ALTRE FONTI
Staglieno
ha cessato di essere, da almeno due generazioni, un luogo simbolo della
città di Genova, che grazie ad esso era conosciuta in tutto il
mondo; e forse per evitare questa macabra identificazione, o solamente
per opportunità politiche che hanno relegato in secondo piano la
vocazione turistica della città, è stato rimosso quale
luogo della memoria collettiva e di identificazione sociale.Un rifiuto
che ha radici probabilmente nella retorica e cattivo gusto con cui le
famiglie borghesi delle generazioni passate rappresentavano se stesse,
le verità acquisite e i luoghi comuni spazzati via dalla
mentalità delle nuove generazioni. Sono pochissimi i genovesi
che frequentano o che sono mai stati nelle gallerie monumentali del
cimitero, ancora meno sono i turisti che ,sebbene sempre più
attratti ed incoraggiati a scegliere quale propria meta Genova, sono
accuratamente indirizzati verso altre parti ed attrazioni della
città. Sicuramente l'imbarazzo degli operatori e delle
autorità è fortissimo: si possiede un tesoro
inestimabile, ma ci vergogniamo di mostrarvelo in uno stato di completo
degrado ed abbandono. Non tutti la pensano così. La polvere, il
degrado, le rovine ci presentano oggi una civiltà scomparsa: la
borghesia mercantile del XIX secolo. Le allusioni ed i connotati delle
sculture raffigurano un passato morto per sempre ,la cui
complessità oggi ci sfugge, e la polvere che le ricopre ne
misura la lontananza.Tanto è vero che il recente ritrovamento di
documenti e reperti, tra cui i disegni originari di molte opere,
permetterà di ricostruire la storia di molte tombe della seconda
metà dell'ottocento di cui si credeva di aver perso ogni
possibile chiave di lettura filologica.
Una scoperta casuale, nella casa del
custode, che dimostra che l'antico luogo della celebrazione è
diventato nei decenni un luogo della memoria ed oggi si è
trasformato in sito archeologico. Un passato così
lontano che la polvere ed il degrado sono dei valori estetici aggiunti
irrinunciabili per l'uomo del XX secolo affascinato da tutto quello che
tarla, si ingiallisce, si impolvera, si sgretola, va in rovina. Sul
finire dell'ottocento Vincente Blasco Ibànez scriveva a
proposito delle sculture: "..sono nuove, nivee; ogni lineamento
è perfetto, ogni tratto esente da mutilazioni, imperfezioni o
difetti; perciò, per noi, queste lunghissime file di incantevoli
forme sono cento volte più belle della statuaria danneggiata e
sudicia salvata dal naufragio dell'arte antica ed esposta nelle
galleria di Parigi per l'adorazione del mondo."Oggi tutto questo
candore ci risulterebbe estraneo : un sinistro "effetto ospedale" che
annullerebbe ogni motivo di interesse. La polvere resa untuosa ed
appiccicosa dallo smog si è progressivamente impossessata di
ogni interstizio, si è posata indelebile sui panneggi degli
abiti delle vedove e delle madonne, è colata sulle carni
sensuali degli angeli: un cancro implacabile su ogni superficie
scultorea ed architettonica la cui spettacolarità decadente
è accentuata da una natura rigogliosa ed invadente. Un paesaggio
frutto di un felice connubio di gusto anglosassone e mediterraneo,
ancora presente tra l'altro nella mentalità genovese. Questa
lenta decadenza ricorda la scena raffigurata in un dipinto, capolavoro
di Giulio Romano a cavallo tra classicismo rinascimentale e manierismo,
anch'esso al pari di Staglieno poco visibile, posto nella chiesa di
Santo Stefano sopra Via Venti Settembre, nel cuore della città.
Nella "Lapidazione di Santo Stefano" , sia il santo che i suoi
carnefici sembrano riprodursi, nella plasticità classica dei
movimenti e delle espressioni, in infinite varianti nelle talvolta
goffe sculture del camposanto. L'ampia citazione di architetture
classiche sembra poi ricordarne la struttura originaria voluta dal
Resasco architetto che portò a termine la costruzione del
cimitero nel 1851. Stupefacente nel dipinto è l'edificio in
rovina posto sulla linea dell'orizzonte, dai cui ruderi provengono le
pietre usate per il martirio, allusione alla decadenza del mondo pagano
e avvio dell'estetica della rovina di cui l'arte figurativa dal 600 a
tutto l'ottocento è piena zeppa. L'infinità
varietà degli stili adottati, e talvolta il pregio di alcune
opere, nulla aggiungono alla storia dell'arte. Una amalgama ripetitiva
in cui certamente il virtuosismo tecnico è degno degli scultori
classici, ma l'idea creatrice è appiattita sui gusti di una
committenza chiusa nel recepire le trasformazioni culturali. Nel
contempo gli artisti sono incapaci di imporre idee innovative per il
loro isolamento dalle dinamiche culturali di fine Ottocento e per il
formalismo dei precetti appresi in Accademia.L'arte funeraria si
industrializza, lo scultore diventa artigiano e gli abili scalpellini,
privi di adeguata formazione culturale, perpetuano il gusto del
"realismo Borghese".Borghesia specchio del carattere schivo dei
genovesi, la cui superbia e ricchezza viene ostentata e rivelata solo
da morto. Ed ecco il proliferare in quantità senza uguali al
mondo di innumerevoli quanto sontuosi monumenti, statue , cappelle
(veri e propri santuari) e lapidi in tutti gli stili in voga dalla
metà dell'ottocento agli anni 30. Oltre al realismo fotografico,
lo stile floreale che ricorda il gotico, il bizantino , il
mesopotamico, il neoegizio, qualche accenno di liberty (molto
contaminato) fino ad arrivare al neoclassicismo anni 30 in voga
nell'epoca fascista e forse per questo sottovalutato.
Vogliamo lasciare ad altri molto
più competenti l'analisi storico artistica nonché la
lettura formale e filologica delle opere presenti; e non ci interessa
neanche citare gli autori e la collocazione dei monumenti. Il nostro
intento è solamente quello di suscitare interesse presentando un
luogo nuovo, reinterpretato attraverso il medium fotografico, in cui i
monumenti prendono vita e sembrano comunicarci la vibrante passione
,che certamente animava i loro autori e committenti, ma che ora vive
svincolata dal passato e si anima sempre in modo diverso agli occhi
attenti del visitatore.
"Staglieno e la scultura funeraria ligure tra ottocento e novecento" Franco Sborgi- ARTEMA
"Staglieno" Giovanni Grasso- SAGEP
"Itesori della Liguria" v. Sgarbi
Il Secolo XIX ARTICOLI: Il Secolo XIX Progresso Fotografico- Ando Gilardi
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