18 Febbraio 2002
Il Governo contro l'Articolo 18 dello
Statuto dei Lavoratori

 

Il 18 Febbraio 2002 abbiamo potuto assistere ad un interessante exploit di "Porta a Porta" sul Disegno di legge collegato alla Finanziaria 2002, contenente la «Delega al Governo in materia di mercato del Lavoro», varato il 15 novembre 2001 dal Consiglio dei Ministri.

Il confronto essenziale è stato tra Gianfranco Fini di AN e Gavino Angius dei DS.

Lo scontatissimo preludio di Fini sulle bellezze dei primi otto mesi del Governo Berlusconi non è stato interrotto neanche per sbaglio da Bruno Vespa con qualche serio riferimento alle contestate leggi sulle Rogatorie Internazionali e sul "Falso in Bilancio". La questione del Conflitto d'Interessi è stata trattata in modo ancor più superficiale, omettendo l'essenza del problema e cioè che il maggiore azionista di Mediaset ricopre una carica pubblica che non può ricoprire, grazie ad un ridicolo cavillo legale, per cui ciò che neanche negli Stati Uniti si può fare qui diventa possibile.

Cosicché, nel momento in cui s'approda alla questione scabrosa dell'Articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, G. Fini è stato già gratificato di un 2 a 0 dalla bontà di cuore di Angius e dalla ossequiosa lingua di B. Vespa (recentemente, in un'altra sessione di "Porta a Porta", Castagnetti, della Margherita, ha dimostrato la stessa generosità di Angius).

Ma il vero strike Fini l'ha fatto quando Angius ha sostenuto che con queste Deleghe la Destra vuole eliminare l'Articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori.
Di fatto, le Deleghe di per sé non eliminano l'Articolo 18, ma stabiliscono delle deroghe all'Articolo 18 per un periodo sperimentale di 4 anni, "con possibilità di proroga in relazione agli effetti registrati sul piano occupazionale" (cfr. Delega, art. 10,b).
I proponenti giustificano queste deroghe con lo scopo di estendere il livello dell'Occupazione nella piccola Impresa e nelle attività sommerse, come dire: "Se diamo la facoltà di licenziare arbitrariamente, la piccola Impresa e chi lavora in nero si sentiranno liberi di crescere oltre i 15 (o 5) dipendenti oppure di venire allo scoperto e far crescere così l'Economia".
L'affermazione tout-court di G. Angius è sembrata un "processo alle intenzioni" più che un'accusa motivata ed è lì che molti si saranno chiesti come mai per questo tema non è stato chiamato a discutere un sindacalista. Un sindacalista, infatti, non sarebbe caduto in questa trappola dialettica.

Entriamo nel merito della questione per cercare di dipanare l'aggrovigliata matassa!

PREMESSA: l'Art. 18 tutela contro un licenziamento individuale che avvenga senza una "giusta causa", individuata come azione direttamente o indirettamente lesiva dell'interesse produttivo dell'Azienda (furto, infedeltà ecc...).

Prima deroga (Art. 9) - riguarda il rapporto di Lavoro in sé e ne sposta la certificazione in non meglio identificati "Enti certificatori". Questo non elimina l'Art. 18, ma è l'autostrada per il rapporto di Lavoro individuale e per la fine dei contratti e dei rapporti collettivi; quindi, casomai, è un attacco al Sindacato!

Seconda deroga (Art. 10) - si vuole sostituire l'obbligo di "reintegro" (parola familiare per "reintegrazione" e certamente meglio dell'ignorantissimo "reintegra" dei salotti di Brunetta) di un lavoratore licenziato senza "giusta causa" (cioè arbitrariamente) con la possibilità per l'Impresa con più di 15 dipendenti (5 per le Imprese agricole) di liberarsene definitivamente con un risarcimento economico. In altre parole, se in un'Azienda che cresce oltre i 15 dipendenti un Lavoratore è licenziato senza "giusta causa", il Datore di Lavoro non è più obbligato a riprenderlo ma può disfarsene definitivamente pagando un indennizzo.

Perché un Datore di Lavoro potrebbe decidere di licenziare un Lavoratore senza la cosiddetta "giusta causa"?
Motivo a): perché è un discriminatore. Questa circostanza è tutelata dalla Legge.
Motivo b): perché l'Azienda deve ridimensionarsi di 1 o più unità a causa di transitorie condizioni proprie o del Mercato, indipendenti dalla volontà del Datore di Lavoro. Per casi come questo in Italia c'è l'orientamento verso i cosiddetti licenziamenti collettivi per le Aziende e gli Ammortizzatori Sociali per i Lavoratori.

Con ciò resta assolutamente dimostrato che l'Imprenditore che seriamente ha bisogno di flessibilità non è necessariamente privo di alternative procedurali migliori del licenziamento unilaterale, attualmente bloccato dall'Art. 18 dello Statuto; né si capisce perché i Lavoratori delle piccole Imprese dovrebbero essere ancor più discriminati rispetto a quelli delle Imprese medie e grandi da un criterio del tipo concettualmente pari a "usa e getta".

Inoltre, non è assolutamente vero e non s'è mai sentito dire che l'Economia è pilotata dalle Imprese; al contrario, sono le Imprese che seguono il Mercato ed il Mercato cresce quando le condizioni sociali e politiche sono stabili, consentendo uno sviluppo della Domanda con conseguente stimolo dell'Offerta di prodotti e servizi.

Quanto all'incentivo all'emersione dal lavoro nero, questo è come pretendere di superare l'abusivismo con i condoni. S'è mai visto che un condono incentivi il disonesto ad abbandonare l'abusivismo? Così non s'è mai visto che uno sfruttatore di lavoro nero desideri mondarsi! Per questa gente l'unica risposta è la sanzione, non il condono, che premia la disonestà e sfregia la correttezza civile!

Detto questo ed assumendo che i proponenti sappiano queste cose (diversamente dovrebbero solo cambiare mestiere!) perché l'Art. 18 dovrebbe essere oggetto di tali deroghe?!
Perché una sua limitazione dovrebbe essere falsamente proposta come Panacea della disoccupazione e del precariato?! Qual'è il vero obiettivo del marchingegno?! cui prodest?!

La chiave di lettura è nella citata possibilità di proroga in funzione dei risultati del quadriennio sperimentale. Se, su nessuna base tecnica e di principio, si ammette che la deroga possa diventare a tempo indeterminato, allora resta tecnicamente e logicamente dimostrato che tutto ciò è strumentale per l'obiettivo "finale" di consentire l'arbitrio a tutto campo ai Datori di Lavoro. Ne segue che l'affermazione di G. Angius è fondata e che l'errore sta nel porla come affermazione di principio anziché come tesi dimostrabile (la Destra ci campa di rendita sulle "affermazioni di principio" di questa Sinistra).

Dato ciò che precede, perché solo ipotizzare di consegnare l'Art. 18 a non meglio identificati "dati sperimentali"?! Chi fornirebbe tali dati?! Il Sindacato, la Confindustria, il CNEL, il Ministero del Lavoro, una Commissione multilaterale o chi altro?! Quanti di questi Enti sono soggetti alle pressioni confindustriali al punto di non essere garanzia di oggettività?!

Ecco il bel concetto che gli apologeti come Brunetta hanno del come si fa crescere l'Economia: gestendo l'Impresa in modo arbitrario a discapito dei Lavoratori e dello Stato, lo speculatore realizza il plus-valore che gli consente di investire anche se l'Economia di Mercato non tira, magari andando a sfruttare manodopera infantile in Tailandia, dove realizzerà ulteriore plus-valore ecc... Un bel ciclo di merda, non c'è che dire!!! Quelli come Brunetta giustificano le deroghe dicendo: "se non si fa questa riforma, le Imprese useranno tutto il precariato al quale possono ricorrere". Brunetta dovrebbe dire "continueranno ad usare ...", perché già da tempo le Imprese italiane, grazie al collaborazionismo di una Sinistra indecente, oltre ad evadere IVA, IRPEF e contributi, stanno espandendo il precariato; bella classe imprenditoriale, ribadisco, quella che pone un Paese davanti al ricatto: "o mi fai fare quello che mi pare oppure faccio lo stesso come mi pare!!!".

L'Articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, determinando il reintegro nel posto di Lavoro per chi, prestando la sua opera in Aziende con più di 15 dipendenti (5 se si tratta di Impresa agricola), sia stato riconosciuto "licenziato arbitrariamente" dall'Impresa (cioè licenziato senza la "giusta causa" comportamentale e senza che sussistano ragioni di Mercato) è costituzionalmente fin troppo debole poiché il diritto al Lavoro è di tutti e non solo di chi lavora in Imprese con più di 5 o 15 dipendenti; quindi, l'obbligo di reintegro (io aggiungerei anche una salata multa per mobbing o abuso di potere ove non peggio, come accade adesso), dovrebbe essere casomai esteso ad ogni Impresa e non ridotto, come vuole l'attuale Confindustria.

Con un'impostazione come quella della Confindustria e del suo Governo, queste deroghe puntano sostanzialmente ad incrementare il plus-valore di quelle Imprese che si basano sull'arbitrio e sul lavoro nero e che, stando a Berlusconi, Fini e D'Amato, sono la maggior parte del panorama imprenditoriale italiano (bel panorama!!!). Questo è un motivo più che sufficiente per rifiutare qualsiasi dibattito, perfino ipotetico, che metta in discussione lo Statuto dei Lavoratori o una sua singola parte.

NESSUNO DOVREBBE ESSERE LICENZIATO SENZA GIUSTIFICATO MOTIVO !!!

Poiché quelle piccole Imprese che sono caratterizzate da serietà imprenditoriale possono accedere a meccanismi di espansione e contrazione anche in presenza di questo Articolo 18, un Governo che fosse davvero Liberale, anziché tentare assalti Latifondisti allo Statuto dei Lavoratori, seguirebbe la via di migliorare l'accesso di tali Aziende ai licenziamenti collettivi in caso di oggettive difficoltà indipendenti dalla volontà dell'Azienda stessa, dedicando l'accanimento a miglior causa, come la eliminazione della maggior fonte di rapina dello Stato, cioè lo Stato stesso.
Quanto recupereremmo dalle riforme costituzionali ed amministrative che davvero servono (unificazione dei ruoli di Presidente e Primo Ministro con revisione delle funzioni e dei rapporti con il Parlamento; eliminazione di Questure, Prefetture, Regioni, Province ed altri Enti inutili ed anacronistici; licenziamento senza diritto alla pensione degli 800 esuberi Parlamentari e revisione del relativo paragrafo costituzionale; assegnazione degli 800.000 esuberi del settore pubblico ai servizi di utilità sociale, semplificazioni procedurali, riforma radicale del Fisco, il grassatore massimo, efficenza amministrativa ecc...)?!
Ciò, oltre ad essere moralmente doveroso, permetterebbe di alleggerire il carico fiscale e la grassazione sulla parte produttiva del Paese, individui o Imprese che siano, di mantenere una Sicurezza interna ed esterna efficiente (pensiamo in termini di decentramento e razionalizzazione della polizia, ad solo corpo statale selezionato come quello dei CC, che ha una tradizione di serietà e che prima o poi farà parte di una polizia federale europea, ed a forze militari minimali, complementari di future Forze europee), di essere più efficaci nella prevenzione e la lotta all'evasione fiscale, di mantenere uno Stato sociale dignitoso, di non derubare ulteriormente le casse della Previdenza Pubblica, e lascerebbe maggior libertà d'Impresa a tutti, sotto un controllo etico imprescindibile.

A questo tipo d'azione riformista punterebbero per prima cosa degli autentici Riformatori: alla "Riforma Etica dello Stato e delle Imprese".

Ma come si può ragionevolmente aspettare una cosa simile dal Governo della Confindustria?!

Il vero scopo delle richieste di A. D'Amato, rappresentante di quella bella risma d'imprenditori alla quale appartiene, com'è noto, anche il Sig. Silvio Berlusconi, è diminuire il Diritto Costituzionale ed incrementare l'arbitrio della sua Classe di Faccendieri.
Non potendo rischiare uno scontro insostenibile con tutti i lavoratori italiani, questi signori scelgono di limitare al Meridione il loro "Laboratorio di Faccenderia", adottando (per ora con successo) il principio storico del "divide et impera" (dividi la gente per comandarla meglio), cominciando a costruire un panorama colombiano che è lontano anni luce dai programmi riformisti di Massimo D'Antona e Marco Biagi.

L'Art. 11, quello dell'immunità del pubblico impiego è la disposizione più fetida di tutto il Disegno : soddisfare le esigenze della nuova Confindustria salvando il proprio serbatoio di consensi nel settore pubblico.

L'Art. 12 semplifica l'arbitrato, escludendo di fatto la Magistratura dal merito del contenzioso, allargando i margini dell'arbitrio nei confronti del Lavoratore, anziché mantenere i presupposti di un arbitrato equilibrato, controllato da un Ente Super Partes.

Ciò conferma che qui non si sta trattando una Riforma in senso positivo ed espansivo del Mercato del Lavoro, che è già attualmente aiutato da una serie nutrita di istituti di flessibilità e di elasticità (dobbiamo ricordare quante cause per il reintegro finiscono poi di fatto con un licenziamento risarcito già adesso e già da parecchio?), ma piuttosto di una manovra imprenditoriale, che, tra l'altro, non riscuote nemmeno la simpatia del sindacato leghista.

Questo è il vero nodo della faccenda: ammesso e non concesso che il mercato del Lavoro in Italia sia da riformare in senso più libero da lacci e lacciuoli burocratici, ciò non può significare un intervento come questo, che nasce come atto unilaterale di matrice corporativa di una Classe imprenditoriale falsa come quella italiana, di un universo di faccendieri senza scrupoli, ai quali non interesserebbe affatto emergere dal sommerso, ma espandere piuttosto l'arbitrio del sommerso anche nell'emerso e continuare così ad espandere in realtà soltanto i loro copiosi ed illeciti profitti.
Non a caso, per l'appunto, questo disegno di legge segue a ruota la legge sulle Rogatorie Internazionali e sul "Falso in Bilancio"; non a caso si sta tentando di caricare il finanziamento degli ammortizzatori sociali sui TFR dei lavoratori.

Questi provvedimenti sono la risposta del Governo al mandato elettorale espresso in generale dalla Confindustria e puntualmente rinfacciato dalle vuote giaculatorie di Antonio D'Amato.
A parte Berlusconi e Fini, solo uno con la faccia di potrebbe presentare senza arrossire ed anzi con un certo grado di scontento, una manovra come quella sopra descritta, per la quale non esiste alcuna spiegazione logica dignitosa.

Le posizioni di questa Confindustria e del suo Governo esprimono contrarietà al Diritto ed all'onestà imprenditoriale; il loro Disegno e le loro affermazioni attuano più o meno palesemente un protervo attacco al Diritto del Lavoro, nonché al Sindacato in quanto organizzazione dei Lavoratori.
Conoscendo la gravità della situazione del Mercato del Lavoro italiano, era prevedibile che le cose sarebbero andate così; non ci si può aspettare nulla di diverso da questa imprenditoria e dalla sua Maggioranza politica.

Non si può correggere la vergogna di questi ultimi 60 anni con altre vergogne!!!

Di questa gente, che è tutto meno che Liberal, dovremmo riuscire a liberarci noi una volta per tutte!!!

L'elemento scandaloso in tutto ciò non è quindi lo squallore degli interventi della Maggioranza di Governo a "Porta a Porta", ma nello squallore di un'Opposizione così flaccida, più preoccupata dei ruoli interni che dell'interesse della gente.

F. G. Urbon


 

6 Maggio 2003 - Ancora un "Porta a Porta", stavolta sul Referendum del 15 Giugno p.v. sull'estensione dell'Art. 18 alle Aziende sotto i 15 dipendenti.
Angius, Larussa e Follini contrastano Bertinotti sull'opportunità di un simile Referendum.
Angius, confermando certa sua inadeguatezza, sostiene che siccome il Referendum non si occupa del "lavoro precario", allora non si deve fare. L'affermazione è così "inconsistente" che Bertinotti ha seri problemi a trovare una ragione valida per rispondere; vorrebbe mandare Angius a spargere sementi, ma non può perché c'è la Destra che guarda, cosicché si limita ad argomentare che risolvere un'emergenza adesso non vuol dire escludere di risolverne in seguito pure un'altra.
Larussa, ovviamente, continua a sostenere le tesi del Presidente della Confindustria e cioè che l'Art. 18 è nemico dell'occupazione e non dei falsi Imprenditori.
Le statistiche di Mannhaimer, nei loro limiti teorici, mostrano che il popolo tira per l'estensione, perfino a prescindere dall'orientamento politico individuale.
Nelle Aziende del Nord-Est c'è l'idea prevalente che l'estensione dell'Art. 18 sia in conflitto con l'interesse dell'Impresa e del Lavoro perché porrebbe delle limitazioni alla libertà d'azione e reazione.
Nessuno, nemmeno Bertinotti, trova il coraggio di dire che se limitazione c'è trattasi di una limitazione che deve esserci, poiché il contrario sarebbe arbitrio unilaterale e perciò illegittimo!
Evidentemente, nel Nord-Est non hanno ancora capito che il licenziamento arbitrario tanto caro ad A. D'Amato è qualcosa di sostanzialmente diverso da una sana gestione d'Impresa e che quest'ultima non ha bisogno dell'arbitrio unilaterale, ma di competenza, serietà, capacità negoziale e procedure pubbliche efficaci.

Di nuovo, la soluzione del problema occupazionale non sta nella modifica dello Statuto, ma nella ripresa del Mercato, che dipende dalla stabilità sociale e politica internazionale ed interna, nella revisione dello Stato, che in Italia fa schifo e si chiama "Mafie" e "Grassazione" e del Sistema creditizio, che in Italia fa schifo e si chiama "Usura".
Le piccole Aziende reclamano una flessibilità maggiore di quella che c'è per le Imprese medie e grandi?! Cosa vieta di studiare un'applicazione alla piccola e piccolissima Impresa delle flessibilità in uscita già in uso per le Imprese con più di 15 Dipendenti (CIGO, CIGS, Mobilità)?
Infine, dato che pure la salvezza di una piccola Azienda è una "giusta causa", si può smettere di usare questa espressione per le insubordinazioni, i furti, l'infedeltà e le altre fattispecie che attualmente portano ad un licenziamento individuale unilaterale, concretizzando così l'unica riforma accettabile dello Statuto.

 

IL 15 GIUGNO PUÒ DIVENTARE UN'OPPORTUNITÀ DI GIUSTIZIA!!!

 

F. G. Urbon

 


 

16 Giugno 2003 - Il Referendum non solo non ha raggiunto il quorum, ma non ci si è nemmeno avvicinato.
Il 16 Giugno A. D'Amato ha detto, più o meno: "Ha perso chi voleva far passare l'imprenditoria italiana per una banda di malfattori".
Falso!!! su nessuna Rete televisiva o radiofonica è mai stato diffuso un simile messaggio di profonda ed autentica verità, né in modo chiaro né in modo subliminale. Nessuno ha detto apertamente che cosa è per lo più l'imprenditoria italiana: non certo l'isola felice delle aree industriali del vicentino, che è l'eccezione che fa risaltare la regola, ma un'accozzaglia di faccendieri, capaci di rischiare solo con finanziamenti pubblici, di evadere le tasse e i contributi, di esercitare tutte le possibili violazioni dei Contratti Nazionali e dello Statuto, di promuovere il precariato ed il lavoro nero, di attuare tutte le forme possibili di mobbing, di esportare valuta, di deteriorare l'ambiente, di produrre disoccupazione, di corrompere funzionari pubblici addetti al controllo, e tutto ciò non certo perché le regole dello Stato siano vessatorie, ma perché abbiamo a che fare con l'indegna imprenditoria che è sorta sulla corruzione politica di 50 anni (peraltro, lo stile vessatorio dello Stato italiano non ha mai sortito l'effetto di contenere tale degenerazione, ma quello di scoraggiare lo sviluppo di un'imprenditoria sana, fenomeno impercettibile al tempo della grande Impresa pubblica o semipubblica, ma drammaticamente visibile adesso).
Il 17 Giugno, secondo la Repubblica, A. D'Amato insiste: "Il voto è costato 27 milioni di ore di sciopero e la vita a Biagi!".
Mi sia concesso di dubitare dell'interesse di A. D'Amato per la vita di M. Biagi al di fuori dell'utile che poteva eventualmente trarne e di sottolineare che il costo reale del Referendum, ben più serio delle perdite di fatturato delle Imprese, è nei 120 miliardi di denaro pubblico bruciati per nulla.
Il 17 Giugno su la Repubblica si legge: "Alle urne solo il 27,5%".
Il 16 Giugno Bertinotti aveva detto, più o meno: "Abbiamo fallito rispetto all'obiettivo di mostrare l'importanza del Referendum".
Falso!!! a meno di presupporre che la maggioranza degli italiani non sappia pensare da sola!
Che la maggioranza degli italiani sia ignorante è lecito dedurlo dagli indici d'ascolto e dai palinsesti televisivi; che sia stupida è lecito dedurlo dal suo grado di opportunismo ed asocialità, ma che non sia in grado di pensare da sola non può essere vero, dato che la dieta mediterranea è quella che più giova alle cellule cerebrali.
Si può allora ragionevolmente concludere che la maggioranza degli italiani, stupida, opportunista ed asociale, ma capace di pensare con il proprio cervello, ormai tende a vedere l'Italia meno importante del Condominio perché sede di analoghe se non peggiori gazzarre e che per questa maggioranza di italiani, capaci di pensare con il proprio cervello, perfino le questioni sostanziali di autentico Diritto, come quelle trattate in questo Referendum, cedono di fronte alla stanchezza generale della Politica, a quella particolare delle troppo frequenti consultazioni elettorali e/o referendarie, siano esse gestite bene o malamente, per caso o a bella posta, con o senza istigazioni delinquenziali all'astensionismo.
Tutto questo ci porta alla diretta conseguenza che da adesso in poi sarà facile boicottare un Referendum perfino in caso di conflitto nucleare e che la maggioranza parlamentare di Destra farà sempre più la padrona, ad onta delle pretese riformiste della Lega di U. Bossi.
Che ciò sia un bene o un male è questione di punti di vista.
Personalmente lo considero 80% bene e 20% male: forse, una cura canalare profonda e continuativa è proprio ciò che serve alla maggioranza degli abitanti di questo paese per acquisire un poco di dignità.

 

F. G. Urbon

 


 

(Riff. legislativi)

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ARTICOLO 9 - Delega al Governo in materia di certificazione dei rapporti di Lavoro. Al fine di ridurre il contenzioso in materia di qualificazione dei rapporti di Lavoro, con esclusione dei rapporti di Lavoro alle dipendenze di amministrazioni pubbliche, il Governo è delegato a emanare, entro il termine di un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, disposizioni in materia di certificazione del relativo contratto stipulato tra le parti, ispirate ai seguenti principi e criteri direttivi:
a) carattere volontario e sperimentale della procedura di certificazione;
b) individuazione dell’organo preposto alla certificazione del rapporto di Lavoro in enti bilaterali costituiti a inziativa di associazioni dei datori e dei prestatori di Lavoro comparativamente rappresentative, ovvero presso strutture pubbliche aventi competenze in materia;
c) definizione delle modalità di organizzazione delle sedi di certificazione e di tenuta della relativa documentazione;
d) indicazione del contenuto e della procedura di certificazione;
e) in caso di controversia sulla esatta qualificazione del rapporto di Lavoro posto in essere, valutazione da parte della autorità giudiziaria competente anche del comportamento tenuto dalle parti in sede dicertificazione.

ARTICOLO 10 - Delega al Governo in materia di altre misure temporanee e sperimentali a sostegno dell’occupazione regolare, nonché incentivi alle assunzioni a tempo indeterminato. Ai fini di sostegno e incentivazione della occupazione regolare e delle assunzioni a tempo indeterminato, il Governo è delegato a introdurre in via sperimentale, entro il termine di un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, disposizioni relative alle conseguenze sanzionatorie a carico del datore di Lavoro in caso di licenziamento ingiustificato ai sensi della legge 15 luglio 1966, n. 604 e successive modifiche, in deroga all’articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300 prevedendo in alternativa il risarcimento alla reintegrazione, nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi:
a) conferma dei divieti attualmente vigenti in materia di licenziamento discriminatorio a norma dell’articolo 15 della legge 20 maggio 1970, n. 300, licenziamento della lavoratrice in concomitanza con il suo matrimonio a norma degli articoli 1 e 2 della legge 9 gennaio 1963 n. 7 e licenziamento in caso di malattia o maternità a norma dell’articolo 2110 del Codice civile;
b) applicazione in via sperimentale della disciplina per la durata di quattro anni dall’entrata in vigore dei decreti legislativi, fatta salva la possibilità di proroghe in relazione agli effetti registrati sul piano occupazionale;
c) identificazione delle ragioni oggettive connesse a misure di riemersione, stabilizzazione dei rapporti di Lavoro sulla base di trasformazioni da tempo determinato a tempo indeterminato, politiche di incoraggiamento della crescita dimensionale delle Imprese minori, non computandosi nel numero dei dipendenti occupati le unità lavorative assunte per il primo biennio, che giustifichino la deroga all’articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300.

ARTICOLO 11 - Esclusione. Le disposizioni degli articoli da 1 a 10 non si applicano al personale delle pubbliche amministrazioni ove non siano espressamente richiamate.

ARTICOLO 12 - Delega al Governo in materia di arbitrato nelle controversie individuali di Lavoro. Al fine di ridurre il contenzioso in materia di controversie individuali di Lavoro ... abrogando l’articolo 412-ter e modificando parzialmente l’articolo 412-quater del Codice di procedura civile e ogni altra norma in contrasto con la presente delega, sostituendoli con disposizioni ispirate ai seguenti principi e criteri direttivi:
a) natura volontaria della compromissione in arbitri delle controversie individuali di Lavoro, direttamente ovvero a opera delle associazioni rappresentative dei datori e prestatori di Lavoro cui essi aderiscano o conferiscano mandato;
b) forma scritta della clausola compromissoria contenente, a pena di nullità il termine per l’emanazione del lodo, nonché i criteri per la liquidazione dei compensi spettanti agli arbitri;
c) possibilità delle parti in qualunque fase del tentativo di conciliazione, o al suo termine in caso di mancata riuscita, di affidare allo stesso conciliatore il mandato a risolvere in via arbitrale le controversie;
d) superamento del divieto di compromettibilità in arbitri delle controversie individuali aventi a oggetto diritti dei lavoratori derivanti da disposizioni inderogabili di legge o di contratti collettivi, affermandosi conseguentemente il lodo secondo equità, nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento;
e) decadenza del collegio arbitrale allo spirare del termine di incarico senza emissione del lodo;
f) alternatività fra risarcimento del danno con quantificazione interamente rimessa al collegio arbitrale e reintegrazione nel posto di Lavoro, a discrezione del collegio arbitrale, in deroga a quanto previsto dall’articolo 18, legge 20 maggio 1970 n. 300 e successive modificazioni;
g) impugnabilità, in un unico grado e davanti alla Corte di appello, del lodo arbitrale, soltanto per vizi procedimentali;
h) immediata esecutività del lodo, nonostante l’impugnazione proposta ai sensi della lettera g), a seguito del deposito presso la cancelleria delgiudice;
i) istituzione di collegi o camere arbitrali stabili, distribuiti su tutto il territorio nazionale."

 


 

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