendici settentrionali dell'Hermada, 23 agosto 1917. Data conferimento: 22/11/1917

     

**Fra gli Ebrei irredenti i triestini eccellono non solo nel campo delle lettere e delle scienze, ma si distinguono anche come patrioti. Questo loro atteggiamento si accentuò quando, entrato il Veneto a far parte dell’Italia nel 1866, Trieste rimase isolata, senza un’Università italiana e la comunità ebraica, divisa dalle altre del Regno, si fa protagonista dell’irredentismo. Gli Ebrei triestini, che a cavallo dei due secoli XIX e XX sono oltre cinquemila, pur essendo in gran parte di origine straniera, combattono in prima linea nella lotta irredentistica per le stesse ragioni per cui gli Ebrei italiani hanno preso parte alle lotte risorgimentali e prenderanno parte anche al grande conflitto. Solo per citare i nomi più importanti oltre a quelli già citati: Guido Brunner, Giacomo Venezian, Giulio Ascoli…

  Posso stimare in circa 300 il numero di questi partecipanti. Inoltre bisogna tener conto che accorsero a combattere per l'Italia numerosi ebrei di origine italiana residenti nel Nord Africa (Egitto e Tunisia), nella Turchia e nella Grecia, cittadini quindi considerati come stranieri e che non rientravano nel computo della popolazione ebraica italiana. Posso stimare che anche questi partecipanti fossero circa 300. Quindi: 4.800 più 300 più 300, dà un totale grossomodo di 5.500. Di questi 5.500 partecipanti ne ho censiti ed elencati 3.751, cioè circa il 70% del totale, suddivisi in 2.409 ufficiali (Generali, superiori ed inferiori) e 1.342 sottufficiali e militari di truppa. Quindi, come si vede, il numero degli ufficiali censiti è di molto superiore a quello degli altri militari ebrei. La regione italiana che ha dato il maggior numero di ufficiali ebrei combattenti è stata iì Piemonte con circa 500 ufficiali, seguita dalla Toscana (circa 400), dal Veneto e dall'Emilia Romagna (circa 350 ciascuna) solo dopo queste regioni viene il Lazio che, con Roma, poteva contare la comunità più numerosa con i suoi 8.000 individui.
Nel 1939, dopo l’emanazione delle leggi razziali, verranno posti in congedo assoluto: 24 Ufficiali Generali Ebrei in Ausiliaria o nella Riserva, provenienti dal Servizio Attivo già partecipanti alla Grande Guerra e 146 ufficiali ancora (nel 1939) in SPE nell'Esercito, nella Marina e nell'Aeronautica: di essi una sessantina avevano partecipato al primo conflitto. Quindi circa 85 ufficiali che già all'epoca della Grande Guerra erano in Servizio Attivo Permanente (S.A.P.) Globalmente, dei 3.751 partecipanti reperiti, si può supporre che coloro ancora in vita nel 1938 fossero circa 2,500. Tra questi, ne perirono, perché deportati o a vario altro titolo, ben 237, cioè quasi il 10%. A nulla valsero le benemerenze da loro acquisite nel servire la Patria in guerra.
 

L’espressione "Terre irredente" fu coniata dal romanziere Vittorio Imbriani, da essa derivò il nome del movimento politico sorto per rivendicare la liberazione dei territori ancora sottomessi all’Austria, come Trieste e Trento

Così scriveva il maggior giornale ebraico “Il Vessillo Israelitico” del 31 maggio 1915, all’indomani dell’entrata in guerra dell’Italia: “Tutto l’Italia ha il diritto di pretendere da noi e tutto noi le daremo … unica volontà essendo che la bandiera italiana sventoli sulle terre irredente … (perché è l’ora) di dimostrare che il sentimento di gratitudine è in noi profondamente radicato…”

  Bruno Pisa (S.Ten. nella 425a compagnia mitraglieri del gr. divisionale 28a Div., XIII° C.d’A, IIIa armata

Bruno era nato a Ferrara il 29 Ottobre 1897 e studiava alla facoltà di giurisprudenza di Ferrara. Era uno dei quattro figli di Luigi Pisa (industriale in articoli in ferro). Il 1° Ottobre 1916 Bruno Pisa entrò nella scuola allievi ufficiali di Caserta da cui ne uscì con il grado di aspirante ufficiale il 10 marzo 1917. Come primo servizio fu assegnato al 49° Fanteria fino al 20 maggio. Con la nomina a sottotenente fu destinato alla 425a cp. mitraglieri. Ten. Gino Cavalieri,ufficiale presso il comando della 28a divisione così narra i fatti del 21 e 22 agosto: “… nei giorni precedenti alla morte il povero Bruno appartenne sempre alla 425a comp. e non mutò di comp. finchè non vi era azione effettivamente la sua comp. aveva qui (Ronchi di Monfalcone) un servizio antiaereo ed egli vi era partecipe. Il 16 e il 17 che precedettero la partenza per la linea Bruno era allegro e calmissimo. Le due sere suddette ci radunammo fra amici alla sede della comp. brindando alla vittoria. La sera del 17 egli si portò ad una quota diversa dalla quota ove io mi recai per il combattimento, la mia essendo più dominante, la sua più a valle. Il 18 vi fu azione prevalente di artiglieria e fummo tutti battutissimi da tiri violenti. Anche la sua comp. ebbe perdite. Bruno si era separato da me con un bacio ed un ricordo a Ferrara. Il 19, il 20 e il 21 la comp. fu quasi di riserva; il 21 si portò più avanti e partecipò a(l) combattimento d’arme propria. Vi fu qualche perdita dolorosa fra cui quella del com.te la 419a ten. Pistilli. Bruno era tranquillo e sereno. Il 22 alle II ricevette la posta in linea e ne parve contento. Così mi ha riferito il capitano. Verso le 13 la sua comp. fu comandata a rinforzare le truppe di assalto di una quota contestata. Doveva attraversare in pieno giorno e sotto intensissimo fuoco (una) zona scoperta. Bruno alla testa dei suoi compiè sereno e benone il tragitto. Giunto al luogo di assegnazione la sua sezione fu investita da raffiche violente. Allora egli tranquillissimo volle sporgersi dalla trincea per vedere come andava il proprio tiro e per regolarsi sulla provenienza del tiro nemico. Fu così che cadde colpito a morte. La rivoltella che teneva in mano pure gli fu spezzata da una scheggia di proiettile tanto che una mano era sanguinante, ma già la pallottola di mitragliatrice austriaca lo aveva ucciso”.….Il 13 ottobre 1918 il Ministro della Guerra conferisce a Bruno Pisa l’argento al V:M:, a cura di Stefano Chierici - collaborazione di Enrico Trevisani Comune di Ferrara Ass.Ricerche Storiche “Pico Cavalieri

Of the approximately 2,000 Jews who fought against the German and Fascist forces in the ranks of the partisans from 1943 to 1945, over 100 fell in battle, and five won the highest medals for bravery. Others served in the Allied armies or intelligence services.

http://www.centrostudimilitari.it/Conferenze%20testi/2010-12-06.pdf  contributo militari ebrei nei conflitti  http://www.monarchia.it/news_polito_ebrei.html

   

EBREI SCHIAVI !?

Riporto a fianco una misconosciuta esperienza di lavoratori Libici, Musulmani ed Ebrei nelle fabbriche italiane nell'ambito della Mobilitazione Industriale

 passi da -Per la Patria Italia di Francesca di Pasquale
ESPERIENZE DI LAVORO E DI VITA NELLE LETTERE DEGLI OPERAI COLONIALI DURANTE LA PRIMA GUERRA MONDIALE

Sinagoga Torino

Cinque ebrei che hanno cambiato
il nostro punto di vista sul mondo:
Mosè: La Torà è tutto
Gesù: L’Amore è tutto
Marx: Il Danaro è tutto
Freud: Il Sesso è tutto
Einstein: Tutto è relativo

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  «NOI PRIMA ERAVAMO A TRIPOLI»
A fine maggio del 1917, ossia poco dopo la prima richiesta di «manodopera coloniale» da parte dell’Ansaldo, il governatore diede il via al reclutamento degli arabi da inviare in Italia. Le condizioni offerte per l’ingaggio erano una paga da 3 a 3,50 lire al giorno, di cui una lira da corrispondersi alle famiglie tramite il governo, l’assicurazione contro gli infortuni, alloggi «conformi alle abitudini indigene», l’assistenza medica e «il viaggio gratuito»....I 200 ebrei libici autori della lettera, a differenza dei musulmani, poterono fin da subito contare su una rete di supporto, costituita dalle comunità ebraiche libica e italiana, attraverso l’intermediazione del rabbino di Tripoli Nahum e del presidente del comitato delle comunità israelitiche d’Italia, Angelo Sereni. Il 6 settembre 1917, prima dell’arrivo degli operai in Italia, Nahum aveva già informato Sereni del gruppo di tripolini in procinto di giungere nel nostro paese, chiedendogli di adoperarsi affinché venisse loro garantito, fra l’altro, sia il riposo sabbatico e durante tutte le altre festività religiose ebraiche sia un utilizzo dei lavoratori secondo le competenze di ciascuno.  Partito il primo scaglione, in rapida successione seguirono gli altri. La maggior parte di loro fu destinata alle industrie “ausiliarie”, ma un discreto numero lavorò alle dirette dipendenze dello stato italiano in strutture pubbliche, quali il commissariato combustibili o quello della aeronautica. La percentuale maggiore della manodopera ingaggiata in Libia, ben l’87%, fu inviata nelle fabbriche del triangolo industriale, ma, complessivamente, la loro presenza interessò tutto il paese, dal nord al sud, dalla provincia di Cuneo a quella di Palermo.
«A DORMIRE COME LE BESTII»
(ndr: non era andata come sperato, e come prevedibile per un paritetico trattamento con gli operai italiani o con gli ebrei italiani)
Nella seduta del 25 ottobre 1917, il consiglio di amministrazione della Fiat autorizzò la costruzione di 9 baracche di legno per «accantonare 500 operai libici». Costruzioni simili furono approntate a Sesto San Giovanni a spese del comune, a Sampierdarena da parte dell’Ansaldo, così come in tutti gli altri comuni dove giunsero i libici. Purtroppo non disponiamo di dati sulla dimensione di questi baraccamenti e sul numero di operai che furono destinati in ognuno di essi. Sappiamo che gli alloggi erano mal riparati dal freddo e, almeno in un primo momento, forniti di sola paglia quale giaciglio. Soltanto dopo l’intervento del rabbino di Torino la situazione migliorò e gli operai furono forniti di brande di legno. Nel complesso le condizioni di vita furono causa di malcontento per la militarizzazione imposta agli operai non soltanto durante le ore di lavoro, ma in ogni momento della loro giornata. Il lavoro in fabbrica, evidentemente, costituì una assoluta novità per gli arabi ingaggiati, che erano prevalentemente contadini. Per questo motivo i libici furono impiegati essenzialmente per lavori di manovalanza, quali il trasporto e la fucinatura dei proiettili. La scarsa attitudine al lavoro in fabbrica fu uno dei motivi che, dopo qualche mese dall’inizio dell’«esperimento», indusse alcune fabbriche a rifiutare la manodopera libica, soprattutto per quei lavori che necessitavano di operai specializzati. Rifiutò l’impiego dei libici, ad esempio, la Società alti forni, fonderie e acciaierie di Terni per la costruzione di una condotta di derivazione dell’acqua sostenendo che gli arabi non potessero essere adatti allo scopo «sia per il genere di lavoro da portare a compimento, che richiede personale di mestiere, sia per la poca resistenza fisica di quella gente ed infine per l’assoluta impossibilità di risolvere la questione dell’approvvigionamenti [sic] ed alloggi per loro». Le limitazioni del loro impiego indussero gli stessi funzionari della mobilitazione industriale a rilevare il fallimento  dell’«esperimento» per sopperire alla carenza di manodopera. Una certa ritrosia ad assumere libici era legata, forse, anche alle loro condizioni sanitarie (di partenza). Emblematica, per l’intensità e le reazioni delle autorità italiane, fu la grande rivolta del settimo scaglione di operai ebrei, ossia gli autori delle nostre lettere. Cominciata a novembre del 1917, la sollevazione ebbe origine, inizialmente, per il rifiuto opposto dagli operai di lavorare durante le festività religiose, secondo quanto pattuito (Venerdi per gli arabi, Sabato per gli ebrei).  ndr. le cose poi degenerarono tanto rapidamente da arrivare alle frustate
Mentre gli scaglioni in Italia davano vita alle proteste, il governatore di Tripoli cercava di ottenere lo sperato contributo alla «pacificazione» invitando gli operai e le loro famiglie allo scambio di lettere. Questa corrispondenza avrebbe dovuto agevolare i nuovi reclutamenti,
far conoscere agli “indigeni” in Libia le grandezze dell’Italia