LE OPERAZIONI COSTIERE DELLA MARINA

Pur disponendo di una buona flotta e di sommergibili d'attacco, la Marina Austriaca si astenne dall'ingaggiare una grande battaglia navale nell'Adriatico, consapevole che in caso di sconfitta il controllo della costa Dalmata e, di converso, le retrovie del fronte, sarebbe stato compromesso (il vecchio sogno dello sbarco garibaldino in terre considerate filoitaliane). Il nostro blocco navale, attuato con le Marine Alleate nel canale di Otranto, di fatto impediva loro di ricevere aiuti e forniture strategiche. I sottomarini Austriaci, come le unità navali minori in grado di passare o sfuggire ai controlli, si dedicavano quindi ad una guerra di colpi di mano contro le nostre basi in Adriatico (Venezia, Ancona), contro naviglio minore o contro obiettivi della costa, per poi tornare a nascondersi nel dedalo di isole della Dalmazia o fuori di questo in mediterraneo contro tutti gli obiettivi sensibili. Lungo la costa dalmata le basi fortificate della flotta Austriaca erano numerose e ben difese da sbarramenti navali (reti e cavi d'acciaio su più linee). Così era per Trieste, Pola, Buccari, Lussino etc... Lungo la nostra costa adriatica  la Regia Marina aveva quindi attrezzato treni armati che facevano la spola da Ravenna a Brindisi. Con cannoni smontati da naviglio minore, il Comando aveva inoltre creato pontoni armati (o monitori) e chiatte, che operavano nella laguna di Venezia, Caorle e Grado e lungo le foci dei fiumi. Già all’indomani della dichiarazione di guerra la Divisione Pisa, poi IVa Divisione Navale, (composta da Pisa, Amalfi, San Giorgio e San Marco) era arrivata a Venezia. Il 20 luglio con l’equipaggio superstite dell’incrociatore Amalfi venne creata la prima batteria lagunare terrestre da 76/17 operante con la Brigata Perugia (129 e 130° fanteria), sul fianco a mare della III armata. In autunno erano in azione ben 97 pezzi di artiglieria di vario calibro che costituirono un vero e proprio reggimento (raggruppamento) nel VII C.d.A. Con Caporetto tutta l’attrezzatura e la logistica della navigazione costiera e fluviale nonché terrestre dei reparti di artiglieria dovette essere spostata indietro tenendo presente che la linea di ultima resistenza venne indicata solo molto tardi dopo Tagliamento e Livenza. Il 28 ottobre fu sgombrata Monfalcone e il 29 Grado. Il 3 novembre, si dovette abbandonare il Tagliamento poi ripiegare fino alla Laguna dove, fra il Sile (Piave vecchia) e il Piave venne creata una zona umida (allagamento) di contrasto. Tale sbarramento si estendeva per circa 40 chilometri da San Donà a Cortellazzo. Col personale che affluiva, in aggiunta ai 5.000 già mobilitati si avviò anche la creazione dei primi battaglioni di fanteria di marina (Monfalcone) già in azione il 9/11. Altri battaglioni, il Caorle, il Golametto e il Grado si formarono successivamente, e raggiunsero il primo. Pur avendo un impiego separato La Brigata Marina (artiglieria e fanteria) ebbe 8 gruppi con 150 bocche da fuoco e nel reggimento oltre 3.000 uomini.
Thaon di Revel al Presidente del Consiglio: “…Abbandonare Venezia significherebbe rinunziare alla padronanza dell’Adriatico, esponendo le retrovie dell’Esercito a qualunque insidia che il nemico volesse arrecare anche al Sud del Po. L’opporsi di attacchi dal mare mediante le ben munita e valida linea difensiva che tuttora intatta e pienamente efficiente dal Cavallino raggiunge Chioggia, potrà forse indurre il nemico a non rispettare Venezia artistica e storica, ma in tal caso occorre posare il dilemma se convenga sacrificare alla difesa della Nazione la città di Venezia o questa alla difesa Nazionale”

In questa ottica anche le spalle di Venezia sul Brenta vennero fortificate. E come previsto l’attacco su Venezia si dipanò fra novembre e dicembre del 1917. Ad alleggerire la situazione Rizzo e i suoi mas che a partire dal 9 dicembre attaccò i porti giuliani e istriani (Wien 9/12 alla rada in Trieste). Allo sfondamento, con l’ultima carta giocata dagli imperiali il 17 giungo 1918, si contrappose l’azione del Reggimento Marina e dei Bersaglieri del 17° Reggimento fra i due fiumi. La battaglia del Piave nota anche come del solstizio, si concluse ufficialmente il 26 luglio Tutta la riva destra del fiume dal Montello al mare era tornata in mano nostra e si provvide subito a rinforzarla. Il 3 novembre, alle 17.00, giunse a Trieste la prima nave italiana, il CT Audace alla testa di un convoglio. Le prime truppe sbarcate in questa città appartenevano alla seconda brigata bersaglieri (7° e 11° Reggimento)” e, tra loro, vi era la compagnia di mitraglieri della Marina FIAT. La guerra era finita. Al Reggimento Marina la medaglia d’argento al valor militare con la seguente motivazione: “Arrestò a Cortellazzo l’avanzata nemica, e si affermò su una testa di ponte che tenne saldamente per otto mesi, ampliandola con ardite azioni dirette a logorare la resistenza dell’avversario; concorse con fulgido valore e generosi sacrifici di sangue alle ulteriori operazioni per la liberazione della Patria”. (delta del Piave, dicembre 1917-luglio 1918)

il monitore CappelliniI MONITOR(I)

La storia dei monitori risale alla guerra civile americana dove queste imbarcazioni si scambiano coi primi sommergibili che navigavano a pelo d'acqua o poco sotto lasciando fuori la sola torretta dalla quale far uscire i fumi e ventilare l'interno. Ma l'impiego era tutt'altro, poichè questi servivano da posamine sotto le chiglie nemiche (o silurante). Diverso il monitore che galleggiava sul pelo dell'acqua ed era armato di potenti cannoni. Il primo era stato proprio chiamato Monitor da cui il nome alla classe. Aveva un basso pescaggio e poteva spingersi anche sottocosta o lungo baie e fiumi. Non ci fu più occasione di un simile impiego fino alla prima guerra mondiale quando in campo inglese si presentò l'esigenza di controbattere le artiglierie costiere tedesche sulle coste delle fiandre belghe. Il monitore si muoveva con un piccolo motore per il posizionamento e stazionamento e non reggeva il mare mosso. Veniva trascinato sulle lunghe distanze (e in alto mare), ma sempre con condizioni meteo ottimali. La classe dei monitor Clive (Sir Thomas Picton) era stata costruita per questo anche se il suo impiego col gemello Earl of Peterborough avvenne da tutt’altra parte, nei Dardanelli per battere i forti turchi. Nel 1916 vennero schierati nell’alto adriatico per battere dalle lagune gli austriaci e per colpire l’Hermada che non dista molto dal mare (avevano una gittata di 25 km!!). L'Inghilterra costruì sei monitori armati ciascuno con due cannoni da 305 in torre e altri minori. Avevano il dislocamento di 6600 tonn. ed una velocità di circa 7 mph. Pescavano circa tre metri e mezzo e servivano per la difesa di Calais dal blocco nemico e per la difesa delle bocche del Tamigi. Le loro principali azioni nelle fiandre furono i bombardamenti di Zeebrugge, Middelckerche, Wuestende e Ostenda, allo scopo di disturbare e distruggere le basi nemiche dei sommergibili. Per l’osservazione e direzione del tiro venivano impiegati aerei. Anche gli italiani svilupparono monitori o convertirono i classici pontoni da lavoro (Gru) in batterie costiere e fluviali. Era uno di questi il Cappellini (ex GA53): riportato nei cantieri di Livorno, il pontone fu sottoposto ad un sostanziale rifacimento col quale fu dotato di un apparato motore da 265 CV sistemato a prua e di due cannoni Vickers Armstrong da 381/40 mm. Aveva un gemello chiamato Faà di Bruno. Una volta operativo, nel 1916, il Cappellini fu inizialmente destinato alla difesa della base di Brindisi. Nel 1917 si spostarono al Nord nella laguna di Grado per poter supportare l’avanzata dell’esercito italiano sull’altopiano carsico con il tiro dei loro cannoni da 381. Nelle loro uscite in mare aperto i monitori erano sempre scortati da torpediniere o Mas. Con il crollo di Caporetto i mezzi vennero spostati nel Veneziano. Il Cappellini, viste ora le difficoltà della difesa del Porto di Ancona, venne rimorchiato verso questo ma una tempesta lo fece colare a picco. Altri monitori di stazze inferiori e con cannoni (massimo 305mm) operavano di supporto ai reparti della III armata dai fiumi e alla Brigata Marina. Il « Faà di Bruno» era ancora in uso durante la seconda guerra mondiale, dove fu usato come batteria galleggiante per la difesa del porto di Genova. A gunboat (una cannoniera) is a naval watercraft designed for the express purpose of carrying one or more guns to bombard coastal targets, as opposed to those military craft designed for naval warfare, or for ferrying troops or supplies. A monitor was a class of relatively small warship which was neither fast nor strongly armoured but carried disproportionately large guns.
 

Szent IstvanEn 1849 déjà, c'était sur des trabaccoli armés que les Vénitiens embusqués dans les lagunes défendaient leur ville. Aujourd'hui la méthode est la même, mais les moyens ont changé. Ce ne sont plus de pauvres barques armées de canons rudimentaires, mais des pontons d'acier portant des 305 ou des 190 qui sont de petits navires. Le Carso, le Vodice que j'ai rencontrés aujourd'hui, peints en vert jaunâtre, soigneusement dissimulés aux avions par des roseaux et des branches de saule, sont capables de se mettre en mouvement eux-mêmes, grâce à des machines d'une force de 300 chevaux. Nos alliés les appellent: pontoni armati semoventi.

Per saperne di più http://www.webalice.it/cherini/elenco tavole navi 29.htm   http://www.marina.difesa.it/storia/almanacco/navi010.asp  cannoniere fluviali e pontoni http://www.rileggiamolagrandeguerra.fvg.it/?p=80  il contributo delle truppe anfibie  http://en.wikipedia.org/wiki/The_Adriatic_Campaign_of_World_War_I  operazioni navali in Adriatico

All'indomani di Caporetto quindi le grandi corazzate Austriache avevano fatto capolino dal porto di Muggia (Trieste) ed erano venute coi loro 420 mm a cannoneggiare le posizioni italiane sul Piave. L'intervento dei MAS non era riuscito a recare loro danni ma era bastato per farle ritornare nella tana del Lupo. Ma cos'era questa nuova arma che tanto inquietava gli Austriaci? Dai cantieri Svan di Venezia (che costruivano vaporetti in tempo di pace)  era uscito, su progetto di Attilio Bisio, un motoscafo veloce armato con due siluri a cui venne prima dato il nome di "Motoscafo Anti Siluranti (Svan) poi di anti Sommergibili. Comunque lo chiamassero era un'arma insidiosa, poco visibile sul mare (16 m) e mortale se andava a segno. Luigi Rizzo, siciliano passato dalla marina mercantile a quella militare, il fallimento di Cortellazzo se lo era legato al dito. Quella notte (9 dicembre 1917) Rizzo, imbarcato su un MAS, aveva con sè una cesoia idraulica. Ogni tanto alzava gli occhi verso il posto di guardia all'estremità della diga di Muggia, per vedere se qualcuno si accorgeva di loro. Lavorarono anche di lima, ma alle due i MAS 9 e 13 scivolarono nell'apertura. I motori elettrici supplementari li rendevano invisibili al buio. Scorta la corazzata Wien, Rizzo aveva lanciato i siluri e acceso i potenti motori a scoppio Isotta Fraschini da 450 CV. In un attimo fu di nuovo fuori degli sbarramenti

(Med.Oro alla flottiglia).  Wien - 10th December 1917, northern Adriatic Sea, off Muggia in the Bay of Trieste torpedoed by Italian motor boat 'Mas.9'. Based with the 'Budapest' at Trieste and used in support of the Austrian army fighting on the Italian front, the two old ships were preparing to carry out a shore bombardment. Two of the 16 ton, 2-45cm torpedo-armed motor boats, 'Mas.9' and 'Mas.13' were towed from Venice by torpedo boats 9PN and 11PN to within 10 miles of Trieste. Cutting through the heavy hawsers that protected the anchorage the two craft broke through and launched their torpedoes. 'Mas.9' hit the 'Wien' which went down rapidly, but 'Mas.13' missed 'Budapest'. They both returned safely to Venice. Most of 'Wien’s' crew was saved

m.a.s. 21In febbraio sui tre MAS n° 94-95-96 di Rizzo, De Sanctis, Ferrarini, Arturo e Costanzo Ciano s'era aggiunto un altro passeggero: il maggiore di cavalleria Gabriele D'Annunzio. La missione era forzare la baia di Buccari, poco sotto Fiume. Le ostruzioni e i siluri malfunzionanti avevano risparmiato i navigli in rada. Per ricordare il loro passaggio avevano però lasciato bottiglie con nastri tricolori e messaggi come i naufraghi. barchino per attacchi notturni Grillo, superava le catene"....in onta alla cautissima flotta austriaca occupata a covare senza fine, dentro i forti sicuri, la gloriuzza di Lissa, sono venuti col ferro e col fuoco a scuotere la prudenza nel suo più comodo rifugio i marinai d'Italia, che si ridono d'ogni sorta di reti e di sbarre, pronti sempre ad osare l'inosabile......" per dimostrare la capacità e la volontà di violare la difesa austriaca.

D'Annunzio, cronista d'occasione e poeta di mestiere, aveva anche ribattezzato i MAS: Memento Audere Semper (Ricordati di osare sempre). I comandi della Flotta Imperiale credettero di trovarsi di fronte ad invenzioni diaboliche alla Jules Verne. I barchini saltatori (grillo, pulce, cavalletta) erano invece il frutto della genialità italiana. Il timoniere con una mano teneva la ruota e con l'altra scriveva sulla fredda paratia i versi del Vate. Dalla Stampa del 12 Giugno 1918: "Audace e fortunata azione di nostre siluranti nelle acque dalmate" la cronaca è stringata perchè i particolari verranno diffusi successivamente. Il 9 giugno alle 22,15 la Szent Istvan (Santo Stefano 22.000 tonn) e la Tegethoff con scorta lasciavano Pola dirette a Sud per forzare il blocco. All'altezza dell'Isola di Premuda, Rizzo e Aonzo, MAS 15 e 21, per una serie di coincidenze fortunate, incrociano il convoglio. Le corazzate viaggiano al centro e per colpirle bisogna oltrepassare i cacciatorpedinieri, che viaggiano in formazione stretta. Scoperto dal Caccia Velebit, che mette i motori al massimo, Rizzo lancia il suo carico di morte e colpisce la Santo Stefano.  Colpita al centro, la corazzata ebbe una lunga agonia. Fattosi giorno un operatore a bordo della Tegethoff filmò l'affondamento, lasciando un testimonianza che è pervenuta fino a noi. Erano passati dieci minuti dall'inizio dell'azione. La prua del Velebit, sulla scia del MAS era in rotta di collisione con lo scafo italiano. Rizzo prende una delle bombe galleggianti antisommergibile e ne regola il ritardo dell'esplosione abbandonandola sulla sua scia. Un'altra fiammata scuote l'alba. Sono le 5 è ora di rientrare. Rizzo chiude il conflitto con due medaglie d'oro, quattro d'argento e tre promozioni. Muore a Roma il 27 giugno 1952.

Gli attacchi degli italiani dovevano essere prevenuti e per far questo un commando si sarebbe diretto sul loro porto sommergibili e base dei mas, Ancona. 5-6 APRILE 1918 LA FALLITA RITORSIONE AUSTRIACA PER LA BEFFA DI BUCCARI
dal sito GDF autore sconosciuto passi e riassunti
Il pomeriggio del 4 aprile 1916 gli incursori austriaci, cinquantanove marinai, quattro cadetti e un tenente di vascello, s’imbarcarono a Pola su una lancia a motore, armati di pistola e pugnale, otto moschetti e trentadue chili di dinamite. La navigazione procedette senza troppi intoppi fino a quindici miglia a nord-est da Ancona, ove alle ventuno la torpediniera mollò il rimorchio sul quale frattanto erano stati imbarcati nuovamente gli incursori. Molti marinai si erano bendati la testa o fasciato gli arti per simulare una barca di naufraghi, nel caso fossero stati intercettati dalla vigilanza a mare o sulla spiaggia. In questo caso avrebbero chiesto soccorso alle pattuglie italiane accorse e poi, di sorpresa, avrebbero soppresso con i pugnali i militari italiani di guardia. Gli austriaci approdarono verso le due del 5 aprile sul litorale di Marzocca, senza rendersi conto che per le correnti si trovavano a 17 km da Ancona, anziché due come pianificato. Il comandante probabilmente era stato ingannato dalle luci della stazione ferroviaria di Falconara che scambiò per quella di Ancona. Saltati nell'acqua, gli austriaci raggiunsero la spiaggia e disponendosi sulla strada litoranea in colonna per quattro e all'ordine del comandante si avviarono compatti verso quella che credevano Ancona.
Se alle due di notte dovevano essere ad Ancona alle cinque, erano ancora a Falconara. Vista una casa isolata, col rischio che ne conseguiva, la occuparono minacciando la proprietaria (e tre minori) e disponendosi ad aspettare la notte successiva. Le pattuglie costiere della Guardia di Finanza avevano ormai scoperto la barca a motore e dall’ampiezza potevano stimare quanti fossero gli incursori che era evidente dal materiale ancora a bordo e dallo stemma della Marina Militare austro-ungarica. Nelle vicinanze vi erano orme di passi sulla sabbia che si perdevano verso l'interno. Veniva dato l'allarme e mentre sul posto accorrevano i responsabili della difesa costiera, venivano disposte febbrili ricerche degli sbarcati, che si riteneva fossero una ventina di uomini, nel corso delle quali furono perquisiti casolari e fattorie di Marzocca e dintorni nella ipotesi che gli incursori mirassero agli hangar aeronautici di Iesi o cercassero di internarsi nella Penisola per giungere fino agli opifici di Terni per sabotarli.
Le ricerche andarono però a vuoto. Il tenente Weith spedì un cadetto che parlava italiano a informarsi sulla dislocazione dei Mas, ma questi erano o in mare o in altra parte del porto e l’attacco ai sommergibili con questi mezzi sarebbe stato impossibile. Il comandante decise pertanto di rinunciare all'attacco ai sommergibili e agli impianti portuali e di limitarsi alla cattura dei MAS con i quali rientrare rapidamente a Pola, lanciando eventualmente i siluri nell'interno del porto, prima di uscire in mare aperto. Verso le 20 fu deciso di lasciare la casa di Barcaglione. Il distaccamento rimase appostato nella zona fino oltre le ventitré del 5 aprile, quando il comandante li condusse sulla strada litoranea e li fece marciare compatti verso la città che distava meno di due chilometri. Primo problema come entrare in città attraverso le maglie daziarie. Occorreva passare per uno stretto cancello e quindi fu necessario dare l'alt. Il cadetto Mondolfo dichiarò alle guardie che il distaccamento era in possesso solo di effetti personali non soggetti a dazio ed ebbe il via libera. Riferì poi di aver udito una delle guardie esclamare: "Ecco gli inglesi". Pavani e Casari due italiani del gruppo avevano però deciso di levarsi dal rischio e di consegnarsi agli italiani. Con alcuni stratagemmi si allontanarono esplodendo anche colpi in aria. L’allarme ora non poteva che essere generale. Gli austriaci giunsero al Mandraccio e decisamente piegarono verso i binari che corrono lungo il porto. Erano qui di servizio due finanzieri,
foto di gruppo dopo la catturaCarlo Grassi e Giuseppe Magnucco, con compiti di vigilanza fiscale (allo zuccherificio) e non di vigilanza militare. Al "Chi va là", fu risposto in italiano che erano marinai e si recavano a bordo dei motoscafi. Soltanto un motoscafo era rimasto all'attracco perché temporaneamente inefficiente. Grassi e il Magnucco seguirono i marinai dall'alto, lungo il marciapiede. Mentre la testa del distaccamento, giunta all'estremità della passerella e transitando per una chiatta entrava nel MAS, un marinaio, salendo per un piano inclinato che portava verso l'alto, si avvicinò alle due guardie parlando in italiano, ma a un tratto estratto il pugnale vibrò un colpo al Grassi che cadde a terra. L’altro finanziere dopo un primo scontro a fuoco ritornò sui suoi passi per tagliare la strada della ritirata che ormai era impellente visto che il Mas era fuori operatività. Anche Grassi si era messo in salvo e dalla portineria chiamarono rinforzi. Una pattuglia della territoriale comandata dal brigadiere dei Carabinieri Anarseo Guadagnini, accorse a dar man forte al varco. Con l’arrivo di altro personale agli austriaci non restò che arrendersi. Era accorso subito sul posto anche il comandante Rizzo, il leggendario violatore dei porti nemici e affondatore di grandi unità austro-ungariche, la cui cattura o uccisione era uno degli obiettivi della missione. L'allarme era stato anche dato in precedenza dal marinaio Casari che, staccatosi dal distaccamento e sparati due colpi in aria con la sua rivoltella, aveva raggiunto una caserma dei Carabinieri e svegliato il sottufficiale di servizio gli aveva svelato i piani degli austriaci, consentendogli così di avvisare le autorità militari e allertare la stazione dell'Arma più prossima alla Mole Vanvitelliana. Il Pavani, intanto, si era portato alla stazione ferroviaria e aveva rivelato i piani austriaci al commissariato di Polizia, ove era stato radunato un drappello di militi che a sua volta si era diretto verso il luogo dell'incursione nemica. In quei giorni Vittorio Emanuele III, il Re d'Italia, si trovava ad Ancona e naturalmente fu subito informato degli accadimenti ed espresse il suo compiacimento per la sventata incursione nemica concedendo "motu proprio" la medaglia d'argento al Valor Militare ai finanzieri Magnucco e Grassi e al brigadiere dei Carabinieri Guadagnini.

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