Gennaio 2007,
da poche ore sono in possesso di una fiammante Fiat 16 e la voglia di provarla su un percorso fuori strada è irrefrenabile.
Carico l’amico Renato, con il quale spesso condivido lunghe passeggiate in montagna e partiamo per il monte Bisbino, una delle nostre mete preferite.
Il tempo è magnifico, fa abbastanza freddo ma il sole è splendente, proprio l’ideale. Oggi è la giornata canonica che tutte le settimane dedichiamo
alle camminate, quindi, abbiamo a disposizione tutto il tempo che vogliamo.
Affrontiamo con spavalderia la lunga e stretta via che porta alla cima, si tratta di una ex strada militare, costruita durante la prima guerra
mondiale per raggiungere le fortificazioni che da qui, svettano sulla linea di confine tra Italia e Svizzera. Dal tempo della grande guerra, a parte
l’asfaltatura, il percorso non è stato modificato. Poiché, allora, gli automezzi erano pochissimi e molto stretti, la strada non è più adatta alla
moderna circolazione ed in molti punti, incontrando un’altra auto, si deve fare retromarcia. Ma a noi non importa, conosciamo il percorso quasi a
memoria e poi, esclusa la domenica, la circolazione è molto limitata.
La Fiat 16
Raggiungiamo, quindi, la pineta sul cucuzzolo dell’imponente montagna e prendiamo la deviazione per il rifugio Bugone con l’idea di arrivare fino
all’agriturismo Roccolo San Bernardo dove consumeremo una merenda frugale ma abbondantemente innaffiata di birra.
Il sole splendente ha sciolto la neve e la poca rimasta non si azzarda a salire sulla strada, fino alla località Ca’ Bossi tutto prosegue a meraviglia.
Però, adesso, finisce l’asfalto e si passa a rovescio, qui il sole si vede solo in primavera ed il ghiaccio la fa da padrone.
Iniziamo la discesa che porta il rifugio Bugone senza preoccuparci molto delle condizioni del fondo ma appena la pendenza si fa più ripida, le ruote
perdono aderenza ed iniziano a scivolare. Forse ho preso tutto questo troppo alla leggera.
Ci troviamo su una stradina, non asfaltata, larga poco di più della macchina, che essendo l’unica via d’accesso per gli alpeggi della zona, è
frequentata anche in pieno inverno e quindi la neve, caduta nei giorni scorsi, è stata pestata da altri mezzi ed è coperta da un pericoloso strato
di ghiaccio liscio, liscio.
Il nostro mezzo prende abbrivio e non riesco più a controllarlo. Nel tentativo di guadagnare aderenza cerco di portarmi a monte dove la neve è
ancora fresca ma è anche molto più alta così mi trovo a scivolare su sole due ruote, una vera posizione da equilibrista.
Come se le difficoltà di guida non fossero sufficienti, mi trovo di colpo ad affrontare anche un momento di panico del mio compagno di viaggio che
tira il freno a mano ed apre la portiera dichiarando l’intenzione di gettarsi dall’auto.
Le ruote frenate impediscono ogni controllo, la nostra Fiat 16 si è ormai trasformata in un ottovolante. Lo stress è palpabile, l’auto è nuova,
basterebbe un graffio alla carrozzeria per rovinare la giornata ma si rischia molto di più, le possibilità di uscire di strada e schiantarsi contro
un albero o, peggio ancora, di finire in un burrone, sono molto alte e poi, se Renato si buttasse davvero, mentre siamo in movimento, verrebbe
certamente schiacciato. Sebbene si tratti di un uomo molto robusto la macchina è decisamente più pesante di lui.
Cerco, alla meglio, di trattenere l’auto in carreggiata e nel contempo, di calmare il mio amico. Come sempre, in queste occasioni critiche, nelle
vene non scorre più sangue ma adrenalina pura, il tempo si sta dilatando e talmente tanti pensieri mi passano per la testa che quando, fortunatamente,
raggiungiamo una piccola cengia e ci fermiamo, mi pare di essere scivolato per una vita.
Rimettiamo i piedi per terra, ma anche noi abbiamo difficoltà a reggerci e dobbiamo appoggiarci alla macchina. Siamo sudati fradici, alla faccia
del termometro che segna due gradi sotto zero.
Lasciamo passare alcuni minuti per riprenderci dallo shock poi incominciamo a pensare al da farsi. Di tornare indietro non se ne parla nemmeno e del
resto non sarebbe possibile, perché, saggiamente, non ho portato le catene, non pensavo che una “quattro ruote motrici” potesse averne necessità.
Proseguire resta difficile perché la discesa non è finita e non è meno ripida che nel tratto precedente, anzi.
Lasciare l’auto qui non è possibile perché blocca completamente la circolazione e se dovesse passare qualcuno, anche in questo momento, sarebbe un
guaio.
Un bel dilemma.
Il rifugio Bugone
Dopo una mezz’oretta, ripreso coraggio, decido di proseguire. Renato mi segue a piedi, sebbene si scivoli, si sente molto più tranquillo.
Ora, prestando la massima attenzione, riesco a conservare l’aderenza. Passo un altro brutto quarto d’ora ma, alla fine, raggiungiamo il rifugio Bugone
senza altri problemi.
Da qui si potrebbe facilmente tornare a casa a piedi, un grande spiazzo davanti al rifugio permetterebbe di posteggiare il mezzo, per recuperarlo,
poi, in una giornata più adatta alla circolazione, ma perbacco, come si fa ad abbandonare in montagna, al gelo, un’auto appena ritirata dal concessionario.
La strada, a questo punto, è quasi piana e poi non è passato nessuno, quindi, la neve fresca rende la guida più agevole, così optiamo per
proseguire, anche Renato riprende coraggio e sale a bordo. Ho già fatto questo percorso, a piedi, molte volte ma, di recente, solo fino al rifugio
Binate. Tutti sappiamo come le strade di montagna cambino da un giorno con l’altro e quindi non possiamo avere la certezza di arrivare in Val
d’Intelvi, l’unica meta alternativa raggiungibile.
Fortunatamente, sebbene costretti a tenere un’andatura quasi ridicola, giungiamo, senza altri imprevisti, a breve distanza dalla località Crocette
dove incontriamo dei temerari, come noi, che sono saliti dall'altra parte.
Chiediamo informazioni e ci rispondono che l’unico inconveniente sono gli specchietti retrovisori, devono essere tolti o girati all’indietro perché
altrimenti non si passa, per il resto nessuna difficoltà, loro non hanno trovato ghiaccio e quindi salire è stato abbastanza semplice. Rincuorati,
continuiamo. Effettivamente, in alcuni punti, sebbene gli specchietti siano girati, la distanza dai muretti di contenimento non supera il centimetro
sia a destra che a sinistra.
Un’altra ora di stradacce e finalmente, a Schignano, rimettiamo le ruote sull’asfalto. Sono passate circa 4 ore. In condizioni normali, per
percorrere la stessa strada, a piedi, ne bastano 3 ed anche meno. Vedi
Ora siamo fuori pericolo e potremo raccontare una nuova avventura, alla quale, io sono andato incontro, in vero, un po’ scioccamente.
Oggi possiamo veramente dire, come si usa dalle nostre parti dopo un grosso spavento, “Em vist la stria!”.